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Tavolo ex Embraco, Costanzo (M5S): “Un buon inizio”

Questa mattina, in Prefettura a Torino, si è tenuto il primo tavolo tra la Sottosegretaria al Mise Todde, la Sindaca di Torino Appendino, il vescovo Nosiglia e il neo-commissario straordinario dell’Acc Wanbao Maurizio Castro.

All’illustrazione del piano di rilancio del sito di Riva Presso Chieri, messo a punto da Governo e Invitalia, ha partecipato anche la deputata piemontese Jessica Costanzo (M5S), da sempre attenta agli sviluppi della vertenza.
“Questo incontro – commenta Costanzo – è sicuramente un buon inizio. Il Governo dimostra il suo impegno serio, dopo aver lavorato a testa bassa senza annunci e attirandosi a volte per questo le critiche di lavoratori e sindacati.
Il Fondo per la gestione della crisi d’impresa introdotto dal Decreto Rilancio con i 100 milioni di euro stanziati – afferma Costanzo – inizia infatti a dare i suoi frutti, oggi visibili concretamente con il nuovo progetto di creazione del polo nazionale per la produzione di compressori per frigoriferi in cui confluiranno l’ex Embraco e l’ex Acc di Mel, in crisi dopo l’uscita del gruppo cinese Wanbao.  L’obiettivo – continua Costanzo – è quello di strutturare finalmente un vero piano industriale, ciò che era sempre mancato nelle infelici gestioni precedenti. Ho apprezzato molto l’atteggiamento del dottor Castro, nominato commissario straordinario, che ha evitato di sbilanciarsi con numeri e proclami e ha riconosciuto il grande lavoro della sottosegretaria Todde, affermando di non aver mai trovato, in quarant’anni di carriera, qualcuno di esigente e pragmatico come lei.
“Questo progetto – prosegue Costanzo – parte dalla consapevolezza che la specializzazione è la chiave del successo dell’operazione e che d’ora in avanti si eviterà in ogni modo la competizione tra siti. Il cambio di paradigma molto apprezzabile: integrazione sarà la parola chiave, poiché si è visto che negli anni pregressi mettere uno contro l’altro siti che si occupano di produzione dei medesimi beni non ha portato a nulla di buono. La diversificazione è importante: occorre puntare sul know-how e sulle competenze dei lavoratori che dovranno comunque essere riaggiornate dopo lo stop di ben quattro anni per le note vicende.
Salvare l’ex-Embraco – conclude Costanzo – è da sempre obiettivo del governo. Ora, per rispetto di tutti i lavoratori e delle loro storie, occorre mettere da parte ogni trionfalismo e concentrarsi finalmente su una seria politica industriale”.

Tra le pieghe e le piaghe del COVID-19

Il Movimento per la vita di Torino annuncia la presentazione dell’ultimo libro scritto dal giornalista e direttore del quotidiano “La Croce” Mario Adinolfi.

Riceviamo e pubblichiamo / Il libro “Il Grido dei penultimi” verrà presentato dal prof. Valter Boero, presidente del Movimento per la vita di Torino (ore 18 del 16 settembre presso l’Istituto Internazionale Don Bosco in Torino, via Caboto 27) porta lo sguardo su una realtà volutamente nascosta dalle necessità di audience dei media. Non solo, con lo sguardo sui “penultimi”, sarà possibile riflettere sulla nostra vita personale e guadagnare una prospettiva nuova sulla realtà che ci circonda.

C’è una realtà taciuta a cui Mario Adinolfi, ha dato voce raccogliendo toccanti testimonianze.

Emerge da queste testimonianze, la fragilità di tante famiglie e soprattutto la necessità di puntare sul rafforzamento di questa struttura; unica capace di resistere alla forza distruttiva delle avversità naturali e di quelle antropiche.

L’appuntamento è per il 16 settembre 2020, presso l’Istituto Internazionale don Bosco, via Caboto 27 alle ore 18:00.

Munirsi di mascherina e prenotare il posto (info@vitatorino.org) per le solite ragioni di sicurezza COVID.

Ruffino (Fi): “Le preferenze danno valore al voto di genere”

Commenta l’on. Daniela Ruffino, deputata di Forza Italia:

Il ritorno al proporzionale, da me auspicato come tanti elettori, segna il ritorno alla politica fatta di dialogo, di confronto e di alleanze, tutte qualità troppo sbrigativamente negli ultimi anni liquidate come “inciucio”. Un’accusa tanto ipocrita ma anche molto utile alle forze radicali per mettere all’angolo i partiti moderati, riformisti e liberali. Con il proporzionale, ovviamente, è decisivo il ritorno alle preferenze, perché solo in questo modo si restituisce all’elettore il potere di scegliere i propri rappresentanti. E le preferenze, con l’obbligo del “voto di genere“ per riconoscere spazi alle donne, sono il sale della democrazia rappresentativa basata sul meccanismo proporzionale.

Con l’attuale formula dei “listini bloccati”, come accade in tutte le elezioni, dai Comuni al Parlamento, si è consolidato il potere oligarchico dei partiti e nei partiti. Qualcuno ricorda le battaglie di un passato anche recente per dare piena attuazione agli artt. 48 e 49 della Costituzione sulla natura dei partiti politici? Finito tutto a tarallucci e vino. I partiti sono stati svuotati dalle forme più incredibili di leaderismo, con le conseguenze che tutti vediamo sulla qualità della rappresentanza politica. Il cursus honorum della troppo vituperata Prima Repubblica aveva se non altro il pregio di portare in Parlamento un personale politico già rodato nei Comuni o nelle Regioni e quindi non digiuno di politica amministrativa. Ora si deve avere il coraggio di riequilibrare la rappresentanza attraverso l’obbligo delle preferenze di genere, unica via, al momento, per superare una discriminazione inaccettabile e valorizzare le capacità e le qualità femminili. Quando questo sono riconosciute dagli elettori e non solo dai capi-partito.

Scuola: Molinari (Lega), ordinanza Cirio ‘tampone’ a caos Azzolina

 “Sacrosanta l’ordinanza della Regione Piemonte. 

Un ‘tampone’ al caos scuola causato dal ministro Azzolina, che fa lo scaricabarile sulle famiglie obbligandole a certificare la temperatura dei propri figli. Grazie all’ordinanza del governatore Cirio, invece, nelle scuole del Piemonte – dove ad oggi ci sono 20mila cattedre vuote – è previsto un controllo ulteriore da parte della scuola. Tutto ciò a tutela degli studenti, ma anche dei docenti e dei presidi, che hanno responsabilità anche di natura penale in caso di contagi. Piuttosto, con tutti i fantamiliardi spesi, perché il governo non ha dotato le scuole di termoscanner?”.

Così il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari.

Gruppo Covid, Gallo (Pd): “Il deserto alla riunione in corso Regina”

Oggi le sedute del gruppo di lavoro sull’emergenza Covid19 sono entrate nel vivo, con la prima audizione del direttore Aimar e una ricostruzione dei principali provvedimenti normativi sulla pandemia. Tra gli elementi emersi, ha destato sorpresa apprendere che su 8 dirigenti della Sanità, al momento dell’epidemia, il direttore si trovava, di diritto o di fatto, a vicariarne 6.

In Direzione Sanità mancavano per pensionamento i responsabili dei settori Farmacia, rapporti con le strutture erogatrici, prevenzione veterinaria e anticorruzione; inoltre erano bloccati per malattia il ragioniere capo e un altro responsabile a Milano dal lockdown.

“Un quadro desolante, di assoluta carenza di programmazione delle risorse umane, che ovviamente l’epidemia ha reso ancora più esplosiva” sottolineano il Coordinatore del Gruppo d’Indagine Covid-19 (Pd) e il Presidente del Gruppo Pd in Consiglio regionale Raffaele Gallo “Non solo si poteva arrivare più preparati ad affrontare l’emergenza, ma anche in tempo ordinario non è ragionevole ricorrere sistematicamente a strumenti straordinari come il vicariato”.

“Torneremo a occuparci della questione dispositivi” rileva il coordinatore del Gruppo d’Indagine: “mentre il direttore Aimar scriveva alle ASL di continuare ad approvvigionarsi, rilevando questo come un compito esclusivo delle aziende, l’Unità di crisi regionale (e anche la protezione civile nazionale) si intestavano il tentativo vano di centralizzare rilevazione dei fabbisogni e acquisti, contribuendo a una situazione confusionaria e poco chiara nelle responsabilità. L’unità di crisi, a differenza delle ASL, era peraltro dotata in questo senso di poteri straordinari per gli acquisti previsti dal governo dall’ordinanza protezione civile 630/3 febbraio”.

“Dispiace rilevare che da parte della maggioranza emerge disinteresse; soltanto tre consiglieri hanno partecipato ai lavori del gruppo: un’occasione persa di confronto e approfondimento” chiosa il Presidente del Gruppo PD

I diritti costituzionali valgono per tutti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Impedire a Salvini di tenere comizi elettorali è un grave reato sanzionato dalla legge. Non si tratta di un disturbo arrecato ad una manifestazione qualsiasi. Anche strappare un manifesto elettorale è sanzionato dalla legge

Si tratta della legge che regola le elezioni che devono vedere tutti i partiti in gioco trattati nello stesso modo durante il periodo della campagna elettorale.
Qui l’analfabetismo politico giunge ad ignorare o finge di ignorare le regole del gioco democratico fissate in modo inequivocabile a tutela di tutti i contendenti. Sfasciare palchi e incendiare manifesti sono cose che vennero tollerate nel ‘68 e possono tornare contro Salvini. Manifestare in modo violento contro Salvini non è consentito e non è neppure un atto di coraggio. L’intolleranza non è mai accettabile. La vera tolleranza ha un valore se essa viene praticata  nei confronti di idee estreme, non nei confronti di idee semplicemente un po’ diverse dalle nostre. Per ora,ci si è limitati al lancio di pomodori,  ma domani si potrà ricorrere anche pietre, magari servendosi di fionde. Ci sono diritti costituzionali che vanno tutelati nei confronti di tutti, nessuno escluso. Per anni mi sono battuto per diritti del MSI come partito votato e rappresentato in  Parlamento, così oggi mi batto per i diritti di Salvini. In democrazia le mezze verità non sono consentite e determinano solo confusione. La libertà è un diritto di tutti, in campagna elettorale lo è doppiamente. Certi intellettuali che plaudono a chi disturba Salvini, dovrebbero saperlo. Impedire di tenere comizi ricorda per altro  comportamenti che giusto cent’anni fa incominciarono ad essere praticati dai fascisti di allora. Forse è  bene richiamare quella lezione di un secolo fa. Allora era in voga, non dimentichiamolo mai, il manganello e l’olio di ricino.
Scrivere a quaglieni@gmail.com

Il Prc-Se in piazza per l’occupazione e il reddito

Locatelli:”cambiare rotta, riprendere la lotta prima che sia troppo tardi”

Sabato, a Torino, in piazza Castello, Rifondazione Comunista era presente alla manifestazione di Cgil, Cisl e Uil indetta per sollecitare risposte alla crisi occupazionale e produttiva che investe il Piemonte e l’area metropolitana di Torino.  Stando a uno studio commissionato dall’Anci, Torino è l’area che più di altre subirà gli effetti di una caduta del fatturato e del reddito in una percentuale compresa tra il 14,4% e il 20%. “Un dato impressionante – commenta Ezio Locatelli, segretario provinciale Prc-Se di Torino – non riconducibile solo all’emergenza sanitaria ma a problemi preesistenti. Basti dire che in soli 12 anni, dal 2007 al 2017,  l’incidenza della povertà assoluta tra le persone tra i 18 e i 34 anni per mancanza di lavoro e di reddito è più che quadruplicata passando dall’1,9 al 9,1%. Questo per dire che il problema non è quello di tornare a prima della pandemia, come chiedono a gran voce gli industriali che pensano di uscire dalla crisi rilanciando le grandi opere, le privatizzazioni, riducendo il costo del lavoro, tornando alla libertà di licenziamento, avendo mano libera di attuare spoliazioni e delocalizzazioni. Grandi aziende come Fca che dopo aver intascato da parte del pubblico garanzie e prestiti, non si fanno remore di eludere gli obblighi fiscali e di trasferire le produzioni all’estero. Una spoliazione in piena regola a fronte dell’inerzia delle istituzioni locali e nazionali. Basta attendismo, bisogna imporre un cambiamento di rotta, un piano per il lavoro, il reddito, lo sviluppo sostenibile. C’è solo un modo per farlo che è quello di  riprendere la lotta prima che sia troppo tardi”.

 

Giancarlo Pajetta, il “ragazzo rosso” 

Trent’anni fa, il 13 settembre 1990, si spegneva nella sua casa romana  Giancarlo Pajetta, il “ragazzo rosso”, definizione che offrì lo spunto per il titolo della sua autobiografia.

 

Irriducibile antifascista, partigiano e vicecomandante delle Brigate d’assalto Garibaldi, parlamentare della Repubblica fin dalla Costituente, dirigente di primo piano del Partito Comunista Italiano, Pajetta è stato uno dei protagonisti del ‘900. La sua salma riposa in Val d’Ossola, nel piccolo cimitero di Megolo , frazione di Pieve Vergonte, nella  stessa tomba che ospita l’intera famiglia Pajetta, dai fratelli Gaspare (morto giovanissimo in battaglia proprio a Megolo, durante la Resistenza, nel febbraio del ‘44) e Giuliano, a mamma Elvira e papà Carlo.

Giancarlo Pajetta era nato a Torino il 24 giugno del 1911. Figlio di Carlo, avvocato, e di Elvira Berrini, maestra elementare, iniziò giovanissimo la sua attività politica iscrivendosi nel 1925, a quattordici anni, alla federazione giovanile comunista. Una scelta di campo che gli valse nel febbraio del 1927, mentre frequentava il liceo-ginnasio Massimo D’Azeglio a Torino, l’espulsione da “tutte le scuole del Regno” per tre anni per “propaganda antifascista”, secondo la locuzione dl tempo. Come non bastasse, Gian Carlo Pajetta venne arrestato e rinchiuso, quando non aveva ancora 17 anni, nella sezione minorile delle carceri giudiziarie di Torino. Il 25 settembre del  1928 il Tribunale Speciale lo condannò a due anni di reclusione che scontò nelle carceri di Torino, Roma e Forlì. Nel 1931 espatriò in Francia dove il “ragazzo rosso” assunse lo pseudonimo di “Nullo”, diventando segretario della Federazione giovanile comunista, direttore di Avanguardia e rappresentante italiano nell’organizzazione comunista internazionale. In quel periodo Pajetta compì numerose missioni clandestine in Italia fino a quando, il 17 febbraio del 1933, venne arrestato a Reggio Emilia. Il Tribunale Speciale fascista lo condannò a 21 anni di reclusione. Rimase in carcere dieci anni e sei mesi tra Civitavecchia e Sulmona, fino alla liberazione che avvenne il 23 agosto del 1943, un mese dopo la caduta del fascismo. Poi venne l’8 settembre e la guerra partigiana, durante la quale perse la vita a diciotto anni il fratello Gaspare, combattendo a fianco del capitano Filippo Maria Beltrami e degli altri resistenti sulle balze del Cortavolo, sopra l’abitato di Megolo.

 

L’altro fratello, Giuliano, anch’esso dirigente comunista fu deportato nel campo di concentramento di Mauthausen e tre suoi cugini persero la vita per mano dei nazisti e dei fascisti. “Nullo” partecipò da protagonista alla lotta di Liberazione come Capo di Stato Maggiore ( anche se, di fatto, fu vice comandante generale) delle Brigate Garibaldi e membro del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà. Fu in questa veste che, tra il novembre e il dicembre del 1944, Pajetta si trovò a Roma, come membro del CLNAI, per trattare con gli Alleati e con il governo Bonomi l’accordo politico-militare che portò al riconoscimento delle formazioni partigiane come formazioni regolari e all’attribuzione delle funzioni di governo al Comitato di Liberazione dell’Alta Italia. Dopo la liberazione Giancarlo Pajetta diventò direttore dell’edizione milanese de l’Unità e membro della Direzione del Pci. Nel 1945 venne eletto alla Consulta (non era potuto diventare senatore perché troppo giovane) e successivamente nel 1946 all’Assemblea costituente. Nel 1948 diventò deputato della Repubblica, ruolo nel quale venne riconfermato ben dodici volte). Negli ultimi anni della sua vita, a partire dal 1984, venne eletto al parlamento europeo. La sua biografia si intreccia con la storia repubblicana del dopoguerra e con le vicende del movimento comunista. Una storia lunga decenni tra i fronti popolari, i legami e le divergenze tra le peculiarità nazionali dell’Europa occidentale e l’Unione Sovietica, i grandi eventi storici e le guerre, la liberazione dal fascismo, il Cominform, la guerra fredda, il promemoria di Yalta e la destalinizzazione, la primavera di Praga stroncata dai carri armati sovietici, la crescente attenzione verso un nuovo internazionalismo e i paesi emergenti nel sud e nell’est del mondo,  il destino strategico dell’area mediterranea e la ricerca di una visione nuova attraverso l’eurocomunismo. Un impegno appassionato sul quale occorre ancora oggi riflettere, indagare. In un libro-intervista a cura di Ottavio Cecchi, intitolata “La lunga marcia dell’internazionalismo” e pubblicata dagli Editori Riuniti, Pajetta concentrò il suo pensiero su questi temi di grande attualità sostenendo come dovessero “fondarsi sulla distensione, sulla pace, sulla collaborazione internazionale, su rapporti non imperialisti tra paesi sviluppati e paesi emergenti,sullo scambio di esperienze”. Scriveva( eravamo nel marzo del 1978, anno cruciale) “Circolazione delle idee e degli uomini deve voler significare anche circolazione del socialismo e fiducia nelle forze nazionali e di classe che in ogni paese tendono al rinnovamento sociale”.

 

Un pensiero che, in un epoca di appannamento e confusione valoriale, di scarse capacità di elaborazione di un pensiero di sinistra e progressista, di profonda debolezza delle classi dirigenti della politica, rivela all’opposto la preparazione, la passione e la determinata volontà dei protagonisti di una fase importante della storia italiana. Il giorno prima di morire a causa di un arresto cardiaco Giancarlo Pajetta rilasciò al Messaggero un’intervista nella quale, riferendosi alla “svolta della Bolognina” che avrebbe portato allo scioglimento del PCI, confessò di vivere i giorni più brutti della sua vita. Un sentimento comprensibile per chi aveva vissuto e partecipato a quella storia collettiva che segnò la vita di intere generazioni. Pajetta sapeva cogliere le novità, il bisogno di cambiare, l’evoluzione della storia ma temeva che un grande patrimonio di idee e valori potesse in qualche modo disperdersi.  Era toccato a lui, con la sua voce tonante, pronunciare l’orazione ai funerali di Enrico Berlinguer, dopo aver accompagnato Giorgio Almirante, avversario di mille battaglie, a render visita alla salma del leader comunista nella camera ardente alle Botteghe Oscure. Anche da quell’episodio si coglie la cifra democratica e la levatura di un grande personalità. Miriam Mafai, giornalista e scrittrice scomparsa nel 2012, visse per trent’anni al suo  fianco e così raccontò il “ragazzo rosso”: “È morto a casa mia. Ma ho vissuto con lui molti anni, se si intende per vivere insieme stare insieme, viaggiare insieme, studiare insieme. Stiamo stati anche molto felici ma non abbiamo mai vissuto da coniugi: non eravamo interessati né io, che avevo già più di 30 anni né lui, che ne aveva oltre 50, a scambiarci l’esistenza dalla mattina alla sera. Giancarlo si trasferì a casa mia solo nell’ultimo periodo”. Pajetta morì senza assistere alla fine, ormai decretata, del Pci. Lo raccontò, ancora, Miriam Mafai: “Lui muore quando sta morendo il partito comunista. Quindi ha già visto il crollo del muro di Berlino ma non ha visto, per sua fortuna, la bandiera rossa calare dal pennone del Cremlino.Ma all’epoca il Pci sta cambiando nome e lui sa che finirà. Certo Giancarlo è morto perché non era più un giovanotto ma credo che non abbia voluto vedere il seguito”. La drammaticità della sua personalità stava nell’estrema fedeltà al socialismo e al Pci, vissuta senza nasconderne e denunciandone limiti e difetti. Era consapevole di quella che Berlinguer chiamò “l’esaurimento della spinta propulsiva” dell’URSS pur riponendo molte speranze in Gorbaciov. Pajetta, tra i leader più amati e popolari nel vecchio partito comunista era un grandissimo oratore e i suoi comizi si trasformavano ogni volta in un avvenimento perché riusciva a stabilire un rapporto straordinario con il sentimento popolare di quelle piazze piene. Quando chiesero alla Mafai che uomo fosse, questa fu la sua risposta:“Era una personalità ricca di sfumature, per alcuni versi insopportabile.Impaziente, molto colto, un divoratore di libri di ogni genere. E poi viveva di niente, a Roma in un appartamento orrendo. Non aveva mobili e io gli dicevo che aveva nostalgia del carcere. Parlando della mia casa diceva: Vedi? Qui in Unione Sovietica ci vivrebbero tre famiglie! Io gli rispondevo: infatti, io non voglio andare a vivere in Unione Sovietica. Giancarlo immaginava una società che non esisteva più e il suo sogno, da vecchio, era una camera in affitto in una casa di operai a Torino. E, diversamente da tutti i deputati, ai suoi figli ha lasciato praticamente niente”.

Marco Travaglini

Scuola, Salvini: “In Piemonte 15 mila alunni disabili, ma il ministro dorme”

 “In Piemonte ci sono 15.049 alunni con problemi di disabilità: ragazzi e ragazze con relative famiglie che soffrono più delle altre le troppe incertezze.

Mancano circa 50mila insegnanti di sostegno specializzati in tutto il Paese, il trasporto pubblico è indebolito da tagli e restrizioni che mettono a rischio la frequenza scolastica, l’eventuale isolamento o quarantena avrà effetti devastanti su studenti e genitori e le linee guida sono lacunose, escludono le famiglie e non garantiscono progetti inclusivi. Rivolgo un appello accorato al ministro Azzolina: nessuno deve restare solo. Gli studenti disabili e le loro famiglie non sono invisibili e non meritano di essere cancellati come il governo ha fatto con il ministero ad hoc voluto dalla Lega. È necessario un impegno anche economico concreto, serio, efficace. C’erano problemi negli anni passati, dopo il virus e la chiusura i problemi saranno ancora più grandi: cosa ha fatto il ministro negli ultimi sei mesi, ha dormito?”. Lo dice il leader della Lega Matteo Salvini.

Bertinotti il liberale

Così a 80 anni Fausto Bertinotti si scopre liberale. Però, bel risultato dopo aver fatto dal 1994 al 2006 il segretario di Rifondazione comunista.

Penso il segretario più longevo di questo partito nato dalle ceneri del PCI. In verità è da una decina di anni che sostiene che il comunismo ha storicamente toppato, usando gentili eufemismi. Dopo la Bolognina non scelse e fu chiamato
in Rifondazione da Armando Cossutta sostituendo il torinesissimo Sergio Garavini. Armando Cossutta comunista che piu comunista non c’era scelse Bertinotti come segretario nazionale,
lui che arrivava da una cultura tutt’altro che comunista filosovietica. Nato a Milano e formatosi sindacalmente a Novara e scelto da Emilio Pugno per sostituirlo alla camera del lavoro di
Torino. Segretario regionale Cgil proprio 40 anni fa durante i 35 giorni. Fu l’inventore della parola d’ordine:  l’uso politico della crisi Fiat. Torino una roccaforte di Rifondazione, tant’è
che alle elezioni ammistrarive e politiche dopo lo scioglimento del Pci prese più voti che il Pds. Perlomeno a Torino la maggioranza dei dirigenti aderi’ al progetto occhettiano ma la maggioranza dei votanti segui’ Rifondazione con la promozione sul campo di personaggi come Marco Rizzo,  settima o ottava fila nel pci, diciamo quello vero. Fu questo il limite maggiore di Rifondazione: essere una copia sbiadita dell’originale, difatto irripetibile.
Piaccia o non piaccia la caduta del muro di Berlino aveva cambiato radicalmente le cose dando una direzione alla Stori, inconfutabile. Il congresso non fu una passeggiata anche sul piano esistenziale. Gianni Alasia, ex socialista, ex psiuppino con il sottoscritto non fu tenero. Davanti a 200 compagni disse che mio padre si girava nella tomba nel vedere la fine politica che avevo fatto.
Carino, no? Alasia fu tra i capi  rifondaroli torinesi. Cosa diceva Fausfo Bertinotti? Nulla, allora era alla Cgil nazionale. Forse aspettava il suo vate: Pietro Ingrao. Poeticamente poi disse: “non mi avete convinto” e si ritiro’ nel suo Aventino culturale politico ed esistenziale. Dettaglio: anche Achille Occhetto era ingraiano. Prima Palmiro Togliatti e poi Enrico Berlinguer il centro, Giorgio Amendola e poi Giorgio Napolitano la destra e Pietro Ingrao la sinistra cosidetta movimentista e ferocemente anti sovietica. Tutti si aspettavano che Fausto Bertinotti o seguisse il Vate nell’ Aventino o il PD. Nulla di tutto questo. Sergio Garavini fu messo lì per mediare tra i cossuttiani e la gruppetteria varia, poi Armando Cossutta iscrisse Fausto Bertinotti facendolo diventare segretario (addirittura) segretario generale. Così un filo sovietico come Armando promuove un libertario, socialista ed azionista Bertinotti. Perché? Tentava di governare le mille anime presenti in Rifondazione
e, diciamola così, pararsi a sinistra. Cossutta non ci riuscì e con il governo D’alema fondo’ Comunisti italiani. Infatti le cose per Rifondazione andarono in modo accettabile, poi la discesa verso l’oblio del nulla. Calo costante di iscritti e di votanti. Resse comunque,  il nostro Fausto Bertinotti. Fino al 2006 segretario e poi Presidente della Camera. Terzo comunistra dopo Nilde Jotti e Pietro Ingrao. Batte’ sul filo di lana Massimo D’Alema. Il  Governo Prodi bis duro’ poco ma ebbe un non invidiabile primato: 106 sottosegretari per accontentare tutte le componenti del centrosinistra. Dai rifondaroli  ai margheritini. Faustino caratterizzò subito la sua Presidenza. Alla camera luoghi di culto per tutte le sensibilità religiose. Fulminato sulla via di Damasco? Non credo proprio. Un esempio per tutti. Suo figlio si chiama Duccio in onore di Duccio Galimberti avvocato anrifascista cuneese ucciso dai fascisti nel 1943 e soprattutto azionista e grande amico dei fratelli Rosselli che per l’appunto volevano coniugare socialismo e liberalismo.
Poi Torino capitale della classe operaia era anche capitale del liberalismo da Cavour a Gobetti. Ennesima domanda : cosa c’entrava Fausto Bertinotti con Rifondazione? Assolutamente nulla ma come si dice, Parigi val bene una messa. In politica è molto labile il confine tra opportunità ed opportunismo. Non penso che Fausto Bertinotti sia un opportunista, mentre penso che colse al volo un’occasione per lui unica. Vero che dovette mandare giù bocconi per lui amari. In politica c‘è questo ed altro. Non è andata bene per chi nel 1991 fondo’ Rifondazione. Le minestre troppo riscaldate sanno di rancido. Andò bene per Fausto Bertinotti Presidente della Camera, scusate se è poco. Dopo, essendo libero da impegni politici, ogni anno, nei relativi convegni ne aggiungeva un pezzo. Ora tutto portato a compimento tra Papa Francesco e liberalismo,  la mutazione genetica è avvenuta. Aveva proprio ragione Bertrand Russell: se a vent’anni non sei comunista sei senza cuore se a 40 lo sei ancora sei senza cervello. Ed io aggiungo che la maturità è tutto, se la raggiungi ad 80 meglio tardi che mai.
Patrizio Tosetto