Quando la politica è solo tatticismo ed opportunismo
LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo
Che il “campo largo” o “Fronte popolare” non sia attualmente una coalizione politica o di governo lo sappiamo quasi tutti. Si tratta, infatti, di un semplice e banale pallottoliere nato per distruggere un nemico che, non a caso, cambia i suoi confini a seconda del tatticismo, del trasformismo e dell’opportunismo politico dei rispettivi capi partito. Su questo versante lo spettacolo indecoroso offerto in questi giorni dal capo del partito personale di Italia Viva Matteo Renzi e da quello dei 5 stelle, Giuseppe Conte, rappresenta il peggio di quello che dovrebbe essere la politica. Ovvero, coerenza, contenuti, coraggio, lungimiranza e, soprattutto, serietà politica e credibilità morale. Elementi che dovrebbero caratterizzare anche la dirittura di una classe dirigente degna di questo nome. Tutte categorie che, invece, sono state sacrificate sull’altare della convenienza e del mero opportunismo in un contesto dove il più spietato tatticismo ha il sopravvento rispetto a qualsiasi altra considerazione.
Al riguardo, è appena sufficiente registrare, e senza commentare, le svariate dichiarazioni del capo di Italia Viva e di quello dei 5 stelle – che sono semplicemente speculari – e anche dell’altro capo del partito personale, cioè Azione, per rendersi conto che non ci troviamo di fronte ad un confronto politico, culturale e programmatico. Ma, molto più banalmente, ad un permanente malcostume che è alternativo alla politica perchè si basa solo ed esclusivamente su scelte di potere e di momentanea convenienza personale e delle piccole consorterie che affiancano e supportano il capo indiscusso ed indiscutibile. E quindi, insulti, attacchi personali, accuse di affarismo, contumelie di ogni genere e via elencando. Per non parlare dei pochi accenni politici dove, è persin inutile ricordarlo, vengono sottolineati e richiamati dai rispettivi capi partito solo per evidenziare la radicale e strutturale alternatività degli uni verso gli altri.
Ora, e per fermarsi al “caso ligure”, è indubbio che non può essere quella la strada – ed è solo un eufemismo ricordarlo – per ridare credibilità alla politica, autorevolezza alle classi dirigenti ed efficacia alle stesse istituzioni democratiche. E, senza perdere tempo a commentare il profilo, la natura e la prospettiva politica del cosiddetto “campo largo”, forse è anche arrivato il momento per invertire decisamente la rotta rispetto a questa prassi decadente. Perchè, appunto, meramente opportunistica e trasformistica. Forse adesso, come ci ricordava tanti anni fa lo storico cattolico Pietro Scoppola, prima della “cultura del progetto” – seppur indispensabile e sempre decisiva – va nuovamente inverata e realmente praticata una vera, efficace e credibile “cultura del comportamento”. E questo prima che la politica riprecipiti in una crisi irreversibile alimentando ed incrementando un nuovo ed ulteriore astensionismo elettorale.
Giorgio Merlo
Presentata una proposta di legge in Consiglio Regionale per istituire il 17 febbraio la giornata della libertà di coscienza, di religione e di pensiero, in memoria della cittadinanza riconosciuta a valdesi ed ebrei nel 1848.
6.10.2024 – Il nostro territorio nel 1848 fu apripista del dialogo interreligioso e del riconoscimento dei diritti civili alle minoranze religiose. Il 17 febbraio 1848, infatti, Carlo Alberto firmò le Regie Lettere Patenti, che ponevano fine a secoli di discriminazione e riconoscevano ai cittadini sabaudi di religione valdese i diritti civili, non ancora di quelli religiosi, i diritti politici e il diritto a frequentare gli istituti scolastici. Il 29 marzo dello stesso anno il Regno di Sardegna avrebbe emancipato anche gli ebrei piemontesi, che divennero finalmente cittadini.
Ho, pertanto, depositato in Consiglio regionale una proposta di legge per l’istituzione il 17 febbraio della “giornata della libertà di coscienza, di religione e di pensiero”, in memoria della cittadinanza riconosciuta a valdesi ed ebrei nel 1848.
La libertà religiosa e l’uguaglianza dei cittadini a prescindere dal credo professato è una conquista pionieristica piemontese che dalle Lettere Patenti del 1848 è giunta, dopo la regressione del ventennio fascista e l’infamia delle leggi razziali, sino alla Costituzione italiana del dopoguerra e permane come impegno attuale.
In un’Italia in cui le identità religiose e culturali cambiano e si moltiplicano, ritengo fondamentale sottolineare il principio dell’eguale libertà delle confessioni religiose e il carattere di laicità delle istituzioni pubbliche, che costituisce la migliore garanzia per un pieno sviluppo e rispetto reciproco delle fedi e dei cittadini, consapevole che la libertà di coscienza, di religione e di pensiero, garantita dalla Costituzione, è termometro di ogni altra libertà e concorre al rafforzamento della democrazia.
Ricordare le conquiste giuridiche della storia del nostro Piemonte può contribuire a far crescere la sensibilità verso quei Paesi del mondo in cui la libertà religiosa è ancora negata e verso quelle fedi religiose che in Italia attendono tutt’ora un riconoscimento. Può anche essere un antidoto a rigurgiti antisemiti e un monito a difendere la moderna distinzione tra politica e religione, tra sfera temporale e sfera spirituale.
Monica CANALIS – consigliera regionale PD
Il Presidente del Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte Domenico RAVETTI apre un dibattito sull’opportunità di far diventare il Museo della Resistenza di Torino un museo per tutto il Piemonte, con un ruolo di regia e di coordinamento dei tanti luoghi della Memoria.
«Nei mesi scorsi a Camagna Monferrato è stato inaugurato il Museo della Resistenza del Basso Monferrato, una realtà importante per il territorio alessandrino, che si aggiunge al centro di documentazione della Benedicta e al Museo della Resistenza della Val Borbera a Rocchetta Ligure. Se prendiamo in mano la cartina del Piemonte vediamo un numero impressionante di “musei” (o affini) dedicati alla lotta resistenziale. Accanto ai più noti come il Colle del Lys e la borgata Paraloup, ecco il Museo della Resistenza di Boves e i “I sentieri della memoria” di Chiusa di Pesio, il Memo4345 di Borgo San Dalmazzo e il Memorial di Cumiana, gli ecomusei della Val Sangone e di Alpette, la Casa della memoria di Vinchio e l’aeroporto di Vesime, la Casa del Partigiano di Ornavasso, le Person dij Partigian di San Maurizio Canavese…e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Questa quantità di “luoghi della memoria” non stupisce, perché non c’è zolla del nostro Piemonte che non sia stata bagnata dal sangue resistente e non abbia visto scrivere durante i venti mesi della lotta di Liberazione pagine di dolore e di coraggio. In un’epoca in cui assistiamo ad un preoccupante analfabetismo sulla Storia contemporanea, quando non ad una falsificazione della medesima, mentre ci stanno lasciando i testimoni diretti della Shoah e della Resistenza, non possiamo permetterci di andare in ordine sparso e si pone la necessità di evitare che questi “luoghi” si riducano ad essere teatri di commemorazioni ufficiali sempre meno partecipate. Giustamente molto si è discusso sul Museo Diffuso della Resistenza di Torino (Resistenza, ma anche-non dimentichiamolo-deportazione, guerra, diritti e libertà), soffermandosi sui temi della “governance” e della sostenibilità economica. Aspetti certamente fondamentali ma ora si pone la necessità di meglio ragionare sulla mission. Avvicinandosi le celebrazioni degli 80 anni della Liberazione (e poi della Repubblica e, infine, della Costituzione) vorrei aprire una riflessione pubblica sull’ opportunità di far diventare quello di Torino un museo per tutto il Piemonte, venendo così a svolgere un ruolo di regia e di coordinamento dei tanti luoghi della Memoria piemontesi che, pur con le corrette e condivise autonomie dei protagonisti locali, potrebbero così essere potenziati dal punto di vista culturale e turistico, trovando anche il modo per meglio conservare e valorizzare archivi e raccolte private che in taluni casi rischiano di andare disperse. Abbinando la sua anima multimediale e immateriale, con tutte le potenzialità offerte delle nuove tecnologie indispensabili per coinvolgere le generazioni più giovani, con un’anima materiale, che è quella che troviamo nei vari musei, case della Resistenza, memoriali e sacrali. Come Comitato Resistenza e Costituzione nella scorsa legislatura abbiamo fatto bene a promuovere una “rete tematica regionale” per potenziare la ricerca storica e le attività culturali e costruire progettualità comuni, ma ritengo che, almeno sul piano dell’analisi, si debba partire da quella proposta per tentare di andare oltre, e provare a pensare al Museo Diffuso di Torino come un Museo del Piemonte, perno di una rete che deve avere come “nodi” gli istituti storici ma anche Provincie e Comuni nella veste di responsabili e custodi della memoria.
Una riflessione che rivolgo apertamente e con spirito costruttivo alla nuova assessora regionale Marina Chiarelli, al Comune di Torino, al presidente Daniele Jalla e a tutti i protagonisti del Comitato Resistenza e Costituzione».
Domenico RAVETTI
Vicepresidente Consiglio regionale del Piemonte
Presidente del Comitato Resistenza e Costituzione della Regione Piemonte
La Maggioranza non ha il numero legale: ennesima mancanza di rispetto verso i lavori della Commissione Urbanistica.
L’accattonaggio con i cani. Problema irrisolto
Continua il business della mendica con i cani, interviene la consigliera regionale Laura Pompeo.
Cani immobili, quasi svenuti, tenuti ore e ore per la strada in compagnia dei mendicanti.
E’ uno scenario che non si riesce a cambiare, ognuno di noi ha fatto segnalazioni, ha protestato per come venivano tenuti i cani, ma il problema non e’ stato ancora risolto.
Nel febbraio scorso, grazie ad una operazione dei Vigili Urbani, e’ stata sgominata una banda di 20 rumeni che gestiva i mendicanti e i malcapitati cani, maltrattati ed esausti. Il giro di affari scoperto era di circa 1000 euro a settimana per ogni questuante che “lavorava” per 15 giorni per poi ripartire per la Romania insieme al “suo” animale; nel frattempo arrivavano, dallo stesso paese, altri gruppi di persone con cani di piccola taglia per continuare la stessa pratica redditizia negli angoli delle strade torinesi. Certamente e’ iniziata una lotta concreta a questo fenomeno incivile che sfrutta e umilia gli animali, ma non basta perche’ questi tenaci “imprenditori” si riorganizzano in breve tempo.
E’ necessario cambiare quei regolamenti che permettono ancora di poter accattonare con gli animali, sono troppo pieno di attenuanti, di tratti interpretativi che lasciano troppa liberta’ di movimento e poco spazio per intervenire. Il problema e’, tuttavia, anche un altro e cioe’ che per strada, purtroppo, ci sono anche coloro che hanno perso tutto e per i quali l’animale diventa l’unico membro di famiglia, il compagno di vita, il solo rapporto affettivo. I cani di questi sfortunati senzatetto differiscono nel loro stato da quelli utilizzati per l’accattonaggio scellerato: sono curati, vigili e accuditi. In una ipotesi di una nuova o modificata norma, e’ necessario affrontare il problema tenendo conto delle motivazioni per cui si finisce per strada e lo stato dell’animale.
Laura Pompeo, neo consigliera regionale del Pd e’ intervenuta sulla relazione del Garante per i diritti degli animali, Paolo Guiso, durante l’ultimo consiglio tenutosi il primo ottobre . “Ho segnalato il fenomeno dell’accattonaggio che nelle nostre citta’ sfrutta gli animali, in particolare i cani”. Questa pratica deve essere considerata reato. Occorre togliere i cani che vengono sfruttati, come quelli in mano al racket dell’est Europa, o quelli gestiti da persone che non hanno le caratteristiche per potersene occupare”. La Pompeo ha sottolineato anche che sono molti i casi in cui i cani finiscono in strada insieme ai loro sfortunati padroni per mancanza di mezzi economici, in questo caso serve una attenzione diversa e una maggiore tutela orientata al supporto.
MARIA LA BARBERA
Ravello (Fdi): Su Israele la sinistra va in frantumi
“C’è da chiedersi se esista, poltrone a parte, un collante in grado di tenere insieme la maggioranza in Comune: non c’è tema che, ormai, non risulti divisivo. Oggi è una partita di calcio, peraltro assegnata dalla storia a Udine, ma non c’è un singolo passaggio che non veda la sinistra torinese andare in frantumi. Dal Meisino alle grandi opere, dalla sicurezza ai grandi eventi, ogni singolo esponente dell’amministrazione Lo Russo procede in ordine sparso”. Ad affermarlo Roberto Ravello, vice-Capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione Piemonte.
“Screzi politici a parte – continua Ravello – il dramma è che a farne le spese è proprio Torino, ostaggio di un tira e molla ignominioso che, giocoforza, sfocia nell’immobilismo decisionale. I dem e la sinistra torinese trascinano la città verso le sabbie mobili dell’inerzia, una condizione potenzialmente esiziale per un territorio che ha davanti a sé sfide epocali”.