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Piero Angela, è mancato un grande torinese libero

Di Pier Franco Quaglieni
Di Piero io ricorderò soprattutto l’indipendenza, lo spirito critico, la calma anglosassone del parlare. Piero Angela con il suo distacco cordiale, proprio dell’uomo di scienza che sapeva condividere con gli altri le sue conoscenze, è stato un unicum neppure solo sul piano televisivo. La boria dei colti non gli apparteneva  e anche gli incolti refrattari ai temi della cultura scientifica, dovevano un qualche modo  dargli ascolto. Ricordo che una volta quando Norberto  Bobbio concesse l’Aula Magna dell’Accademia delle scienze alla CGIL che confuse quella sede prestigiosa con la Camera del lavoro, attivando una  polemica dozzinale e faziosa, Angela mi disse il proprio disgusto. Angela veniva da solidi studi costantemente aggiornati nel corso dei decenni come si impone ad un uomo che studia la scienza.  Non aveva amato i suoi professori del “d’Azeglio“ dove non tornava volentieri. Ricordava  invece con affetto la sua compagna Bertini che fu anche il suo primo amore e me lo fece conoscere. Fu certamente un grandissimo divulgatore che rifiutò sempre la semplificazione a cui il piccolo schermo condanna per conquistare pubblico. Anche la semplificazione ideologica gli fu estranea e rifuggi ‘ dall’impegno politico. Amico di Pannella , sentì fastidio per la Bonino. Basti pensare per capire lo  stile Angela ad un suo collaboratore come Alessandro Barbero che gli deve la sua notorietà. Tanto semplificatore e fazioso è Barbero, quanto equilibrato, chiaro e profondo era Angela. Appartenne ad una famiglia illustre del Canavese, il padre medico ebbe una clinica in cui salvo ‘ molti ebrei. Aveva vissuto lui stesso il dramma della guerra civile e una volta mi raccontò il suo orrore per la fine barbaramente inumana a cui fu condannato un giovane  repubblichino di Salo’ nei giorni della fine di aprile 1945 . Non era un uomo di parte, mantenne sempre l’onestà intellettuale dell’uomo libero e questa resta la sua più grande lezione intellettuale e civile. Ha fatto bene l’amico Gilberto  Pichetto Fratin a proporre come viceministro un francobollo a lui dedicato. Quando gli consegnai il Premio “Pannunzio“ imperversava Santoro in Tv e io lo definii l’antiSantoro come definii anni dopo Daverio l’antiArgan. Gli feci un grave torto nell’accostarlo a questo volgare  erede di Masianello, ma lui capi’l’intento delle mie parole che volevano evidenziare il rifiuto di ogni facile demagogia nel suo rapporto umano  e televisivo. Angela è stato l’esempio alto dell’Italia civile che pochi uomini hanno rappresentato con dignità solitaria. Lui stesso si definì un pannunziano e interese la sua laicità sopratutto come indipendenza dello spirito. Il suo magistero è destinato a restare e il suo esempio rappresenta una delle pagine più alte della vita intellettuale. Ha onorato Torino come pochi. Occorse un mio articolo per ricordare la necessità di conferirgli la cittadinanza onoraria perchè forse Appendino non sapeva neppure chi fosse. Torino è stata fredda con uno dei suoi figli più illustri. Adesso è tutta una gara per proporre  l’intitolazione di vie e lapidi. Un segno ancora una volta del provincialismo piemontese. Non a caso Angela per affermarsi da dovuto come tanti torinesi,  da Soldati a Zolla, trasferirsi a Roma.

Fiorentini, Via Rasella e Montezemolo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

L’amica Mirella Serri, su “La Stampa”, ha rievocato  il partigiano Mario Fiorentini, morto  a 103 anni, e scritto “Senza il mitico Mario non ci sarebbe stata la resistenza romana che, oltre a lui, ebbe fra i personaggi di maggior spicco Rosario Bentivegna, Carlo Salinari, Antonello Trombadori, Franco Calamandrei, Gioacchino Gesmundo e donne come Carla Capponi, Maria Teresa Regard e Marina Musu. Sì Grazie a questi gappisti gli uomini di Hitler e di Mussolini subirono attacchi e sconfitte clamorosi”.

Non dò giudizi su Fiorentini  di cui so poco anche perché il ricorso al terrorismo durante la Resistenza non l’ho mai condiviso. Ma non si può sottovalutare che il mitico Mario insieme a Giorgio Amendola  fu ideatore  dell’attentato in via  Rasella che provocò la  strage delle Fosse Ardeatine  con oltre trecento italiani mandati al macello. Quell’episodio di terrorismo,  che non fu un atto di guerra, organizzato dai Gappisti comunisti,  fu condannato da tutta la Resistenza non comunista. anche perché venne fatto poco tempo prima della liberazione di Roma  e si rivelò di fatto inutile.

Vorrei ricordare che, se i comunisti furono una parte  importante della Resistenza romana, il principale promotore della Resistenza a Roma fu il colonnello Giuseppe  Cordero  Lanza di Montezemolo che si oppose al terrorismo  dei comunisti e finì prima a Regina Coeli e poi alle Fosse Ardeatine. Montezemolo fu il capo del fronte clandestino romano. Rispettiamo Fiorentini che avrà agito sicuramente in buona fede e fu un partigiano pluridecorato , ma non  possiamo dimenticare la Medaglia d’oro al Valor Militare Montezemolo che fu la vera anima della resistenza armata già dall’8 settembre 1943. Ricordo che anche Marco Pannella condannò l’episodio di via Rasella  così come condannò il terrorismo rosso delle Br.

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I giovani green a Torino

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni 

La terza giornata del raduno green dei giovani attivisti ispirati da Greta si è conclusa, dicono i giornali, con una forte azione di “disobbedienza civile” con fumogeni, blocco dell’autostrada,vandalizzazione della sede della SNAM in corso Taranto. Hanno sfilato per tre ore indifferenti al caldo intollerabile o forse eccitati proprio dalla calura. La piccola e furiosa amazzone assente sarà fiera dei suoi prodi.  C’è da domandarsi che significato abbiamo certe azioni che non si discostano da quelle dei nostri centri sociali.  Hanno
bloccato l’autostrada in quanto luogo-simbolo dell’ingresso delle auto in città, una vera sciocchezza e un’autentica illegalità che andrebbe perseguita con la necessaria severità. Cosa intendono fare questi signori? Protestare ricorrendo anche alla violenza appare il loro scopo prioritario.  In questi frangenti di guerra, di carenza energetica ed economica l’Italia non necessita di altri agitatori a creare ulteriore confusione. Tornino da Greta e ci lascino in pace. La loro presenza può essere gradita solo
ai facinorosi e alle teste calde diventate incandescenti per il caldo. Questi ospiti andavano controllati, impedendo che facessero danni . Di gente così ne abbiamo già molta a Torino e il loro numero è già di per se’ intollerabile. La disobbedienza civile era quella di Pannella e di Ghandi, non quelle dei teppisti esagitati che ricorrono alla violenza.

Siccità, politica incerta, Covid, guerra. Il momento è tragico

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Un luglio caldissimo caratterizzato dalla siccità e da una ripresa del COVID si rivela un momento particolarmente drammatico.  La crisi energetica, l’inquietudine di parte del sindacato, la protesta dei taxisti, il caos nei voli aerei, le ripercussioni della guerra tra Russia ed Ucraina sulla nostra economia danneggiata dalle sanzioni,  un’agricoltura in ginocchio, una politica incerta appesa al filo dei Cinquestelle e alle turbolenze interne ai partiti rendono tragica la situazione italiana. Siamo alla vigilia delle grandi vacanze, i ristoranti sono pieni, la gente per ora, sfiancata dal caldo, non pensa o forse non vuole pensare a cosa la attende a settembre. In un momento come questo sarebbe necessario un governo forte in grado di affrontare di petto le situazioni irrisolte e le emergenze. Non basta un governo balneare dei tempi andati.
Invece la classe politica litiga e si rivela ancora una volta non adeguata. D’altra parte gli elettori che non votano più, sono maggioranza e rivelano una crisi della rappresentanza politica che vanifica la democrazia. C’è chi evoca l’Italia di cent’anni fa che accolse il fascismo come la soluzione alla ingovernabilità,  ma il confronto non regge sia perché la storia non si ripete e sia perché l’Italia di oggi non è paragonabile con quella uscita dalla Grande Guerra.  Appare invece singolare il confronto con la classe politica del 1922 che consegno’ con i suoi errori l’Italia al Fascismo.
C’è oggi un nuovo fascismo in agguato ? Per fortuna nostra possiamo escluderlo, ma la democrazia può morire non solo di fascismo.  Draghi in questo contesto e’ l’unica certezza a cui dobbiamo disperatamente aggrapparci. Ha sicuramente commesso degli errori,  ma non ci sono alternative. Chi vuole la salvezza dell’Italia deve rendersene conto e dobbiamo prepararci ad altri sacrifici senza i quali il nostro futuro non sarà possibile.  Questa è la realtà che si presenta alla vigilia delle ferie.

Il dramma di Contrada

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Riabilitato (ha avuto restituito il grado e rimodulata la pensione), Bruno Contrada non ha visto un euro di risarcimento per gli oltre otto anni di detenzione – «94 mesi, 2970 giorni tra carcere e domiciliari», precisa – che ha dovuto subire. Ieri l’ennesima tappa di questa odissea giudiziaria che ha dell’incredibile anche per la tempistica.

La Cassazione gli ha dato ragione, ha annullato il rigetto da parte della Corte d’appello di Palermo dell’istanza di risarcimento. Ma ha annullato con rinvio. Bisognerà trovare nuovi giudici d’appello «che non si siano mai occupati della mia vicenda, mica facile», ricorda Contrada, a cui assegnare il caso, e poi altra tappa in Cassazione. La terza.

Questa è giustizia da terzo mondo che grida vendetta , ma i giornali non ne parlano . Contrada ha diritto ad un po’ di pace . Si è rivelano un servitore degno dello Stato , malgrado le accuse infamanti che gli sono state vomitate addosso. Contrada ne  e’ uscito a testa alta . Non si può dire altrettanto  per i suoi persecutori che dovranno rispondere degli errori e della persecuzione che hanno orchestrato contro di lui .

Il trasferimento della Biblioteca nazionale “Vittorio Emanuele III” a Napoli va bloccato 

Torino che, scrisse Bobbio, fu la seconda città più crociana d’Italia, non può rimanere insensibile al grido di dolore che arriva da Napoli.

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Credo che la notizia vada conosciuta in tutta Italia. Bisogna tentare di fermare il progetto di trasferimento della Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli da Palazzo Reale all’ex Real Albergo dei Poveri a Palazzo Fuga. Spostare la Nazionale appare un vero azzardo: la Vittorio Emanuele III ospita circa due milioni di volumi tra cui cinquemila incunaboli, quarantamila cinquecentine, trentamila manoscritti, l’intero corpus autografo delle opere di Giacomo Leopardi, tanti autografi, il fondo Lucchesi Palli, i preziosi codici miniati medioevali, il Dioscoride Napoletano, i manoscritti copti del V e VI secolo d.C., i 1800 papiri ercolanesi del III secolo a.C. … Solo chi non conosce i libri e  il delicatissimo patrimonio cartaceo conservato alla Biblioteca di Napoli può condividere una scelta totalmente errata. E’ stato tentato in passato di cancellare il nome a cui è intitolata , adesso vogliono trasferirla il che potrebbe voler dire esporla a  danneggiamenti. La Napoli di Benedetto Croce sarebbe inorridita. Torino che, scrisse Bobbio, fu la seconda città più crociana d’Italia, non può rimanere insensibile al grido di dolore che arriva da Napoli.

Il Gay Pride, riflessioni controcorrente

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il Gay Pride torinese si è rivelato un successo perché secondo gli organizzatori la sfilata di 150 mila persone con il caldo afoso è stato un vero traguardo.
Non ci sono numeri ufficiali da parte della Polizia, come accade di norma per altri eventi.

Il fatto nuovo è la partecipazione del quotidiano “La Stampa“ con in testa il suo direttore e vicedirettore ad un evento pubblico di quel genere. Una tappa miliare nella storia del giornalismo, ha scritto sullo stesso giornale, il leader politico ed esponente Gay Ivan Scalfarotto, elogiando la scelta di campo fatta da Giannini e da una parte dei suoi collaboratori. Direttori come Alberto Ronchey, ne sono certo, sarebbero inorriditi da certi elogi. Se leggo nello stesso giornale il bellissimo articolo di Renato Rizzo su Ferruccio Borio, il mitico redattore capo della “Stampa”, in cui si ricorda come il giornale per iniziativa di Borio, riuscì a mobilitare oltre duecentomila torinesi ad esporre il tricolore nel 1961, centenario dell’Unita’ nazionale, vedo come il passato sia davvero una preistoria rispetto alle nuove scelte che forse si armonizzano anche con quelle di Lapo Elkann. Eugenio Scalfari direttore di “Repubblica” scrisse a Mario Soldati che avrebbe voluto iscriversi al Centro “Pannunzio”, ma che la sua indipendenza professionale glielo impediva. Scalfari non fu mai sempre così indipendente, ma in quel caso si pose il problema di non poter parteggiare formalmente e insieme informare con l’autonomia necessaria. Le ampie cronache offerte da “La Stampa” dimostrano che il giornale si è limitato ad esaltare i partecipanti e a pubblicare gli elogi non proprio imparziali di Scalfarotto. Possibile che un giornalista avveduto come Giannini non si sia neppure posto il problema di chi non ha ritenuto di sfilare o dissente dalle sguaiataggini del Pride evidenziate in passato dallo stesso padre nobile del “Fuori”, Angelo Pezzana e anche da Gianni Vattimo?
Anche chi dissente e’ un lettore che può diventare ex lettore se vede che il concetto di un’informazione completa è disatteso. I giornali devono fare i giornali, le associazioni le associazioni. Potrei elencare le tante manifestazioni importanti svoltesi a Torino ed ignorate totalmente dal quotidiano.
Persino la Regione, che non ha dato il patrocinio al Pride, è stata oggetto di critiche, senza rispettare l’autonomia degli Enti. Anzi, ci sarebbe da porre un problema inverso: a quali manifestazioni va dato il patrocinio e quando un sindaco possa indossare la fascia tricolore. Che durante il corteo si siano viste esibizioni sguaiate e sentite volgari bestemmie contro la Madonna che io ho ascoltato con orrore con le mie orecchie, è un dato incontestabile.
Va bene, sia  chiaro, il diritto di tutti di manifestare liberamente, ma, di norma, la concessione di un patrocinio e la presenza di un sindaco in fascia tricolore sono condizionate dalla firma di certi impegni che nel suo vitalismo erompente,  direi quasi inconsciamente dannunziano, il Pride non ha rispettato e non sarebbe in grado di rispettare. Voglio ripubblicare una fotografia del sindaco Fassino che rivela quanto meno un disagio che fa molto onore a Piero.

La condanna ignorata di T r a v a g l i o

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni 

Il 5 giugno l’Agenzia Adnkronos ha battuto questa notizia: “Ho vinto la causa di diffamazione contro i giornalisti del” Fatto Quotidiano”, Marco Travaglio, Ilaria Proietti e Carlo Tecce”. Così la presidente del Senato, Elisabetta Casellati. “Questo il dispositivo della sentenza di condanna: ‘Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: accerta la responsabilità dei convenuti per il carattere diffamatorio, nei limiti e per le ragioni esposte , degli articoli del 17.11.2019 a firma Carlo Tecce, del 20.6.2020 a firma Ilaria Proietti, del 10.12.2019 a firma Marco Travaglio, nonché degli articoli dell’11.12.2019 e del 12.12.2019”. Ed ancora: “Per l’effetto condanna i convenuti in solido Società Editoriale Editrice il Fatto Spa, Marco Travaglio, Carlo Tecce (nei
limiti di euro 5.000,00) e Ilaria Proietti (nei limiti di euro 10.000,00) al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, a favore dell’attrice Maria Elisabetta Alberti Casellati di euro 25.000,00;
condanna Marco Travaglio, Carlo Tecce e Ilaria Proietti ex art. 12 .47/1978 al pagamento rispettivamente di euro 2.000,00 ciascuno Marco Travaglio e Ilaria Proietti e di euro 1.000,00 Carlo Tecce; ordina la pubblicazione delle sentenza per estratto a cura e spese dei convenuti
su Corriere della Sera, Il Mattino, il Gazzettino e il Fatto Quotidiano. Condanna altresì i convenuti in solido a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, che si liquidano in euro 940,90 per spese, euro 7.254,00 per onorari, oltre IVA, se dovuta, CPA e 15,00 % per rimborso spese generali”.
Ma questa notizia non è apparsa sulla grande stampa che ha  ignorato la condanna di Travaglio per la diffamazione alla seconda carica dello Stato Casellati che non si è limitata a smentire le accuse false, ma ha trascinato in tribunale  i suoi diffamatori. Oggi le querele vengono annunciate, ma non vengono date o vengono rimesse dopo una lettera di scuse o due righe di rettifica. La libertà di diffamare le persone non ha nulla a che vedere con la libertà di stampa. Esistono, non rispettati, anche  dei codici deontologici stabiliti dallo stesso Ordine dei Giornalisti. L’Ordine ha recentemente protestato contro una presunta restrizione della libertà di informare che sarebbe stata voluta dalla ministra della Giustizia e dalle Procure che hanno giustamente limitato l’accesso alle notizie che spesso sono delle vere e proprie fughe di notizie che violano il segreto istruttorio. La libertà di ledere la dignità delle persone, marchiandole a vita  spesso persino prima del rinvio a giudizio, è un fatto di barbarie che va stroncato. Ma il fatto che la stampa italiana nel suo complesso abbia ignorato o minimizzato la condanna di Travaglio e’ una forma di auto- censura che non rende credibile la corporazione dei giornalisti, spesso  interessati  soltanto a difendere privilegi impensabili in una libera democrazia .
Una persona specchiata come il presidente Casellati e’ stata costretta a ricorrere alla Magistratura per vedersi riconosciuti i  propri diritti. Ma le notizie false e ingiuriose che la riguardavano erano state urlate dal “Fatto“ e naturalmente riprese dagli altri giornali e da alcune trasmissioni televisive . Questo modo di “informare “ è chiaramente incostituzionale. In tempi recenti un giornale ha massacrato l’immagine intellettuale di Gianni Vattimo, ottantacinquenne , ammalato e non in grado di difendersi . Nessuno , forse salvo chi scrive, ha condannato questo abuso disumano della libertà di stampa. La Casellati ha indicato la strada da percorrere per affermare la verità contro la menzogna e l’odio politico. E la sentenza rivela anche  l’esistenza di magistrati seri e indipendenti rispetto a quelli che, disonorando la toga che indossano, fanno politica in modo sfacciato . Per nostra fortuna quei magistrati continuamente alla ribalta sono pochi, mentre la maggioranza dei giudici lavora in silenzio, restando nell’ombra e mantenendo fede al mandato e alla funzione loro affidata dalla Costituzione.

Gli Aosta

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Quaglieni

Non posso credere che la Real Casa di Savoia (sic) abbia fatto un necrologio per l’anniversario della scomparsa di Amedeo di Savoia -Aosta,  presentato come Duca di Savoia, senza riferimento alcuno al ramo di appartenenza, gli Aosta che hanno avuto un ruolo più che importante nella storia italiana tra Ottocento e Novecento. Cosa significa omettere il richiamo agli Aosta? L’intento nel necrologio è fin  troppo evidente: far passare la tesi che l’erede al trono fosse diventato il duca Amedeo,  per iniziativa di una presunta Consulta dei senatori del Regno creata da un ex preside della Provincia cuneese, in concorrenza con l’altra Consulta, l’unica legittima, voluta dal re Umberto II contro cui l’ex preside di Torre San Giorgio scrisse un articolo, dichiarandosi contrario all’eliminazione dell’esilio dalle norme transitorie della Costituzione, un testo che meriterebbe una ripubblicazione. Io ho troppo rispetto per i morti per aprire una polemica in questa circostanza, ma va detto che questa” usurpazione “di titoli almeno oggi appare di pessimo gusto. Al di là delle speculazioni politiche e alle ambizioni personali di alcuni, resta il fatto che il legittimo erede è il figlio del re Umberto II che nessuna congiura di un palazzo, tra l’altro, inesistente può cancellare. Una Consulta di Senatori (sic) che decide sulla successione e’ un’anomalia e un ossimoro repubblicano più che monarchico che può esistere solo nel guazzabuglio italiano di oggi, senza suscitare ilarità. Parlando dei nostalgici dei Borbone, Benedetto Croce, descrisse un mondo in decadenza fuori dai tempi. Molte espressioni di Croce si attaglierebbero a questi “ valdostani”.
Io sarò a Superga il 3 giugno su invito dell’Associazione internazionale Regina Elena e del Principe Sergio di Jugoslavia nipote di Umberto II a ricordare i Savoia sepolti a Superga, compreso il Duca d’Aosta morto un anno fa. Ma ricordero’ soprattutto a ottant’anni dalla morte in prigionia a Nairobi il Duca d’Aosta eroe dell’Amba Alagi, il principe che fu vice Re d’Etiopia e fu un asso dell’aviazione italiana, il principe guerriero che, come disse Carlo Delcroix, mori’ da santo come visse da eroe. Lui resta un grande e nobile esempio della storia italiana, un esempio di soldato fedele al giuramento prestato, che volle condividere con i suoi soldati una prigionia che lo ha portato alla morte a 44 anni.  A Lui tutti gli italiani dovrebbero guardare perché vedrebbero l’esempio di un dovere civile portato con fierezza e sacrificio oltre la morte come fu quello del re Umberto II che, per evitare una nuova guerra civile, il 13 giugno 1946 scelse la via dell’esilio che durò  crudelmente fino alla sua morte.

I filippini, nuovi veri torinesi

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Pier Franco Quaglieni

Si è svolta domenica pomeriggio un’imponente processione della Comunità Filippina di Torino per Maria Ausiliatrice e Don Bosco nella festa dell’Ascensione. Una grande lezione di civiltà di una comunità laboriosa e disciplinata che è davvero una risorsa per Torino, una città sempre più scristianizzata e profana (non laica, il che sarebbe tutt’altra cosa) che ha perduto i grandi valori espressi dai suoi Santi ottocenteschi, una Torino imbarbarita e violenta che stento a riconoscere, piena zeppa di spacciatori e di gentaglia, per usare un’espressione del mio amico Giovanni Ramella.

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Un’altra San Salvario civile, non quella del chiasso e della movida, ma della preghiera cristiana, parola dimenticata, non quella degli intellettualoidi che ci abitano contenti e orgogliosi di viverci. I Filippini sono i veri nuovi torinesi che aprono la loro  processione sventolando il tricolore italiano oltre alla loro bandiera. Nel degrado di San Salvario è stata un’eccezione splendida assistere dal mio balcone allo snodarsi ordinato  della processione destinata a concludersi nella parrocchia di San Pietro e Paolo dove i Salesiani sono diventati protagonisti silenziosi di una rinascita cristiana dopo anni di preminenza arrogante di varie immigrazioni, destinate a non integrarsi mai nel tessuto della città ma ,al contrario, ad essere fonte di continui problemi di ordine pubblico e non solo.
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Se non ho visto male, nessuna autorità presente, neppure del Quartiere. Loro preferiscono attendere il Gay Pride per essere presenti in prima fila. Ma il cuore vero di Torino e’ con i filippini che ricordano ciò che molti torinesi hanno dimenticato, facendo prevalere i propri interessi materiali e, in molti casi, il loro cinismo, proprio di una città senza valori, nichilista, godereccia, in una parola, alla deriva, che si entusiasma per un film girato a Torino che apparirà ambientato a Roma. Giusta nemesi per una città che ha smarrito le sue radici storiche e non ha più da tempo una classe dirigente degna di questo nome.