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I torinesi e la moda intellettuale

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SCOPRITO   ALLA SCOPERTA DI TORINO

La moda italiana nacque a Torino nel 1911 quando per la prima volta una donna indossò un paio di pantaloni di un sarto francese, subito suscitò incredulità e stupore ma con il tempo le persone iniziarono a prenderla d’esempio creandone nuovi modelli. Poco per volta nacque a Torino l’industria dell’abbigliamento. Dagli anni Trenta agli anni Sessanta Torino fu il polo industriale principale italiano per la produzione del tessile. Solo dagli anni Novanta in poi Milano diventò capitale della moda italiana.
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I BRAND INDIPENDENTI CHE SALVAGUARDANO IL PIANETA

Secondo numerose ricerche i torinesi si ispirano molto alle mode del momento e numerosi sono i brand indipendenti che sono nati proprio in questa città. Tra di essi il brand “Nasco Unico” di Andrea Francardo, un laboratorio artigianale dove le clienti possono scegliere come realizzare il loro capo direttamente nel laboratorio evitando così sprechi di produzione.
Un altro marchio è “Amma” di Luisella Zeppa che produce borse eco-sostenibili, con materiali naturali e lavorate con cura e maestria da tantissime generazioni.
Per chi ama invece i gioielli vi è il marchio “Raduni Ovali” realizzati con pietre preziose, ognuno unico nel suo genere grazie alle attente rifiniture a mano.
Moltissime sono le scelte dei brand e dei negozi, spesso le piccole realtà sono poco conosciute rispetto ai grandi marchi ma possono essere un’ottima occasione per indossare capi unici e con una particolare attenzione verso l’ambiente.
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COSA INDOSSARE IN BASE ALLE OCCASIONI

I grandi marchi di moda influenzano ogni anno il mercato con tessuti e colori diversi, ma per ottenere esattamente il risultato che si vuole ottenere quando indossiamo un capo non dobbiamo solo basarci sulla moda ma anche su delle precise regole di psicologia!
Secondo la scienza infatti indossare degli abiti rossi accellera il battito cardiaco di chi li porta e anche del suo interlocutore, che potrà tradurre quella sensazione in “voglia di fuggire” o “eccitazione”, questo vale soprattutto se la persona che indossa l’indumento è donna. Quindi se ad un primo appuntamento vogliamo fare colpo vestirci di rosso potrebbe essere una buona idea.
Se invece abbiamo un’occasione più formale, ad esempio lavorativa, il colore ideale è spesso il blu perché abbassa il battito cardiaco, rilassa e fa si che l’interlocutore si fidi maggiormente di noi. I politici sono spesso vestiti di blu proprio per questo motivo, Donald Trump per esempio ha il completo blu, la cravatta rossa che indica grinta e lotta e la camicia bianca che suggerisce chiarezza.
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COSA INDOSSARE CON PARSIMONIA

Vi sono poi dei colori che potrebbero non aiutarci a raggiungere il risultato sperato come il nero che suscita l’idea dell’oscuro, velato, misterioso e al contempo lussuoso.
Il bianco stimola in noi l’idea della pulizia ecco perché è molto usato nei camici da lavoro, è però un colore che non suscita emozioni, non è quindi adatto quando vogliamo creare un legame con l’altra persona.

Si occupa di colori anche l’armocromia ma in un accezione puramente estetica e non scientifica, molto utile quando il nostro obiettivo è quello di valorizzarci esteticamente.

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NOEMI GARIANO

 

 

La storia centenaria di una delle aziende più golose di Torino

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Nel 1922 per opera di un luminare pasticcere di nome Pietro Ferrua nasce un panettone diverso da tutti gli altri, unico nel suo genere che farà la storia a Torino e non solo.

Ci racconta la storia di quest’azienda Elisa Mereatur responsabile marketing Galup.

 

L’intervista

D: Buongiorno Elisa, cosa ti ha fatto avvicinare a questa storica azienda?

R: Mi affascinano le aziende che hanno un’anima e Galup ne ha una meravigliosa. La cosa che più mi ha colpito di Galup è la storia centenaria e poi vedere come chi lavora in azienda sia veramente parte di una famiglia, generazioni di persone che lavorano insieme dai ragazzi alle persone più grandi. Io ho un backgorund legato all’agroalimentare; ho fatto l’università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo e poi antropologia del cibo a Londra, ho avuto anche una mia azienda e poi ho collaborato con l’azienda Leone per 8 anni e quando sono arrivata quI in Galup mi sono sentita a casa.

D: Galup nasce nel 1922 grazie a un panettiere, Pietro Ferrua, che crea un panettone diverso dal classico milanese, facendolo piatto e con una glassa di nocciole sopra, come nasce il nome?

R: Il nome Galup significa in Piemontese “goloso”. Ferrua crea questo nuovo prodotto che per antonomasia diventa il panettone alla piemontese, lo fa assaggiare ai primi commensali che dicono in dialetto: “A l’è propi galup!” che tradotto in italiano significa “è proprio goloso”.

D: Come cambia l’azienda nel tempo?

Nel 1949 il signor Ferrua decide di industrializzare la produzione acquisendo lo stabile in uso ancora oggi a Pinerolo dove vengono fatti i panettoni. La storia continua ancora oggi, la proprietà è cambiata nel 2014, con l’ingresso  di due imprenditori originari delle Langhe Giuseppe Bernocco e Sebastiano Astegiano – che hanno restituito all’azienda il suo splendore originario rinnovando anche buona parte dei macchinari, e creando nuovi prodotti e dando nuovo impulso all’azienda.

D: Ci sono tantissimi nuovi prodotti per tutti i gusti, quali in particolare?

R: Il principe dell’azienda è sempre il panettone con canditi e uvetta, creato utilizzando materie di primissima qualità e lievito madre che si rinfresca dal 1922. I panettoni sono declinati in tantissimi gusti per stare al passo con i tempi come pesca cioccolato e amaretto, pere e cioccolato e amarene e cioccolato.

Poi c’è il pandoro, prodotto ancora totalmente artigianalmente, come Galup produciamo anche altri lievitati da forno appositi per le ricorrenze come la colomba a Pasqua.

Poi c’è la linea “Piaceri Quotidiani” con i prodotti per tutti i giorni, come il famoso “Carrè”; un pan bauletto nella versione classico, al cioccolato o frutti di bosco e yogurt.

Vi sono i biscotti, dai Krumiri classici con la ricetta originaria di Casale Monferrato, quelli al caffè, quelli ricoperti di cioccolato fino ai Baci di dama. In estate abbiamo invece lanciato il Panettone d’Amare.

D: Avete anche un altro prodotto molto conosciuto, le praline al cioccolato

R: Si chiamano Galuperie e sono state create nel 1955, sono piccoli gioielli di gusto che racchiudono un mondo di sapori. Dal 2021 oltre a Galup abbiamo anche il marchio di cioccolata Streglio che quest’anno compie cent’anni e altri brand tra cui Pasticceria Cuneo che produce prodotti senza Glutine.

D: Come vengono create queste innovazioni?

R: Le innovazioni nascono da un lavoro  in team insieme al responsabile di produzione e al comparto di ricerca sviluppo e qualità. Si fanno dei tavoli di lavoro dove si sviluppano le novità seguendo anche i trend di mercato.

D: Avete delle novità per il futuro?

R: Per il Natale 2024 Galup ha pensato ad una confezione regalo dove oltre al panettone troviamo la tombola da giocare rigorosamente con le mandorle al posto delle pedine!

E poi tantissime altre confezioni regalo con i Krumiri, il vino ed il pandoro.

D: Grazie per averci raccontato la storia di questa meravigliosa azienda!

NOEMI GARIANO

 

Vertorano, l’autore tv che ha amato Torino

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Armando Vertorano, scrittore, autore televisivo e teatrale si è fatto conoscere per il suo ruolo di autore del programma televisivo l’Eredità su Rai 1. Armando ha passato molti anni a Torino e la ricorda con noi de “Il Torinese” come una delle città che ama di più.
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L’INTERVISTA
D: Ciao Armando, benvenuto a “Il Torinese”, tu hai origini campane e ti sei trasferito a Torino a soli 24 anni per un master al Virtual Reality e Multi Media Park, restandoci fino al 2006 l’anno delle Olimpiadi Invernali. Cos’è per te Torino?
R: Torino è stata il mio grande amore! Sono nato e cresciuto in provincia di Salerno e all’inizio ero terrorizzato all’idea di trasferirmi in una grande città del Nord. Del cuore sabaudo ho adorato il fermento culturale, i teatri, c’era modo per me di entrare in contatto con quella realtà che tanto amavo e per cui studiavo. E poi la meraviglia di via Po, le bancarelle di libri, l’internazionalità. Ricordo il periodo delle Olimpiadi come molto speciale, in città c’era gente da ogni parte del mondo, eventi e concerti dappertutto, era bellissimo. Sono rimasto circa due anni, per il master e poi per uno stage in Rai.
D: A Torino hai lavorato allo sviluppo di alcuni progetti cinematografici, ma qualche anno dopo ti sei dovuto trasferire a Roma.
 
R: Sì, cercavano un redattore per un nuovo quiz televisivo. All’inizio ero molto in dubbio, poi decisi di tentare. In effetti a livello lavorativo le cose cominciarono a girare, dopo il primo lavoro cominciarono a propormene altri, poi nel 2007 mi chiamarono per L’Eredità dove sono rimasto per diversi anni, sempre come redattore. Poi ancora ci sono stati Avanti un altro e Caduta libera per Endemol, e insomma piano piano sono cresciuto e da redattore sono diventato autore.
D: Nonostante tutti questi successi immagino che tu punterai ancora più in alto, qual è il tuo sogno?
R: Lavorare su programmi diversi, trovare nuove sfide, mi piacerebbe tanto realizzare un programma di divulgazione culturale, cosa che un po’ già faccio collaborando con alcune riviste online, ma sarebbe bello portarla in tv. Oggi la cultura tende a starsene troppo sul piedistallo, gli intellettuali si prendono terribilmente sul serio e questo tende ad allontanare chi non si sente parte di quel “circolo”. Invece bisognerebbe trovare il linguaggio e le chiavi giuste per raggiungere tutti, chi l’ha detto che con la cultura non si possa intrattenere?
D: A proposito di cultura, scrivi per una rivista, “Limina”, nel quale parli di rivoluzione, hai mai fatto una rivoluzione nella tua vita?
R: Sì, la prima quando ho iniziato a studiare Scienze Della Comunicazione; all’epoca, a differenza di oggi, era una laurea non molto conosciuta e mi chiedevo se potesse essere la strada giusta. L’altra mia piccola rivoluzione personale è stata appunto lasciare la mia città per venire a Torino, dove non conoscevo quasi nessuno. Anche quando non si cambia il mondo, delle micro-rivoluzioni sono necessarie di tanto, un sovvertimento delle nostre certezze e delle nostre zone comfort, altrimenti il rischio è quello di restare immobili.
D: A che età hai capito che volevi fare questo mestiere e come sei approdato a Banijay, la famosa società di produzione?
R: Non subito, perché da giovane volevo fare lo scrittore, il regista cinematografico o teatrale, avevo tanti sogni e a dire il vero snobbavo un po’ la televisione. Poi però quando ho iniziato a lavorarci mi ci sono appassionato e non l’ho più lasciata. Ho iniziato a lavorare per Banijay quando ancora si chiamava Magnolia, a Roma, nel 2007. Il mio nome girava tra i giovani scribacchini dell’epoca, un po’ perché avevo fatto altri lavori, un po’ perché avevo inondato qualsiasi società di produzione con copie del mio curriculum.
D: Se dovessi cenare con tre artisti di qualunque epoca quali sceglieresti?
R: Frank Zappa perché stimo molto il suo pensiero e la sua musica, è uno che non si è mai accontentato, è diventato famoso senza diventare schiavo del sistema, è sempre rimasto coerente con sé stesso. Poi Woody Allen per il suo lavoro, separandolo quindi dal Woody Allen persona, che non giudico, mi ha sempre ispirato per come mischia ironia, cultura, provocazione e introspezione.
Il terzo, tornando alla musica è Peter Gabriel perché anche lui si è sempre trasformato professionalmente ma mantenendo intatta la sua natura di uomo curioso, aperto al mondo, e questo nell’arte, come nella vita, è fondamentale.
D: So che insieme a Marco Salvati e a Roberta Fiore guidi il podcast “Se telefonando” raccontando di telefonate che hanno fatto la storia, c’è stata una telefonata nella tua esperienza che ti ha cambiato la vita?
R: Si, la ricorderò per tutta la vita. Prima di arrivare a Roma provai ad entrare nella tanto ambita Accademia di recitazione e regia Paolo Grassi di Milano. Mi preparai come mai prima, studiai l’impossibile, certo di poter entrare a studiare con loro. Feci la prova e rimasi ad attendere i risultati. Il giorno del mio compleanno, ero in treno verso Roma per fare i primi colloqui con le redazioni tv, decisi che avrei mollato tutto se mi avessero preso alla Paolo Grassi, ma non avevo ancora avuto novità. Decisi di chiamarli direttamente io per chiedere l’esito del provino, ma mi dissero che non ero stato preso. Lì mi crollò il mondo addosso e capii che la mia strada sarebbe stata un’altra.
D: Ci racconti qualche novità sull’Eredità?
R: Il bello di questo programma, a cui lavoro ormai da anni, è che riesce a cambiare senza cambiare mai del tutto, mantiene intatta la sua identità di momento rassicurante della giornata, in cui ci si può rilassare dopo il lavoro, giocando e magari imparando qualcosa di nuovo. Quest’anno cambieremo la dinamica di alcuni giochi, come quella del triello che abbiamo reso più avvincente, facendo in modo che ciascuno dei contendenti possa restare in gioco e provare a salvarsi fino all’ultimo. Al timone ci sarà sempre il grande Marco Liorni, mentre sono cambiate le “professoresse”: al posto delle uscenti Naomi Buonomo e Michelle Masullo – grandi professioniste a cui auguro davvero tutto il bene e la fortuna del mondo – ci saranno le altrettanto brave Linda Pani e Greta Zuccarello. Insomma, sarà un’edizione niente male, a cui stiamo lavorando e lavoreremo tanto, speriamo vi piaccia!
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NOEMI GARIANO

Martuscelli, quando la determinazione ti cambia la vita

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Nino Martuscelli, imprenditore nato a Genova e cresciuto a Torino, rivela a noi de “ll Torinese” la sua scalata verso il successo, con un’azienda che nasce in un grave momento di crisi economica, in un sottoscala alle porte di Torino e che pian piano con fatica e impegno è arrivata oggi ad essere conosciuta da tutto il Piemonte e non solo, il suo nome? “Hydra”.

 

L’INTERVISTA A NINO MARTUSCELLI

D: Benvenuto su “Il Torinese” Sig. Martuscelli, è corretto dire che con caparbietà e tenacia i sogni nel cassetto che una persona ha da giovanissimo possono avverarsi?

R: Felice di essere stato invitato da Voi. E’ vero, già all’età di 14 anni volevo aprire un’attività mia, in particolare un bar, per questo per ben 8 anni lavorai fin da piccolo lavorai come barista. In seguito, diventai rappresentante di bibite ed altre attività collegate che mi permisero di capire quanta fatica ci sia dietro ognuna di queste e quanto sia determinante l’amore per il lavoro che svolgi per accrescere in credibilità e successo con i clienti.

D: Ecco perché in seguito ebbe per molti anni un centro assistenza di una nota marca di birre e bibite, ma proprio quando tutto sembrava andare a gonfie vele e i suoi sogni si stavano realizzando, improvvisamente accadde qualcosa…

R: Vero; attraversai un periodo difficile quando persi mio fratello e nello stesso periodo il famoso marchio di birre per cui lavoravo decise di chiudere i suoi centri di assistenza; in quell’anno mi crollò il mondo addosso.

Qui scoccò la scintilla, mi rimboccai le maniche e ripresi in mano un progetto di depuratori d’acqua che creai nel 2002 e, vista la tanta richiesta di bar e ristoranti a cui fornivo il servizio assistenza bibite, vidi la luce in fondo al tunnel.

D: In un sottoscala insieme ad altri quattro soci creò quindi un’azienda sua personale, il cui prodotto fu il depuratore d’acqua. Questa nuova realtà diventerà quella che tutti oggi conosciamo come “Hydra”, ma da dove deriva il nome?

R: “Hydra” nasce proprio dalla passione di 5 soci che volevano portare nei ristoranti un prodotto a lungo richiesto. Il nome nasce per gioco ad una cena dove chiesi ad amici e parenti di scrivere su un bigliettino un nome che gli veniva in mente per quest’attività. Mio figlio piccolo Eros, che all’epoca aveva 10 anni, scrisse Hydra e colpì tutti i commensali che lo ricordarono anche nei giorni a seguire, da lì capii che il nome giusto doveva essere quello!

D: Da quel sottoscala come è cresciuta la sua attività e cos’è oggi “Hydra”?

R: All’inizio, la fornitura di Hydra era solo per i ristoranti, nel 2010 si ampliò dedicandosi anche al privato, ai bar, pub, pizzerie, aziende, eventi ecc. ecc., siamo partner de “il Sonic Parc di Stupinigi”, “Ritmika” e molti altri, diventando oggi una realtà sempre più in espansione. Con l’esperienza acquisita sul campo ed i giusti collaboratori, con orgoglio posso dire che Hydra oggi è sinonimo di qualità e cortesia con un qualificato servizio pre e postvendita e una proposta di depuratori d’acqua con un sistema di microfiltrazione garantito e autorizzato dal Ministero della sanità in grado di soddisfare qualsiasi esigenza.

D: Qual è l’insegnamento più grande che ha tratto da questa esperienza?

R: Che l’amore e la dedizione per quello che fai portano a grandi risultati. Da quando ero piccolo ho sempre pensato che nella vita tu debba sapere esattamente quello che vuoi e andare avanti finché non lo ottieni, purtroppo il percorso spesso presenta delle insidie che bisogna saper gestire con sangue freddo e non arrendendosi mai. Ho sempre amato tantissimo il mio lavoro; attualmente non ho più i soci ma ho con me i miei due figli Ivan ed Eros, ai quali sono felice di aver trasmesso questo mantra ed insieme a loro e alla massima cura dei dipendenti cerchiamo di offrire al pubblico un prodotto ed un servizio d’eccellenza.

D: Che consiglio darebbe alle nuove generazioni imprenditoriali?

R: Consiglierei ai ragazzi di avere sempre un obiettivo chiaro e di non spaventarsi della mole di ore di lavoro e di tutti i sacrifici necessari, perché con il tempo l’impegno verrà sempre ripagato.

I sogni per essere realizzati richiedono uno sforzo, spesso si guarda al risultato ma nessuno nota il percorso, la fatica, le notti insonni, le delusioni, le tasse, se si tiene duro e veramente si crede in sé stessi e al proprio obiettivo prima o poi il risultato arriva!

Grazie Sig. Martuscelli per la sua disponibilità e per le sue parole, ne faremo tesoro!

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NOEMI GARIANO

Roma e Torino: ristoranti tra somiglianze e influenze

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Torino, in passato Augusta Taurinorum, nacque come colonia romana nel secolo 9 a.C proprio per questo l’urbanistica e l’architettura, ancora oggi,  rispecchiano in molti casi quella romana.
La Porta Palatina tra le meglio conservate al mondo è un chiaro esempio di questa influenza, il suo quartiere, il Quadrilatero romano assomiglia almeno in parte agli scorci che si trovano a Roma nel quartiere di Trastevere.
Il Quadrilatero nella sua piazza principale ospita numerosissimi ristoranti e locali notturni amatissimi dai giovani torinesi e dai turisti, vicoli e viuzze decussano fra loro tra i palazzi antichi e sprazzi di verde ricordando i profumi romani.
Poco distante, in via XX Settembre vi sono i resti dell’Area Archeologica del Teatro Romano in uso per oltre due secoli e riscoperto poi nel 1899 durante i lavori per il Palazzo Reale.
Un’altra zona di Torino che ricorda Roma ma solo per il nome è il Campidoglio su un piccolo rilievo collinare che si dice si chiami così proprio per il Campidoglio romano.


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RISTORANTI ROMANI NELLA CITTA’ SABAUDA

A Torino vi sono numerosi ristoranti romani, tra cui Du Cesari, con il suo Chef Danilo Pelliccia, classe 1974, nato a Roma ed appassionato dalla cucina fin da piccolo grazie alla nonna che preparava ogni giorno per lui prelibati piatti tipici romani. Lo Chef si trasferisce poi a Torino nel 2004 per amore e nel 2013 apre il suo ristorante romano in Corso Regina portando sulle tavole sabaude tutta la tradizione romana con ingredienti di primissima qualità ed in qualche caso un tocco rubato alla cucina piemontese. Tra i piatti più rinomati la Tartufonara, una Carbonara rivisitata con tartufo nero, parmigiano stagionato, tartare di fassone, puntarelle e guanciale fritto. Propone anche l’Amatriciana gialla con pomodorini gialli anziché rossi, gli gnocchi all’Amatriciana di Baccalà, fra i secondi l’anguilla in umido e la zuppa di razza chiodata. Non mancano poi i grandi classici come la pasta Cacio E Pepe, la Gricia e i Saltinbocca.
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Altro ristorante romano a Torino è il Quadrilatero romano di Via delle Orfane, con arredo e quadri che riprendono i personaggi della tradizione romana come Alberto Sordi e Gigi Proietti. Il menù propone un misto fra la cucina capitolina e quella laziale con tris di supplì, maritozzi salati e tanti altri grandi classici romani.
Verso Corso Lecce troviamo il Ristorante Al Campidoglio con oltre 30 anni di esperienza che offre pranzi e cene tipiche proponendo piatti romani con specialità che ricordano il Ghetto Ebraico di Roma come i Carciofi alla Giudia freschi.
Ubicato nel quartiere di San Salvario vi è anche Sora Gina e tantissimi altri ristoranti di cucina romana perché i torinesi amano mangiare bene e a Roma non si sbaglia.
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RISTORANTI TORINESI A ROMA

Viceversa la cucina piemontese è anche a Roma come il ristorante Taverna Lucifero a due passi da Campo de’Fiori, un locale semplice, molto amato dai cittadini romani che offre piatti come la fonduta, i tajarin al tartufo e molti piatti a base di funghi freschi.
Anche il ristorante Fafiuchè offre prelibatezze sabaude nel cuore di Roma, il suo nome deriva dal piemontese “fa nevicare” e propone piatti come il brasato, la polenta e numerose varietà di vini tipici piemontesi.
Entrambe le città, Roma e Torino, sono state Capitale d’Italia e riservano un fascino particolare con tutte le loro meraviglie date da monumenti, palazzi antichi e paesaggi mozzafiato, legate per sempre grazie alle loro reciproche influenze, anche culinarie, il ché certo non guasta.

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NOEMI GARIANO

Alla scoperta della città sabauda fra luoghi nascosti e luoghi noti

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Quando si visita Torino, una delle tappe fondamentali è sicuramente la nota piazza Statuto di Torino, una piazza neoclassica edificata nel 1946 che vede al centro la statua in onore dei progettisti del traforo del Frejus. In pochi però sanno che a pochi passi da quest’ultimo vi è il Rondò della Forca, un luogo in cui tra il 1835 e il 1853 avvenivano le esecuzioni dei condannati a morte, all’epoca non vi era nulla attorno se non alberi e fossi, questo per ospitare il maggior numero di persone possibile per vedere l’esecuzione che doveva essere pubblica in modo da mostrare ai cittadini come venivano puniti coloro che compivano omicidi o semplicemente accusati di cospirazione politica. Adiacente al Rondò della Forca viveva Piero Pantoni l’ultimo boia di Torino, oggi al posto del patibolo troviamo una statua dedicata a San Giuseppe Cafasso, considerato l’apostolo dei carcerati.
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TRA I LUOGHI MENO CONOSCIUTI.
villaggio LeumannmUn altro luogo molto particolare ma meno noto è il quartiere “Cit Turin” che, in dialetto piemontese, significa “piccola Torino”; ne fanno parte le vie adiacenti all’inizio di Corso Francia, qui troviamo tantissime ville e palazzine in stile Liberty progettate da Pietro Fenoglio, fu il primo luogo costruito fuori dalle mura della città ed è considerato, ancora oggi, una delle zone più belle di Torino, dove vi è anche il rinomato mercato di Piazza Benefica.
Alle porte di Torino, più precisamente a Collegno troviamo il Villaggio Leumann, costruito a fine 800 per volere di Napoleone Leumann, un imprenditore che fece costruire un complesso residenziale molto particolare nei pressi del suo cotonificio, negli anni 70 l’azienda chiuse, ma ancora oggi le palazzine sono abitate e con numerosi lavori di restauro sono rimaste intatte come appena edificate. Numerosi sono gli eventi e le iniziative organizzate in questo piccolo villaggio ricco di negozi, case fiabesche e giardini, un posto da non perdere.Per coloro che amano riscoprire la storia vi è il rifugio antiaereo della Seconda Guerra Mondiale, un tempo posto sotto il Castello di Mirafiori, dove oggi ne rimangono solo i ruderi ma scendendo sottoterra il rifugio è rimasto intatto e permette di comprendere come si viveva la vita nel rifugio per sfuggire ai pericoli della guerra.
Sempre in zona Mirafiori vi è il Mausoleo della Bela Rosin, ovvero il Pantheon di Torino, in stile neoclassico, creato sulla base del Pantheon romano. Questo edificio fu costruito nel 1888 per volere dei figli di Rosa Vercellana la seconda moglie del primo Re d’Italia.
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TRA I LUOGHI PIU’ CONOSCIUTI
Spostandoci poi al quadrilatero romano, una delle zone più frequentate dai giovani torinesi troviamo il mercato di Porta Palazzo, il Balòn ovvero il mercato delle pulci e i Musei Reali, il Santuario della Consolata, un capolavoro del Barocco piemontese, la Cattedrale di San Giovanni Battista definita “il Duomo di Torino”,  in stile rinascimentale che ospita la “Sacra Sindone*.
Poco distante sorge da duemila anni la Porta Palatina, definita spesso anche al plurale perché in origine le Porte Palatine erano quattro e servivano per proteggere la città, il nome deriva da Palatium, ovvero l’antica sede del senato che sorgeva nelle vicinanze. Torino essendo stata creata dai Romani urbanisticamente segue il modello classico dell’epoca con le mura di cinta, quattro porte, un centro da cui venivano tracciati due assi principali il cardo e il decumano e da lì si diramavano le vie.
Questi sono solo alcuni dei tanti luoghi noti e meno noti di Torino ma, con un pò di tempo a disposizione, sia i residenti che i visitatori possono scoprire sempre nuovi luoghi storici e caratteristici che la nostra città sabauda mette a disposizione.
NOEMI GARIANO

L’incontro fra culture nel cuore di Torino

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Numerosi sono i ristoranti etnici a Torino, locali giapponesi famosi per il loro sushi, cinesi, coreani, vietnamiti e di moltissime altre culture diverse, ognuno con la propria particolarità. Tra di essi è degno di essere annoverato fra i locali etnici più chic del capoluogo piemontese il “Sibiriaki” che offre piatti tipici della cucina russa e siberiana. Il ristorante Sibiriaki, aperto dal 2001, si trova nel cuore del quadrilatero Romano di Torino in un palazzo del 1400, in via Gian Francesco Bellezia 8g; le ampie sale dal sapore rustico ci portano in una Russia del passato, con scritte in cirillico e quadri d’epoca e le luci soffuse rendono l’ambiente molto sofisticato. La cucina propone piatti di altissimo livello con materie prime selezionate che un tempo erano riservate solo ai reali, un viaggio attraverso i gusti e nuove scoperte culinarie.

 

Tra gli antipasti troviamo la degustazione di caviale accompagnato dai Blini ovvero delle crepes tipiche russe, il granchio reale e le uova di salmone, l’insalata Olivier con gamberi e uova di quaglia e moltissimi altri. Tra i primi i Pel’meni, tipici agnolotti della cucina sovietica ripieni di manzo e sedano accompagnati dalla panna acida, che nonostante il nome ha un sapore molto simile allo yogurt greco. Vi è poi il Plov un risotto con agnello, riso soffiato, coriandolo e mirtilli, ed altri piatti come la crema di kefir o il grano saraceno con funghi ricotta e pinoli.

 

Tra i secondi il filetto di Storione Siberiano con rafano e patate, il filetto di salmone e in alcune occasioni anche il piccione. Moltissimi anche i dolci tra cui la Pavlova famosa in tutto il mondo, una torta di meringa, panna, mirtilli siberiani, ciliegie caramellate e menta, torte di mele, sorbetti e degustazione di vodka. Vi sono oltre 30 tipi di vodka differenti che arrivano dalla Russia, dalla Polonia e dall’Ucraina. Per coloro i quali preferiscono rimanere più leggeri, il venerdì e il sabato è invece possibile comporre un proprio piatto unico a scelta fra varie pietanze.

Fuori dal ristorante si possono notare la bandiera Russa e quella Ucraina questo perché i loro dipendenti sono di entrambe le nazioni e per far comprendere che loro vorrebbero la pace, proprio come il connubio e l’amore che loro hanno creato all’interno del locale.

LA CUCINA GEORGIANA STUPISCE I TORINESI Un altro locale etnico molto particolare è sicuramente il ristorante georgiano “Tre Qvevri” in via San Domenico 12 a Torino. La location è molto accogliente e ha uno stile moderno con colori accesi come l’oro e l’azzurro. Aprendo il menù è possibile trovare tra gli antipasti uno dei piatti più conosciuti se si va in Georgia, il Pkhali ovvero le polpette, le quali vengono offerte in vari gusti, quelle di verdure miste accompagnate da salsa di noci e involtini di melanzane, quelle di barbabietole, quelle di carote e molte altre.

Un altro piatto particolarmente gustoso è il Khachapuri, una focaccia ripiena, con crosta croccante e morbida all’interno, farcita con formaggio fuso e uovo che inebria di profumo l’intera sala del locale. Per gli amanti dei primi vi sono i Khinali, ravioli ripieni, adatti soprattutto per chi ama le spezie.

Tra i secondi offrono il pollo, lo spezzatino ed altre prelibatezze a base di carne. Il locale è diventato meta di numerosi georgiani che ritrovano i loro piatti tipici esattamente come a casa, ma anche di tantissimi italiani che apprezzano questi connubi culinari a cui non sono abituati.

 

Il Sibiriaki e il Tre Qvevri sono solo alcuni dei locali stranieri più rinomati a Torino, perché i piemontesi non amano solo la loro cucina tipica ma anche assaggiare cucine differenti per poter meravigliarsi sempre attraverso nuove scoperte culinarie.

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NOEMI GARIANO

Torino dalle sue origini al toro più conosciuto al mondo

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La città di Torino fondata nel terzo secolo A.C dai Taurini fu poi tasformata in colonia romana dall’Imperatore Augusto che le diede il nome di Iulia Augusta Taurinorum passò sotto vari domini, fino a diventare nel 1861 la prima capitale del nuovo Stato unitario ovvero del Regno d’Italia. Torino è conosciuta in Italia e nel mondo con uno stemma raffigurante un toro, derivante dall’araldica medievale che nel 1360 scelse questo simbolo per la città perché assomigliava al nome della stessa. Numerose sono le leggende legate al nome della città, fra cui la narrazione di un drago che attaccò la città e un enorme toro che la portò in salvo. Nel 1300 nacque anche lo stemma con base azzurra a cui si sovrappone un toro in movimento e sormontato da una corona d’oro con nove perle. Il toro è diventato negli anni un vero e proprio simbolo della città, vi sono più di duecento fontane con questo simbolo (chiamate “Turet”) e in Piazza San Carlo, nel 1930, in onore di San Carlo Borromeo, è stata posta al suolo l’immagine in bronzo del toro, dove si crede che passandoci sopra si possa essere più fortunati.

IL TORO E LE SUE VARIANTI

Un’altra opera curiosa e molto conosciuta che si rifà al simbolo della nostra Città si intitola “T’oro” e si trova in via delle Orfane 20, l’opera rappresenta un toro con le corna dorate che esce diettamente da un muro. L’opera è stata creata dall’artista Richi Ferrero, il quale voleva raffigurare una città che sfonda e supera il passato trovando un nuovo futuro con occhi diversi. Vi è poi il “Toro tricefalo”, una scultura dello scultore francese Georges Faure su una balconata di C.o Vittorio Emanuele 58, che rappresenta un toro a tre teste, creato nel 2006 per la Biennale dei Leoni, Lione-Torino. Un’altra opera a forma di toro molto famosa è “Toh”, un manifesto della nuova società torinese che comunica i valori dell’inclusione e della pace, l’opera rappresenta un toro in metallo con dei pezzi di fontana che gli cingono il collo. Toh è stato creato dall’artista Nicola Russo che si è fatto ispirare dai “Turet” le fontane a forma di toro presenti nella città sabauda; Nicola ha immaginato tutti i torinesi che conoscono bene quel toro ma ne conoscono solo il volto e mai il corpo o lo stato d’animo, lo stesso toro immaginandolo rinchiuso nella fontana vivrebbe sensazioni negative di smarrimento e mestizia, proprio per questo crea una statua con un toro che rompe il metallo della fontana. Ecco, quindi, che il “Toh” diventa il simbolo non solo dei torinesi, ma di tutti coloro i quali vogliono uscire dagli schemi e guardare avanti evidenziando le proprie diversità, che in quanto tali li rendono unici. Parte dei proventi delle opere “Toh” va alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul cancro.

GLI ALTRI SIMBOLI DELLA CITTA’

Oltre al toro uno dei simboli classici di Torino è sicuramente la “Mole Antonelliana” situata nel centro storico della città, ed edificata dall’architetto Alessandro Antonelli nel 1863. Anche la Basilica di Superga è un simbolo del Capoluogo Piemontese oltre a molti altri edifici e monumenti storici come Il castello del Valentino, Palazzo Madama e la Porta Palatina risalente al periodo dell’Imperatore Augusto detta anche Porta Capitolina, ma comunemente nota ai torinesi col nome plurale di Porte Palatine. Torino ha numerosissimi simboli che rappresentano la città, ma è anche molto conosciuta per le numerose leggende esoteriche che riguardano la magia bianca e la magia nera, in particolare in un punto preciso di piazza Castello si dice che converga la magia bianca…ma questa è un’altra storia… che richiede una narrazione a parte.

NOEMI GARIANO

Cheers, il locale che ha fatto innamorare i torinesi

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Ai piedi della Basilica di Superga di Torino sorge nel 2021 Cheers un ristorante innovativo, elegante che convince anche i piemontesi più esigenti.
Il primo Cheers nasce in Corso Francia nel 2019 come una birreria gourmet con arredi di legno e industriali, offrendo un menù studiato sapientemente per abbinarlo alle birre, una proposta ricercata con panini gourmet e pizze con materie prime selezionate. Ancora oggi tra i piatti più richiesti il burger con Black Angus con bacon e trevigiana o quello con il Patanegra le cipolle caramellate e il gorgonzola, rigorosamente da abbinare alle loro birre la Triple Rouge del Belgio e la Fireston americana.
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CHEERS SUPERGA
Nel 2021 nasce Cheers Superga, un ristorante molto raffinato dal pavimento in legno e le eleganti tavolate bianche con una meravigliosa vetrata che affaccia dall’alto sulla città di Torino, offrendo anche la possibilità di cenare con vista. Nel periodo estivo è aperta anche la terrazza panoramica con una vista mozzafiato.
Il menù di Cheers Superga offre una vasta selezione di pizze e molte altre leccornie. Tra gli antipasti più amati dai clienti vi è la battuta di Fassone, la mozzarella in carrozza, i Plin al sugo d’arrosto e i Tajarin al nero di seppia con datterino giallo e tartare di tonno. Per coloro che amano i secondi, vi sono la guancia di manzo alla liquirizia con cime di rapa fresche, il sottofiletto di Fassone e molti altri.
Menzione d’onore anche ai dolci con il loro fiore all’occhiello, la Lemon Tarte ovvero una delizia con crema al limone e meringa fresca.
Cheers Superga viene scelto come location per numerosissime feste ed eventi da tanti torinesi sia per la sua bellezza che per l’ampio menù.
Date le possenti mura e la posizione non sempre il telefono prende, ma per molti clienti è proprio una delle peculiarità del posto, per permettersi un pranzo o una cena in totale relax.
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LE ALTRE APERTURE DI CHEERS
Nel 2024 Cheers si amplia aprendo anche in Corso Casale con un ambiente intimo e dal design curato nei minimi dettagli e dall’estate ha aperto anche in Via Botero in centro a Torino.
Sui social vantano più di diecimila follower che sperano presto di vedere Cheers anche nelle periferie di Torino.
I giovani amano molto questi locali perché ognuno di essi ha la propria particolarità; dalla birreria più semplice in Corso Francia, fino al locale rinomato alla Basilica di Superga, il filo conduttore sono le materie prime e il loro continuo aggiornamento verso una cucina nuova, futuristica sempre pronta a nuove scoperte.
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NOEMI GARIANO

Casa Ugi, eccellenza torinese per i bambini malati di cancro

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Nel 1980 nasce a Torino l’UGI, una associazione di genitori che sostiene le famiglie con bambini malati oncologici e li supporta, collaborando con l’ospedale infantile Regina Margherita; da circa 20’anni è operativa “Casa UGI” che completa l’assistenza di queste famiglie offrendo loro cure e ospitalità. Oggi abbiamo il piacere di intervistare il Presidente, Prof. Enrico Pira.

D: Buongiorno Prof. Pira, ormai non solo per Torino ma in tutta Italia “Casa Ugi” è un’eccellenza nella cura e nel sostegno dei bambini malati oncologici, qual è la vostra storia e come nasce l’associazione?

R: L’Associazione UGI nasce quale unione fra genitori che hanno avuto esperienza di un tumore infantile in famiglia che si mettono a disposizione di altri genitori con gli stessi problemi; amiamo definirci “genitori per i genitori” perché ovviamente è il genitore che guida le varie fasi della malattia del bambino. Le nostre attenzioni sono sui bambini, col tempo abbiamo fondato “CASA UGI” che è una casa di accoglienza, un dislocamento dell’ospedale.

D: Quindi i ragazzi possono essere direttamente ospitati da voi per fare le cure?

R: Nella fase acuta i ragazzi e le ragazze sono in ospedale, ma nella fase intermedia qualla delle terapie e dei controlli sono qui da noi, abbiamo 21 alloggi disponibili, da poco ne abbiamo creati alti 6 nel centro della città per ospitare famiglie più numerose.

D: Avete uno spazio per la riabilitazione?

R: Sì da circa 4 anni abbiamo messo in funzione Ugi2 dove abbiamo spostato le competenze amministrative per liberare gli spazi di Ugi1 dove abbiamo aperto una web radio che si chiama Radio Ugi, gestita sia da ragazzi guariti, sia da artisti, abbiamo anche una palestra fatta apposta per la riabilitazione dei ragazzi dopo la malattia e che stiamo ora replicando per l’ospedale Regina Margherita utilizzando le donazioni che ci stanno arrivando.

D: Ha fatto notizia la donazione di Francesco Bagnaia, pilota di moto Gp che ha donato i suoi regali di nozze a casa Ugi per devolverli all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino. Avete sempre bisogno di sostengo e senza risorse economiche non si può fare tutto quello che state facendo.

R: Sì sono fondamentali, spesso derivano da donazioni, lasciti testamentali e negli ultimi anni abbiamo fatto anche dei concorsi ministeriali per vincere i bandi e avere un sostengo economico.

D: Le percentuali di guarigione sono molto alte vero?

R: Le percentuali di guarigione sono del 90% sul totale, se invece andiamo a vedere per singola malattia come quelle del sistema linfopoietico sono anche superiori, questo impone di continuare a lavorare per l’inserimento sociale e poi anche in parte contribuiamo per la ricerca.

D: Voi seguite i bambini anche dopo la malattia?

R: Certo il dopo è fondamentale per bambini e ragazzi, bisogna riuscire a recuperare soprattutto il benessere psicologico, che è una complicanza che spesso incide al 50% quindi organizziamo attività sportive per dimostrare ai ragazzi che sono guariti e che sono uguali a tutti gli altri.

D: Lei ha avuto esperienza con suo figlio se la sente di raccontarla?

R: Sì, ho passato un brutto momento, ma anche lui è stato curato e ora sta bene, subito è scioccante ma poi la voglia di reagire diventa massima sia per il genitore che per il bambino, noi questo vogliamo trasmettere, vogliamo dare la grinta a chi non riesce ad averla perché si può guarire. Grazie Prof. Pira, a lei ed ai suoi collaboratori, siete un’orgoglio per la nostra città e mi permetta di chiudere il nostro incontro con il vostro motto: “Vietato smettere di sognare” perché le prospettive di guarigione devono essere alla portata di tutti.

NOEMI GARIANO