Sorride Paolo Sorrentino, lunghe basette e un triangolo di rughe che partono dall’angolo dell’occhio, sotto le luci di via della Conciliazione, davanti gli sta il Cupolone illuminato. È la prima delle 42 immagini di Gianni Fiorito, fotografo di scena che da più di una quindicina d’anni segue il regista della Grande bellezza, che ne coglie i momenti quotidiani, che ne fissa le inquadrature migliori e pronte a divenire cult, che squaderna i gesti e i visi degli attori, il disincantato alter ego Toni Servillo in primis, che racconta la premura di un autore attento ai particolari, quasi maniacale, alla piega di un abito, alla fissità di uno sguardo, al movimento stanco di una mano, alla noia di un passo, alla perfezione di un trucco, al lasciarsi vivere di una comparsa, ad un viso esattamente grinzoso, ad una mano invecchiata. Adesso sono insieme su un altro set, Loro – nulla vieta di spezzare in due quel titolo con l’inserimento di un apostrofo – “su” Berlusconi, e la prima immagine uscita dalle agenzie, Servillo berlusconizzato, mette quasi i brividi. Immagini che formano ”già” una storia o quanto corre intorno ad essa: Fiorito svolge l’attività di fotogiornalista fin dal 1980, sviluppando e inoltrandosi nella realtà napoletana, documenta il fenomeno camorristico e l’illegalità diffusa, guarda alla realtà sociale e urbanistica delle periferie, le trasformazioni del paesaggio urbano. Negli anni Ottanta, ancora come fotografo si lega al gruppo teatrale “Falso Movimento” di Mario Martone, dal 1999 i suoi interessi si rivolgono sempre più al cuore e ai backstage delle produzioni cinematografiche, i suoi registi, oltre Sorrentino, si chiamano John Turturro, Antonio Capuano, Luca Miniero.
Una carrellata, questa, “Cronache dal set: il cinema di Paolo Sorrentino”, ospitata fino al 7 gennaio prossimo nei locali di Camera, il Centro Italiano per la Fotografia a Torino (via delle Rosine 18) e curata da Maria Savarese, che abbraccia in uno sguardo solo pressoché un’intera cinematografia. Michael Caine perso e sognante tra la musica e i campanacci muti delle verdi montagne elvetiche o gli ospiti della clinica immersi nella tranquillità rigenerativa della piscina sono immagini di Youth, un set preparato, in attesa del ciak, attorno ad una bandiera o le orecchie a sventola di Andreotti/Servillo all’ombra di un incombente ritratto di Marx sono immagini del Divo, la magnifica opulenza di Jude Law, gli abiti ricamati e preziosi, il rosso del mantello che attraversa le strade di Roma, la monaca occhialuta di Diane Keaton, l’impegno dell’abituale Luca Bigazzi a centrare la giusta e più suggestiva inquadratura sono immagini di The young pope, lo sguardo di Cheyenne/Sean Penn, stratruccata e rincantucciata rock star alla ricerca dell’ufficiale nazista è l’immagine-simbolo di This must be the place, Jep Gambardella seduto nella sua giacca rossa accanto alla donna nuda è l’immagine universale della Grande bellezza, come la suorina raggrinzita, il viso intristito di Sabrina Ferilli, quello di Fanny Ardant più spigoloso, Servillo mollemente disteso sull’amaca, il bicchiere di alcol in mano.
Sottolinea Savarese nella presentazione della mostra, piccola chicca per tutti i cinéphiles: “Nella sua ricerca fotografica, Gianni Fiorito non si accontenta di restituire una o più immagini che siano rappresentative dei film, ma da ciascuna di esse cerca di trarre una visione ulteriore che mai si pone a commento di quella già data dal cinema. Ciò che tenta di fare la sua fotografia è ‘vedere oltre’, ragionando sugli elementi fondamentali della scena: l’attore, il regista, la troupe, i luoghi. Fotografare il cinema non è semplice: meno frequente è trovarsi di fronte a risultati che valicano il limite della documentazione per produrre visioni portatrici di senso”. È ‘l’oltre’ ad interessare qui, nelle immagini. Del cinema “sincopato” di Sorrentino, la rappresentazione del suo immergersi nel centro della scena, del colloquio continuo con i vari più o meno piccoli attori e con il personale tecnico, il controllo di ogni cosa, lo spingersi a “dirigere” ogni più impercettibile oggetto di scena, “fotoreporter costantemente presente, ma invisibile e attento, al centro del set”. Fiorito è capace davvero di renderci tutto questo.
Elio Rabbione