“Non vogliamo entrare nel merito della polemica che ha portato il Sindaco di Pinerolo, il grillino
Salvai, a protocollare le sue dimissioni per la vicenda legata al futuro del Volley pinerolese
femminile dopo la sua straordinaria promozione in serie A.
Ora, al di là della disputa tecnica, logistica e regolamentare sul palazzetto che dovrebbe ospitare
le gare sportive ed agonistiche della squadra, quello che emerge da questa singolare e grottesca
vicenda è che il modello politico di governo dei 5 stelle sta franando in tutta Italia. A livello locale
come a livello nazionale. Oltre alla sostanziale scomparsa da quasi tutti i comuni italiani, ad oggi
restano solo 6 i sindaci grillini di comuni oltre i 15 mila abitanti in tutta Italia. E tra questi Pinerolo
che, come l’ultima vicenda del Volley femminile dimostra, conferma platealmente l’incapacità di
governo di questa formazione politica che nell’arco di pochi anni ha sistematicamente rinnegato
tutto ciò che ha predicato per svariati lustri in tutte le piazze italiane.
E la vicenda di Pinerolo non è che l’ultimo esempio di questo decadimento politico, culturale,
programmatico e forse anche etico. Forse è giunto il momento di archiviare definitivamente la
stagione del populismo demagogico, anti politico, qualunquista e legato all’improvvisazione al
potere con l’ormai famoso slogan di “uno vale uno”. Una stagione che ha contribuito ad
impoverire la politica, a fiaccare l’azione di governo e ad incrinare la stessa credibilità delle nostre istituzioni democratiche.
tutto improvvisata e casuale.
evidente che il modello politico e di governo dei 5 stelle è franato. E non bastano le continue e
frenetiche giravolte del suo gruppo dirigente nazionale, figlio di una concezione che ha fatto del
trasformismo la sua bussola di riferimento, a salvare la situazione. È giunto veramente il momento
di voltare definitivamente pagina. A livello locale come a livello nazionale”.
Renato Zambon, Segretario Regionale ‘Noi Di Centro – Mastella’.
Flores d’Arcais e la pazzia della guerra
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

L’ex parlamentare Pagliarulo come presidente dell’Anpi dice un’ovvietà storica: che la Resistenza italiana non è paragonabile con quella ucraina. La storia non si ripete mai e le condizioni storiche non sono confrontabili. E crea scandalo tra i suoi adepti. Non la penso come Pagliarulo su tante cose, forse egli è in cerca di visibilità, dimenticando che non tutti nella sua associazione condividono le sue idee rifondarole proprie di chi votò, ad esempio, contro il 10 febbraio giorno del ricordo. Ma almeno su questo sono concorde con lui e quindi non può poi curvare sui temi della guerra Ucraina il prossimo 25 aprile. I Partigiani non furono pacifisti, usarono le armi, in alcuni casi esagerarono anche. E il 25 aprile tutte le bandiere devono avere diritto di sventolare, in primis il Tricolore. Anche la CGIL ha detto sciocchezze sul tema della guerra, ma questi sindacalisti non conoscono la storia e parlano per slogan preconfezionati. Ma chi appare più stucchevole di lui è il “giacobino tagliateste” Paolo Flores d’Arcais, radical chic per antonomasia, rivelatosi acceso patriota filoucraino e guerrafondaio che sostiene la tesi secondo cui la resistenza italiana fu come quella Ucraina. L’uomo che da molti è visto come sostenitore del giustizialismo illiberale e del potere assoluto dei giudici e creatore dei ridicoli girotondi che rafforzarono il consenso a Berlusconi, adesso attacca l’Anpi ed esalta Biden suo quasi coetaneo. Da non crederci. La guerra sta sconvolgendo le menti di molti , è umano e comprensibile perché il pericolo di un conflitto nucleare non è mai stato così vicino, ma gli effetti che ha prodotto su Flores sono davvero devastanti . Gli consiglierei di fare qualche girotondo attorno a casa, magari di corsa. A volte serve a schiarire le idee e a smaltire le sbornie ideologiche. Patriota verso tutti, ma naturalmente mai verso l’Italia. Mai una volta un pensiero verso gli eroi italiani dal Risorgimento in poi, un Risorgimento naturalmente fallito come, ipse dixit, ha insegnato l’oracolo Gramsci. Un vero “anti italiano” diventato ardente partigiano ucraino.
In un recente libro pubblicato sul magistero politico e istituzionale di Carlo Donat-Cattin, “Un riformista al governo.
Ministro del centro sinistra dal 1963 al 1978” di Marcello Reggiani emerge in tutta la sua difficoltà la scelta di essere “riformisti” nella politica italiana. Certo, le stagioni politiche che hanno visto in Donat-Cattin un significativo protagonista dello scenario pubblico italiano sono profondamente diverse rispetto al contesto contemporaneo. Ma è indubbio che c’è un filo rosso che lega le diverse stagioni politiche e le difficoltà, concrete e tangibili, nel declinare un riformismo politico e di governo. Perchè il riformismo, di norma, cozza contro il pensiero unico, il “politicamente corretto” e la vulgata conformista del momento. Un solo esempio concreto riferito agli anni e all’esperienza concreta, politica, culturale e di governo di Donat-Cattin. Cercare di rappresentare i ceti popolari e, soprattutto, i lavoratori e gli operai nelle fabbriche come esponente della sinistra sociale della Dc dopo e come sindacalista Cisl prima era pressochè impossibile, perchè inconcepibile dalla narrativa dell’epoca dove solo i comunisti e la sinistra storica potevano assolvere a quel ruolo. In altre parole, non era tollerabile che un democratico cristiano di sinistra, la famosa “sinistra sociale” di ispirazione cristiana denominata “Forze Nuove”, potesse contendere la rappresentanza sociale e politica di quei ceti che storicamente, secondo la vulgata dominante, doveva essere di “appartenenza” del Pci e della sinistra. Certo, i tempi sono cambiati e ormai da tempo la sinistra storica, come recitano quasi tutti i sondaggi, non rappresenta più i ceti popolari e quel pezzo di società e del mondo delle professioni che per moltissimi anni era di sua pertinenza. Altri soggetti politici e partitici si fanno ormai carico di quelle domande e di quelle istanze sociali e politiche. E quindi anche della loro rappresentanza elettorale.
Ma, al di là della sinistra e della sua rappresentanza sociale, è indubbio che essere riformisti nella politica italiana resta un compito difficile, ieri come oggi. E questo per due ragioni di fondo.
Innanzitutto il riformismo era e resta incompatibile con ogni forma di populismo. Quel populismo che in Italia ha fatto irruzione nel 1994 e che poi si è progressivamente impadronito della dialettica politica nostrana sino al 2018 quando ha travolto e sconvolto i connotati storici della stessa democrazia nel nostro paese. E il partito di Grillo, sotto questo versante, rappresenta tutt’oggi il culmine di questo decadimento etico, politico, culturale ed istituzionale. Stupisce, al riguardo, che un partito di potere e governista per eccellenza come il Partito democratico possa individuare nel partito cardine del populismo l’alleato strategico e storico per governare saldamente, e democraticamente, il futuro del nostro paese. Perchè il riformismo, alla fin fine, si pone l’obiettivo di trasformare la società senza assecondare le spinte massimaliste, estremiste e populiste. E cioè, la cultura e la prassi riformiste hanno la cultura di governo come bussola di riferimento senza, però, rinunciare ai propri obiettivi programmatici per inseguire e accattivarsi le mode correnti. Sotto questo aspetto, come descrive nel libro lo stesso Reggiani, il magistero politico e istituzionale di un esponente della prima repubblica come Carlo Donat-Cattin è quantomai calzante per il ruolo concreto che ha giocato nel suo partito di riferimento, la Dc appunto, e nella società nel suo complesso. Il rifiuto del populismo, quindi, è il cuore della cultura e della funzione riformista soprattutto nell’azione di governo.
In secondo luogo si è autenticamente riformisti solo quando si è espressione di una cultura politica. Qualunque essa sia. Perchè il riformismo, di norma, risponde ad una visione della società e l’azione di governo conseguente ha come obiettivo ultimo, attraverso una necessaria ed indispensabile cultura della mediazione e del confronto, quello di tradurre quella cultura in atti di governo e in provvedimenti legislativi. Anche qui, per fare un solo esempio del passato, l’approvazione di una legge che ancora oggi resta uno dei caposaldi dello Stato di diritto e della civiltà democratica, ovvero lo “Statuto dei lavoratori”, fu merito di un esponente politico come Donat-Cattin allora titolare del dicastero del Lavoro e della Previdenza sociale. Una legge che, non a caso, registrò la bocciatura da parte del Pci e di altre formazioni all’epoca estremistiche o massimaliste. Il riformismo, quindi, esige e richiede cultura di governo, disponibilità all’ascolto e al dialogo con gli avversari, non pretendere di possedere la verità in tasca, avere una visione laica della società e, soprattutto, il coraggio di andare controcorrente. Cioè contro il “politicamente corretto” dell’epoca di riferimento. Che, ieri come oggi, ha quasi sempre il consenso dell’informazione dominante e dei grandi gruppi di potere.
Ecco perchè il recupero di credibilità della politica non passa attraverso l’esaltazione del populismo, del massimalismo e di ogni forma di estremismo. Al contrario, la cultura e la prassi riformiste sono necessari ed indispensabili se non si vuole consegnare il paese o nelle mani dei populisti di turno da un lato o dei tecnocrati o dei cosiddetti “esperti” dall’altro. Che, puntualmente, seguono quasi sempre le rovine e i disastri provocati dai populisti di governo. Come puntualmente è capitato nel nostro paese in questi ultimi anni. E questa, al di là di molte chiacchiere, sarà la vera sfida politica, culturale e programmatica per chi cerca di invertire la rotta rispetto al predominio populista di questi ultimi tempi. Il resto appartiene solo alla propaganda e al chiacchiericcio. E, in ultimo ma non per ordine di importanza, si può ritornare ad essere politicamente riformisti solo se il “coraggio della politica” e delle scelte politiche tornerà al centro dell’attenzione. E l’esempio di Carlo Donat-Cattin uomo di governo, al riguardo, è quantomai esemplare e significativo.
Giorgio Merlo
Oscar Farinetti, fondatore di Eataly dal palco dell’Auditorium San Francesco di Chiavari (Genova) ha rilanciato l’idea dell’accorpamento della regione Piemonte e Liguria.
Secondo Farinetti con quest accorpamento si otterrebbe una macroregione dal grande potenziale turistico “Una macroregione che avrebbe il mare, le colline, le montagne e la maggior parte delle eccellenze enogastronomiche italiane”
La proposta ha fatto molto discutere. Secondo taluni sarebbe una riforma che porterebbe benefici amministrativi, burocratici ed un miglioramento qualitativo di efficacia ed efficienza della spesa pubblica in territori con problematiche simili e infrastrutture condivise.
La proposta ha attirato inoltre come mosche pletore di centralisti dalla mentalità arretrata che hanno subito colto la palla al balzo per attaccare il ‘regionalismofallito’.
Noi, come Liberi Elettori Piemonte, riteniamo che questa proposta sia del tutto irragionevole; non crediamo sia affatto proficuo ai fini di un rilancio turistico fondere le due regioni cancellando nomi ancestrali che sigillano proprio la specificità di queste terre. Liguria infatti deriva dal nome delle antiche popolazioni liguri, mentre Piemonte è un toponimo millenario, che compare già nel 1075 come ‘Ad Pedem Montium’ (ai piedi delle montagne). Che nome avrebbe la nuova ‘macroregione’? Magari un anonimo ‘Regione Alpina’ oppure ‘Alpi- Nord Ovest’?Associamo vini conosciuti in tutto il mondo come il barolo e il moscato d’asti a un grigio ente amministrativo dell’italia nord occidentale? E poi come mai unire Piemont e Liguria e non Piemont e Vda che hanno effettivamente un continuum territoriale e problematiche simili?
Forse Sarebbe più opportuno impegnarsi per una maggiore collaborazione fra regioni, sia nella gestione comune di infrastrutture e servizi che in proposte turistiche condivise piuttosto che creare affrettati accorpamenti.
Inoltre non ha senso parlare di macroregioni se prima non si definiscono con chiarezza le competenze degli enti territoriali. Qualche anno orsono il prof. Antonini pubblicò il libro ‘federalismo all’italiana’ in cui mostrava il grande caos nell’intreccio delle competenze tra stato, regioni, enti locali. Bisognerebbe prima fare chiarezza e suddividere in modo chiaro le competenze tra vari livelli di potere, ripartendo dall’etica dell’autogoverno e della sovranità dei territori, come capita per i cantoni della federazione svizzera, che è uno dei modelli più efficienti ed evoluti al mondo.
Accorpare le regioni all’interno di uno stato centralista come l’italia non ha alcuna logica, nemmeno per risparmiare risorse. Infatti qualche anno fa lo stato centralista francese accorpò le regioni ma in seguito un rapporto de la ‘Cour de comptes’ (24.09.19) certificò che non vi era stata alcuna diminuzione della spesa, ma anzi un aumento.
Insomma la proposta di Farinetti non è una proposta, è una boutade che va liquidata come tale…
La Segreteria di Liberi Elettori Piemonte
“Il 25 aprile con lo striscione Putin all’Aja”
“Noi non ci stiamo. Dobbiamo sottrarre all’Anpi la proprietà morale della manifestazione del 25 aprile, rimandare al mittente i suoi diktat, e riportare il tema della Resistanza ad un piano di realtà” così dichiarano in una nota Andrea Turi, Patrizia De Grazia, Daniele Degiorgis, coordinatori dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta, e Beatrice Pizzini, coordinatrice di +Europa Torino. Proseguono: “Per questo motivo sfileremo in occasione del 25 aprile con lo striscione “Putin all’Aja” perchè riteniamo che non ci sia pace senza giustizia e che la Corte Penale Internazionale debba giudicare il criminale di Mosca per i crimini che ha commesso e che continua a commettere; con le bandiere ucraine per schierarci dalla parte dell’oppresso e sostenere la Resistenza Ucraina; con le bandiere dell’Unione Europea, per manifestare che solo un Europa Unita può porre fine all’invasione russa ed infine anche con le bandiere della NATO, perché il desiderio di autodeterminazione dei paesi baltici sia drammaticamente preso in considerazione”. Da ultimo aggiungono: “In Piemonte il vero scandalo è chi fino a ieri sosteneva vicinanza all’oppressore aprendo addirittura un consolato della sedicente repubblica di Donetsk”
“Le dimissioni di Salvai certificano il fallimento politico di chi evidentemente non era in grado di amministrare Pinerolo. La vicenda dell’impianto sportivo per il volley – struttura evocata da anni e mai realizzata, a riprova di un lassismo imperdonabile – è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Peraltro, poche ore prima di assumere questa decisione, lo stesso sindaco aveva accolto la proposta del consigliere della Lega Fioravanti Mongiello, che sta all’opposizione, di realizzare una struttura smontabile da collegare con l’attuale palazzetto dello sport. Una soluzione concreta ed efficace, che purtroppo non potrà essere messa in pratica per responsabilità esclusiva della Giunta Salvai. È chiaro infatti che, con queste dimissioni, non solo la nostra amata squadra di volley femminile, neo promossa in A1, sarà condannata anche quest’anno a giocare fuori città le partite casalinghe, ma anche che, a pagare le conseguenze di questo fallimento conclamato dei 5 Stelle, sarà tutta la comunità pinerolese e il tessuto produttivo e turistico del nostro territorio. Ora ci aspetta un lungo periodo di commissariamento prefettizio, durante il quale si potrà provvedere solo all’ordinaria amministrazione. Per lo sviluppo della nostra città se ne riparlerà alle prossime elezioni. Nel frattempo, i pinerolesi non dimenticheranno”.
Lo dichiara il deputato e commissario Lega di Pinerolo e Val Pellice, Gualtiero Caffaratto.
Lo Stato deve intervenire
“Penso che sia giunto il momento per il Ministro della Salute Speranza di commissariare la Regione Piemonte sull’applicazione della legge 194. D’altra parte l’Assessore Icardi è già stato commissariato dal collega Marrone, o sbaglio? Ed è giunto il momento che gli ispettori facciano visita all’Assessorato per una verifica sulla mancata applicazione della legge e della delibera regionale del 3 luglio 2018” – dichiara il Capogruppo di Liberi Uguali Verdi, Marco Grimaldi.
“Ricordo che siamo la Regione che ha ricevuto la diffida della Rete Più di 194 voci Torino e di LAIGA per aver ‘dimenticato’ di far applicare la Legge 194/197 e la stessa delibera regionale approvata nella scorsa legislatura per contrastare il fenomeno dell’obiezione di coscienza e garantire l’erogazione gratuita dei contraccettivi nei consultori” – prosegue Grimaldi. – “Con una Giunta che, da quando è in carica, ha fatto di tutto per ostacolare l’autodeterminazione e la libertà delle donne, dall’ingresso delle associazioni pro vita nei consultori ai 400 mila euro per il Fondo ‘Vita nascente’ dati direttamente a quelle stesse associazioni. Siamo al sabotaggio palese della legge 194 e a una lesione profonda di diritti fondamentali. Lo Stato non può più tacere”.
Si passa dalle minacce, ai rimpasti, alle carte bollate
“Il Tar mette la parola fine all’accusa inaccettabile al nostro sistema di voto e agli uffici portata avanti dal Capogruppo di Fratelli d’Italia in merito all’elezione dell’Ufficio di Presidenza. Unico caso in Italia in cui da un ricatto ormai pubblico si passa dalle minacce, ai rimpasti, alle carte bollate” – dichiara il Capogruppo di Liberi Uguali Verdi, Marco Grimaldi, in merito alla decisione del Tar del Piemonte di respingere la richiesta di sospensiva del capogruppo di Fratelli d’Italia, Paolo Bongioanni, sull’elezione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale.
“Resta incredibile che l’Assessore Marrone – la cui escalation non cessa, dalle minacce all’Istoreto ai fondi alle associazioni pro vita alle amicizie filoputiniane – invece di essere cacciato o ridimensionato sia stato promosso” – prosegue Grimaldi. – “Che un partito come Fratelli d’Italia, che ha iniziato la legislatura con l’arresto del suo recordman di preferenze per voto di scambio, abbia ottenuto ancora più spazio. In quel momento, con un Assessore in manette per i suoi rapporti con la ‘ndragheta, avremmo dovuto porre fine alla legislatura, invece oggi FdI alza il tiro, tanto la memoria è corta. Spero che i piemontesi si accorgano in che mani sono finite le loro speranze”.
Su proposta dell’assessore alla Sanità del Piemonte, Luigi Icardi la Giunta regionale ha approvato la ripartizione delle risorse economiche alle Aziende sanitarie regionali per il recupero delle liste d’attesa.
Si tratta complessivamente di oltre 36 milioni e 800 mila euro di risorse aggiuntive alle Aziende sanitarie, più 3 milioni di euro alla sola Asl Città di Torino, in qualità di azienda capofila, per il potenziamento del Cup (Centro unico di prenotazione) regionale.
L’assessore alla Sanità ha osservato che fino al 24 per cento di queste risorse potrà essere utilizzato dalle Aziende sanitarie locali per avvalersi delle prestazioni delle strutture private al fine di raggiungere gli obiettivi previsti dal piano straordinario di recupero delle liste di attesa.
Parallelamente, entro il 31 maggio 2022 le strutture private accreditate, che erogano prestazioni per conto e a carico del Servizio sanitario regionale, sono tenute a rendere disponibile nel sistema Cup regionale il 100 per cento delle agende destinate alla prenotazione delle prime visite e altre prestazioni di primo accesso, con un periodo transitorio dal 1 giugno al 31 agosto 2022 per l’adeguamento della propria organizzazione e dei sistemi informatici.
Il provvedimento della Giunta prevede anche che la validità delle ricette di primo accesso relative alle prestazioni diagnostico-specialistiche, in assenza di appuntamento programmato, siano rideterminate in 60 giorni – anziché 180 giorni, mentre rimane confermata in 180 giorni la durata della validità delle ricette di accessi successivi al primo e di accesso diretto relative alle prestazioni diagnostico-specialistiche.
L’assessore alla Sanità ha infine rilevato come le Aziende sanitarie regionali abbiano chiari gli obiettivi sul recupero delle prestazioni di ricovero, specialistica ambulatoriale e screening oncologici, ricordando che entro giugno andrà recuperato il 30 per cento delle liste d’attesa sulle prestazioni ambulatoriali di primo accesso, mentre entro settembre il sistema dovrà essere in grado di prendere attivamente in carico tutte le prescrizioni di primo accesso previste dal piano nazionale.
Prima della fine del 2022, il piano prevede il recupero di tutte le visite, le prestazioni e gli interventi rispetto al 2019 e al periodo pre-Covid.
Un cronoprogramma che verrà controllato attraverso un apposito strumento di monitoraggio trimestrale, a cura della Direzione Sanità della Regione Piemonte.