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Un Presidente per tutti gli Italiani

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni Tra i primi nomi che appaiono sui giornali come possibili candidati Presidenti della Repubblica c’è anche Walter Veltroni , diventato una delle firme di punta del “Corriere della Sera”e una stella del cinema italiano contemporaneo.  

Il ragazzo bocciato in ginnasio che rimediò un diploma professionale, ha sicuramente fatto molta strada.E’ stato direttore de “L’Unità”, leader, con scarso successo, del Pd, ministro, Sindaco di Roma per dieci anni, deputato e tanto altro. Nei rapporti istituzionali che ho avuto con lui si è sempre rivelato corretto, forse anche per la stima che aveva per Mario Soldati. Un politico di lungo corso ha inevitabilmente fatto cose buone e cose cattive e non basta il suo amore per il cinema a riscattarlo dagli errori. Il grande Giampaolo Pansa nel suo Bestiario lo definiva il “perdente giulivo “, già immaginando le sue aspirazioni quirinalizie Tra i tanti leader comunisti e poi del PD non è certamente stato dei peggiori. Pur avendo aderito al PCI giovanissimo, diceva di sé di non essere mai stato comunista, senza mai aver spiegato una frase abbastanza contraddittoria, non essendo l’Italia un partito unico come l’URSS. Certo, rispetto al ferreo D’Alema è stato meno dottrinario, ma è anche molto meno colto anche se ambedue non sono laureati… Quando moderai un dibattito tra Amato e D’Alema, mi resi conto del valore di quest’ultimo anche rispetto al dottor Sottile che avrei visto bene al Quirinale al posto di Mattarella e che ritengo l’unico statista sopravvissuto. La classe politica italiana di destra e di sinistra fa pena e c’è in questo Parlamento una sola candidata valida per cultura, equilibrio, terzietà, la Presidente del Senato Casellati che potrebbe anche guidare un Governo di salute nazionale che estrometta Conte. Si tratta di una donna umanamente ed intellettualmente straordinaria apprezzata, al di là delle valutazioni politiche di parte, come difensore ferreo delle prerogative parlamentari spesso calpestate dall’attuale governo senza che dal Colle siano giunti rilievi significativi.

L’ex Presidente della Consulta Cartabia che sarebbe un’altra candidata, appare piuttosto scialba, perché non basta essere donna per essere brava al Quirinale.
Non parliamo di Franceschini (che manifesta incredibilmente degli interessi per il Quirinale)  si tratta di un   mediocre e grigio  catto -comunista di provincia  e  di un pessimo ministro della cultura. Anche Prodi non ha perso tutte  le speranze naufragate sette anni fa, anche se  è ormai politicamente   decotto. Una figura di rilievo appare invece  MarioDraghi, una sorta di nuovo Ciampi che ha difeso l’Italia in Europa. C’è da augurarsi che Mattarella, ormai,  quasi ottantenne non intenda riproporsi per un altro settennato che sarebbe del tutto immotivato. Tra tutti i candidati di cui si parla, quelli più degni di attenzione sono Veltroni, Casellati e Draghi. I politicanti che sono in Parlamento, al massimo, se hanno l’altezza fisica necessaria, possono aspirare a fare il corazziere.  Veltroni è molto sponsorizzato e viene anche mitizzato, ma non ha  certo la  statura di un Napolitano. Una frase attribuita a Veltroni mi ha colpito  negativamente : avrebbe voluto nascere il 25 aprile 1945. A molti questo desiderio che lo
invecchierebbe di 10 anni ,sarà piaciuto moltissimo e porterà alla solita vulgata celebrativa cara all’ Anpi . Io invece ritengo quella data divisiva perché gronda sangue e violenze, anche se segna la fine di una guerra mondiale, ma non di quella civile. Avrei capito di più il 2 giugno 1946, data in cui nacque la Repubblica . Non posso dimenticare che un uomo come Luciano Violante , una vera,grande  riserva della Repubblica, uomo di rarissima intelligenza, parlò con rispetto dei “ragazzi di Salò”, molti dei quali quel rispetto forse non meritavano, Violante capi’  per primo a sinistra che la storia andava rivista senza retoriche e senza odi. Un atteggiamento simile a quello di Napolitano.
Oggi occorre un Presidente super partes che rappresenti gli Italiani.  L’esempio
cui  guardare è Ciampi che simboleggiò l’idea stessa di Patria,per non citare l’esempio irripetibile di Luigi Einaudi. Lo capiranno i peones che tra un anno, dopo un settennato travagliato, dovranno eleggere ilsostituto di Mattarella?  Ho dei forti dubbi sulla loro intelligenza. Chi divide o non sa unire non può
risiedere sul colle più alto. C’è bisogno di gente corazzata di cultura storica che sappia guardare avanti. L’Italia ha bisogno di voltare pagina con un paese in mano ai guitti e ai loro replicanti.
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I due concerti di Capodanno

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni Sono stato un assiduo frequentatore dal vivo dei concerti di Capodanno di Vienna e di Venezia

Quest’anno mi sono limitato con dispiacere alla televisione. Un concerto senza pubblico – mi diceva già tanti anni fa Massimo Mila – perde parte importante della sua vitalità. Ma certo la pandemia impone anche per i concerti delle regole tra cui la assenza di pubblico o almeno un contingentamento. Alla “Fenice” hanno scelto le mascherine e i distanziamenti tra i concertistici. Lo stesso maestro aveva la mascherina nera alla Zorro. La stessa regola è stata applicata al coro, quasi che il canto con o senza la mascherina sia un particolare trascurabile. Tutto il contrario di Vienna dove non si è vista traccia di mascherine e Muti ha diretto magistralmente. Mi sono commosso ad ascoltare il coro del Nabucco che appare il canto dolente di un popolo calpesto e deriso – uso apposta le parole del nostro inno nazionale – ma che io ho sentito un po’ illusoriamente anche come un canto di speranza, come lo sentivano Verdi e gli uomini del Risorgimento. Preciso che, come abito mentale, scelgo a priori la cautela perché il virus non perdona. Ma mi è venuto anche spontaneo domandarmi perché in Italia ci fossero le mascherine e in Austria no e mi sono chiesto chi abbia sbagliato o se esistano eventuali protocolli che lascino libere scelte in Europa in una materia tanto delicata anche sotto il profilo dell’esempio civico.
Ma soprattutto mi sono domandato dove fosse Franceschini, ministro di una cultura resa muta da provvedimenti assurdi che lasciano perplessi: chiudere i concerti e tenere aperte le chiese e’, ad esempio, una scelta comprensibile nel modo di ragionare clerico – marxista del ministro, ma non della gente normale.
Franceschini o un suo collaboratore non ha pensato di chiedere cosa facevano a Vienna e così l’Italia si è trovata con il bavaglio anche a Capodanno. La Fenice in una Venezia azzoppata e’ cosa internazionale che non può essere lasciata alla decisione burocratica del ministro Speranza o a qualche suo funzionario.
Un ministro inesistente è sempre meglio di un monstrum come la Azzolina,  ma l’Italia che ha avuto Verdi, Rossini, Puccini, Mascagni, non può avere Franceschini ministro della cultura. Piuttosto ridateci Bondi. Era più sveglio.

Una firma storica recisa

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni   Il 2020 si chiude, com’è naturale che sia, con una cattiva notizia. L’anno della pandemia  non può chiudersi bene. Apprendo  infatti  da Facebook che la prof. Gabriella Bosco, ordinaria di Letteratura Francese all’Università di Torino, non scrive più per “T u t t o libri” della “Stampa”.

Il supplemento ideato da Arrigo Levi, Carlo Casalegno e Giorgio Calcagno è in crisi da tempo. Anche Quaranta non scrive più.  ”T u t t o libri“ da tempo è illeggibile ed ha anche  una grafica piuttosto volgare. Il grande Scardocchia la definiva parte nobile del giornale. Acqua passata. Si tratta di un giornale che sta tornando ad essere la Gazzetta Piemontese di Bersezio. I lettori sono in caduta libera, inarrestabile. Neppure Maurizio Molinari è riuscito a metterci un rattoppo. Una firma nota in Italia e all’estero come Gabriella Bosco andava salvaguardata come un fiore all’occhiello del giornale. Una delle poche autorevoli. E invece anche lei è stata recisa catullianamente dall’aratro dei giornalisti – burocrati. Le “firme“ di certi sprovveduti sopravvivono a tutto,  anche perché nessuno le legge. Con Gabriella Bosco il quotidiano torinese  perde una firma storica. Il giornale di via Lugaro si sta inabissando verso un 2021 che tutti sperano migliore, persino i ristoratori.
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A scuola quando si potrà, non il 7

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il 6 gennaio con l’Epifania finiscono le provvidenziali vacanze scolastiche. Abbiamo
cercato di documentarci un po’ su cosa si è fatto per potenziare i trasporti in vista del ritorno degli studenti nelle aule

 Sembra che il numero della loro presenza a scuola dovrebbe essere del 50 per cento, mentre la didattica a distanza dovrebbe riguardare l’altra metà degli studenti, un lavoro impegnativo che grava sui professori senza un minimo di formazione estiva nei loro confronti. E saremo nel pieno delle operazioni di vaccinazione con un caos non indifferente.

Il buon senso richiederebbe la priorità assoluta alle vaccinazioni e ai richiami, in primis per dirigenti, docenti e operatori scolastici. Sono stati i trasporti e la scuola senza sicurezza ad aver provocato la seconda strage d’autunno , la cui responsabilità grava anche sulle Regioni che si sono rivelate fallimentari. Un paese serio avrebbe già mandato a casa da un pezzo la ministra della PI. Azzolina e anche il commissario Arcuri che dai banchi e’ passato ai vaccini. Una promozione impensabile dopo i risultati raggiunti e i disastri provocati.

In queste vacanze quanti hanno lavorato in concreto per evitare la terza ondata in rapporto alle scuole?
Riaprirle il 7 gennaio in queste condizioni appare una scelta velleitaria, autolesionista e persino stupida che scarica di nuovo tutto sui capi di istituto. E la ragazzina di un noto liceo
che esige con furore puerile di tornare ad ogni costo nelle aule, può essere fermata con sanzioni disciplinari e, se necessario, penali, sperando che abbia alle spalle una famiglia ragionevole. In questi momenti nessuno è autorizzato a fare il casinista inun nuovo piccolo ‘68 pandemico che andrebbe represso almeno con gelidi idranti che quasi sempre schiariscono le idee anche ai più focosi.

La salute collettiva deve prevalere su tutto,
in particolare in un paese retto da personaggini destinati a passare alla storia per i loro gravi errori e le loro impreparazioni vistose  L’avvenire e’ nelle mani di medici, farmacisti, infermieri, presidi,  professori, bidelli.  Gli altri devono
tacere e obbedire, senza creare confusione e possibile contagio, come gli incivili senza mascherina che ancora circolano, tenendola metà abbassata persino nei negozi di alimentari.

Galli, il bipartitismo imperfetto

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni   Giorgio Galli è  morto a 92 anni. Ha  scritto tanti libri, alcuni anche poco significativi o addirittura bislacchi, come quello su Hitler e l’ esoterismo.

Mi capitò una sola volta di essere correlatore con lui in qualche convegno a Milano. Quando vidi che iniziò persino a parlare nei raduni massonico- sabaudi in provincia di Cuneo, ruppi ogni rapporto. E’ l’ esempio non solo dell’ homo unius libri, ma dell’ unico titolo: il bipartitismo  imperfetto, spesso citato a vanvera perché la Dc e il Pc non furono mai il bipartitismo sia pure imperfetto, ma l’inciucio  che ha  dilapidato lo Stato con la scusa del compromesso storico. Galli è stato il teorico di uno dei periodi storici peggiori della storia Italiana. Poi quando il suo teorema cadde, Galli continuò scrivere come se niente fosse accaduto .Scienziato della politica? Direi proprio di no, in nessun modo. Non scrivo cosa mi disse  di lui il grande Nicola Matteucci. Credevo amasse scrivere e pubblicare a dismisura. Purché si parlasse di Galli. Al Centro Pannunzio non lo volli mai. Bobbio fu tassativo . A più di 90 anni continuava a scrivere. Mi dicono si fosse avvicinato alla  destra. Come il suo coetaneo Alberoni. Galli fu un Alberoni della politologia. Se i politologi sono questi, non dobbiamo  poi troppo lamentarci dei politici “imperfetti”. Quel bipartitismo di Galli fu la rovina d’ Italia, non solo un libro molto citato da chi aveva l’età per leggero nel 1966, quando uscì. Molti lo citarono, senza neppure leggerlo, poi il sistema  dei due formi ebbe fine, ma Galli forse non si accorse neppure della fine di un’era geologica. Pace all’anima sua, prolifico autore, noto per il primo titolo. In biblioteca sono almeno trent’anni che l’ho relegato nel piano più alto. Non capì neppure Craxi e il suo disegno politico di ampio respiro.

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Il Natale di sangue a Fiume

di Pier Franco Quaglieni

Con Natale di sangue del 1920 si intendono gli scontri tra militari italiani e legionari dannunziani che difendevano Fiume italiana dopo che a Versailles la diplomazia italiana aveva fallito nei confronti della politica velleitaria di Wilson,  un pistolero americano che creò solo disastri in Europa con il suo pacifismo antistorico

 

Un Trump al contrario che non capiva nulla. Certo la Grande Guerra aveva fatto milioni di morti ed era finita da poco. C’era ansia di pace, ma anche di giustizia . Gabriele D’Annunzio chiamo’ a Fiume combattenti,  artisti ed intellettuali per difendere la storia della città italiana che era stato porto ungherese.

Anche oggi, malgrado i tentativi di cancellarne la sua memoria,urla la sua italianità. La Reggenza italiana del Carnaro scrisse anche una costituzione molto avanzata che piacque a Lenin e riconosceva il divorzio , per citare un esempio. L’ultimo governo Giolitti , non volendo ripetere gli insuccessi di Francesco Saverio Nitti, chiamato con disprezzo da D’Annunzio “Cagoja “, mando’ il generale Caviglia, l’eroe di Vitttorio Veneto, a scontrarsi con altri italiani che avevano dimostrato di amare e di aver combattuto per l’Italia .Il Natale di sangue.

Grigioverde contro grigioverde e una condotta poco chiara da parte della Corona che non poteva essere insensibile a dei combattenti. Io se fossi vissuto cent’anni fa, sarei stato di famiglia giolittiana anche se i nonni e gli zii erano andati volontari in guerra ed alcuni erano caduti già nel 1915. Certo c’era la fedeltà al dovere dell’obbedienza che le stellette imponeva ad un ufficiale,  ma credo che l’amore per l’ Italia avrebbe prevalso. Scontrandomi con la mia famiglia, probabilmente sarei corso a Fiume , come tanti.

Non è vero che Fiume rappresento’ il ribellismo fascista che precederà la Marcia su Roma. I fascisti fiumani erano pochi e Mussolini fu sleale con d’Annunzio. Gli sottrasse persino la sottoscrizione di soldi fatta dal “Popolo d’ Italia“ per sostenere l’impresa di Fiume. Era un Mussolini avventuriero e alle prime armi , pronto a qualsiasi compromesso.

Fiume fu un ritrovo anche di avventurieri,  sbandati, omosessuali, drogati.  Luogo di guerra e di Libero amore.  Il Natale di sangue si ridusse ad un fatterello militare di scarso significato, ma indicò  al mondo che c’era un poeta soldato – un grande poeta noto a livello internazionale- e migliaia di suoi seguaci pronti a battersi per un‘ ideale di Patria. Se penso che poi Fiume divenne titina e che gli italiani non infoibati furono costretti a fuggire in Italia, provo una grande indignazione  L’Italia aveva diritto a Fiume per i suoi 650 mila morti nella Grande Guerra.

Poi a Fiume c’erano anche esaltati, opportunisti e massoni che certo non guardavano alla Patria, ma ai loro affari. Ma cent’anni fa c’erano italiani capaci di correre a Fiume per un grande ideale. Oggi cerchiamo di sopravvivere con una mascherina indosso, sperando che serva a salvare la pelle. I poeti non ci sono più da tempo. Una categoria estinta in un’Italietta di fronte a cui un generale ribelle libico può alzare la voce e tenere in carcere per oltre 100 giorni dei pescatori italiani.

Il cardinale e il giornalista. Fede e laicità in tv

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni Che Chicco M e n t a n a  intervisti il cardinale Gianfranco Ravasi mi infastidisce, mi intristisce, mi turba.  Ravasi e’ un gigante, M e n t a n a  un giornalista ambiguo, adatto a discutere con Bersani, Fini e Renzi

Quando  M e n t a n a  evoca la parola morte ci porta a incrociare le dita.  Ravasi quando parla di morte , ci porta a pensare al mistero della morte, ma anche al mistero della resurrezione.  Ravasi ci porta a riflettere per capire la vita e i suoi dolori. M e n t a n a  ogni sera da’ il Bollettino dei morti e non va oltre.  Mi è quasi impossibile ascoltare le alte parole di Ravasi mescolate con le banalità di M e n t a n a .  Il cardinale ha una umanità smisurata, rafforzata da una cultura altrettanto smisurata.  Ravasi sente la solitudine della morte non come una cronaca da tg di Cairo con la coda acida della Gruber.  Così impedite di sentire il conforto del Cardinsle che è uomo, prima di essere un porporato. Io lo conosco e non lo vedo mescolato con  M e n t a n a  che esprime una tv commerciale, Ravasi è ricchezza spirituale, e’ donazione di se‘. M e n t a n a non mi sciupi anche il Natale della sobrietà. Ci lasci ascoltare la voce di Ravasi che ci fa sentire la parola di Cristo bambino e di Cristo risorto. Il virus ha tragicamente ucciso persone, ma ha anche ucciso le banalità giornalistiche. Non ci dia M e n t a n a  lezioni di laicità. A noi basta Benedetto Croce.  E insieme a Croce “non possiamo non dirci cristiani”. E non solo a Natale . E non insista ossessivamente con Pasolini che è la forzatura evidente di un ateo che vuole interferire nel cristianesimo senza averne titolo. Il Cardinale è un vero cristiano ed e un uomo molto paziente.  Ma non a caso egli invoca il silenzio interiore contro la “socializzazione forzata” di cui la tv è uno strumento che guasta la nostra quotidianità, creando ansia continua. I tg vivono di titoli eclatanti, del tutto incuranti della sensibilità di chi ascolta; la fede ascolta invece i nostri sconforti e ci offre una risposta come sa fare il Cardinale Ravasi.

Un calendario non basta a minare le istituzioni

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni  G a d  L e r n e r  di cui nessuno si occupa più, cerca di risalire la china con una polemica contro il calendario di Mussolini edito da decine d’anni

 Era in vendita in tutte le edicole italiane e poi l’Anpi ha invitato a non venderlo in nome ovviamente della libertà… Io acquistai il calendario nel 1960 e un’altra testa quadra come mio zio molto simile a L e r n e r , mi riprese duramente per l’incauto acquisto Mio padre che era stato un vero liberale senza fanatismi, invito’ mio zio a tacere perché sentiva puzza di regime in casa. Mio padre leggeva Pannunzio e Guareschi,  ma non tollerava i comunisti intolleranti. Leggeva Croce, ma non Lenin.  Secondo lui i rossi e i neri andavano combattuti e basta. Pur laico, amava i preti perché nel 1948 arginarono il pci. Io sfogliai il calendario proibito senza provare ne’attrattattiva ne’ scandalo. Vidi per la prima volta il duce e sembrava illogico che non mi fosse stato mai consentito di vederlo, anche se tanti anni dopo scoprii in casa una vecchia fotografia di Mussolini dedicata ai medici d’Italia che non era lì per caso. Non indagai, ma ebbi dei dubbi sull’ dei calendari. Il discorso si chiuse li’. Dieci anni dopo, se lo avessi saputo,  sarei andato a comprarmi il calendario di Alessandra Mussolini seminuda, ma forse questa era una notizia falsa per squalificare chi costrinse al ballottaggio Bassolino a Napoli,  senza esibire seni e coscie.  Che in questo maledetto 2020 ci sia ancora un vecchio L e r n e r  che nessuno legge più, che urla contro il calendario, fa ridere . L’unica cosa comica di quest’anno. E incolpa anche un pessimo libro di Bruno Vespa sul duce scritto molto male, di aver ricreato il clima favorevole al calendario.  Caro L e r n e r,  a far rivalutare Mussolini , malgrado la guerra fascista con milioni di morti, sono troppi antifascisti di cartapesta che accettano e sostengono Conte e di Maio. Non è il calendario che mina le istituzioni democratiche , ma il disastro a cui ci hanno portato, con l’aiuto di una pandemia non affrontata con serietà e ancora oggi in pieno, drammatico sviluppo da chi ci governa. Un po’ ha dato una mano Scurati con il libro M. che, nelle sue esagerazioni faziose e non storiche, fa pensare ad una sorta di Achille Starace dell’antifascismo di questo primo ventennio del nuovo secolo. Ventennio, parola terribile e impronunciabile , se pensiamo che nel 1922 ci fu la Marcia su Roma.

Casellati, voce libera e coraggiosa

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Nel silenzio più assoluto del Colle più alto che si limita a frasi generiche o a proposte di governi di legislatura che non gli spettano, il discorso del Presidente del Senato Elisabetta Casellati per gli auguri rivela una terzieta’ e un’ indipendenza di giudizio che le fa molto onore

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Casellati, seconda carica dello Stato, nella sua apparente fragilità e delicatezza fisica, si rivela una donna di ferro, capace di assumersi responsabilità che altri dovrebbero manifestare da tempo.
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Neanche Cesare Merzagora che pagò la sua indipendenza con le dimissioni coatte, era arrivato a tanto, anche perché nessun governo ha eguagliato nella sua negatività l’attuale armata Brancaleone che va a Bengasi con il cappello in mano e i soldi nel portafoglio  (in questo caso va bene il contante) per liberare i pescatori siciliani che hanno subito più di cento giorni di carcere senza adeguate iniziative diplomatiche italiane. Casellati lancia un forte richiamo ,denunciando le arretratezze, le contraddizioni, gli errori che portano gli italiani a non sapere neppure  come passeranno il Natale. Da giurista attenta  Casellati richiede norme anche severe, ma certe. Il Governo fa continue riunioni con i capi delegazione di partito  invece che con i ministri, istituendo un ircocervo mai visto, una sorta di direttorio nazionale che si pone al di sopra del governo stesso, senza obiezioni da parte di chi dovrebbe vigilare sul rispetto formale e sostanziale della Costituzione. La Presidente del Senato esprime la sua preoccupazione per cosa potrà accadere con il vaccino in un paese allo sbando che oggi ha il più alto numero di morti in Europa. Tra le alte cariche dello Stato solo Casellati sa assumersi le responsabilità che le derivano dall’essere presidente del Senato. Noi eravamo abituati ad avere dei Casini e dei Fini presidenti della Camera che intralciavano il lavoro del governo, sollevando continue polemiche per interessi  inconfessabili di partito. Oggi, per nostra fortuna ,abbiamo una presidente che non fa pesare le appartenenze di partito e da voce alle angosce degli Italiani. Senza di Lei nessuno si occuperebbe del disastro a cui stiamo andando  incontro. Auguri di  buon Natale e buon anno nuovo, Presidente, che pare uscita dalla storia del Risorgimento. Nata, per nostra fortuna, un secolo in ritardo, per tutelare i cittadini e la dignità della Nazione che Conte a Bengasi ha ridotto a pezzi come nessun altro capo del governo precedente. Lei pare uscita da una stampa risorgimentale del Senato del Regno. Una voce libera e coraggiosa che difende l’Italia o quello che purtroppo è rimasto di un Paese che fu tra i primi del mondo malgrado una sconfitta in guerra che lo aveva distrutto. Lei ,Presidente ,ad uno storico, ricorda l’età di Luigi Einaudi e di Enrico De Nicola  e ancor prima certi discorsi coraggiosi di Benedetto Croce che si levò a parlare con quello spirito di libertà che rinfranco’  tanti italiani che disperavano sul futuro della loro Patria.
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Il Natale profano

Il commento/ di Pier Franco Quaglieni

Nell’infuriare  pasticciato ed incerto delle polemiche sulle chiusure natalizie mi ha colpito una delle tante piccole bestialità di Salvini:

il Natale è per le famiglie divise o, come dicono altri, per le famiglie allargate dopo divorzi, unioni civili, convivenze, ulteriori matrimoni, quelle con  quindici figli di tanti letti e cinquanta nipoti. Un Natale a misura di un falso cristiano che esibisce rosari e crocifissi , non certo per pregare. E’ un Natale pagano, fatto di grandi e volgari  abbuffate, di luci colorate, di regali più o meno costosi.  E spesso e’  arricchito di un presepe lasciato in un angolo della casa, esibito come segno di divisione e non di unione tra ”tutti gli uomini di buona volontà”. Mangiar bene e in allegra compagnia piace a tutti, anche a quelli che non vogliono il presepe perché offenderebbe i musulmani. Il clima festoso di un desco che riunisce famiglie ed amici è sempre un’attrattiva.
Il Cristianesimo rinunciatario e imbronciato alla Jacopone da Todi e’ un qualcosa che poteva armonizzarsi con la miseria di certe epoche medievali. Lo stesso “inventore”  del presepe, Francesco d’Assisi, pur nel suo pauperismo, dimostrò di amare la vita e la natura, segni della grandezza di Dio creatore. Rinunciare alle abitudini consolidate per combattere la pandemia sembra un sacrificio intollerabile, mentre in effetti si tratta solo        del contorno del Natale o, meglio, di quello che molti atei ”cattolici per un giorno”       intendono per Natale.
Ho letto addirittura di regali di
Natale consistenti in buoni per incontri sessuali con escort extra lusso.  Una società priva di valori morali non può resistere agli sconquassi di alcuni divieti. Eppure il Natale ancora per Guido Gozzano significava la mangiatoia di Betlemme traslocata in terra piemontese  alberghi dal nome ottocentesco ben presenti in Piemonte. Il Natale era Gesù Bambino, malgrado Gozzano  fosse dubbioso sull’esistenza di Dio come gran parte degli intellettuali della sua epoca. Per Ungaretti che scrive del Natale  del 1916 a Napoli (e non
dal fronte):  la festa per il poeta  consiste in quattro capriole di fumo in casa, alternativa al “gomitolo di strade” affollato quasi  come l’odierno assembramento. Ben strano destino quello di Ungaretti che non fa parola di Gesù , anche se era destinato, molti anni dopo,  a convertirsi alla fede cristiana. Giovanni Pascoli sentì il fascino delle ciaramelle e delle ninne nanne,  pur non essendo anche lui un credente.
Io ricordo certe prediche di un frate cappuccino in preparazione al Natale che metteva in guardia dal “consumismo fatto di panettoni e cotechini”. Quella frase mi è rimasta in mente, come i ricordi dei miei genitori degli  anni della seconda guerra mondiale, quando c’era un fronte a dividere e non i divieti confusi di Conte.
Sta di fatto che ho deciso di rinunciare a tutti i contorni del Natale, al massimo qualche fiore per dire la mia amicizia a poche persone. Ma non voglio fare o ricevere doni importanti datati 2020, un anno maledetto.  Amavo tanto avere luci colorate in casa e decorazioni       luccicanti. Quest’anno non è più così.
Sto riscoprendo il Natale che si accontenta delle nuvole di fumo
e sente come un pericolo da evitare
per sé e per gli altri  l’andare in giro per negozi.  Alcuni giorni non esco neppure di casa. La sola idea che ogni giorno muoiano di  COVID tante persone mi porta a pensare alla parola di salvezza portata dal Cristo in terra. Se sarà consentito,  andrò come ho fatto per tanti anni a vedere il presepe meccanico di via Po.
Andrò a rendere omaggio ai morti della mia famiglia  portando loro una stella di Natale. Ma come dice ancora Ungaretti, “ho tanta stanchezza sulle spalle” e la falsa giocosità di quest’anno mi è intollerabile. Quando tanti anni fa vidi al Velentino il Luna Park durante le festività natalizie capii che c’era qualcosa di stonato e di inopportuno. Mi venne in mente che dei dipendenti della mia famiglia ( che poi seppi essere tutti comunisti ) passavano la notte di Natale a vedere il circo di Mosca come alternativa alla Messa di Mezzanotte.
Oggi c’è tanta gente come Salvini che protesta perché non può fare il solito banchetto . Anche a me piaceva andare  a cena , pur senza eccessi, ma quando penso ai telegiornali che mi agghiacciano con il numero di morti, sento raggelarsi  il cucchiaio di minestra che ho in cola  e mi viene spontaneo recitare mentalmente un requiem per i tanti sconosciuti che non ce l’hanno fatta. Se mi sarà consentito , sarò felice di essere più sereno il prossimo anno.
E rileggerò Gozzano, Ungaretti e Pascoli, cercando di ritrovare,  se ne avrò ancora la forza, la gioia di Gesù Bambino, del Presepe, del Natale semplice che senza accorgermi avevo vissuto negli Anni Cinquanta quando eravamo tutti più sobrii, anche i bambini che scrivevano la letterina a Gesù Bambino senza sapere che distruzione e che morte aveva portato la guerra sciagurata voluta da Mussolini.