Il bianco e il nero sono spesso stati definiti dagli artisti come “non colori”, in quanto il primo viene dato dalla somma di tutti i colori e il secondo, il nero, invece, dall’assenza di tutti i colori.
Potrebbe sembrare banale pensare al bianco e al nero oggi ma, in tempo di pandemia da Coronavirus, la realtà a molte persone non appare più frastagliata in tutta la cromaticità di prima, poiché ne è stata via via privata da profondi cambiamenti, che sono stati sia esterni all’individuo, sia interiori, provocati da un fatto così epocale, come quello dell’emergenza sanitaria comparsa più di un anno fa. Se la realtà a moltissime persone non appare, così, più a colori, potrebbe allora sembrare forse in bianco e nero. Questa osservazione, però, risulta contraddetta dalla bellezza del bianco e nero, da sempre scelti dalla fotografia d’autore. La TV stessa era nata, in origine, in bianco e nero, e diversi grandi fotografi contemporanei, quali Berengo Gardin, nonostante oggi esista il colore, continuano a utilizzare il bianco e nero, attribuendo a questi “la capacità di rafforzare il senso e la comunicatività dell’immagine”. Sinceramente ritengo che oggi la realtà che stiamo quotidianamente vivendo non sia tanto percepita in una tonalità in bianco e nero, perché allora verrebbe anche a conoscere uno spazio lasciato libero all’immaginazione, ma neanche venga colta a colori; piuttosto viene, secondo me, dai più percepita nei toni del grigio. Questo è un colore che, come tutti gli altri, racchiude molteplici significati, tra i quali anche quello della neutralità e dell’impersonalità. Possiede in se stesso un lato di luce e uno di tenebra, di ombra, e viene spesso associato alla senilità e al sentimento di tristezza che, credo, sia quello che spesso si accompagna in questo tempo di pandemia, che potrebbe anche essere ben definito di “sospensione”. Il grigio, considerato nel Medio Evo come colore opposto al nero e quindi portatore di benefici e espressione di positività, può, comunque, mutare significato a seconda del punto di vista da cui viene osservato, per esempio nel caso in cui lo si colga come un colore capace di indicare un punto di osservazione e di sosta, di valutazione del mondo circostante. Forse proprio questa potrebbe essere la prospettiva a partire dalla quale ci si potrebbe porre in una quotidianità non certo facile, anzi, a tratti, per alcune persone, tale da porre ostacoli che paiono insuperabili. Sarebbe auspicabile riuscire a fare di questa visione del mondo, attraverso una tonalità grigia, un punto di partenza per riflettere sull’attuale condizione di vita, sulle nuove realtà che si sono create nei rapporti interpersonali, in un’epoca di distanziamento fisico forzato, e sulle difficoltà di sopravvivenza di molti individui, per spegnere i condizionamenti che impediscono ancora di aprire i nostri cuori in una prospettiva di nuova solidarietà.
Mara Martellotta
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La sua scomparsa lasciò orfana della sua guida un’azienda presente su tutti i maggiori mercati internazionali, con oltre 35mila dipendenti, di cui oltre la metà all’estero, e un progetto culturale, sociale e politico di grandissima complessità, dove fabbrica e territorio – in particolare Ivrea e il canevese – erano “indissolubilmente integrati in un disegno comunitario armonico”.
ancor oggi attualissime e testimoniano la sua capacità visionaria. Adriano Olivetti fu capace di portare l’ azienda di famiglia a competere alla pari con i giganti del mercato mondiale della sua epoca, trasformando la città “dalle rosse torri” nella capitale dell’informatica, riconosciuta recentemente dall’Unesco nella sua lista del patrimonio mondiale come “Ivrea, città industriale del XX secolo”. Un sogno industriale, quello di Adriano Olivetti, che logicamente mirava al successo e al profitto ma proponeva anche un progetto sociale che implicava una relazione del tutto nuova e compartecipativa tra imprenditore e operai, oltre a un rapporto qualitativamente alto tra quella che era stata la “fabbrica in mattoni rossi” e la città, capoluogo del Canavese. Gran parte della storia intellettuale e sociale dell’esperienza olivettiana che trasformò Ivrea nella “Atene degli anni ‘50” è raccolta nei libri pubblicati dalle Edizioni di Comunità, la casa editrice fondata nel 1946 da Adriano Olivetti.
Il prof. Quaglieni ha conosciuto personalmente l’avvocato Agnelli e parlerà dei suoi rapporti con Mario Soldati. Dichiara Quaglieni “Voglio far rivivere un grande protagonista dell’Italia del secolo