Di Gian Giacomo Della Porta e Mara Martellotta
“Ah mia famiglia, / mia famiglia dispersa/ come quella dell’Ebreo/ nel nome del Padre, del Figlio (nel mio nome)/ ah mia casata infranta- mia lacerata/ tenda volata via/con il suo fuoco e il suo Dio”
Giorgio Caproni, poeta, critico letterario, traduttore e scrittore italiano, nacque a Livorno nel 1912 da padre sarto e madre guardia doganale. Si pensa che un suo lontano parente, Bartolomeo Caproni, fosse un “contadino e consulente linguistico” di Giovanni Pascoli.
Ebbe un’infanzia travagliata, soprattutto quella compresa tra il 1915 e il 1921 definita dal poeta come “anni di lacrime e miseria nera” in cui, dopo la chiamata alle armi del padre, ebbe una vita nomade, alla ricerca di una situazione che gli conferisse serenità.
Caproni imparò a leggere da solo a quattro anni sulle pagine del Corriere dei Piccoli. Fu in quegli anni, precisamente durante la seconda elementare che scoprì tra i libri del padre un’antologia dei Poeti delle Origini (i siciliani, i toscani) di cui si appassionò. Seguì la lettura della Commedia dantesca che il padre comprava a dispense in edicola. Risale a quegli anni quello che egli stesso definì “il baco della letteratura”, ovvero la necessità percepita di lettura e scrittura. Crescendo studiò da violinista, carriera che decise di troncare perché la sentiva lontana dal suo temperamento. Ritornò così alla sua passione originale per la poesia attraverso lo studio dei testi di Ungaretti, Montale, Cardarelli e Sbarbaro.
La prima raccolta intitolata “Come un’allegoria” risale al 1936, seguita da “Ballo a Fontanigorda” del 1938, entrambe edite dall’editore genovese Emiliano degli Orfini.
Seguirono anni di silenzio dovuti al servizio militare e alla guerra che lo vide al fronte con il 42esimo reggimento fanteria di stanza a Sanremo.
La raccolta successiva, dal titolo “Il passaggio di Enea”, viene pubblicata nel 1956 e riflette la sua esperienza di combattente durante la seconda guerra mondiale e la Resistenza, oltre a una selezione di poesie appartenenti alle precedenti raccolte.
Nella sua poetica tratta temi ricorrenti quali la città natale, la presenza della madre, il viaggio e il linguaggio.
Non di rado Caproni utilizza assonanze per creare giochi di parole, ad esempio nel verso “Non si prega perché Dio esiste, ma perché Dio esista”.
Unisce una raffinata perizia metrico stilistica a un’immediatezza e chiarezza dei sentimenti.
Nel corso della sua produzione si concentra maggiormente sulla forma metrica spezzata e sul sonetto, utilizzando rime interne con enjambements (consiste nell’alterazione tra l’unità del verso e l’unità sintattica, ovvero è una figura retorica di sintassi o sintagma causata dall’interruzione del verso, la quale introduce un prolungamento del periodo logico oltre la pausa ritmica).
L’ultima fase della sua poesia insiste sul tema del linguaggio come strumento incompleto a rappresentare la realtà.
“Concessione / Buttate pure via/ ogni opera in versi o in prosa./ Nessuno è mai riuscito a dire/ cosa è, nella sua essenza, una rosa”.