RITRATTI TORINESI

Luca Bonfanti, l’anatomista veterinario che sta cambiando le Neuroscienze

RITRATTI TORINESI

Una ricerca pubblicata in agosto sulla prestigiosa rivista Plos Biology rivela l’esistenza di grandi quantità di “neuroni immaturi” nell’amigdala dei primati, a differenza dei topi che, invece, ne hanno pochissimi. L’evoluzione avrebbe quindi dotato questa regione cerebrale nota per gestire le emozioni con una forma di plasticità (capacità del cervello di cambiare la propria struttura) sino a poco tempo fa sconosciuta.

Ma non è la prima volta che i neuroni immaturi fanno notizia. Ė da circa un decennio che a Torino si studiano queste cellule usando un approccio di anatomia comparata.

A condurre questa indagine è Luca Bonfanti, professore di Anatomia Veterinaria dell’Università di Torino che da sempre studia la plasticità cerebrale nei cervelli di specie molto diverse, dai topi agli scimpanzé. Dal 2010 il prof. Bonfanti coordina un gruppo di ricerca al NICO (Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi), il centro torinese per lo studio delle Neuroscienze, di cui è tra i fondatori.

Per capirne di più, Il Torinese lo ha intervistato.

Professore, possiamo iniziare spiegando cosa sono i neuroni immaturi?

Il nome si riferisce a un tipo particolare di cellule nervose che restano bloccate in uno stato di immaturità per lungo tempo, per poi “risvegliarsi” nella vita adulta e integrarsi come nuovi neuroni. Pur generati nella vita fetale come tutti gli altri neuroni, riescono però a fermare la loro maturazione (non sappiamo ancora come), rimanendo “congelati” nel secondo strato della corteccia cerebrale fin quando riprendono a maturare (neanche qui si sa come) per entrare a funzionare nei circuiti nervosi.

Lo strano fenomeno è stato dimostrato da ricercatori austriaci creando un topo transgenico in cui è possibile seguire nel tempo le cellule immature. Ė diverso dalla genesi di nuovi neuroni derivanti dalla divisione di cellule staminali (neurogenesi adulta): i neuroni immaturi esistono in regioni cerebrali prive di nicchie staminali, come la corteccia cerebrale, in cui avviene una “neurogenesi senza divisione”.

Trattandosi di scoperta recente, si sa ancora ben poco, sia sui meccanismi che controllano queste cellule, sia sui ruoli che possono svolgere nel cervello umano. Infatti, a differenza della neurogenesi adulta da staminali, su cui esistono 14.000 articoli scientifici, nel caso dei neuroni immaturi possiamo contare solo su alcune decine di articoli. Insomma, il tema è tutto da scoprire.

Come sono stati scoperti?

In realtà, ci si è accorti della loro presenza poco per volta, nell’arco di più di vent’anni, perché erano ben nascosti. Li abbiamo visti per la prima volta indipendentemente io e un ricercatore giapponese all’inizio degli anni ’90, entrambi studiando una molecola di immaturità che li marcava molto bene rispetto ai comuni neuroni, ma senza sapere che cosa fossero in realtà. Ben 17 anni dopo, un ricercatore spagnolo ha dimostrato che, pur restando molto giovani, questi neuroni vengono generati in epoca fetale. Ė come se un nostro compagno delle elementari, per magia, fosse rimasto un ragazzino e ora si trovasse in mezzo a noi adulti, ancora con possibilità di crescere.

Ho quindi scritto un articolo insieme allo spagnolo, in cui si ipotizza una nuova forma di plasticità: neuroni nuovi ma senza divisione. Va detto infatti che in quel periodo si era in piena corsa all’oro delle staminali cerebrali e l’intera comunità scientifica (noi compresi) si dedicava a quello. E, ironia della sorte, i neuroni neo-generati da staminali e quelli immaturi esprimevano le stesse molecole di immaturità, creando così una confusione notevole nell’interpretazione dei risultati. Tant’è vero che il nome “immaturi” è tutt’ora improprio, non distinguendo realmente le due categorie di “cellule giovani”, e bisognerà accordarsi per cambiarlo.

Solo nel 2018 gli austriaci, che usavano il topo transgenico, sono riusciti a dimostrare che quei neuroni si “risvegliavano” e iniziavano a funzionare. Possiamo considerarlo una sorta di trucco della natura per avere nuovi neuroni in regioni cerebrali che non li possono generare, perché prive di cellule staminali (come è, appunto, la corteccia cerebrale).

Veniamo dunque alle sue scoperte

Sebbene coinvolti anche noi nella corsa alle staminali, avevamo intuito che potevano esistere notevoli differenze tra le specie animali. Il che non è banale, visto che il modello animale più usato in ambito biomedico è il topo (o il ratto), ovvero roditori da laboratorio che presentano indubbie differenze rispetto alla specie umana, che rappresenta l’obiettivo a cui trasferire i risultati della ricerca. Sulla base di quell’intuizione, ipotizzammo che le differenze potessero interessare proprio la plasticità.

In un lungo studio condotto su cervelli di delfino (mammifero acquatico privo di olfatto, avendolo sostituito con l’eco-localizzazione in milioni di anni di evoluzione) non abbiamo trovato neurogenesi nella principale nicchia staminale degli altri mammiferi, cioè quella che produce neuroni proprio per il bulbo olfattivo. Nasceva così l’idea che la plasticità, pur rappresentando una costante nel mondo animale, sia legata per tipo e intensità alla nicchia ecologica della specie, trovandosi prevalentemente nelle regioni cerebrali più “utili” alla sopravvivenza. Infatti il topo vive e sopravvive principalmente grazie all’olfatto, mentre noi, pur usando il naso per qualcosa, sopravviviamo soprattutto grazie alla corteccia cerebrale!

Studi effettuati da altri gruppi di ricerca direttamente sul cervello umano hanno confermato questa ipotesi: nell’uomo la nicchia staminale legata all’olfatto si esaurisce intorno ai due anni di età (mentre nei topi rimane attiva per l’intera vita dell’animale).

Ipotizzammo quindi che la stessa cosa potesse accadere per i neuroni immaturi, ma al contrario. Già nel 2018 trovammo grandi quantità di neuroni immaturi nel cervello della pecora, più simile al nostro che non a quello del topo. Nel 2020, il nostro gruppo ha eseguito una mappatura sistematica di queste cellule nella corteccia cerebrale di 10 mammiferi, dai topi ai primati (dati pubblicati sulla rivista eLife; vedi link al fondo dell’articolo), dimostrando che la loro quantità aumenta a dismisura nei cervelli grandi e con corteccia espansa, essendo invece ridotta nel cervello piccolo e “liscio” del topo. Addirittura, nei roditori i neuroni immaturi sono limitati a una parte antica (paleocorteccia, anch’essa legata agli stimoli olfattivi) mentre nelle specie con molte circonvoluzioni cerebrali si estendono all’intera superficie della neocorteccia, la parte più nobile del cervello.

Appare quindi chiaro che l’evoluzione ha piazzato i neuroni immaturi nella regione che, pur priva di cellule staminali, conferisce ai cervelli grandi e complessi quelle proprietà cognitive e quelle capacità computazionali che li contraddistinguono!

E il recente lavoro riguardante l’amigdala?

L’amigdala è una regione cerebrale importante in quanto gestisce le emozioni e molti aspetti della vita di relazione, soprattutto in specie con socialità complessa, come i primati. Studi precedenti, sempre a causa di quella confusione sopra citata, avevano concluso che vi fosse neurogenesi anche in questa regione. Riprendendo le nostre analisi comparative tra le specie animali, abbiamo caratterizzato le cellule immature dell’amigdala con una serie di esperimenti che hanno confermato trattarsi di cellule dormienti, come quelle della corteccia. Inoltre, eseguendo conteggi accurati e analisi filogenetiche in più di 80 cervelli molto diversi tra loro, anche questa volta abbiamo visto che i cervelli grandi e complessi dei primati hanno quantità enormi di neuroni immaturi in confronto ai topi, confermando una scelta evolutiva legata alle dimensioni del cervello.

La recente scoperta, pubblicata su Plos Biology (vedi link al fondo dell’articolo), ha inoltre rivelato qualcosa di sorprendente: anche se l’amigdala non aumenta di dimensioni dal topo all’uomo, come avviene invece per la corteccia cerebrale, i neuroni immaturi sono contenuti nell’unica parte che si è espansa nei primati (il nucleo basolaterale), proprio perché strettamente connessa con la corteccia! Esiste quindi una logica evolutiva che accomuna corteccia cerebrale, amigdala e neuroni immaturi.

A cosa potrebbe servire tutto ciò e cosa cambia nelle Neuroscienze?

Premesso che si tratta di una ricerca ancora giovane e che sappiamo poco o nulla sui meccanismi cellulari, sul ruolo fisiologico o eventuali ruoli in situazioni patologiche dei neuroni immaturi, ciò che si può dire è che abbiamo rivelato una potenziale fonte di plasticità strutturale in regioni cerebrali cruciali per lo sviluppo e il funzionamento del cervello. Un fatto, questo, che sta spostando l’attenzione della comunità scientifica dalla neurogenesi delle cellule staminali a questa forma particolare di cellule dormienti.

Il dato davvero nuovo è la prevalenza del fenomeno nei cervelli di specie affine alla nostra. L’enorme lavoro di mappatura svolto in cervelli molto eterogenei tra loro conferma la tendenza evolutiva secondo cui i cervelli grandi e complessi prediligono i neuroni immaturi associandoli ad aree nobili coinvolte in funzioni cerebrali complesse, come la pianificazione delle azioni e le emozioni.

Questa plasticità può avere un ruolo fondamentale nel corretto sviluppo e affinamento del cervello dei giovani (con tutte le implicazioni nella sfera della pedagogia) e nella prevenzione dell’invecchiamento. Infatti, un altro risultato dei nostri studi comparativi rivela che i neuroni immaturi rimangono abbastanza stabili anche nell’adulto e ad età avanzate, mentre sappiamo che altre forme di plasticità sono prevalentemente giovanili. Potrebbe essere un altro trucco della natura per mantenere la plasticità in specie longeve. Studi successivi dovranno quindi indagare il comportamento di questa “riserva di neuroni giovani” nell’invecchiamento, nonché un eventuale ruolo nei disordini neurologici e nelle malattie neurodegenerative.

Progetti futuri?

Le idee sono innumerevoli. Le possibilità di realizzarle sono tuttavia limitate dalla complessità di questi studi e dalle risorse disponibili, umane e finanziarie. Attualmente stiamo studiando la possibile modulazione dei neuroni immaturi in diverse condizioni ambientali. Ė noto, infatti, che lo stile di vita e l’ambiente circostante possono modificare la plasticità del cervello. Andremo quindi a vedere se (e come) aspetti quali l’ambiente arricchito, lo stress, l’attività fisica, e così via, andranno a condizionare la maturazione di queste cellule. Se così fosse, si potrebbero pianificare strategie per favorire un corretto sviluppo del cervello nelle fasi giovanili di affinamento dei circuiti (coinvolgendo scuola, famiglia, amicizie, ambiente in cui vivono i giovani), o prevenire eventuali danni legati a invecchiamento o deficit neurologici legati a patologie. La strada in questa direzione è però ancora lunga, anche perché la nostra scoperta sposta l’attenzione dai topi alle specie con cervello grande e complesso, con implicazioni pratiche ed etiche tutt’altro che semplici.

A chi è grato per i risultati conseguiti?

La ricerca è un lavoro di squadra che non richiede solo collaboratori e finanziamenti, ma un ambiente costruttivo in cui possano circolare le idee, gli scambi di opinioni, e anche le critiche, se volte a migliorare la qualità della ricerca stessa. Sono certamente in debito con molte persone, in primis i dottorandi e i tesisti che svolgono quotidianamente il lavoro di laboratorio, un compito complesso che richiede qualità professionali e umane di altissimo livello (tra cui la dedizione, un valore che sembra anacronistico).

Poi sono grato al NICO, in tutte le figure, dal Direttore, ai colleghi, ai tecnici, per aver creato e mantenuto nel tempo un ambiente favorevole alla ricerca di alto livello e in continua evoluzione. E anche al Dottorato in Scienze Veterinarie, di cui faccio parte sia dalla sua istituzione, e nel cui rigore sono cresciuti i giovani dottorandi che hanno prodotto i risultati delle nostre pubblicazioni.

Infine, sono riconoscente nei confronti di tutte le Istituzioni, italiane e straniere, che hanno fornito i cervelli per i nostri studi e tutta una serie di expertise importanti nella discussione dei dati, in primis il Dipartimento di Antropologia della George Washington University, negli Stati Uniti, dove i nostri dottorandi hanno libero accesso per studiare i cervelli dei primati.

Link agli articoli originali:

eLife: https://elifesciences.org/articles/55456

Plos Biology: https://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.3003322

Mara Martellotta

 

 

 

 

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Stefano Chiodi Latini, tradizione familiare e amore per la ristorazione

Ritratti torinesi 

 

Stefano Chiodi Latini vanta una lunga tradizione familiare nel campo della ristorazione che lo ha portato ad essere chef ed oggi direttore generale della catena dei locali di Gerla.

Un appassionato che ha ereditato dal padre Antonio, con cui è cresciuto professionalmente per cinque anni e che lo ha influenzato con la sua creatività e passione per la terra, dopo una vita trascorsa a perfezionare una filosofia “ vegetale creativa”. Storico proprietario e chef del ristorante “Antonio Chiodi Latini”, sito in via Bertola a Torino, Antonio è riconosciuto dal figlio Stefano come un grande maestro, considerato tra i più interessanti cuochi vegani.

“Sono cresciuto a fianco di mio padre – narra Stefano Chiodi Latini- e ho vissuto nel campo della ristorazione sin dalla più tenera età.  L’impronta di mio padre è evidente nel mio lavoro e nei progetti che porto avanti. Lui non è un ‘cuoco di surrogati’, non scimmiotta piatti tradizionali da esportare nel campo della ristorazione vegana e vegetariana, ma ha dato ai suoi piatti di verdura un taglio pop”.

“Non volendo fare ciò che fanno tutti- aggiunge Stefano Chiodi Latini – ho progettato e impresso questa ispirazione nata con mio padre sul nuovo locale firmato Gerla, ‘Gerla Green’,  cui tengo particolarmente e che ha una base di contemporaneità e sostenibilità.

Dalla cucina prevalentemente vegetale, all’80 per cento, “Green” non significa solo cucina vegana, ma anche gioventù e pop.

Gerla, di cui sono direttore generale ormai da sei anni, dopo aver abbracciato una sfida e un cambiamento importanti nella mia professione, mi ha dato la possibilità di seguire il progetto dell’ultimo locale nato, Gerla Green, in cui lavorano solo ragazze molto giovani, aspetto che rappresenta la volontà di Gerla di rendere eterogenea la sua clientela, ad oggi ancora livellata su un  target business di alto livello”.

“È stato considerevole il mio passaggio professionale da chef a direttore generale – conclude Stefano Chiodi Latini -. Pur rimanendo nel campo della ristorazione, il mio ruolo di oggi richiede conoscenza e una completezza che mi consentano di dialogare in modo tecnico con tutti i duecento dipendenti di Gerla. Il mio obiettivo è portare il mondo del vegetale, da sempre non facile da veicolare,  verso una clientela sempre più giovane, che possa percepire il mondo della alimentazione vegana e vegetariana come un passo verso un universo più  sano e sostenibile”.

Mara Martellotta

 

 

 

 

 

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Roberto Mussapi: poeta, drammaturgo, editorialista e critico teatrale

Ritratti Torinesi 

Roberto Mussapi è nato a Cuneo nel 1952 e vive a Milano, dove si è trasferito dopo la laurea.  Poeta, drammaturgo, editorialista e critico teatrale del quotidiano Avvenire, è autore di saggi, poesie, opere narrative e traduzioni di molti autori classici e contemporanei.

“Dopo la laurea conseguita all’Università di Torino mi sono trasferito a Milano per lavorare come ufficio stampa della casa editrice Jaca Book, ora del gruppo Rusconi – dichiara il poeta Roberto Mussapi- La poesia ha sempre fatto parte di me fin dalla giovane età. Ebbi come maestro Gabriele Minardi, a cui ho anche dedicato un testo teatrale e che fu la figura che più ha inciso nei miei gusti letterari, oltre ad avermi dato una disciplina di studio. Successivamente a Bologna, quando lavoravo dall’editore Cappelli, ricordo i miei viaggi verso Firenze per andare a trovare Mario Luzi, che diventò nel tempo un mio caro amico e maestro. Le amicizie più importanti nel mondo della letteratura spaziano da Bigongiari fino a Bertolucci che mi sostenne per una pubblicazione presso Garzanti.

Ebbi inoltre un’intensa frequentazione e amicizia con Yves Bonnefoy, figura fondamentale del Novecento e grande riferimento poetico che favori la mia pubblicazione presso l’editore francese Gallimard”.

“Come traduttore – continua Roberto Mussapi – lavoro su autori e testi che ritengo a me più affini, tra i quali Herman Melville, Samuel Beckett, Samuel Taylor Coleridge, Robert Louis Stevenson, Ralph Waldo Emerson, François Villon e i  ‘grandi ragazzi che amavano il vento’  Shelley, Keats e Byron, nell’edizione uscita per Feltrinelli.

Da poeta e scrittore un grande tema della mia opera è quello del viaggio, con riferimento, in particolare, a quello marino, di cui i critici ricordano un’opera, uscita per Guanda, intitolata “Antartide”.

Un originale poema epico, inusuale all’interno della letteratura contemporanea italiana, e che in molti saggi è stato paragonato alle più importanti opere di Carlyle, Coleridge, Melville e Fenoglio.

“Importantissima per me la passione per il teatro – conclude Mussapi- nata fin dall’adolescenza quando frequentavo il teatro Toselli di Cuneo. Successivamente conobbi Wole Soyinka, premio Nobel nell’84, che mi diede la possibilità di conoscere e scrivere di teatro in una prospettiva diversa, quasi fosse un fatto poetico o sacrale. L’amicizia con Soyinka si rafforzò nel tempo.

Nella mia opera è presente un’attenzione verso i luoghi della mia anima, Cuneo, Torino, Genova, Venezia, Roma, Celle e la Cina, tra felicità e malinconia, spazi simbolici e grigi approdi”.

Mara Martellotta

 

 

 

 

 

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Ettore Canepa: saggista, giornalista e scrittore

RITRATTI TORINESI 

Ettore Canepa (1950), saggista, giornalista e scrittore, noto per aver curato l’introduzione de “La Ballata del Vecchio Marinaio”(Feltrinelli, 1994) e pubblicato, tra gli altri, “Il fiume sacro – dieci anni nella poesia di Roberto Mussapi, 1990-2000”(Le Lettere, 2010), “Rimandi danteschi nella poesia di Roberto Mussapi”(2016) sulla rivista Otto/Novecento e “La caduta di Eva nel Paradise Lost di John Milton rivissuta nella Digitale purpurea di Giovanni Pascoli”, nel 2019, è autore del romanzo “Nella foresta di stelle”(Algra, 2022) e del più recente “Per l’alto mare aperto – Nei mari dell’immaginazione: Coleridge, Carlyle, Melville, Fenoglio, Mussapi” (Moretti&Vitali, 2024).

Ettore Canepa ci ha svelato alcuni aspetti della sua attività letteraria.

“All’Università Di Torino mi sono laureato in Estetica con Luigi Pareyson, Gianni Vattimo e Sergio Givone – ha raccontato Ettore Canepa – ognuno dei quali è stato fondamentale per la mia formazione, basata su un approccio ermeneutico. Ho presentato una tesi su Coleridge e sulla letteratura anglosassone, fonti di ispirazione durante tutto il mio percorso di saggista e scrittore”.

“Uno dei grandi temi che ho approfondito e sviluppato nel tempo riguarda quella sorta di atmosfera esoterica che domina nella provincia di Cuneo, declinata attraverso le opere d’avventura tipiche, tra l’altro, di molti scrittori angloamericani – continua Ettore Canepa – La ricerca di un senso che possa riempire la vita di contenuto e significato è uno tra i grandi temi contemporanei alla base della mia ultima opera ‘Per l’alto mare aperto – Nei mari dell’immaginazione: Coleridge, Carlyle, Melville, Fenoglio, Mussapi’. Forse, in una società che sta velocemente mutando e che soffre di una perdita di contenuti, tornare a questi grandi autori e perdersi nel mare dell’immaginazione può aiutarci a mantenere una rotta. In questa mia opera, già pubblicata da Jaca Book nel 1991 e che è uscita in un’edizione aggiornata alla fine del 2024, cerco di dimostrare filologicamente quanto la ricorrente immaginazione sia rappresentata dalla metafora del mare, luogo estremo della ricerca metafisica, come riscontriamo nel Moby Dick di Melville, un trattato sapienziale e libro sacro che, grazie ad Achab e alla sua volontà di fare naufragio cercando di uccidere la balena bianca, ci consegna l’idea di un’immaginazione che, se da una parte può essere profetica, dall’altra è anche portatrice di delirio.

Le mie origini cuneesi e quell’atmosfera che pervade la mia terra, di cui parlavo pocanzi (perché è proprio vero che, osservate da Cuneo, le Langhe assomigliano a un mare azzurro), mi hanno portato ad approfondire quel ‘romanzo oceanico’ di Beppe Fenoglio che è ‘Il partigiano Johnny’, in cui, attraverso almeno sessanta metafore, lo scrittore langarolo ci consegna un’immagine della sua terra come immersa nel mare”.

“In quest’ultima edizione di ‘Per l’alto mare aperto’ – conclude Ettore Canepa – ho voluto inserire l’opera ‘Antartide’ del poeta Roberto Mussapi. Mi legano a lui, oltre all’amicizia e alla stima che risalgono ai tempi della nostra giovinezza, molti parallelismi nati negli anni tra il mio lavoro critico e il suo di poeta. Ritengo che questi temi di cui ho parlato nell’intervista siano basilari nella formazione di Mussapi. Egli è riuscito a estrapolarli e a portarli nella letteratura contemporanea, rendendo universale e comune il concetto di ‘potenza eroica’, declinandola ‘nella sua normale umanità’”.

Mara Martellotta

 

 

 

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Andrea De Rosa, la folgorazione per il teatro grazie a Martone

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Andrea De Rosa – direttore artistico Fondazione Teatro Piemonte Europa – Teatro Astra

Andrea De Rosa, laureato in Filosofia all’Università degli Studi Federico II di Napoli, è regista  teatrale sia di prosa sia di opera lirica. Dal 2008 al 2011 è stato direttore del Teatro Stabile di Napoli – Teatro Mercadante, ottenendo risultati considerevoli sia dal punto di vista economico gestionale sia artistico, a fianco di grandi nomi della scena teatrale italiana. Oggi ricopre il ruolo di direttore artistico di Fondazione Teatro Piemonte Europa – Teatro Astra.

“La passione per il teatro è stata tardiva – spiega Andrea De Rosa- da studente di filosofia, poi laureato, non avevo esperienze di teatro e prediligevo il cinema. La folgorazione per il teatro avvenne il giorno in cui assistetti allo spettacolo di Mario Martone intitolato ‘Ritorno ad Alphaville’. Da quel giorno ho pensato ‘ Voglio farlo anche io!’”

“Dalla carriera universitaria che inizialmente avevo pensato ho virato con decisione verso il teatro – aggiunge Andrea De Rosa – Rappresentarono gli anni Novanta un periodo di grande vivacità per il teatro a Napoli, in cui mosse i primi passi anche il regista Paolo Sorrentino, ma per la mia carriera tutto si è concretizzato a Torino, dove debuttai alla regia di ‘Elettra’ di Hugo von Hofmannsthal presso la Cavallerizza Reale di Torino, nel dicembre 2004.

Da quel momento cominciò la mia carriera da regista che mi portò anche a ricoprire il ruolo di direttore artistico del Teatro Stabile di Napoli dal 2008 al 2011 e, successivamente, del TPE.

Fui responsabile della regia de ‘Idomeneo’ di Mozart al teatro Sociale di Trento e, quindi, di ‘Un ballo in maschera’ diretto da Riccardo Muti al Teatro Regio di Torino”.

“ La mia formazione teatrale deriva dal classico – aggiunge Andrea De Rosa – poiché penso che in quella cultura vi sia l’origine di tutto. Il teatro greco fondamentalmente indaga il rapporto tra gli esseri umani, interrogandosi sul motivo per cui accadano tragedie che minano l’umanità. Tra i miei spettacoli principali ricordo la ‘Fedra’, dal testo di Seneca e non da quello di Euripide, incentrato sulla passione e le sue ombre, sulla capacità insita nell’essere umano di commettere il crimine. La Fedra mi valse, tra l’altro, il Premio ANCT (Associazione Nazionale dei Critici Teatrali).

Un altro tema a me caro è quello dell’identità, indagato in uno spettacolo cui sono rimasto molto affezionato, tratto dal romanzo ‘Orlando’ di Virginia Woolf, un testo anomalo e estremamente contemporaneo che vede il protagonista attraversare i secoli e cambiare insieme al mondo. Il mutamento risulta talmente evidente che, alla fine, da uomo si trasforma in una donna. Un tema contemporaneo che evidenzia quanto i concetti cambino nei secoli, valori o disvalori che necessitano di una storicizzazione nel tempo.

Il sacro è un’altra tematica a me cara poiché percepisco il teatro come un luogo finalizzato ad avvertire la sacralità. Nel mio Edipo indago proprio il sacro e il mistero attraverso il rapporto che il protagonista ha con gli oracoli e con Apollo”.

“Sono molto felice della scelta compiuta per tutto lo scorso triennio del TPE, un percorso incentrato sul concetto di Verità proprio perché il pubblico l’ha intercettato con entusiasmo, e avverto l’esigenza di approfondire dinamiche contemporanee che viviamo quotidianamente.

Mi auguro che il nuovo triennio che sta per cominciare possa confermare i successi ottenuti dal precedente e regalarci ancora maggiori soddisfazioni”.

Mara Martellotta

 

 

 

 

 

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Giulio Graglia: cultura, teatro e identità piemontese

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Autore, regista, direttore artistico per molti anni del Festival Pirandello e dell’Associazione Linguadoc, oltre che membro del CDA del Teatro Stabile di Torino e del Museo Nazionale del Cinema, Giulio Graglia è in carica dal novembre 2024 nel ruolo di Presidente del Consiglio di Amministrazione del TPE ( Teatro Piemonte Europa).

“In questi mesi di lavoro ho trovato un teatro che conosco da sempre e una squadra di prim’ordine con cui si lavora molto bene – spiega Giulio Graglia – a cominciare da Fabio Rizzio, direttore operativo e organizzativo del TPE. Insieme a tutto il CDA siamo ripartiti dalla riconferma di Andrea De Rosa per la carica di direttore del TPE Teatro Astra per il prossimo triennio”.

“Il teatro Astra rappresenta uno spazio europeo molto qualificato e seguito da un pubblico appassionato ed educato alla prosa – continua Giulio Graglia – affezionato ed attento a tutte le nuove proposte. Il nostro lavoro, incentrato anche sull’inserimento in cartellone di nuove proposte artistiche legate ai giovani, sta permettendo al pubblico di rinnovarsi continuamente, aspetto che ritengo fondamentale e che mi porta una grande soddisfazione. Il 18 marzo scorso si è tenuto al teatro Astra un convegno denominato ‘Porte aperte’, che ha coinvolto Regione Piemonte, Comune di Torino e fondazioni bancarie, seguito da giornalisti, compagnie teatrali e dal pubblico in generale, incentrato sulle nuove proposte del TPE, con uno sguardo su chi opera sul territorio. Abbiamo creato un dialogo continuativo al fine di mantenerlo e rafforzarlo, in modo da arrivare in futuro a coprodurre realtà meritevoli legate al territorio.

‘Porte aperte’ verrà replicato in autunno e vi parteciperà molto probabilmente anche il presidente dell’Agis”.

“La Fondazione TPE è andata rafforzandosi – spiega Giulio Graglia- con l’aggiunta dello storico Festival delle Colline che, proprio quest’anno, in autunno, festeggerà i trent’anni dalla sua nascita. La mia occupazione oggi è incentrata esclusivamente sul TPE e la sua attività di Presidente del CDA, oltre che sul mio lavoro di regista, che mi vedrà impegnato nella regia di uno spettacolo sugli ottant’anni della Resistenza, prodotto dal Teatro Stabile di Torino.

Il Festival Pirandello, di cui sono stato fondatore e Presidente, oggi è guidato da Mario Brusa alla presidenza e diretto da Sabrina Gonzatto, per Linguadoc presidente è  Sabrina Gonzatto e direttore artistico Mario Brusa.

“Al Circolo dei Lettori – conclude Giulio Graglia – per il secondo anno consecutivo è andato in scena il Festival dell’Identità Piemontese, al quale hanno partecipato intellettuali, istituzioni e personalità legate al territorio.

Il Festival ha messo in luce l’importanza di mantenere il senso della memoria e rafforzare il sentimento di identità rendendolo vivo nel presente, non negando la realtà della società contemporanea“.

Mara Martellotta

 

 

 

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Sax Nicosia, passione teatro

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Sax Nicosia, classe 1972, attore diplomatosi alla Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, vanta all’interno del suo percorso artistico importanti collaborazioni con molti registi italiani e stranieri del calibro di Giancarlo Cobelli, Mauro Avogadro, Ugo Gregoretti, Jérôme Savary, Slobodan Milatovic, Carmelo Rifici, Serena Sinigaglia e Arturo Brachetti.

“La mia storia con il teatro Baretti – dichiara Sax Nicosia – ha a che fare con la parola famiglia, un termine che mi piace usare spesso. Ho debuttato in questo teatro nei primi anni del Duemila, sotto la direzione artistica di Davide Livermore, uno dei fondatori. Durante quegli anni firmò la regia di molti spettacoli memorabili, fra cui porto nel cuore “Il Re si diverte” di Victor Hugo. Quasi vent’anni dopo la seconda direttrice artistica del teatro Baretti, la scrittrice torinese Rosa Mogliasso, mi ha passato il testimone, ed è stato un onore per me accettare di dirigere il teatro che amo e che considero una casa accogliente. Rosa, di cui abbiamo messo in scena negli anni passati alcuni dei suoi romanzi ambientati proprio a Torino e purtroppo recentemente scomparsa, mi ha lasciato un’eredità bellissima. La mia direzione artistica è imprescindibile dal mio ruolo di attore: in questi ultimi anni non è raro incontrare attori nel ruolo di direttori artistici di teatro e, personalmente, la trovo un’ottima soluzione poiché un attore possiede le misure e la temperatura di ciò che succede in teatro”.

“Il teatro Baretti è presidio culturale di San Salvario da molti anni, con una vocazione sociale e un focus culturale rivolto all’inclusione – afferma Sax Nicosia – e mi piace definirlo un ‘ecosistema culturale’ in cui, insieme al teatro, convivono il cinema d’essai, una scuola popolare di musica per ragazzi e ragazze dai 6 ai 16 anni, e una scuola teatrale per bambini e adulti, attività che rappresentano il fiore all’occhiello delle nostre proposte formative. Sono tanti i grandi artisti che sono venuti ad esibirsi al Baretti con cachet ridotti riconoscendo la serietà e i valori della storia di questo teatro: Rossy De Palma, Arturo Brachetti, Fabio Biondi, fra gli altri nel corso di questi anni. Sotto la mia direzione artistica, vorrei ricordare la splendida ‘Cassandra’ portata in scena da Elisabetta Pozzi, lo spettacolo ‘Nel nome della madre’ di Erri De Luca con Galatea Ranzi protagonista, Laura Marinoni e Pia Lanciotti, protagoniste insieme di un progetto su Fruttero e Lucentini.

All’interno della proposta artistica del teatro Baretti vi è la volontà di affiancare ai grandi nomi i nuovi talenti in germoglio, di modo che vi sia un passaggio di testimone generazionale: proprio da questo desiderio prende il nome la nuova stagione del Baretti intitolata ‘Generazione scenica’”.

“La mia attività attoriale, che ho dovuto rallentare un poco negli ultimi due anni di direzione artistica – spiega Sax Nicosia – è, in ogni caso, al centro della mia proposta al Baretti poiché sto facendo le prove per portare in scena un testo di Annie Baker, considerata una delle più importanti drammaturghe contemporanee, intitolato ‘Il corpo consapevole’. Una commedia che tratterà con ironia ma anche con grande profondità temi quali il patriarcato, il gender gap, la salute mentale, il politically correct e il problema del linguaggio nella società contemporanea.

La mia passione per il teatro brucia fin da quando avevo sei anni, e da allora è stato un crescendo di studi, collaborazioni, incontri con grandi registi e grandi attori e attrici: oggi è un privilegio fare il lavoro che ho sempre voluto fare. Ricordo con immenso piacere quello che considero il punto più alto della mia carriera: interpretare Menelao accanto a Laura Marinoni in quel luogo magico e straordinario che è il teatro greco di Siracusa, nello spettacolo ‘Elena’ di Euripide diretto da Davide Livermore. Interpretare quell’umanissimo personaggio mi è valso il Premio Assostampa come migliore attore della stagione”.

 

Mara Martellotta

 

 

 

 

 

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Simone Morabito, avvocato dell’arte

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  1. Lo Studio Morabito, che ha da poco festeggiato i 50 anni, si occupa anche di Diritto dell’Arte. In quale aspetto del tuo lavoro ti identifichi maggiormente? Nell’aspetto legale e Tributario o in quello di Diritto dell’Arte?

Sì, un bel traguardo. In quell’occasione, peraltro, abbiamo celebrato l’evento commissionando un’opera ad hoc all’artista Andrea Sbra Perego, alla ribalta in questo momento. Quanto a me sono sempre stato uno spirito eclettico, per me è sfidante cercare di risolvere i quesiti legali di imprese e persone. Mi piace aiutare a realizzare le loro idee proteggendole al meglio. Posso definirmi innanzitutto un avvocato d’affari internazionale perché mi sono specializzato prima in Francia in diritto internazionale, poi in Italia in diritto civile e ho ottenuto un post graduate in USA in diritto delle transazioni internazionali. Questo è sempre stato il mio contesto lavorativo, ma da una quindicina d’anni ho incontrato la mia passione ossia l’arte e da lì ne sono nate avvincenti interazioni e quindi la mia specializzazione attuale, che mi porta a essere, oggi, uno dei pochi Avvocati dell’Arte italiani.

 

  1. Come nasce lo Studio Morabito ? Come Studio solo Tributario o anche Legale ?

Lo studio è stato fondato nel 1971 da mio padre, commercialista e revisore dei conti. Lui rimane un faro di professionalità per tutti gli aspetti tributari che ha declinato in 53 anni di professione sotto l’aspetto dell’assistenza alle imprese, enti e privati. Oltre a quella del settore tributario e societario, le sue specializzazioni sono anche la fiscalità dell’arte, ovviamente, insieme ai complicati temi di fisco agrario (per oltre 30 anni è stato consulente della Federazione Provinciale Coltivatori Diretti Torino) e di successioni. Proprio quest’ultimo aspetto mi porta a ricordare mio nonno, Simone Morabito mio omonimo, scomparso oramai da molti anni, che pur non essendo stato un professionista, è stato un importante funzionario dell’Ufficio delle Successioni di Torino, ricordato ancora oggi da molti notai di una certa età per la sua competenza e velocità di pensiero. Nel 2012, con il mio arrivo, è nato lo Studio Legale Tributario Morabito.

 

  1. Se dovessi dare una definizione di Diritto dell’Arte, quale daresti ? Oggi è diventato sempre più importante per affrontare le sfide che si presentano a livello legale e commerciale ai collezionisti ?

Il diritto dell’arte è come un grande cerchio composto da molti raggi, ognuno rappresentante un’area del diritto: il diritto dei Beni Culturali, il diritto d’autore, il diritto amministrativo, il diritto civile, il diritto internazionale, il diritto penale. Quindi è molto complesso trovare uno specialista nel tema, ma allo stesso tempo è sempre più rilevante proteggere il collezionista che spesso acquista o vende d’impulso senza conoscere le conseguenze dei propri atti.

 

  1. Cosa suggeriresti a un collezionista neofita che, per la prima volta, si affaccia al mondo dell’arte ?

Suggerirei di verificare sempre la provenienza dell’opera che sta per acquistare e di richiedere tutte le informazioni possibili. Poi di rivolgersi a un esperto.

 

  1. Necessitano di una tutela anche le gallerie d’arte e gli artisti oltre che i collezionisti? Quale fascia di artisti e gallerie accedono maggiormente ai tuoi servizi ?

Certamente assisto gallerie d’arte, case d’asta e artisti che debbono proteggere la loro attività e agire nella legalità per evitare illeciti di varia natura. La mia clientela è varia ci sono artisti e galleristi di ogni dimensione

 

  1. Vi occupate anche di fondazioni e associazioni ?

Sì, ci occupiamo anche di fondazioni e associazioni, così come tutti gli strumenti previsti dal nostro ordinamento. Ma anche di trust che è un istituto giuridico di origine anglosassone riconosciuto anche nel nostro ordinamento che spesso può essere la soluzione per problemi non direttamente regolati dal nostro legislatore.

 

  1. Il tuo rapporto personale con l’arte  e se sei anche tu un collezionista

L’arte è la mia passione. Ho imparato ad avvicinarmi a essa non soltanto spinto dalla ricerca della bellezza, ma anche perché interessato da espressioni concettuali rivoluzionarie e più sofisticate. Sono anche io collezionista certamente. Una collezione d’arte rappresenta un modo di raccontare la vita di una persona: per ogni periodo potrebbe corrispondere un’opera, per ogni sentimento una modalità espressiva, per ogni successo una tonalità di colore. In questo arte e diritto si incontrano rendono non banale la mia professione.

Mara Martellotta

 

 

 

 

 

Raffaello Lucchese, professione antiquario

RITRATTI TORINESI 

Raffaello Lucchese, direttore artistico di Mattarte, galleria di antiquariato a Verolengo, in provincia di Torino, proviene da una famiglia di origine napoletana ed è cresciuto in un ambiente dai profumi antichi. Dopo aver compiuto studi classici entra nel mondo dell’antiquariato, e a conoscerlo in modo approfondito, grazie alla moglie Pinuccia Matta, erede della famiglia di proprietari di Mattarte.

 

La sua esperienza negli studi classici ha contribuito a innovare la professione dell’antiquario in quanto conoscitore dell’arte, dedito alla ricerca e allo studio.

È sua convinzione che il lavoro all’interno dell’antiquariato, senza un importante studio alle spalle, diventi impossibile proprio perché, rispetto all’arte contemporanea, l’antiquariato si basa sulla conoscenza e non sulla concettualizzazione dell’arte.

“Il modo in cui interpretiamo l’arte dell’antiquariato – afferma Raffaello Lucchese – risiede nello studiare e ricercare opere ‘dimenticate’, se così si può dire, e riproporle al mondo dei collezionisti e degli appassionati in modo tale da dare loro nuova vita. Gli oggetti che Mattarte commercializza maggiormente sono quadri, mobili di prestigio, che non cadono mai in disuso, e oggettistica di vario genere. Il mercato antiquario, negli ultimi dieci anni, è cambiato molto, e noi ci siamo adeguati a una richiesta improntata sempre più sulle opere importanti e di qualità. Personalmente ho sempre considerato, tra i miei primi amori, l’argenteria del Settecento piemontese e gli orologi, di cui sono molto richiesti quelli da camino, in bronzo dorato.

Successivamente sono rimasto affascinato dai pittori napoletani, genovesi e fiorentini del Seicento. Insomma, come antiquari cerchiamo oggetti che ci facciano sognare e il mondo dell’antiquariato è un progetto sempre futuribile: cercare un oggetto è una sfida, vedere qualcosa che altri non vedono o non considerano e poi riproporlo a chi lo desidera. Non potrei immaginare la mia vita senza arte, sento la necessità di immergermi nelle opere e attraversare storie altrui leggendo tanto”.

Mattarte, la galleria di cui Lucchese è direttore artistico, è presente sul territorio dal 1898, da quattro generazioni.

Raffaello Lucchese e Pinuccia Matta non solo trasmettono ai loro figli l’amore per l’antiquariato. Eleonora è una valida vocalist e Simone un bravissimo ballerino. Entrambi hanno vinto dei premi.

La galleria sarà presente alla Fiera AMART di Milano, che si svolgerà dal 6 al 10 novembre 2024, e a Modenantiquaria, a febbraio. Ad AMART verrà esposta un’opera di Barbara Longhi di Ravenna, pittrice di inizio Seicento, già molto apprezzata dal Vasari.

Raffaello Lucchese, oltre a essere uno stimato antiquario, svolge l’attività di perito sul mercato antico e moderno per il Tribunale di Torino e i più importanti musei nazionali.

 

Mara Martellotta

 

 

 

 

 

 

 

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Silvia Tardy: la bellezza dei suoi gioielli contemporanei nell’atelier Internocortile

RITRATTI TORINESI

Internocortile Atelier rappresenta una realtà abbastanza unica nel panorama torinese per le creazioni e la vendita di gioielli di design e che si esprime attraverso le tante collaborazioni che la titolare, Silvia Tardy, fin dal 2012 ha intessuto con designer e orafi, creando una selezione di gioielli ampia e dai differenti contenuti.

 

Appassionata da sempre di design, e dopo tanti anni di esperienza nel mondo dell’arte contemporanea, Silvia Tardy ha trasferito la sua attività denominata Internocortile Atelier in via Fratelli Calandra 7 a Torino, nel 2016. Specializzata nel gioiello d’autore ma ergonomico, ovvero quello funzionale ad essere indossato nella vita di tutti i giorni e che si differenzia dal “gioiello d’artista”, appartenente all’estetica concettuale degli oggetti d’arte, offre una proposta di una decina tra designer e orafi, ognuno con la sua ispirazione particolare basata su esperienze e vissuti che confluiscono nella creazione del gioiello.

Gli orafi e designer che collaborano con Silvia Tardy basano, per lo più, le loro creazioni su un forte legame con la natura, utilizzando pietre semipreziose accompagnate da una base di bronzo o argento. Tutti i gioielli qui in vendita sono rigorosamente made in Italy, anche se non tutti i loro creatori sono italiani. In questo negozio si possono trovare anche numerosi gioielli a prezzi contenuti, che conferiscono al luogo un taglio meno elitario, incentrato sulla bellezza del manufatto e la cura del cliente.

“Del gioiello ho sempre amato il senso di bellezza e armonia che è capace di trasmettere su chi lo indossa – spiega Silvia Tardy – è una vera e propria espressione artistica, in quanto portatore di bellezza e piacere, un modo di ‘sentire’ la vita Il gioiello svela e racconta la personalità di chi lo crea e di chi lo sceglie evidenziandone sensibilità e gusti. Citando Simone de Beauvoir, ‘il gioiello è il fiore nato dalle profonde radici della poesia interiore’.

Il lavoro che svolgo con passione e professionalità è basato sul contatto diretto con il cliente, di cui cerco di individuare il senso estetico intimo, non solo fisiognomico, al fine di far risaltare la sua personalità attraverso la bellezza del gioiello. Questa intenzione è simboleggiata in particolare dalla mia Balena, su verso la luce, un ciondolo rappresentante appunto una balena, emblema della capacità di andare a fondo, di acquisire nuove consapevolezze e di saper tornare in superficie con nuova leggerezza”.

Mara Martellotta