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Il mondo delle immagini: il ruolo dell’arte nelle scuole torinesi e oltre

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Vado ancora dallo stesso parrucchiere che mi acconciava i capelli a chignon per i saggi di danza quando ero piccola. È una piacevolissima scusa per tornare nei “miei” luoghi, vicino a quel segmento di Lungo Po, perpendicolarmente tagliato da via Gassino. Lascio l’auto là, su quella salitina perennemente ghiacciata, dove tentavo di parcheggiare la pesantissima Dedra di mio padre, prima che mi venisse regalato Bolide I – così io e le mie amiche avevamo battezzato la mia piccola e sfrecciante Opel corsa del ’98. –

Tutte le volte che mi ritrovo a camminare per quelle vie mi guardo attorno, percepisco quel quadrato cittadino come il più bello di Torino e mi ritrovo a desiderare ardentemente di ritornare ad abitare in quei paraggi. Guardo i palazzi non nuovi ma ben tenuti, i marciapiedi sbrecciati, la cartoleria dall’insegna sempre più sbiadita e il dirimpettaio dehor del bar ancora pullulante di caffè. C’è la copisteria dove ho stampato la tesi, a fianco alla quale sono spuntati un Sushi e un Kebap. Gli alberi alti filtrano il riverbero del sole sull’acqua verdastra del fiume e il sentiero non asfaltato sembra una lattea vena del prato brinato. Il tempo di arrivare dal parcheggio al negozio e c’è sempre qualche inaspettato dettaglio adolescenziale che riaffiora: la libreria Luxemburg, dove andavo talvolta a studiare, piazza Borromini e il suo minuscolo mercato, le Cantine Risso, dove si andava con i compagni di classe e, dall’altra parte, andando verso San Mauro, il drago di legno su cui ancora mi piacerebbe arrampicarmi. Non so se ora sarebbe così divertente abitare lì, a due passi dal centro eppure immersi nel verde della precollina, chissà se i ritmi odierni mi permetterebbero di godermi il panorama come facevo allora? Torino è la città di tutti, ma ognuno ha il suo angolino ritagliato, ognuno racconta la nostra città attraverso i propri occhi e i propri vissuti, ciascuno con una cartolina diversa da conservare nell’album dei ricordi. Guardo in giro ed è come se osservassi attraverso una lente magica che distorce la realtà: le immagini che si creano nella mia mente sono impregnate di passato e quella felicità sentita tempo fa mi impedisce di vedere il panorama con oggettivo distacco.

Siamo esseri visivi. Diverse aree della superficie corticale del cervello partecipano al trattamento delle immagini e svolgono un ruolo fondamentale nell’elaborazione del pensiero. Un’immagine è quindi una costruzione del mondo che si definisce nella testa e rappresenta ciò che noi definiamo “reale”. Lungi da me approfondire con taglio scientifico tale argomentazione, vorrei solo sottolinearne la complessità ed evidenziare la centralità che le immagini ricoprono nel nostro presente. Va da sé che il rapporto tra “immagine” e “realtà” è diretto e assai complesso.
Se costruiamo il mondo che ci circonda a partire da percezioni che divengono raffigurazioni, è dunque opportuno prestare attenzione a tali icone: una personale riflessione su cui credo sia giusto soffermarsi, soprattutto in questo preciso periodo storico, in cui si pensa e si vive “per” e “attraverso” le immagini.
Mai come in questo momento le iconografie hanno giocato un ruolo tanto essenziale nella comunicazione e nelle interiezioni. Lo dimostra soprattutto l’ormai più che diffuso uso dei social, considerati determinanti nella quotidianità, così come lo smartphone è un effettivo prolungamento dei nostri arti, mezzi in cui la componente visiva ha una rilevanza senza precedenti.
Siamo nella “società dell’immagine”, definizione in cui la parola “immagine” va intesa nella sua accezione più ampia, non solo in quanto “apparenza”, ma come “linguaggio di comunicazione”, e si pensi alla grafica, all’infografica, all’uso di foto e video. Le icone sono dunque preponderanti nei microblogging come Instagram o Pinterest, ma anche largamente utilizzate sui magazine online istituzionali, caratterizzati appunto dall’utilizzo di strumenti di comunicazione legati all’uso delle infografiche.

Foto e video sono protagonisti indiscussi della comunicazione odierna grazie alla semplicità di accesso a software free e al basso costo degli hardware.
Credo sia anacronistico, nonché ormai inutile, inneggiare ad un’esistenza priva di Facebook, Snapchat o simili, non saremmo più certo in grado di rinunciare al social network, tuttavia mi piace pensare che si tratti di “strumenti”, utensili digitali che a seconda del loro utilizzo possono influire positivamente o meno sulle nostre vite. Mezzi che dobbiamo imparare a gestire e comprendere, così come è necessario apprendere un buon metodo di decodifica delle icone a cui quotidianamente siamo esposti. Data la delicatezza e la multiformità dall’argomento, vorrei ribadire che quanto espresso in questo pezzo riguarda il mio personale punto di vista: da sempre sostengo l’importanza del confronto e della mediazione intellettuale come unica possibilità di convivenza sociale tra individui, tuttavia credo anche sia importante e giusto avere delle opinioni ben salde e saper prendere posizione. Quello che sostengo è che non ci sia un adeguato insegnamento dell’approccio critico alle immagini, non siamo sufficientemente preparati ad osservare e comprendere tutti questi stimoli visivi che costantemente ci colpiscono, non siamo abituati ad osservare, a vedere, guardiamo ma senza capire e senza riflettere. Tuttavia, oggigiorno non è pensabile sensibilizzare i giovani su tali tematiche tralasciando il discorso “social network”.
In una “società dell’immagine” non bastano corsi specifici universitari dedicati allo studio della comunicazione visiva, al contrario sono necessari momenti di approfondimento nei livelli scolastici inferiori, ovviamente adeguati all’utenza, dato che già alla scuola primaria gli scolari sono abituati a “smanettare” con smartphone e tablet.
Ribadisco: sono strumenti che se usati con criterio possono aprire mondi interessanti. Internet è un tripudio di informazioni e curiosità che possono aumentare il nostro bagaglio culturale, si possono reperire informazioni e notizie e rimanere costantemente informati sull’attualità. Attraverso i social è possibile conoscere persone che vivono lontano da noi, a supporto dell’ideale del rispetto e della convivenza in quanto noi tutti siamo cittadini del pianeta Terra. Sono infinite le sfaccettature positive legate ad un corretto e intelligente uso di internet e dei social, ma altrettanto numerosi sono i possibili effetti negativi conseguenti ad un utilizzo scorretto degli stessi, come la perdita della concentrazione, una sfalsata percezione di sé, oppure il cadere vittima di cyberbullismo o addirittura contrarre una vera e propria dipendenza da social.

Militando all’interno della struttura, credo sia compito della scuola sensibilizzare i giovani sulla questione, evidenziando l’importanza di vivere la propria vita in maniera “reale”, distinguendo il virtuale dal concreto e ricordando agli adolescenti – ma non solo – che il social non è in grado di offrire le medesime emozioni e opportunità del mondo vero, fatto di risate e pianti, di litigate e amori e di cose che si toccano, pungono e feriscono, riscaldano e avvolgono. Attraverso un opportuno insegnamento del ruolo del social si passa per forza per una riflessione sulle immagini, primario mezzo di comunicazione, molto più complesso di quel che si crede. In una società non solo delle immagini ma anche dei consumi, il marketing è fortemente condizionato dalla dirompente potenziale viralità dei contenuti diffusi attraverso le immagini. Si parla di “consumismo consapevole”, di “shopping experience” di “brand” e di “influencer”, termini portatori di un nuovo approccio, più cosciente, più “green” – per usare una parola “modaiola” – ma comunque legati ad una modalità impositiva della scelta: sono le immagini che ci dicono come vogliamo essere, con che filtro dobbiamo colorare i ricordi, che cosa vogliamo per il futuro, sono le immagini che ci influenzano continuamente e sono proprio tali immagini che dobbiamo imparare a decodificare, affinché la possibilità di scelta sia ancora qualcosa di concreto e di nostro. Vi devo dire la verità, cari lettori, tutto questo sproloquio è dovuto alle recenti chiacchierate che ho fatto a scuola con gli studenti nell’ultima settimana; a causa del Covid molti colleghi si sono ritrovati costretti a casa, mentre chi, come me, per ora superstite dei contagi ha dovuto saltellare da una classe all’altra per assicurare ore di lezione agli scolari. Come rendere giustizia a queste “ore buche”?ì Io credo che una buona idea sia quella di intrattenere i ragazzi facendoli parlare, chiedendo loro opinioni sugli argomenti più disparati, trattandoli come effettivi cittadini del mondo di domani; inevitabile la domanda di rito: “Qual è la materia che meno vi piace?”. Dopo questa settimana non cadrò più nell’errore, poiché la risposta è stata in prevalenza “Arte”. Non solo – ci tengo a specificarlo- la parte di teoria, ma anche quel che riguarda lo svolgimento pratico. Mi ha stupito come proprio la materia che per eccellenza tratta e studia le immagini, sia percepita come l’ora più “odiata” proprio da chi tra le immagini ci vive. Mi ha inoltre sbigottito ascoltare il tono sicuro di chi sosteneva l’inutilità della disciplina e la conseguente noia provata durante l’ora di lezione.

Al di là dell’ovvia insoddisfazione personale, vorrei provare a dare qualche motivazione per contrastare questo pensiero dilagante. Non mi soffermerei sul ruolo centrare che investe l’arte sul nostro territorio, né sul fatto che l’Italia possieda il maggior numero di siti riconosciuti dall’UNESCO, così come eviterei il discorso sul Rinascimento e quello sul patrimonio artistico costituito da architetture e opere d’arte che il resto del mondo ci invidia. Mi soffermo invece su altri aspetti. Conoscere la storia dell’arte significa essere in grado di interpretare monumenti e opere, e di conseguenza saper comprendere ciò che ci circonda, avere un pensiero critico è il primo passo verso la comprensione della necessità della salvaguardia dei nostri beni artistici; chi non conosce infatti svaluta e disprezza, la non conoscenza supporta lo sviluppo dell’ignoranza da cui scaturiscono odio e paura nei confronti di ciò – o di chi- ci appare diverso e strano. Non mi stancherò mai di sottolineare la fortuna di poter insegnare una materia interdisciplinare come questa: l’arte consente di approfondire e affrontare molte argomentazioni da diversi punti di vista, non solo le materie letterarie, ma anche gli ambiti scientifici. L’arte è disciplina centrale per superare le diversità, poiché le attività manuali permettono di collaborare e sostengono la socializzazione, l’uso della creatività favorisce l’integrazione perché quello a cui si fa ricorso è un linguaggio universale. Negli ultimi tempi anche l’Italia ha approvato la sfaccettatura terapeutica dell’attività artistica, che, attraverso modalità attive, permette di superare barriere comunicative, aiuta a sentirsi capaci di creare e stimola la conoscenza e l’accettazione del proprio Io interiore.

Salvatore Settis, storico dell’arte, sostiene che la storia dell’arte “aiuta a vivere”, e in numerosi articoli sottolinea il ruolo sociale e civile che la materia ricopre; Tommaso Montanari, altro studioso non meno noto, dimostra che lo studio della storia dell’arte allena al senso critico e al libero giudizio; molti neuroscienziati appoggiano la tesi secondo cui l’educazione artistica migliora l’attenzione e le funzioni cognitive. Aggiungerei che l’arte è proprio quella materia che esplica il linguaggio visivo, forma di comunicazione che assolutamente i giovani – oggi più che mai- devono essere in grado di padroneggiare. Lo studio del passato ci costringe a confrontarci con modelli differenti di abitudini e canoni e rammenta che non tutto ciò che sembra “farina del sacco del contemporaneo” sia in realtà una novità. Le immagini sono testimonianza di ciò che è stato, memoria indelebile di una storia che proprio attraverso tale linguaggio arriva a tutti. Saper descrivere e commentare un’opera sviluppa una particolare sensibilità critica assai utile oggi, nel mondo delle immagini, e libera chi sa decodificare i messaggi dal giogo della non scelta voluta dal consumismo. L’arte contemporanea ci sfida a riflettere e a mettere in gioco i principi dettati da una società che ci impone l’omologazione, pungola l’osservatore, lo induce a confrontarsi sulle più disparate tematiche, sul doppio, sull’identità, sull’appartenenza, sull’uguaglianza. Mai come ora l’apprendimento della storia dell’arte è chiamato ad essere svolto attivamente, in prima linea, perché l’arte ci mostra la realtà attraverso la finzione, e sono gli insegnanti che hanno l’arduo compito di aprire le menti e rendere i giovani individui in grado di comprendere il mondo che li circonda.
Ma, prima, bisogna (re)imparare a vedere.

Alessia Cagnotto

Quel 24 gennaio 1979, cosa ci resta di Guido Rossa

Giorni e date che ti entrano nelle carni producendo ferite non guaribili. Ferite che ogni anno continuano a sanguinare. Con dolore e tristezza e rabbia. 24 gennaio 1979 le Br assassinarono Guido Rossa.

Dei brigatisti uccisero un compagno comunista che aveva osato denunciarli. Operaio Italsider, nato a Belluno ma cresciuto a Torino. Trasferitosi a Genova per sposarsi. Tra i più grandi scalatori del tempo. Maestro del Cai. Fu anche para’.Delegato sindacale ed attivista comunista. Uno che non si tirava mai indietro. Non fu lui che sorprese il brigatista Francesco Berardi che nascondeva, all’interno dello stabilimento Italsider, volantini delle Brigate Rosse. Ma fu lui a denunciarlo ed a testimoniare contro.  Un uomo con gli attributi lasciato solo dai suoi stessi compagni di partito e di sindacato. Dopo oltre 40 anni è chiaro ed assodato. Incontro’ la morte perché, o anche perché solo. Nessun servizio d’ordine del pci lo difese. Nessuna pattuglia della polizia staziono’ sotto casa sua. La sua morte mise a nudo i limiti del movimento operaio. Della sinistra ed in particolare del PCI e del sindacato. Fiom in primis e con essa la Flm.
Troppe connivenze  e reticenze. Lo urlo’ il giorno del funerale Luciano Lama. Lo ammise a denti stretti Bruno Trentin. Mesi dopo, a Torino il questionario dove si chiedeva: sei a conoscenza di fatti di terrorismo? Decenni dopo Giancarlo Caselli affermò: oltre 50 di quelle denunce, fatte in forma anonima, furono preziosissime per debellare il fenomeno. Ai funerali pioveva come Dio la mandava. Quell’omicidio e quei funerali segnarono la fine, o perlomeno l’inizio della fine del terrorismo rosso. Al funerale il presidente della repubblica Sandro Pertini stravolto. Per tutta la giornata piovve a dirotto.  Non cambio’ il colore della giornata. D’un blu scuro. Perché era un maledetto giorno da fissarsi nella memoria, nel cuore e nell’anima di ognuno di noi. Davanti a tutti il Consiglio di fabbrica dell Italsider e dopo I Camalli, portuali di Genova. Le loro giacche di pelle con il rampino agganciato. Il rampino gli serviva per lavorare , ma era anche di monito. Come agli inizi degli anni 60 contro il governo Tambroni e il Msi che volevano fare il congresso a Genova medaglia d’oro alla Resistenza. Ieri contro i fascisti, ed ora contro i nuovi fascisti rossi, alias Brigate Rosse. Momenti alti della Storia del nostro paese. Sono passati 43 anni.  24 gennaio 1977 e il 24 gennaio 2022 si comincia a votare per l’elezione del Presidente della Repubblica. Una lunga Storia cominciata il 25 Aprile del 1945. Una Storia che si chiama Democrazia. Ieri come oggi e per sempre. Si spera. Oggi i mille elettori che voteranno hanno un debito morale e politico verso eroi come Giudo Rossa. Era solo un operaio , un sindacalista. Nato a Belluno, era vissuto per tanti anni a Torino. Figlio dell’immigrazione. Operaio a Torino come a Genova dove  si era sposato. Sua moglie l’aveva conosciuta al CAI.  Anche lei alpininista. Non aveva visto direttamente i terroristi che lasciavano nei reparti i volantini Br. Ma li aveva denunciati, aveva testimoniato e dunque era stato determinante per la loro condanna.  Aveva fatto il suo dovere pagando con la vita.  Un prezzo troppo alto… Chissà se verrà ricordato? Credo e spero di sì. Per me, per noi, ogni anno il compito di ricordarlo.

Patrizio Tosetto

Torna ContemporaneA. Parole e storie di donne

DAL 1° FEBBRAIO 2022 TORNANO GLI APPUNTAMENTI ONLINE 
Si amplia la squadra di ContemporaneA. In arrivo la terza stagione di rendez-vous, con tanti nuovi format realizzati in collaborazione con la Scuola Holden, Alessandra Carini, Irene Dionisio, Martina Liverani, Cristina Manfredi, Elena Marinelli. E per raccontare le donne del varietà, un nome d’eccezione: Arturo Brachetti.

Tornano per il terzo anno consecutivo i quotidiani rendez-vous online di ContemporaneA. Parole e storie di donne, come sempre a cura di Irene Finiguerra e Barbara Masoni, con nuove storie e tante protagoniste. Gli appuntamenti culmineranno nel festival, che si terrà in presenza, a Biella, dal 23 al 25 settembre 2022 per la sua terza edizione.

 

La nuova stagione segna un cambio di passo, un’ulteriore espansione del progetto di ContemporaneA che si fa sempre di più osservatorio del panorama culturale e artistico femminile: in arrivo da martedì 1° febbraio 2022, 13 nuovi format affidati ad altrettante professioniste e professionisti che hanno aderito al progetto con la loro passione e competenza per raccontare ogni giorno sui canali social di ContemporaneA nuove storie di donne.

 

Alla guida delle rubriche, i cosiddetti rendez-vous, ci saranno nuovi amici di ContemporaneA e alcune delle ospiti delle passate edizioni. Con i racconti e gli aneddoti legati alle grandi figure del varietà, molte delle quali conosciute personalmente dall’artista, i followers di ContemporaneA troveranno il grande Maestro del trasformismo internazionale Arturo Brachetti nel ruolo di showteller (letteralmente “raccontatore di spettacolo”) con il format Stelle. I post a tema cinematografico sono affidati alla regista Irene Dionisio, direttrice per tre anni del Lovers, storico festival LGBTQI del Museo Nazionale del Cinema di Torino con la sua rubrica Supernovae – Le innovatrici del cinema italiano; con BuonissimA il pubblico potrà conoscere meglio il mondo della ristorazione e le donne che ne fanno parte insieme alla food curator Martina Liverani. Con Atlete la giornalista sportiva Elena Marinelli tratteggerà i ritratti di campionesse dello sport; mentre alla curatrice d’arte Alessandra Carini è affidato il racconto delle professioniste dell’arte: galleriste, direttrici di  musei e fondazioni. Cristina Manfredi, esperta di  moda e lifestyle,  parlerà della magia e della creatività propria dell’universo fashion attraverso le storie delle sue protagoniste. Un nuovo format nasce dalla collaborazione con la scuola Holden di Torino: dieci docenti di varie discipline racconteranno tramite un video una scrittrice particolarmente significativa all’interno del loro percorso come narratori.

 

Accanto a queste rubriche firmate da ospiti speciali, non mancheranno quelle realizzate dal nucleo redazionale di ContemporaneA: spazi dedicati alle arti figurative, con  Artiste, alle scrittrici internazionali, alle protagoniste dei grandi romanzi, alle imprenditrici illuminate, alle autrici e ai personaggi femminili della letteratura dell’infanzia con Non solo “Piccole donne”, al mondo della musica, con First Ladies of Songs. Si confermano inoltre gli appuntamenti più amati delle scorse stagioni, come A ruota libera Caffè con le ragazze, che in questi due anni ha visto raccontarsi scrittrici come Antonella Lattanzi, Nadeesha Uyangoda, Beatrice Masini, Giulia Caminito, Alice Urciuolo, Giusi Marchetta, Marta Barone, ma anche professioniste come la musicista Ginevra Di Marco, la giornalista Corinna de Cesare, la tatuatrice Silvia Maschio, le ideatrici del progetto Senza Rossetto Giulia Cuter e Giulia Perona, la manager musicale Katia Giampaolo, le giornaliste Ritanna Armeni, Simonetta Fiori, Cristina Manfredi.

 

Come ormai da tradizione l’immagine guida di ContemporaneA, la sua pelle, la veste con cui si comunica, è affidata a un’artista: dopo Chiara Fucà e Anna Ippolito è la volta di Elena Miele, illustratrice e pubblicitaria. Nelle suoi lavori utilizza il collage, il disegno e ogni tecnica utile a creare mondi onirici, surreali, veri e propri sogni lucidi. L’illustrazione che ha realizzato per ContemporaneA verrà svelata poco alla volta nel corso dei prossimi mesi.

 

Con Irene Finiguerra e Barbara Masoni fanno parte della squadra di ContemporaneA – contribuiscono alla realizzazione dei rendez-vous –  Marco Bianchessi, Laura Colmegna, Patrizia Bellardone e Mariangela Rossetto.  ContemporaneA è realizzata in collaborazione con la Libreria Vittorio Giovannacci di Biella e il progetto grafico è a cura dallo Studio Anna Fileppo.

 

 

COS’È CONTEMPORANEA. PAROLE E STORIE DI DONNE

 

I RENDEZ-VOUS

ContemporaneA è un progetto che fin dalla sua nascita si è presentato con una doppia anima, online e analogica, e un solo obiettivo: quello di essere uno spazio per tutte le donne (e non solo) dove confrontarsi, sognare e progettare, dove ascoltare gli interventi di scrittrici, artiste, imprenditrici. Una vocazione multidisciplinare e inclusiva che si traduce nel corso di tutto l’anno in appuntamenti online, i cosiddetti rendez-vous: interviste, recensioni, citazioni, illustrazioni, profili e storie di donne.

 

IL FESTIVAL e gli altri incontri dal vivo

Nel corso del 2021 ContemporaneA ha organizzato numerosi incontri e presentazioni dal vivo, con scrittrici del calibro di Silvia Avallone e Annarita Briganti. A settembre si è tenuta a Biella la seconda edizione in presenza del festival Contemporanea. Parole e storie di donne. Tra le degli anni passati, Teresa Ciabatti, Valeria Parrella, Vera Gheno, Simonetta Fiori, Roberta Scorranese, Ritanna Armeni, Florencia Di Stefano-Abichain, Mariangela Pira, Elena Varvello, Tiziana Ferrario e Marina Spadafora.

La terza edizione del festival si terrà dal 23 al 25 settembre 2022 a Biella.

 

www.contemporanea-festival.com

Facebook: @contemporaneafestival

Instagram: @contemporaneafestival

Servizio Civile in ADMO: 42 posti in tutta Italia

Per il Piemonte si cercano due volontari per la sede di Torino

Pubblicato il bando per la selezione di giovani tra i 18 e i 28 anni che vogliono diventare volontari del Servizio Civile. ADMO Federazione Italiana e le ADMO Regionali aderenti partecipano al Bando di Servizio Civile Universale con delle sedi accreditate presso l’ente AVIS Nazionale. 42 i posti totali a disposizione.
Il Servizio civile universale rappresenta una importante occasione di formazione e di crescita personale e professionale per i giovani, che sono un’indispensabile e vitale risorsa per il progresso culturale, sociale ed economico del Paese. Il servizio civile diventa universale e punta ad accogliere tutte le richieste di partecipazione da parte dei giovani che, per scelta volontaria, intendono fare un’esperienza di grande valore formativo e civile, in grado anche di dare loro competenze utili per l’immissione nel mondo del lavoro.

“Ti invito a donare” è il titolo dei progetti presentati da AVIS Nazionale e ADMO, suddivisi per aree geografiche. I posti disponibili presso le sedi ADMO sono 42 per giovani che abbiano compiuto i 18 e non superato i 28 anni di età vorranno vivere una esperienza unica ed entusiasmante!
Tante le attività proposte, che saranno svolte nel pieno rispetto delle attuali norme anti-Covid e a tutela della salute dei partecipanti. È possibile effettuare la richiesta di adesione entro le ore 14.00 di mercoledì 26 gennaio 2022. Partecipare è semplicissimo, basta presentate la domanda online attraverso la piattaforma DOL, collegandosi a questo link: https://domandaonline.serviziocivile.it/ Le selezioni avverranno secondo i criteri accreditati dal Dipartimento disponibili di seguito e riportarti all’interno di ogni scheda progetto.

MAGGIORI INFORMAZIONI

Chi può partecipare
Possono presentare domanda i giovani senza distinzione di sesso che siano in possesso dei seguenti requisiti:
aver compiuto il diciottesimo anno di età e non aver superato il ventottesimo anno di età (28 anni e 364 giorni) alla data di presentazione della domanda;
cittadinanza italiana, ovvero di uno degli altri Stati membri dell’Unione Europea, ovvero di un Paese extra Unione Europea purché il candidato sia regolarmente soggiornante in Italia;
non aver commesso reati;
Tipologia di progetti
Per la partecipazione ai progetti di Servizio Civile non esistono limitazioni geografiche di alcun tipo: è possibile scegliere tra tutti i progetti presenti nel bando da svolgersi in Italia e all’estero, a patto che si presenti domanda per un solo progetto tra quelli indicati, pena l’esclusione.
Durata e impegno settimanale
I progetti di Servizio Civile in ADMO prevedono un monte ore annuo di 1145 ore per la durata di 12 mesi e un orario di servizio pari a una media di 25 ore settimanali. L’orario di servizio viene stabilito in relazione alla natura del progetto ed è indicato nel progetto stesso.
Trattamento economico
Ai volontari spetta un compenso di € 444,30 al mese. Il pagamento avviene in modo forfettario per complessivi trenta giorni al mese per la durata prevista del progetto, a partire dalla data di inizio.

SEDI ADMO ADERENTI AL PROGETTO CON NUMERO DI VOLONTARI RICHIESTI

Cod_sede Sede Prov Regione/PA Area Volontari Richiesti
145996 ADMO ALTO ADIGE SÃœDTIROL Bolzano – Bozen Alto Adige Nord 2
145999 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Bologna Bologna Emilia Romagna Nord 2
146000 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Faenza Ravenna Emilia Romagna Nord 2
146001 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Ferrara Ferrara Emilia Romagna Nord 2
146002 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Forli’-Cesena Forli’ – Cesena Emilia Romagna Nord 2
146003 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Modena Modena Emilia Romagna Nord 2
146004 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Parma Parma Emilia Romagna Nord 2
146005 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Piacenza Piacenza Emilia Romagna Nord 2
146006 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Reggio Emilia Reggio Emilia Emilia Romagna Nord 2
146007 ADMO FEDERAZIONE ITALIANA Milano Lombardia Nord 2
146008 ADMO FRIULI VENEZIA GIULIA Udine Friuli Venezia Giulia Nord 2
146009 ADMO LOMBARDIA Milano Lombardia Nord 2
146010 ADMO PIEMONTE Torino Piemonte Nord 2
146011 ADMO TRENTINO Trento Trentino Nord 1
145995 ADMO ABRUZZO Pescara Abruzzo Centro 2
147238 ADMO LAZIO sezione Roma Roma Lazio Centro 3
147239 ADMO LAZIO sezione Viterbo Viterbo Lazio Centro 2
147241 ADMO TOSCANA Grosseto Toscana Centro 2
145997 ADMO CALABRIA Vibo Valentia Calabria Calabria 3
145998 ADMO CALABRIA sede Reggio Calabria Reggio Calabria Calabria Calabria 3

Dall’acropoli al centro commerciale. Conferenza Ucid

Iniziativa promossa dalla Sezione di Torino Interviene l’architetto Luigi Rajneri

“Dall’Acropoli al centro commerciale. Come la scristianizzazioneha cambiato le nostre città?” è  il titolo della conferenza promossa lunedì 24 gennaio prossimo dall’Ucid ( Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) Sezione di Torino, che si terrà presso la Sala Crocetta de La Darsena in strada Torino a Moncalieri,relatore l’architetto Luigi Rajneri.

Come si sono trasformate le nostre città nel corso dei secoli?

“Molti studi hanno affrontato questo interrogativo – ha spiegato l’architetto Luigi Rajneri – La città è la creazione umana più complessa e coinvolge diverse discipline. Questo piccolo studio vuole offrire un punto di vista scarsamente indagato, per aggiungere un tassello di cui bisognerebbe tenere conto.

Antichi equilibri sono mutati a seguito di grandi rivoluzioni culturali e se ne possono leggere le conseguenze nelle trasformazioni urbane.

La frammentazione dei lotti ha generato il caos urbanistico e ha reso necessaria l’adozione di piani regolatori per porre rimedio. In realtà era tardi, gli edifici offrono una tale varietà che, sebbene allineati, creano confusione e disordine. I monumenti e le piazze stanno lasciando il posto a centri commerciali e giardinetti di quartiere, in cui la comunicazione e la socializzazione sono utopici se confrontati agli oratori o alle antiche piazze”.

“La separazione tra chi fa architettura e chi fa Urbanistica – prosegue l’architetto Rajneri – ha fatto perdere di vista le proporzioni più importanti, cioè quelle umane.

I nuovi riti urbani? Dove sono finite le belle piazze italiane ammirate in tutto il mondo?

Siamo ancora capaci di costruire dei bei luoghi?

La freddezza ragionata e calcolata dei nuovi luoghi lascia poco all’immaginazione e coltivano false speranze.

Occorre ritrovare quell’equilibrio tra fede e ragione più volte ricordatoci dal Papa, e già presente nell’Acropoli ateniese”.

MARA MARTELLOTTA

Vita e morte a Napoli

Napoli è una città fortunata, baciata dal sole e dal turismo

Le malelingue hanno voluto che fosse merito prima delle guerre feroci alle frontiere, poi della crisi economica, quindi degli attentati in altre importanti capitali europee e adesso della tragedia della Pandemia.

Non è così.

Napoli è una città che ha saputo valorizzarsi, a partire dal basso, con giovani ardenti di uscire dalla disperazione e commercianti che hanno imparato le regole del marketing. A partire dall’era Bassolino Sindaco, la città ha subito un risveglio culturale e identitario ed è riemersa dalla negligenza del quotidiano e dall’omologazione televisiva in romanesco o peggio in milanese.

Abbiamo avuto solo la sfortuna delle canzoni neomelodiche, durissime esteticamente e nei contenuti violenti o banali, che rimandano ai suoni del Mediterraneo e della antica Grecia, dalla Nea-Polis, la Nuova Atene, con i rituali feroci ed orgiastici, le pire e le sette famiglie che comandavano in città.

Queste tradizioni sono oggi narrate con disprezzo, dovuto, da chi si occupa di cronaca nera, di camorra, anzi del Sistema, come Saviano, ma oggi proverò a darne una rilettura estetica, perché vendendo Napoli possiate apprezzare anche il popolo e le sue tradizioni millenarie.

Napoli, durante la quaranten, era un deserto silenzioso e caustico, interrotto dallo scrosciare degli applausi, dai canti appassionati dai balconi, dalle giornate di sole sui balconi o le terrazze, per chi poteva, o solo all’uscio del proprio basso, a mezzogiorno.

Poi d’estate nel 2020, tutti al mare.

Turisti pochi, pochissimi, rari.

Il cielo sopra il mio terrazzo, di cui vedete il panorama in foto, è stato muto per mesi, quando fino alla fine del 2019 era uno scroscio e un rombo di aerei ogni cinque-dieci minuti. Più frequenti della metropolitana collinare o degli autobus urbani con cui poi i turisti devono fare i conti per visitare la città.

Erano anni che la città era stracolma del vociare di truppe cammellate di ogni genere etnico. I quartieri più fortunati, come la Sanità o i Quartieri Spagnoli, hanno da tempo costruito intorno a loro nuove mitologie e nuovi riti goderecci, legati agli apertivi, fino ad allora ignoti, o le più comuni zingarate di cibo e vini dell’entroterra, tutti di elevatissima qualità.

Dopo la fuga estiva, al rientro, una nuova quarantena planetaria, più infida e deprimente, perché in inverno le giornate si accorciano, i balconi erano deserti, i morti che prima vedevamo solo in televisione, hanno cominciato a colpire le nostre famiglie (non la mia, tiè), e siamo diventati teledipendenti, abusatori di streaming e webinar, adoratori dei delivery, anche quelli etnici. E quando mai i napoletani avevano apprezzato i cibi di cinesi o giapponesi? Pure gli hamburger erano durati, come moda, pochissimo negli anni ’80.

Poi d’estate adesso nel 2021… tutti a…. Napoli !?

Come a Napoli?!

Gli aerei hanno solcato di nuovo i cieli, anche se sporadici e limitati ai fine settimana. Le navi da crociera, seppure mezze vuote, si sono intraviste al Porto, davanti al Maschio Angioino. La metropolitana era sempre in ritardo e gli autobus pieni solo dei domestici cingalesi o delle badanti ucraine.

Noi borghesi attoniti ad ammirare la meraviglia delle voci straniere intorno a noi, a sbracciarci di nuovo per dare indicazioni (io sono ufficialmente una guida abusiva, gratuita, per amici e avventori di ogni genere). Il lungomare, invece, vessato dalle auto, all’improvviso, per il crollo promesso dalla instabilità idrogeologica di ben due tunnel di collegamento tra la stretta baia, detta via Caracciolo, e le affastellate città antiche e moderne del Centro Storico e di Fuorigrotta.

Ne traevamo i peggiori auspici, moltiplicati dalla propaganda negativa di una curiosa sentenza del TAR che avrebbe voluto veder cancellare uno dei numerosi omaggi agli adolescenti del popolo, uccisi da polizia o carabinieri, nell’atto entrambi di compiere il proprio dovere, lecito allo Stato italiano, invasore, o alla famiglia, quella da mantenere, secondo le regole di vita millenarie che caratterizzano tutte le storie di scugnizzi, dalla greca Nea-Polis a quella post-moderna.

I murales sono tutti là, esattamente là, anche un poco più in là, dove ogni tanto ne spunta un altro. Sono riproduzioni gigantesche delle foto che, di solito, sono messe sui numerosi altarini, dette edicole, di foggia sia barocca, sia sudamericana, la cui storia pagana e cristiana è una delle tante di cui narro alle persone amiche, ma solo dal vivo.

Arriva capodanno…

Il nuovo sindaco, eletto a furor di borghesia e si suppone popolo, promuove per la prima volta nella storia l’inutile divieto contro i fuochi d’artificio. La notte di capodanno purtroppo c’era foschia, se volete vi metto quelle dell’anno prima che erano esattamente uguali in rumorosità, grandiosità e diffusione millimetrale, ma grazie al clima terso, ne ho tratto immagini migliori.

Ah, ma cosa sarebbe Napoli senza le bombe a capodanno e la conta dei feriti e dei morti, magari per pallottole vaganti delle stese? Sarebbe una Marrachesch senza mercato, una Montmartre senza artisti ed una Monza senza la Ferrari.

La morte e la vita a Napoli si festeggiano insieme, con una ferocia dionisiaca che deriva, lo ricordo ancora, direttamente dall’essere stata la greca Nea-Polis.

Napoli a Capodanno era piena di vita e di speranza, perché i vaccini, nonostante le manifestazioni contrarie di Trieste, fondamentalmente ce li stavamo facendo tutti, perché la salute,… è ‘a primma cosa’… I turisti erano ovunque, anche se ovviamente solo la metà di quelli del 2019, ma l’anno prima… non c’erano proprio. Nel 2020, al massimo, dei profughi settentrionali e qualche migrante dalle basi NATO.

Arriva gennaio. Una pioggia, un freddo ed oggi il sole. Quello della foto dal terrazzo.

In città ieri sera il popolo della camorra ha vinto un’altra battaglia. Tra i vicoli davanti al Museo, tra Toledo e Salvator Rosa, in uno spiazzo dove prima della guerra c’era un palazzo, mai riedificato, di cui si osservano ancora i colori delle stanzucce di chissà quali famiglie degli anni ’40, si è svolta una battaglia epocale.

Se volete vi faccio vedere il filmato di un mio amico… sta su Facebook, ovviamente, e potrete ammirare nel buio l’altissimo falò detto Cippo o Fucarazzo, dedicato nelle sue forme a Sant’Antonio, ma di origini molto più antiche.

La tradizione neolitica della scoperta del fuoco, della rappresentazione della potenza della tribù, usata quindi come rituale di passaggio dall’età infantile al vigore della giovinezza dai maschi e dagli scugnizzi del popolo fino appunto a ieri, diventa una delle tante feste dionisiache di fine e rinascita dell’anno, dedicata chissà a Partenope o a Priapo.

Passando casualmente là davanti, mentre scendevo a Toledo, a piedi, vengo accolto da madri che, dal vicolo ai balconi, esaltano i figli che, poveretti, faticando per tante notti a fare la guardia, avevano raccolto e preservato, dalle bande rivali si intende, l’enorme fascina di “lignamme”, estorta, asportata, tolta, raccolta, eliminata, sequestrata in pochi minuti dalla polizia locale, inviata si suppone sempre dal Sindaco eletto a furor di borghesia e ormai sempre meno dal popolo.

Subito dopo, scendendo, tra le scarse luci dei bassi e dei rari negozietti di parrucchiere, si vedono scugnizzi trascinare pezzi di legno con voci sempre più concitate, mano a mano che scendevo il vicolo, protetti dagli sguardi di ragazzotti o scagnozzi di poco più grandi, ma più virili e per me affascinanti.

Non mi lascio distrarre e guardo al centro della confusione il cancello dell’antro dionisiaco “scassato” e l’andirivieni formicolare di bambini e adolescenti, le loro voci, e quatto mamme, eroiche ad issare il telo della protesta sindacale, che raccoglie la preghiera del quartiere intero. E svela il mistero.

Il Fucarazzo è la rappresentazione pagana delle anime dell’Ade, poi del “priatorio”, che non è esattamente il Purgatorio, ma il luogo di reciproca preghiera. Nella nostra mitologia partenopea la relazione con le anime del priatorio è ampia complessa e si deve spiegare in molti anfratti e chiese, in palazzi e vicoli, ogni volta in un modo diverso, a seconda della leggenda e delle storie connesse.

Questa rappresentazione post-moderna delle Anime “d’ ‘o Priatorio”, con un lenzuolo vergato come nelle proteste degli studenti, in nero, di spray e lutto, per gli adolescenti rappresentati in foto. Morte e Rinascita.

Sono sempre quelli uccisi nelle varie guerre tra bande in città, oppure dalla polizia e dai carabinieri, per i quali si chiede giustizia. Giustizia… A Napoli il concetto di Giustizia detto da una madre che ha perso il figlio perché ucciso dalla banda rivale è una cosa. Un’altra se l’ha ucciso un rappresentante dello Stato italiano invasore, invasore sì, come lo sono stati i romani, i goti, i normanni, i bizantini, gli aragonesi, gli angioini, gli austriaci, i borbone, i nazisti (più che i nazi-fascisti…), cioè i tedeschi, e poi gli americani, “’e nire”, quelli americani prima e quelli migranti adesso, incluso i cinesi, gli arabi e i turisti.

Tutti invasori! Ma i turisti e gli americani portano i soldi… e se non li spendono… vabbuò, che c’è sempre modo a Napoli di spenderli questi soldi, nei vari piaceri, anche della carne, servita con menù di ogni genere.

Chiudeva il corteo verso il basso un gruppo di atletici e barbuti, intorno ai 25, forse 30 anni, le guardie del corpo della festa, verso l’ingresso da via Toledo, delle scale meravigliose che ancora sono poco frequentate dai turisti. E chi c’era secondo voi in ipocrita falsa ma vigile attesa?

Il corpo della polizia, in tenuta anti-sommossa…

No, non sono intervenuti.

E’ una libera manifestazione del popolo, sebbene sia quello della camorra, quello violento, dionisiaco, feroce, mariuolo ed assassino. E’ la manifestazione di gioia per i figli che crescono e di lutto per quelli morti nel compimento del loro dovere (rispetto alle distorte regole etiche della camorra…)

Tutto questo candore è reale. Molto più reale delle pretese regole borghesi. E forse se diventasse folklore, attirando i turisti, sarebbe finalmente un modo per arricchire queste madri e questi figli senza che debbano più rischiare la vita o … fare… la vita… per ottenere i soldi dagli americani e dai turisti o dallo Stato italiano invasore… moltiplicando i turisti che continuano ad invadere Napoli, almeno nei fine settimana di gennaio.

Manlio Converti
Psichiatra

Telefono Rosa lancia il progetto Net Generation

E’ stata avviata la fase iniziale del progetto NET GENERATION, promosso dal Telefono Rosa Piemonte con il sostegno della Fondazione CRT.
Il progetto, in questa prima fase, prevede una formazione on line nei confronti di diverse classi di scuola superiore della Regione, condotta da uno staff tecnico del Telefono Rosa: il titolo è CAMBIA…MENTI GENERATIVI. Ad allieve ed allievi è già stato fornito un opuscolo illustrativo, e durante la formazione saranno condivisi alcuni temi sull’origine di stereotipi e pregiudizi che condizionano in modo massiccio il comportamento maschile degli uomini nei confronti di ragazze e donne.
La formazione è propedeutica alla partecipazione ad un concorso per produzioni visive (video clip, disegni, podcast, animazioni, musiche e testi) realizzate da giovani allieve ed allievi tra i 15 e i 21 anni. Tutti i lavori presentati saranno valutati da una commissione giudicatrice formata da importanti figure professionali nell’ambito delle arti visive, della formazione, della semiotica.
Il concorso (che vede per i primi 3 classificati premi da 1.000,00 euro, 750,00 euro e 500,00 euro) intenderà premiare le opere che più di altre si distingueranno per la capacità di uscire dalle raffigurazioni inutilmente vittimistiche e passive di donne e ragazze offese dalla violenza maschile, a favore di immagini, testi e video che invece promuovano la forza, la determinazione, la dignità e l’autonomia delle donne che, pur colpite dalla violenza, attivano le proprie risorse per un definitivo allontanamento da condizioni violente.
Il progetto correda le specifiche iniziative che il Telefono Rosa Piemonte dedica a giovani e giovanissime donne in situazioni violente: i primi dati relativi al 2021 vedono infatti un netto aumento di ragazze inferiori ai 16 anni di età che si sono rivolte all’Associazione e una percentuale molto rilevante di donne vittime di violenza maschile tra i 16 e i 29 anni di età.

La città avvolta da un’atmosfera tra spettrale e surreale

Torino due anni dopo. Due anni quasi dopo la fatidica data del febbraio 2020, in cui nelle nostre vite di uomini occidentali è comparso quel Convivato di Pietra, il Covid, capace di insinuarsi in una quotidianità che ci sembrava banale, ma di cui oggi rimpiangiamo tanto la semplice normalità.

Passeggiando per le vie del centro torinese e non solo, a quasi due anni di distanza dal primo lockdown,  l’atmosfera appare a tratti surreale per la presenza di poche persone che circolano nelle strade (colpa forse degli isolamenti per quarantena o dello smartworking). La rarefazione della presenza dell’uomo nell’ambiente urbano, fattore che appare sicuramente anacronistico (non lo sarebbe in mezzo alla natura, di fronte alla distesa del mare o tra le montagne), conduce sicuramente a interrogarsi sul significato di questa esistenza che stiamo vivendo, bene o male malgrado la nostra volontà. A metà tra atmosfera surreale e spettrale, la città semideserta, come è apparsa nei giorni immediatamente successivi all’Epifania, mi ha suggerito il ricordo e il parallelismo con  alcuni aspetti della cultura nordica, per esempio con il teatro di Ibsen. Se in una delle opere più celebri del padre del teatro moderno, ‘Spettri’, Ibsen esprimeva una forte critica alla morale e al pensiero falsamente perbenista della società borghese a lui contemporanea, gli spettri identificano anche le ombre del passato che colpiscono il dramma esistenziale dei protagonisti.  Anche se quel dramma che alcune persone oggi vivono in seguito alla comparsa e al perdurare della pandemia è  certamente di natura diversa da quello dei personaggi ibseniani, comunque proprio la pandemia ha portato l’individuo a confrontarsi con gli  ‘spettri della sua anima’. Si è  trovato, infatti, a tu per tu con le angosce e paure nei confronti del contagio, della malattia, a volte della stessa morte, giungendo alla consapevolezza della presenza di una debolezza ben superiore a quella che si  credeva potesse avere una società consumistica e individualista come la nostra. In fondo, però,  gli spettri sono anche presenze molto spesso alla ricerca continua di una loro identità, come avviene per il personaggio di Traven, autore del libro dal titolo “Coriandoli il giorno dei morti”. Traven non è  altro che una congettura, tanto che la teoria più  accreditata lo ritiene il giornalista e anarchico tedesco  Marut, un’altra lo indica nell’attore Otto Feige, altre congetture parlano del suo agente Hal Croves. In fondo questo scrittore rimane e forse rimarrà nella tradizione letteraria uno spettro. E se gli spettri possono, in questo caso, essere anche benigni, in riferimento alla vicenda pandemica, il confronto con loro e con le parti più nascoste della nostra anima, quelle che ci hanno sempre più impaurito, può diventare estremamente fruttuoso per migliorare come individui, sia singolarmente sia all’interno della collettività, rendendoci più aperti ai valori sociali e di solidarietà verso gli altri.


Mara Martellotta 

(Pannunzio Magazine)

Sovraffollamento carcerario: problema individuale o sociale?

È di poche settimane fa la notizia che il carcere di Asti abbia tra i propri ospiti detenuti una percentuale di positivi al Covid19 del 35%, oltre a 12 positivi tra personale amministrativo e agenti di custodia.

Il problema non riguarda solo l’istituto di pena piemontese, ma è esteso su tutto il territorio nazionale.

Quest’ultima ondata di diffusione del contagio da Covid19, dunque, ha nuovamente portato alla luce il problema della corsa del virus nelle carceri italiane, strutture ormai organicamente sovraffollate di detenuti, nelle quali, oltre a carenze igieniche, di strumenti e programmi educativi, un ruolo preponderante gioca la mancanza di spazio dovuta ad un numero di detenuti eccedente la ordinaria capienza.

Nell’attuale situazione pandemica, pragmaticamente, ciò rende molto difficile, se non impossibile, garantire l’applicazione quantomeno della più elementare misura precauzionale, il distanziamento personale tra i detenuti.

Secondo i dati forniti nella propria Relazione annuale 2021 al Parlamento dal Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale l’inizio del 2020 era stato drammatico in termini numerici con 60.971 presenze nazionali a fronte di una capacità di meno di 50.000 unità.

Il 2021 ha visto una riduzione del numero dei detenuti, dovuta soprattutto ai legittimi interventi della magistratura di sorveglianza che, verso la metà dell’anno, ha consentito un assestamento a 53.661 unità, rispetto ad una capacità ospitativa limitata a 47.445.

Purtroppo quello del sovraffollamento carcerario è un problema annoso, ormai organico e strutturale, che ha visto l’Italia in più occasioni anche sottoposta al giudizio della Corte Europea dei Diritti Umani, che l’ha riconosciuta colpevole di una violazione sistematica e continuativa del diritto dei detenuti a non subire trattamenti contrari al senso di umanità e di dignità (art. 3 CEDU), con gravi incidenze e ripercussioni pregiudizievoli sul principio rieducativo della pena, previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione.

La pena deve certamente avere un carattere sanzionatorio e retributivo, deve essere “un castigo” per chi si è reso colpevole di un reato e un monito per la collettività, ma al contempo deve essere funzionale alla rieducazione e al reinserimento sociale del reo.

Quest’ultimo aspetto molto spesso viene sottovalutato ovvero declamato in termini di principio, ma poco compreso ed ancora meno attuato.

Eppure è un dato fondamentale, quello più rispondente all’interesse comune.

Sempre secondo la Relazione 2021 del Garante al Parlamento il maggior numero di detenuti è ristretto per pene detentive inferiori ai tre anni, decorsi i quali il soggetto sarà nuovamente in stato di libertà.

Obiettivo di rilevanza sociale dovrebbe essere quello, dunque, di ridurre potenzialmente il rischio di ricaduta nel reato, rispondendo ciò a quell’esigenza di sicurezza avvertita come priorità dai consociati.

La visione della detenzione meramente punitiva ha carattere miope, soddisfacendo un bisogno di sicurezza immediato, ma privo di lungimiranza e previsione a medio lungo termine.

Ecco allora che quello del sovraffollamento carcerario con tutte le criticità che da esso conseguono, violazione dei diritti umani, impossibilità di organizzare progetti rieducativi e di reintegro sociale, difficoltà di garantire supporto educativo e psicologico a tutti i detenuti, non solo svilisce in astratto principi costituzionali che sembrano distanti ed avulsi dalla realtà, ma ricade concretamente sul tessuto sociale, restituendogli soggetti che,dopo aver scontato la loro pena, potenzialmente potranno ancora e nuovamente rappresentare un pericolo per la collettività, non essendo stata soppressa o depotenziata la loro capacità delinquenziale.

La creazione di un sistema penitenziario che consenta di proporre risposte alla commissione di reati tese a responsabilizzare in vista del futuro, piuttosto che a porre rimedio al passato, dovrebbe, pertanto, rientrare tra gli obiettivi primari non solo dell’agenda politica, ma dell’intera società.

L’auspicio è che sul punto possa davvero, e finalmente, esservi unità di intenti, capacità di coordinamento e interesse comune, da parte di tutti coloro che possono intervenire sul sistema, a partire dalla semplice sensibilizzazione, almeno tramite una più puntuale e realistica conoscenza del fenomeno, dell’opinione pubblica.

A cura di Carmen Bonsignore (www.carmenbonsignore.it)

 

 

 

Rapporto Sanità-Politica, Patrizia Polliotto fa il punto su ‘Radio Radio’

Oggi alle 13.35 è ospite in diretta nazionale anche in tv sul 253 del digitale terrestre

Sanità e politica, un rapporto difficile ma inevitabile. E soprattutto, che futuro attende la prima? A che punto è giunto il rapporto fra Stato e privati nel miglioramento della spesa per la salute pubblica?

A parlarne oggi a ‘Radio Radio’ in diretta alle 13.35 in fm, in streaming e in diretta tv nazionale sul canale 253 in qualità di voce autorevole e competente opinionista su ‘Radio Radio’ a ‘Un Giorno Speciale’ con Francesco Vergovich e il giornalista radiotelevisivo Maurizio Scandurra è Patrizia Polliotto, famoso legale d’impresa e Presidente degli ospedali milanesi Sant’Ambrogio, San Siro e Galeazzi, entrambi questi ultimi IRCCS.

Tre eccellenze sanitarie in capo al ‘Gruppo San Donato’ che con 1,7 miliardi di euro di fatturato e ben 16 ospedali (di cui 14 in Lombardia e 2 in Emilia-Romagna).

Patrizia Polliotto, proprio oggi, ha rilasciato un’interessante intervista nazionale al quotidiano on line Ilsussidiario.net, anticipando anche che “Anche la sanità si muove sui binari congiunti di formazione e innovazione tecnologica. A partire da luglio 2022 gli ospedali Galezzi e Sant’Ambrogio si sposteranno dalle loro sedi storiche nel nuovo superpolo tecnologico-sanitario che come ‘Gruppo San Donato’ stiamo ultimando nell’area ex Expo di Rho, zona di cerniera fra Piemonte e Lombardia. Sarà una delle strutture più ampie e avanzate d’Europa, frutto di un investimento complessivo, incluse attrezzature e macchinari, di ben 600 milioni di euro”.

Per ascoltare e vedere l’intervista radiotelevisiva, basta sintonizzarsi all’orario indicato sul sito www.radioradio.it.