politica- Pagina 42

Pride: in Palestina un dramma. Ma non si dimentichi il terrore di Hamas

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Un’immensa bandiera palestinese ha aperto il corteo torinese  del Pride di ieri. Ciascuno sfila come  ritiene e con chi  vuole, in assoluta libertà. Il diritto di sfilare pacificamente è un diritto costituzionale intangibile. E’ certo però che quella bandiera cozza in modo vistoso con  Angelo Pezzana, fondatore del Fuori e anima dell’Associazione Italia- Israele. Pezzana è il teorico vivente  dell’orgoglio omosessuale manifestato in tempi in cui dichiararsi gay era difficilissimo. Sanno quelli del Pride che la Palestina è stata alleata di Hitler e soprattutto sanno come vengono trattati i gay nella striscia di Gaza? Il primo Pride  della storia fu promosso in Israele. E’ stato scritto che c’è “gente che si comporta alla stregua delle mucche che si recano da McDonald ‘s per uno spuntino” . Un’osservazione non priva di fondamento. Sono il primo a capire il dramma che vivono i civili palestinesi, ma non posso dimenticare che Hamas è un’organizzazione terroristica sanguinaria. Sul “Foglio”, giornale che non ho mai amato, è  stato dimostrato che Torino è  storicamente la capitale dell’antisemitismo  e del fanatismo politico. Bobbio definì l’antisemitismo  una forma di nazismo, una affermazione che anche il signor Rossi avrebbe potuto formulare senza difficoltà. Oggi quella frase di Bobbio non è così scontata. Che tristezza.

Referendum, alle 12 affluenza 9,61% a Torino

L’Ufficio Elettorale ha comunicato le affluenze degli elettori alle ore 12 per i cinque quesiti referendari:

Quesito numero 1: 9,61%

«Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione» – (Scheda di colore verde chiaro)

Quesito numero 2: 9,61%

«Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale» – (Scheda di colore arancione)

Quesito numero 3: 9,61%

«Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi» – (Scheda di colore grigia)

Quesito numero 4: 9,61%

«Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione» – (Scheda di colore rosso rubino)

Quesito numero 5: 9,62%

«Cittadinanza italiana: dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana» – (Scheda di colore gialla)

La precedente tornata elettorale di referendum (2022) si è svolta in una sola giornata e pertanto non è possibile fare un raffronto a livello di affluenze.

La prossima rilevazione delle affluenze è in programma alle ore 19.

TORINO CLICK

Terzo Mandato, O. Napoli: “Se vale per le Regioni, ok anche per i Comuni”

Il commento di Osvaldo Napoli, della segreteria nazionale di Azione e vice presidente ANCI:
Se il governo Meloni, nella sua ennesima inversione a U, ritiene di sbloccare il vincolo dei mandati per i presidenti di Regione, farà bene a considerare che quel limite va abolito anche per i sindaci. Non si possono tollerare istituti giuridici diversi fra le istituzioni locali, siano esse titolari di potere amministrativo o esecutivo. I sindaci non sono figli di un “dio minore” e l’idea di cambiare la veste giuridica di un’istituzione a seconda delle convenienze politiche denota una logica proprietaria o comunque opaca del potere politico. I sindaci sono i rappresentanti dello Stato più vicini ai cittadini e meritano di essere trattati con lo stesso riguardo che si deve ai presidenti di Regione.

Difendere la libertà d’espressione nello spazio digitale: richiesta di trasparenza a Meta

In qualità di cittadini, giornalisti, studiosi e utenti attivi dello spazio pubblico digitale, vogliamo esprimere preoccupazione per una tendenza sempre più evidente e pericolosa: la cancellazione selettiva di contenuti e profili da parte delle grandi piattaforme social, senza trasparenza né possibilità di appello effettivo.
Il caso recente dell’espulsione permanente del giornalista Giustino Mariano, corrispondente da quindici anni per Radio Radicale e collaboratore di testate quali Il Riformista, Il Foglio e Huffington Post, rappresenta un esempio emblematico. I suoi profili Facebook e Instagram sono stati rimossi in maniera definitiva dopo la pubblicazione di corrispondenze documentate su gravi violazioni dei diritti umani in Turchia, Iran e Gaza.
Non si tratta purtroppo di un caso isolato e colpisce sempre più spesso pagine e profili di utenti esposti a sostegno di Israele, della Democrazia e della Libertà.
Si verificano:
 • Shadow ban, cioè riduzione invisibile della visibilità dei contenuti;
 • Limitazioni arbitrarie alla diffusione dei post;
 • Cancellazioni improvvise di interi profili, anche giornalistici o culturali;
 • Mancanza di motivazioni chiare e impossibilità di conoscere quali regole si sarebbero violate;
 • Assenza di un reale contraddittorio, né vie d’appello indipendenti.
Tutto ciò avviene senza trasparenza procedurale e in uno spazio comunicativo che, pur essendo formalmente privato, ha assunto un ruolo sistemico nell’informazione globale, comparabile a quello di un’infrastruttura pubblica.
Chiediamo pertanto a Meta (Facebook e Instagram):
 1. Di fornire spiegazioni trasparenti e dettagliate per ogni provvedimento restrittivo o sospensivo adottato, soprattutto nei confronti di professionisti dell’informazione.
 2. Di rendere pubblici i criteri degli algoritmi di moderazione nei casi di limitazione o oscuramento dei contenuti.
 3. Di introdurre strumenti reali di contraddittorio, con possibilità di difesa e revisione da parte di organismi indipendenti.
 4. Di garantire la tutela del pluralismo e della libertà di stampa, in conformità ai principi costituzionali e agli obblighi del Digital Services Act dell’Unione Europea.
A istituzioni italiane ed europee, chiediamo di:
 • Vigilare attivamente sull’applicazione delle norme europee in materia di trasparenza, accountability e tutela dei diritti fondamentali nei servizi digitali;
 • Sostenere le voci giornalistiche e civiche che subiscono esclusioni arbitrarie, specialmente in contesti di documentazione su crisi internazionali o violazioni dei diritti umani;
 • Promuovere l’adozione di strumenti di garanzia procedurale, affinché nessuna piattaforma possa esercitare un potere censorio non contestabile su scala globale.
La libertà d’espressione non è negoziabile. La trasparenza delle decisioni che riguardano il diritto di informare e di essere informati deve essere una priorità democratica, anche — e soprattutto — nel mondo digitale.
Italia Liberale e Popolare 
Direttivo Nazionale

Referendum: votare sì, no o non votare

Andare a votare al referendum: una scelta consapevole
Perché votare SÌ
Chi sceglie il SÌ vuole cambiare lo stato attuale delle cose. Ritiene che la proposta del referendum rappresenti un miglioramento, una risposta concreta a un problema o un’opportunità di riforma.
Perché votare NO
Chi vota NO desidera mantenere la situazione attuale o non è d’accordo con i cambiamenti proposti. Votare no è comunque una forma attiva di partecipazione e una presa di posizione chiara.
Rispettare ogni scelta, anche chi sceglie di non votare
La democrazia si fonda sul diritto di scelta. Anche non recarsi alle urne può essere una forma di espressione politica, una scelta consapevole che merita rispetto.
Non votare può voler dire:
Rifiutare il quesito o il contesto in cui è proposto
Esprimere sfiducia nel sistema
Affermazione del diritto all’astensione
L’importante è informarsi, riflettere e rispettare.
Che si scelga di votare SÌ, NO o di non votare, è fondamentale riconoscere la legittimità di ogni decisione. La democrazia si rafforza con il confronto civile e con il rispetto reciproco.

Enzo Grassano

Pride, Ricca (Lega): “Mai nessun sostegno dalla Regione a manifestazioni che danno spazio all’antisemitismo”

“Manifestare per i diritti civili è sacrosanto, ma usare certi eventi per dare spazio ad antagonisti pro Pal il cui principale credo è l’antisemitismo non è accettabile e non troverà mai il sostegno della Regione. Mi auguro che il Pride che si terrà domani pomeriggio a Torino non si trasformi nell’ennesima occasione per mettere a ferro e fuoco la città e per creare scontri e divisioni che poco hanno a che fare con i diritti della comunità Lgbtqi+. Sarebbe assurdo cedere il palcoscenico a chi legittima Hamas e un regime terroristico che, tra gli altri, azzera proprio i diritti degli omosessuali in Medioriente”. Così Fabrizio Ricca, capogruppo Lega in Piemonte.

Droni ucraini in Russia

Con l’affascinante nome OPERAZIONE RAGNATELA (SPIDER WEB), domenica 1mo giugno 2025 – come ormai noto – ben 117 droni (suddivisi in più mezzi ruotati) sono stati lanciati dalle Forze Armate ucraine verso quattro basi aeree russe distanti migliaia di chilometri dai confini che separano i due Paesi (una quinta è ufficialmente fallita per problemi non certi ma condivisi dai due schieramenti).

Le basi citate sono nelle regioni di Murmansk, Irkutsk, Ivanono, Ryazan e Amur ma sembra ormai quasi certo che solo due abbiano subito danni veramente gravi.

Una è la base di Murmansk, remoto nord ovest russo accanto la Finlandia e l’altra si trova nella Siberia centrale a più di 8000 chilometri da Mosca, vicino alla Mongolia settentrionale.

Prime notizie davano per distrutti ben 41 fra bombardieri strategici e caccia-bombardieri. I numeri poi si sono modificati nel giro di qualche ora. Nella consueta guerra dell’informazione i dati sono spesso imprecisi ma in caso di una trentina di mezzi distrutti – o temporaneamente inutilizzabili – un terzo della flotta aerea ex sovietica sarebbe ora fuori combattimento.

A raccontarlo in poche righe, si potrebbe considerare un’operazione semplice per i tempi super-tecnologici che viviamo da tempo: camion con cassoni modificati per una doppia soffittatura scoperchiabile, carichi di piccoli droni ad elica caricati con esplosivo ad alto potenziale sono stati fatti partire da breve distanza dagli obiettivi, le cui difese non hanno più potuto opporre valide difese.

Questa semplicità è solo di facciata… come ogni militare un minimo esperto sa, fatto noto è che le gli attacchi via aria a strutture aeroportuali arrivano da lontano.

Per questo ogni difesa di perimetro si basa precipuamente su missili guidati da radar. In aggiunta, ogni base aerea oppone a ipotetici attacchi di fanteria pattuglie di terra, per intercettare potenziali aggressori di fanteria.

L’attacco ucraino con mezzi ruotati civili fatti avvicinare agli obiettivi, con piccoli droni guidati da remoto, ha invece saputo andare oltre gli schemi tradizionali.

Si è trattato di un’operazione estremamente complessa e durata un anno e mezzo, che ha coinvolto servizi segreti ucraini, aiuti ‘esterni’, certamente basi di appoggio spionistico sul territorio, molta capacità tattica e, nel complesso, un capitale umano di altissimo livello.

Anche da considerare che, in quanto guerra ANCHE civile, non è difficile ipotizzare che ci siano russi di origine ucraina disposti a collaborare per Kiev (come per Mosca contare su fiancheggiatori di origine russa ma residenti da generazioni in zone ‘ora nemiche’).

In ogni caso il presidente Volodymir Zelensky ha commentato l’operazione come “brillante successo raggiunto in 18 mesi dall’inizio della sua pianificazione”.

Quante vittime e quali i danni?

Senza entrare in speculazioni partigiane per questa o l’altra parte, il dato delle vittime russe sembra si aggiri attorno numeri di 12/15 vittime e TUTTE militari (a differenza dei macelli causati ‘sul terreno’ dalla controparte russa, responsabile di vittime civili ucraine vicine all’abnorme numero di 14/15.000 persone).

I costi economici: nonostante che una parte tenda ad esagerare i danni inflitti al nemico e l’altra a diminuirli, un dato probabilmente veritiero (fonti Difesa USA) sarebbe di 7 miliardi di dollari, con la distruzione del 34% dei vettori strategici della Federazione, non poco anche per una grande nazione come quella russa.

Nel complesso, fra mezzi distrutti e danneggiati, più o meno seriamente sono 5 bombardieri strategici Tupolev Tu-95MS (aereo simile ai B-52 americani ma  ancora equipaggiato da motori a turboelica), due Tu-22M3 e un aereo da trasporto militare Antonov An-12 (altre fonti riferiscono anche di uno o più aerei radar A-50).

Come noto, dal 2022 è iniziata una guerra di invasione di logoramento, certamente devastante per la nazione invasa, ma che si sta rivelando molto onerosa in tutti sensi anche per la controparte di Mosca.

Fatto evidente è che per la Russia, l’attacco del 1mo giugno rappresenta un danno militare e reputazionale di qualche portata, ma più simbolica che operativa, che non impedirà un prosieguo di successi militari in quasi tutte le regioni ucraine toccate da questa guerra. Il riferimento alle conquiste di Donetsk, Kharkiv e Sumy pare inequivocabile.

Cosa colpisce piuttosto è la non casuale coincidenza con i colloqui di pace di Istambul, fissati per il giorno dopo l’attacco.

Se cerchi la pace, non certo idea vincente è inasprire la guerra. Alternativamente, Kiev potrebbe anche aver cercato di dimostrare a Mosca che la partita non è finita e tante frecce sono ancora nella faretra ucraina.

Girano voci ai vertici NATO del possibile desiderio di voler prolungare lo scontro da parte ucraina, sperando di riprendere territori ora in mano nemiche.

La Storia fissa i fatti, ma quando questa si sta scrivendo, tante sono le variabili, le menzogne, i tranelli all’Informazione.

Gli Stati Uniti hanno subito preso le distanze dall’operazione, ma sembra provata una forma di aiuto satellitare e di Intelligence da parte della Gran Bretagna.

In quel caso, si potrebbero ipotizzare ulteriori differenti logiche di intervento sul dramma ucraino da parte americana, rispetto a quella britannica, non più nazione UE, ma pur sempre europea.

La situazione di teatro continua a dimostrarsi mobile, molto incerta per tutti gli stakeholders coinvolti, Italia compresa.

Quando tuona il cannone, il domani potrebbe rilevarsi diverso, addirittura opposto all’oggi.

Ferruccio Capra Quarelli

Giornata Mondiale dell’Ambiente, Bartoli (Presidente V Commissione) “La tutela ambientale non è un’opzione”

“E’una responsabilità politica e morale”

“In occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente – ha dichiarato Sergio Bartoli, Presidente della V Commissione Ambiente del Consiglio Regionale del Piemonte – sento il dovere di ribadire con forza un principio fondamentale: la tutela dell’ambiente non è un’opzione, ma una priorità politica, sociale e morale.”

“In Piemonte siamo impegnati ogni giorno – prosegue Bartoli – nella costruzione di un futuro che metta ambiente, salute e sviluppo sullo stesso piano, consapevoli che non può esserci progresso se non è sostenibile. Ogni scelta che compiamo, a livello istituzionale e personale, può contribuire a proteggere il nostro territorio, preservarne le risorse e migliorarne la vivibilità per le generazioni future.”

“Questa giornata – conclude – non è solo una celebrazione simbolica, ma un richiamo alla responsabilità collettiva. L’ambiente non ha voce. Tocca a noi alzarla, con coraggio, visione e azioni concrete.”

La Giornata Mondiale dell’Ambiente, istituita dalle Nazioni Unite nel 1972, è riconosciuta come uno dei principali strumenti di sensibilizzazione globale sulle tematiche ambientali. In tutto il mondo, governi, istituzioni e cittadini si mobilitano per rinnovare il proprio impegno nella difesa dell’ecosistema e nella promozione di uno sviluppo realmente sostenibile.

Bagarre in aula per Sergio Ramelli

Scoppia la polemica di Fratelli d’Italia in Circoscrizione 4 dopo la bocciatura della proposta per l’intitolazione di una via a Sergio Ramelli. In aula esposto uno striscione con la scritta “Sergio Ramelli vive”

Torino, 4 giugno 2025 – Scoppia la polemica dopo il respingimento, da parte del Consiglio della Circoscrizione 4, a maggioranza di sinistra, del documento presentato dal gruppo consiliare di Fratelli d’Italia che chiedeva l’intitolazione di una via, piazza o area pubblica a Sergio Ramelli, nel cinquantesimo anniversario della sua tragica scomparsa.

Sergio Ramelli, giovane studente milanese e militante del Fronte della Gioventù, è stato vittima negli anni di piombo di un’aggressione politica che lo ha portato alla morte a soli 18 anni. La proposta dei consiglieri di Fratelli d’Italia, Raffaele Marascio e Luca Maggia, aveva l’obiettivo di ricordare questo tragico evento come monito contro ogni forma di violenza ideologica e intolleranza.

Durante la seduta, in segno di protesta per la bocciatura del documento, il gruppo di Fratelli d’Italia ha esposto in aula uno striscione con la scritta “Sergio Ramelli vive”, per sottolineare come la memoria non possa essere cancellata da un voto.

“Respingere questa proposta significa ignorare una lezione importante che la storia ci ha lasciato. Sergio Ramelli è una vittima dell’odio politico, una tragedia che ancora oggi ci deve insegnare quanto sia pericoloso lasciar crescere tensioni e intolleranze. Onorare la sua memoria non è solo un gesto simbolico, ma un dovere civile che serve a contrastare ogni forma di violenza ideologica, soprattutto in un momento in cui purtroppo assistiamo a un clima crescente di odio politico.” – dichiarano Raffaele Marascio e Luca Maggia

“Il voto contrario della maggioranza di sinistra dimostra che il clima di divisione ideologica non è affatto superato. Noi continuiamo a credere nella necessità di una memoria condivisa, che riconosca tutte le vittime della violenza politica senza distinzioni di parte. ‘Sergio Ramelli vive’ è più di uno striscione, è un richiamo forte a non lasciar cadere nel silenzio queste vicende, e a lavorare per una vera pacificazione.” – concludono.

Raffaele Marascio – Capogruppo Fratelli d’Italia Circoscrizione 4