IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / La decisione del governo di continuare a vietare le cerimonie religiose cattoliche e, penso, tutte le cerimonie religiose in generale, ha sollevato la protesta della Conferenza episcopale italiana, sconfessata dallo stesso Papa Francesco che ha sostenuto che si deve obbedire alla restrizioni del governo per la pandemia
Si tratta di scelte che meritano una riflessione. La prima riguarda più in generale il modo in cui oggi il fatto religioso è stato relegato ad elemento marginale, a cosa considerata a priori come opzionale, dimenticando totalmente le ragioni dei credenti. La scelta del governo sancisce questa percezione del fatto religioso in cui la Chiesa è messa sullo stesso piano di un museo o di un teatro. Le chiese nella storia dei popoli e dell’italiano in modo particolare, non sono solo dei locali magari artisticamente belli e storicamente importanti. Le chiese sono luoghi di culto di cui la Messa e l’Eucarestia sono il momento più alto e come tali vanno considerati. Quando si vedono d’estate turisti che vogliono entrare a visitare una chiesa in abbigliamento non idoneo abbiamo un’idea di come non si abbia più rispetto del luogo religioso, visto esclusivamente come uno scrigno d’arte. E’ certo indispensabile usare la mascherina e i guanti e mantenere le distanze di sicurezza anzi ,doveva essere fatto molto prima), ma privare i fedeli del conforto dei sacramenti viola lo stesso principio costituzionale della libertà di culto in modo ingiustificato.
Sorge nell’ambito del movimento Noi siamo con voi – di cui è coordinatore l’ex assessore regionale Giampiero Leo -, a sua volta formatosi a Torino cinque anni fa per testimoniare la solidarietà verso le vittime innocenti delle persecuzioni che si ammantano di giustificazioni pseudo religiose, e vuole rappresentare un passo ulteriore dell’esperienza interreligiosa, questa volta sul terreno della solidarietà sociale all’interno della crisi in atto. La lotta contro la pandemia richiama tutte le migliori energie della società civile, con in prima fila le organizzazioni religiose, e può senz’altro dare luogo a un impegno di tipo nuovo, basato sulla collaborazione fraterna tra le diverse tradizioni spirituali.
A sostituirlo è stato chiamato un uomo come Maurizio Molinari che ha una grande storia giornalistica alle sue spalle fin dai tempi della “Voce repubblicana“ e del partito repubblicano di Giovanni Spadolini. Molinari non viene dalla sinistra settaria e conformista e in più occasioni ha saputo dimostrarlo. Anche il suo coraggioso impegno contro il terrorismo islamico, senza gli ovattamenti dei soliti commentatori, è un fatto importante.
C’è chi ha notato che il 25 aprile di quest’anno con Molinari direttore, la festa della Liberazione abbia avuto molto meno spazio di un anno fa sul giornale , rilevando questa differenza come una discontinuità. Leggendo invece l’editoriale di insediamento dal titolo “La sfida di un giornale per il riscatto di un paese ferito”, si ha chiara l’idea della continuità del nuovo direttore con i precedenti che collocarono a mantennero decisamente a sinistra quel giornale che per tanti anni fu un giornale – partito ,fortunatamente in via di estinzione. L’idea espressa da Molinari è quella di coniugare la lotta alla pandemia con la lotta alle diseguaglianze economiche e sociali. Anzi, di cogliere l’ oppportunità di questa calamità disastrosa per sbaragliare le diseguaglianze. Chi è liberale non vede le diseguaglianze sempre e solo in termini negativi,ma vede invece le eguaglianze forzate come una gabbia che impedisce lo sviluppo delle qualità e dei meriti individuali. La lotta alle diseguaglianze è stata un’idea dei comunisti e di certa cultura radical- chic in disarmo che è rimasta ferma al giacobinismo. La delusione storica della Rivoluzione russa ha messo su queste utopie spesso assassine,come una volta le definiva Barbara Spinelli, una pietra tombale . Al di là delle diverse valutazioni, resta però un fatto drammatico: in Italia non ci saranno più diseguaglianze perché la pandemia lascerà in braghe di tela quasi tutti gli imprenditori piccoli e grandi.Ci sarà l’agognata eguaglianza nella povertà. Questa è la prospettiva che abbiamo di fronte, a cui si potrebbe forse porre rimedio liberalizzando totalmente l’economia, cioè percorrendo la strada inversa di quella proposta da “Repubblica“. Ma le inossidabili, eppur obsolete, certezze ideologiche non si fermano neppure di fronte al virus e alle sue conseguenze drammatiche sul piano economiche.
Con il passare degli anni e con la naturale e fisiologica scomparsa dei protagonisti di quello straordinario periodo è sorto il problema di tramandare la loro esperienza e valori e di coinvolgere le giovani generazioni. Periodicamente abbiamo assistito a tentativi revisionistici da parte della destra neofascista o ex fascista e da qualche storico di sinistra o presunto tale. Anche quest’anno, perdendo l’occasione di dare un segno di maturità quanto mai necessario in una situazione emergenziale da destra è arrivata la proposta di dedicare il 25 aprile alle vittime del Corona Virus. Proposta tanto irricevibile quanto idiota. L’ipocrisia porta a non avere il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome.
elemento, spesso riproposto, quello degli esigui numeri dei partigiani, rammento che alla lotta di Liberazione hanno contribuito sicuramente le formazioni partigiane, i molti civili, ed, non si possono dimenticare e lo sono stati per troppo tempo, i seicentomila internati militari italiani (IMI) che rifiutarono di combattere per la repubblica di Salò e preferirono i campi di concentramento pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e privazioni. Tutto questo è la storia passata e recente ma la vera particolarità, che mi ha fatto riflettere, di questo 25 aprile è l’essere tutti “prigionieri” in casa da quasi due mesi. Festeggiare la Liberazione stando chiusi in casa, segregati quasi volontariamente, un ossimoro, per combattere un nemico invisibile e quindi più subdolo, non può che fare riflettere sul senso e sul valore della libertà. E’ proprio vero che una cosa l’apprezzi molto di più quando non ce l’hai, quasi, più o ti viene a mancare. Forse è per questo senso di privazione, di mancanza, che ci sono state un numero straordinario di manifestazioni e di iniziative con una partecipazione e condivisione che ci dà la percezione tangibile di essere liberi pur essendo “prigionieri” e segregati. La libertà e la democrazia sono, insieme alla Costituzione, i più importanti dei grandi “regali” che ci hanno portato la Resistenza e la lotta di liberazione.

La seconda è che il clima come il mare a capo Horn, poteva essere più o meno tempestoso ma mai tranquillo. Se ai tempi della D.C. ci accusavano di essere ladri e proteggere i “fascisti”(uno slogan era: “MSI fuorilegge. A morte la D.C. che lo protegge”), in epoca “berlusconiana”, fui invece più volte invitato “a lasciare l’Italia perché vi rimanessero solo i puri e i giusti”).
I provvedimenti di distanziamento sociale e di restrizione della libera circolazione adottati dalle autorità nazionali e regionali ci obbligano ad essere responsabili. Nessuno si sarebbe immaginato di dover ricordare l’anniversario della Liberazione in queste condizioni, compiendo una scelta di responsabilità a tutela della salute di tutti. Settantasette anni fa la stessa Resistenza nacque da una scelta. Lo sgomento dei giorni che seguirono l’armistizio dell’8 settembre ’43 si trasformò per molti in voglia d’azione, le tante umiliazioni patite in desiderio di riscatto. In quei venti mesi si affermò un sentimento nuovo, potente e due fronti opposti – il fascismo e l’antifascismo – si diedero battaglia. 