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Le foto dei vostri presepi

MOSTRA DEI PRESEPI ONLINE ALLA QUALE PARTECIPARE INVIANDO LA FOTO DELLA PROPRIA RAPPRESENTAZIONE
www.comune.carmagnola.to.it

 

L’iniziativa digitale è promossa da Pro Loco e dal Comune di Carmagnola

 

La Pro Loco Carmagnola propone anche quest’anno la consueta mostra dei presepi in collaborazione con il Comune di Carmagnola.

 

Non essendo ovviamente possibile organizzarla come di consueto all’interno della Chiesa di San Filippo, a causa

delle limitazioni imposte dalla pandemia in corso, l’esposizione dei presepi si svolgerà in modalità digitale.

 

Per partecipare occorre scattare al proprio presepe un’immagine (dimensione del file non superiore ad 1 MB) e:

1) inviarla via mail all’indirizzo cultura@comune.carmagnola.to.it, indicando il proprio Nome e Cognome e autorizzando il Comune di Carmagnola e la Pro Loco Carmagnola alla pubblicazione della stessa a titolo gratuito sui propri canali comunicativi (sito, pagina fb, instagram ecc…);

2) postarla sul proprio profilo Facebook taggando la pagina @comunecarmagnola della Città

 

La partecipazione è aperta a tutti ed è gratuita.

 

Il Comune di Carmagnola e la Pro Loco utilizzeranno le immagini ricevute al solo scopo dell’iniziativa sopra descritta e a titolo gratuito.

 

Inviando la propria immagine o taggandovi la pagina della Città i partecipanti accettano implicitamente le suddette condizioni.

 

Scadenza per l’invio delle immagini: lunedì 21 dicembre 2020.

Le immagini saranno raccolte in un album e pubblicate sui canali di comunicazione della Città di Carmagnola e della Pro Loco Carmagnola.

“Scatta il tuo Natale”, presepi e addobbi delle scuole su sito e social della Regione

Al via il contest per le primarie, foto da inviare entro il 10 gennaio

Presepi, addobbi natalizi e lavoretti realizzati dalle alunne e dagli alunni delle scuole primarie piemontesi avranno quest’anno una vetrina d’eccezione: il sito e i canali social della Regione Piemonte, fra cui una pagina ad hoc di Instagram, dove saranno pubblicate le foto più belle.

È quanto prevede “Scatta il tuo Natale”, iniziativa lanciata dall’assessorato regionale all’Istruzione guidato da Elena Chiorino. Il contest ha come tema la rappresentazione fotografica, fra tradizione e creatività, delle rappresentazioni del Natale. La partecipazione è gratuita e possono partecipare tutte le classi: come istituto, come scuola o come singola classe. Le immagini devono essere inviate entro il 10 gennaio 2021.

«In un periodo particolarmente difficile come quello che stiamo vivendo – ha detto l’assessore Chiorino – dove purtroppo l’atmosfera del Santo Natale rischia di non essere vissuta appieno dai nostri bambini, con questa iniziativa vogliamo valorizzare le rappresentazioni del tema della Natività. Le tradizioni del Natale possono entusiasmare i bambini, rammentando ad ognuno di noi quanto siano parte fondante della nostra identità culturale e siano di supporto ad una reale integrazione, che procede per confronti e non per rimozione della cultura ospitante».

Per partecipare al contest è sufficiente scattare una fotografia del presepe o degli addobbi natalizi allestiti e inviarla alla casella di posta elettronica scattailtuonatale@regione.piemonte.it.

È possibile inviare fino a un massimo di 3 fotografie per ogni partecipante. Nella mail, nel testo di accompagnamento all’invio dei file, è richiesto di specificare il nome della scuola, la località, il nome della classe, il nome dell’insegnante, un numero di telefono o un indirizzo mail per eventuale contatto.

Il sito di pubblicazione è www.regione.piemonte.it, e la pagina Instagram: scattailtuonatale – Regione Piemonte. Le immagini dovranno essere orizzontali, preferibilmente a colori e in buona risoluzione, preferibilmente 300 dpi. La dimensione minima per procedere al caricamento dei file sul sito è di 1400 x 786 pixel e il peso massimo consentito è 20 Mb.

Cristina Chiabotto nuova “ambassador” di Mirafiori Motor Village

Mirafiori Motor Village ha un cuore umano e vuole “metterci la faccia”! Per farlo ha scelto Cristina Chiabotto, conduttrice televisiva e showgirl torinese.

Massimo Dallara, Dealer Manager del Mirafiori Motor Village di Torino, sottolinea: “Questa iniziativa ci caratterizzerà come una realtà sempre più dinamica ed evoluta, in cui soddisfiamo il bisogno di mobilità dei nostri clienti ma offriamo anche un’esperienza di caring che supera il rapporto puramente commerciale. Questo grazie alla nostra squadra, 200 persone che mettono la loro passione, le loro competenze e capacità al servizio degli ospiti. Il sorriso e la positività di Cristina rappresentano al meglio i nostri valori: ascolto, affidabilità e inclusione”.

Orgogliosa delle proprie radici, Cristina Chiabotto incarna perfettamente la semplicità, l’apertura e la generosità del team dello showroom. Ecco le parole di Cristina: “Sono felice di essere la nuova compagna di viaggio di un’eccellenza torinese. Con Mirafiori Motor Village partiremo per un progetto che presenta il suo aspetto innovativo e polifunzionale. Sarà un’esperienza unica che racconteremo sempre a bordo delle nostre fantastiche autovetture”.

Showroom espositivo e punto vendita di tutta la gamma FCA, il Mirafiori Motor Village è da 14 anni un importante punto di riferimento nella geografia di Torino. Profondamente inserito nel tessuto sociale della città fin dalla nascita (segnata dall’abbattimento del muro che divideva la Fiat dalla città), il Mirafiori Motor Village ha promosso e ospitato eventi che hanno sempre visto una grande partecipazione di pubblico, a testimonianza della sua natura polivalente e inclusiva.

www.mirafiorimotorvillage.it

La tradizione del presepe rivive da Peraga

In questo Natale così diverso rispetto al solito, dove si sente forte la mancanza di mercatini, fiere e presepi viventi, uno dei luoghi incantati dove poter finalmente respirare l’atmosfera natalizia con tutta la famiglia è Peraga, uno dei Garden Center più grandi d’Italia che sotto le feste si trasforma in un grande villaggio di Natale.

Un luogo magico e incredibile, ricco di attrazioni assolutamente da non perdere, come i presepi semoventi e una delle più grandi e affascinanti esposizioni Lemax d’Europa: un villaggio fiammingo alto più di tre metri dall’atmosfera dolce e romantica, capace di stregare chiunque. 6 ambientazioni, un vero e proprio villaggio formato mignon, estremamente particolareggiato, dipinto a mano e realizzato fin nei più piccoli dettagli, un incantevole mondo in miniatura, composto da una moltitudine di paesaggi, colori, personaggi, attrazioni ed edifici che prendono vita attraverso luci e suoni.

Per gli amanti della tradizione, da Peraga c’è da perdersi tra le migliaia di statuine e le opere d’arte di artigiani e dei celebri maestri napoletani. Statuette, luci, muschi e capanne, da Peraga c’è tutto l’occorrente per creare il proprio Presepe perfetto ma non solo: sono tantissime le ambientazioni già allestite, da usare come ispirazione o anche solo per rifarsi gli occhi e lasciarsi avvolgere dalla magia delle feste.

Tradizione, bellezza, artigianalità, maestria… in Italia quella per il Presepe è una vera e propria passione e rappresenta un momento intimo, atteso da grandi e piccini, un’occasione per riunirsi in famiglia e dar vita alla storia delle storie: quella della Natività.

Il Natale da Peraga: https://www.youtube.com/watch?v=bAEuB0TGSLg&t=1s&ab_channel=PeragaGardenCenter

Il “Mulino Valsusa” compie un anno

E, per festeggiare l’anniversario, lancia il progetto “Gustinsieme”

Bruzolo (Torino) Riavvolgiamo di un anno e una manciata di giorni il nastro del tempo. Era il primo dicembre 2019, quando, sotto una pioggia battente, si tagliava il nastro nel vecchio mulino ottocentesco di Bruzolo, Bassa Valsusa, riportandolo ufficialmente a nuova vita con il nome di “Mulino Valsusa”. L’obiettivo era quello di rilanciare, sotto l’aspetto agricolo e ambientale, l’intera Valle, coinvolgendo i contadini nel tornare a coltivare zone abbandonate da anni, garantendo loro prezzi giusti nella vendita del grano e supportandoli economicamente nella spesa della semina come nella raccolta. L’etica, il suo imprescindibile diktat. Ciò che ne ha fatto “un progetto forte, sano e buono – afferma orgogliosamente Massimiliano Spigolon, ideatore e anima dell’iniziativa – in grado di superare anche un anno come quello che sta per concludersi stravolto dalla pandemia”. Parole confermate dalle cifre. Se alla partenza, infatti, gli agricoltori coinvolti erano 14, adesso, a distanza di un anno, sono saliti a 30. Più del doppio. Parallelamente si è passati da 12 ettari coltivati, molti con antiche varietà recuperate, a 35 ettari. Altro importante successo di un progetto “basato sulle buone pratiche agricole” riguarda poi il prodotto finale. Le farine valsusine prodotte dal Mulino e destinate alla Valle sono infatti finite in una ventina fra ristoranti, rifugi e agriturismi, oltre che in una ventina e più di negozi, da Sestriere a Pianezza.

E un accordo è stato firmato anche con la grande distribuzione. Risultati decisamente importanti, dunque, anche se frenati negli ultimi mesi a causa del lockdown imposto dall’emergenza sanitaria che ha portato a bloccare gli ordini da parte di molti ristoranti e negozi. Per questo, mentre continua ad essere sempre aperto lo spaccio interno al Mulino, nelle scorse settimane è stato lanciato il sito www.mulinovalsusa.it con un e-commerce: “ Ciò che ci ha stupito – prosegue Spigolon – è che sono arrivati addirittura ordini dalla Sardegna come dalla Francia e dall’Austria, dal Veneto e dal Lazio. Segno che il progetto è apprezzato”. La speranza è quindi che i panificatori e le pizzerie della Valle “si mettano in gioco maggiormente, anche se sappiamo bene che le nostre farine sono tecnicamente più difficili da lavorare proprio perché non usano miglioratori e stabilizzanti, ma altrettanto bene sappiamo che in Valle non mancano le capacità”. L’appello è lanciato. Insieme a nuove sfide. L’ultima è il progetto “Gustinsieme”. Dice ancora Spigolon: “Dopo aver lavorato per creare una filiera agricola e risvegliare un comparto della Valle, abbiamo valutato fosse giusto lavorare a una filiera di trasformazione”. In pratica, mettere insieme una squadra di artigiani d’eccellenza per la creazione di prodotti “cento per cento Valsusa”, creati con le farine del Mulino e realizzati da artigiani valsusini. Un’altra idea che non riguarda solamente gli interessi di un’unica realtà, ma cerca di supportare diversi attori del territorio, proprio in questo periodo dove la crisi si fa maggiormente sentire.

Le ricette? “Sono quelle della storia di questo territorio e sono custodite, a garanzia del progetto, al Mulino”. Per ora, “Gustinsieme” propone biscotti, paste di meliga, fette biscottate e il “Panettone Prosperoso”. Al momento, coinvolge il panificio di Matteo Marzo, che ha sedi a Susa e a Venaus, il “Biscottificio Rege” di Sant’Antonino di Susa e il “Laboratorio Amo” di Bussoleno. “Lanciamo una call: vorremmo coinvolgere – conclude Spigolon – più artigiani possibile. L’idea è di un’intera valle pronta a diventare un grande laboratorio artigiano”.
g. m.

Ai nastri di partenza l’inaugurazione di Otium Pea Club. Green Pea, 8 dicembre

Manca poco finalmente all’apertura di Green Pea e di Otium Pea Club. L’inaugurazione iniziale programmata a fine estate è stata posticipata all’8 dicembre per motivi ovvii ed a tutti conosciuti.

Come spesso succede è dalle intuizioni migliori che nascono quei progetti che poi, a loro volta, si trasformano in realtà. Green Pea ne rappresenta il tipico esempio; costituisce il primo superstore della sostenibilità” torinese e green retail park al mondo,dedicato all’arredamento e all’abbigliamento tutto rigorasamente ecofriendly. La famiglia Farinetti, che ha ideato il progetto e realizzato questa intuizione, ha scelto l’area di Torino a fianco ad Eataly, al Lingotto, e la creazione di Green Pea è avvenuta completamente nel rispetto dell’ambiente, riscaldato da energie rinnovabili e arricchito da un bosco di alberi.

All’ultimo piano di Green Pea sorgerà Otium Pea Club, il nuovo spazio destinato all'”ozio creativo”.

Per comprendere quale sia stata l’intuizione da cui si è partiti bisogna tornare indietro nel tempo di circa 2500 anni quando filosofi quali Aristotele, Platone, Socrate e Pericle, cambiarono il mondo con le loro idee sui concetti di bellezza e democrazia, ma soprattutto inerenti il concetto di tempo e sul migliore uso che l’uomo ne potesse fare, l’”ozio” appunto.

2500 anni dopo, il sociologo contemporaneo Domenico De Masi ha rielaborato il concetto di “ozio” e ne ha ideato il concetto contemporaneo di “ozio creativo” inteso come sintesi di lavoro, studio e gioco.

Questa è l’idea a cui si ispira il rooftop Otium Pea Club.  Non sarà quindi un “ozio” in senso stretto o quello a cui tutti possono pensare subito, sarà un “ozio creativo”, come ci ha confermato Pier Rosito Co-fondatore di To-Be Events, l’agenzia torinese specializzata in eventi eno-gastronomici, che già collabora, nel campo della comunicazione, con Eataly.

Otium Pea Club rappresenta il primo esempio di Member Club dedicato al perseguimento di un “ozio creativo” con un upgrade culturale e filosofico nei contenuti della sua offerta, che lo differenzieranno sostanzialmente da altri Club analoghi presenti in Italia, essendo questi ultimi maggiormente orientati al solo concetto di fitness. Inoltre i soci, durante la fase di selezione propedeutica per l’ammissione al Circolo, non verranno discriminati per estrazione o gerarchia sociale, come spesso accade nella maggior parte dei MemberClub sparsi in giro per il mondo. Si cercherà poi di garantire una pari distribuzione di soci tra uomini e donne ed i minori di 18 anni non verranno ammessi.

Otium Pea Club rappresenta uno spazio di 600 mq tra lounge bar e Spa, che avrà come obiettivo quello di realizzare un “ozio creativo”, ben lontano e diverso dal concetto di “ozio”, inteso come inerzia.

L’obiettivo principe sarà quello di dare l’opportunità ai propri soci di recuperare, prima, e riappropriarsi, poi, del proprio tempo. Verrà data la possibilità ad ognuno di poter lavorare in un ambiente ecofriendly e progettato secondo una filosofia green, secondo la modalità più in voga del momento, lo smart working, senza dimenticare la sala meeting, a disposizione per eventi di lavoro o per incontrare i propri clienti, nel rispetto fin da subito della normativa anti Covid.

A conferma della filosofia green ed ecofriendly volta a sfruttare le risorse geotermiche disponibili da una falda acquifera, posizionata a quaranta metri di profondità per esempio, arriverà l’acqua alla temperatura di 18 gradi.

Otium Pea Club sarà aperto per i soli soci e i loro ospiti per un massimo di due a volta, dalle 10 alle 19, e tutti coloro che lo frequenteranno avranno a disposizione non solo un cocktail bar, dietro il quale lavorerà uno dei migliori barman torinesi Giorgio Lupi, ma anche una ampia proposta gastronomica, che spazierà dalla colazione all’after dinner, passando per il pranzo,l’aperitivo e la cena (su prenotazione). A questo si aggiunge tutta una zona dedicata al Wellness che includerà una piscina e una Spa. La piscina sarà a sbalzo, unica nel suo genere, con vista sulle Alpi, e avrà una lunghezza di 20 metri, sospesa per la maggior parte della lunghezza ad una altezza di 21 metri e riscaldata in inverno. La Spa, invece, metterà a disposizione dei proprio soci una vasca idromassaggio, bagno turco, sauna e sale massaggi.

Aristotele Platone Socrate e Pericle vi faranno compagnia.

Buon ozio creativo!

Emanuele Farina Sansone

La Mole in blu con “Bottom up!”

Ieri sera la Mole Antonelliana si è illuminata di blu con l’immagine di Bottom Up!, il nuovo festival di architettura di Torino.

L’occasione è stata l’annuncio che il festival, attraverso una piattaforma di crowdfunding e le donazioni, ha raccolto 115 mila € per 12 progetti di rigenerazione urbana a Torino, l’ 80% della somma che gli ideatori si erano prefissati all’inizio del percorso.

Il Mammut e la vetta del Mottarone

Ale era un bambino vivace. Tanto vivace che in casa lo chiamavano “argento vivo”. Con la sua famiglia abitava sulla collina del Parogno, proprio in cima alla salita della Verzella, in un punto dove – con lo sguardo – si dominava tutto il centro della sua città. Era uno spettacolo, soprattutto di notte, nelle giornate di vento: Omegna stava lì sotto, punteggiata da centinaia e centinaia di luci che parevano fiammelle tremolanti. Già da piccolo era capace di stare – proprio lui, così irrequieto – anche più di un’ora al giorno incollato alla finestra oppure appoggiato alla ringhiera del balcone per guardare, affascinato, la montagna che aveva davanti: il Mottarone.

 

Quella montagna, per Ale, aveva qualcosa di misterioso che stuzzicava la sua fantasia. E ne aveva, oh se ne aveva, di fantasia. Mentre i suoi amici giocavano, si rincorrevano, lui – che non si tirava certo indietro – a volte veniva come rapito da quel monte. Non passava giorno che , almeno per un po’, non lo scrutasse in lungo e in largo, passando in rassegna tutti i contorni delle vette, scendendo – con lo sguardo – tra gli alberi fin giù, alle prime case di Omegna tra le Brughiere, Verta, Vignale e Borca segnavano il perimetro più basso della montagna. Almeno così era per quello che poteva vedere con i suoi occhietti vispi dall’osservatorio di casa sua. Persino a scuola, dove frequentava la quarta elementare, non staccava gli occhi dal Mottarone.

Per sua fortuna e per disperazione  della maestra che, di tanto in tanto, doveva chiamarlo più volte per nome al fine di ottenerne l’attenzione al lavoro della classe, il suo banco era proprio di fianco alla finestra che dava, guarda caso, sulla montagna. Ale si metteva a guardare, appoggiando la testa bruna sulle braccia incrociate, la “sua” montagna. Già, poiché lui aveva una montagna tutta per se. O almeno era ciò che pensava, correndo con la fantasia. Un giorno gli sembrò persino che si fosse mossa, proprio lassù sulla vetta, tra la baita-rifugio del Club Alpino e le antenne paraboliche  della televisione ( in realtà erano dei ripetitori radiotelevisivi che, una volta ricevuto il segnale, lo ritrasmettevano nella zona, in tutte le case: ma per lui erano “le paraboliche”, perché gli ricordavano delle specie di astronavi lunghe e snelle che puntavano in alto, verso il cielo, quasi a volerlo toccare con le loro punte dritte). Dove eravamo rimasti? Ah, sì…che cosa strana. Era durata poco più di un attimo, di un battito di ciglia. Eppure non si era sbagliato. Anche gli alberi – castagni e faggi dalle chiome fitte – erano stati scossi da un fremito , come  se degli orsi si fossero grattati la schiena sui loro tronchi, come aveva visto fare in un documentario alla TV. Un’ondeggiamento, una scrollatina, niente di più. Un terremoto ? No, non poteva essere. La maestra un giorno aveva spiegato che quella non era una terra sismica, non era “ballerina” come altre parti d’Italia. Eppure non si era sbagliato. L’aveva vista. Non se le inventava le cose, lui…almeno quando si parlava del Mottarone. Eh, no ! Con la “sua” montagna non si poteva proprio scherzare o raccontare bugie. Un giorno, rovistando tra i libri della biblioteca di papà, ne trovò uno che parlava proprio del Mottarone. Ale si mise a sfogliarlo, lentamente, rimanendo a bocca aperta davanti a tutte quelle belle foto. I paesaggi invernali , con la neve s scintillante e quei ghiaccioli che scendevano giù dai rami degli alberi, come tante candeline rovesciate; la primavera, con i prati di mezza costa striati di varie tonalità di verde e punteggiati da margherite, primule e viole; l’autunno dai caldi colori pastello, che trasformano i boschi cedui in luoghi magici, abitati da vispi animaletti e da piccoli folletti alla ricerca di funghi e di bacche, alle prese con un tempo che si stempera dolcemente in una vena malinconica quando gli occhi scendono giù, dai versanti della montagna fino alle acque appena increspate del lago d’Orta. Ale guardava le foto sgranando gli occhi, pieno di meraviglia. Con una certa fatica ma anche tanta buona volontà, si mise a leggere:“…La cima del Mottarone ha la forma di una soda polenta montanara. Pare anche uno dei buoni panettoni di una volta, cotti senza la costrizione degli stampi costruiti perché si alzassero cilindricamente. Sembra una grossa pagnotta, fatta in casa e ben lievitata nel mezzo..”.

Gli era venuta una gran fame . Tutti quei paragoni con cose da mangiare gli stuzzicavano l’appetito, rammentandogli che era quasi mezzogiorno e che la mamma – guarda caso – stava proprio preparando la polenta. Ma un’altra frase lo colpì, stuzzicandogli questa volta non l’appetito ma la fantasia: “..La strada sale dolcemente verso la vetta, come se risalisse il dorso di un grosso pachiderma addormentato “. Un “pachiderma”? E che cos’è un pachiderma !? Non riusciva proprio a farsene un’idea. Forse si trattava di un animale ma papà gli aveva spiegato che sul Mottarone c’erano scoiattoli, cinghiali, tassi, volpi, ricci, capre, mucche al pascolo, qualche cavallo, tanti uccelli. Si ricordava di averlo sentito parlare di un uccello strano, il cuculo, che veniva – a primavera, dopo le rondini –  a” cantare maggio” e di altri animali – forse le talpe – che scavano buche e gallerie sotto terra. Ma quei “pachi-non-so-bene-come-si-chiamano” non li aveva proprio mai sentiti nominare. Però, che bello pensare alla vetta del Mottarone come alla schiena di un grosso animale, se poi di animale si trattava. Era come se un qualcosa o un qualcuno, pensava, fosse salito fin lassù e poi di fronte a quel panorama che , in giro completo d’orizzonte, spaziava dal Monte Rosa alle vette ossolane e valgrandine e giù, a rotta di collo, verso la Svizzera e la pianura lombarda segnata dall’azzurro dei laghi per vedere ad ovest la punta aguzza del Monviso e risalire verso il Rosa dai contrafforti valsesiani, avesse deciso di rimanere lì per sempre. Ale chiuse il libro a malincuore. La mamma lo stava chiamando per il pranzo. Papà, come spesso accadeva, era via per lavoro e lui decise che , all’indomani, avrebbe chiesto spiegazioni al nonno Enzo che abitava a Baveno, sul lago Maggiore, ma che da giovane era vissuto con i suoi in montagna, all’Alpe Scerea, un po’ sotto la Vidabbia che, come in terrazzo naturale , era a un soffio dal Mottarone. Lui sapeva tante storie della montagna. Forse conosceva anche questa storia del pachiderma. Non pensò più ad altro e , sedutosi a tavola, ordinò alle mandibole l’attacco in grande stile alla polenta. Quel sabato i suoi genitori erano andati a trovare una vecchia zia che abitava in Val d’ Ossola. Lui era stato accompagnato dal nonno a Baveno. Scoccata l’ora di pranzo, davanti al suo piatto preferito,un invitante risotto con i funghi porcini, chiese: “Nonno, tu lo sai cos’è un pachiderma ?”. “Un pachiderma? Mah, se ricordo vengono chiamati così gli elefanti. Lo sai, vero che cosa sono ? “ ,rispose il nonno, sorridendo. ”Certo che lo so “,rispose pronto. ”Sono quei bestioni grossi che vivono in Africa, con le orecchie, il naso e i denti enormi..”.  ”Si chiamano proboscide e zanne, non naso e denti..e comunque sono più o meno quelli che dici tu”, corresse, paziente il nonno. “Ma, levami una curiosità: perché ti interessano tanto i pachidermi, gli elefanti ?”. Il nipotino non stava più nella pelle e disse, tutto soddisfatto: ”Nonno, lo sai che il Mottarone assomiglia a un pachi…., a un elefante ? L’ho letto su di un libro che ho trovato a casa“. ” A un elefante, cosa? Il Mottarone? Il Mottarone che assomiglia a un elefante? Ale, bambino mio, lo so che  hai tanta fantasia ma come fai a vedere nel Mottarone un elefante ?”, sorrise il nonno, scuotendo il capo ed accendendosi la pipa con delle lunghe tirate. ”Ma tu ,nonno, che hai vissuto sulla montagna, non hai mai sentito una storia che raccontava di un elefante sul Mottarone ? “ ,chiese ancora. Il nonno ci pensò su un po’ e poi, per non deluderlo, inventò una storia lì per lì, su due piedi. ”Vedi, tanti, tantissimi anni fa…”. ”Quanti,nonno?” l’interruppe Ale.

”Tanti quanti le dita tue e di tutti i tuoi amici moltiplicate per mille e forse anche di più..Ti stavo dicendo? Ah,sì..Tanti anni fa, ai tempi della preistoria, la terra era selvaggia. L’uomo viveva nelle caverne e da poco tempo aveva fatto una eccezionale scoperta: il fuoco. L’unico modo che aveva per poter sopravvivere era quello di cacciare. Ma purtroppo per lui gli animali erano enormi. E il più grande di tutti era il Mammut, l’antenato degli elefanti. In quel mondo non c’era nessuno che riusciva a tenergli testa. La sua mole imponente teneva lontana la  feroce Tigre con i denti a sciabola e persino l’enorme e coraggioso Orso delle Caverne non aveva mai osato sfidarlo a viso aperto. Eh, il Mammut era proprio un gran bel tipo…e forse uno di questi bestioni, nel suo girovagare, è arrivato fin su in cima al Mottarone e, addormentatosi, è rimasto lì per sempre”. Ale non era tanto convinto. Ma era anche molto curioso. Il dubbio lo rodeva. Quella del nonno era una storia inventata per non deluderlo oppure c’era qualcosa di vero? I pensieri gli si leggevano negli occhi. E il nonno Enzo se ne accorse. ”Tu vorresti saperne di più, non è vero ? Forse…forse ho qualcosa che ti può essere utile. Aspetta,però..dove l’ho messo?.. Ah, ora ricordo. E’ nell’armadio in soffitta”. Qualche minuto dopo Ale si trovò tra le mani un libro, un po’ vecchiotto e impolverato.  “Era di tuo papà. E se non ricordo male parla proprio di quell’epoca“, disse il nonno. La sera stessa, nel suo letto, Ale iniziò a leggerlo. Il titolo già l’aveva affascinato: “La guerra del fuoco”. Incredibile. Aveva ragione il nonno, era proprio la storia dei Mammut! Il ragazzino, una dopo l’altra,  divorava le pagine.

 

Il Mammut dominava invincibile. L’uomo non avrebbe mai potuto lottare contro di lui. Era agile, rapido, instancabile, capace di superare i monti;dimostrava d’essere riflessivo e dotato di una memoria tenace. Afferrava, lavorava e misurava la materia con la sua proboscide, scavava la terra con le enormi zanne, conduceva con saggezza le sue spedizioni e conosceva la propria supremazia. Il suo corpo sembrava una collina, le zampe grossi alberi; aveva zanne lunghe, capaci di trapassare una quercia; la proboscide sembrava un lungo serpente nero; la testa, una roccia. Si muoveva dentro una pelle grossa e rugosa come la scorza dei vecchi olmi, coperta di lunghi peli ruvidi. Le sue orecchie parevano dei giganteschi pipistrelli e quando si muoveva con il suo branco sembravano, tutti assieme, una colonna di giganti color dell’argilla. Quando, assetati, si allineavano sulla riva di un lago, bevevano in maniera così formidabile che il livello dell’acqua si abbassava.”. Ale chiuse gli occhi e si addormentò, sognando il Gran Mammut.  “Il Gran Mammut, dopo aver sostenuto mille battaglie vincendole tutte, si era stancato. Prese la decisione di lasciare il branco, dov’era da tutti riconosciuto come il capo e si incamminò verso la montagna che aveva di fronte, lasciandosi alle spalle il lago e le colline. Il sentiero era impervio, pieno ci cespugli e rovi, ma il Gran Mammut non se ne curava. Continuava a salire, puntando dritto verso l’alto. La sua mole enorme, di tanto in tanto, spariva dentro le nubi basse che avvolgevano i fianchi del monte e, dopo tanto camminare, giunse alla vetta che era ormai buio. Nel cielo era stesa una coperta di stelle che brillavano come tante fiaccole nella notte. Il Mammut alzò la proboscide più in alto che poté, per cercare di stringerle. Ma era fatica inutile : le stelle, che parevano così vicine, quasi da poterle sfiorare, restavano sempre al loro posto. Il Gran Mammut lanciò un tremendo barrito che scosse l’aria come una frustata e scese giù per le valli con il rumore di un tuono e l’impeto di un uragano. Poi, con la stessa foga , risalì sulla vetta, stanco del lungo viaggio ma soddisfatto per la scelta di vita solitaria. Si addormentò, pesantemente, coprendo con la sua mole immensa tutta la vetta”.

Anche sul Mottarone qualcuno dormiva e sognava. Era il Mammut che, caduto ormai da tantissimi anni in una forma di letargo, aveva il corpo coperto di terra e d’erba al punto d’aver preso le sembianze di una collina. La pioggia bagnava generosamente quello strano dosso, rendendolo sempre più fertile tant’è che vi erano cresciuto persino degli alberi. Molti anni dopo, a causa dell’ egoismo speculativo di uomini con pochi scrupoli su quel poggio vennero costruite prima una, poi due, poi tante costruzioni di legno, mattoni e cemento. Il Mammut dormiva e non sentiva sulle sue spalle il peso delle costruzioni, la ragnatela degli impianti sciistici e il fremito provocato dallo scivolare di discesisti e slalomisti che proprio in vetta al monte si divertivano d’inverno a scendere e risalire lungo le piste innevate. E nemmeno sentiva, durante le calde giornate estive, le grida di tutti quelli che passavano in quei luoghi ameni i loro pomeriggi d’ozio, in cerca di un refolo di vento che desse loro almeno l’impressione di un alito fresco. Erano tanti, troppi e spesso si lasciavano alle spalle una indelebile traccia di ignoranza e maleducazione, visibile in quei cumuli di rifiuti di ogni natura e volume. Ma lui non sentiva niente e nulla pareva potesse disturbarne il sonno millenario, quando un bel giorno operai e tecnici delle telecomunicazioni decisero di installare sulla vetta un’altra, potente, antenna televisiva. Gli scavi, piuttosto profondi, si concentrarono proprio nel punto dove il Mammut aveva la sua proboscide. Il solletico fece prudere l’enorme naso finché starnutì. La terrà tremò tutta. Gli addetti agli scavi, terrorizzati, fuggirono a gambe levate. Nei giorni successivi l’intera aera del Mottarone e la sua vetta furono meta di decine di esperti, tecnici, ricercatori,illuminati professori delle più importanti Università del paese. Vennero eseguiti studi accurati con sofisticate apparecchiature per cercare di capire cosa aveva originato quel fremito, quella scossa. Dopo un lungo consulto, durante il quale spesso il confronto degenerò in rissa al punto che, più di una volta, dovettero intervenire le forze dell’ordine per dividere quegli uomini di scienza che si stavano accapigliando, tutti convennero su di un punto fermo e preciso: non era successo nulla. Gli operai avevano sentito la terra ballare sotto i piedi? Fantasie. Erano scappati via di corsa , temendo un terremoto? Si erano sbagliati o forse avevano inventato questa storia per farsi un po’ di pubblicità. Del resto la scienza è scienza, e se afferma che non è accaduto nulla che si possa spiegare, significava  semplicemente che nulla era capitato. O forse qualcuno nutriva il coraggio di contraddire professori e cattedratici ? Passata anche quella bufera, sulla vetta della montagna venne finalmente innalzata una nuova costruzione d’acciaio. Il traliccio, formato da una miriade di pezzi di metallo intrecciati tra di loro, saliva slanciato verso il cielo per quasi quaranta metri. La terra non era più tremata. Comunque, per non  incappare in altri guai, i tecnici avevano scelto una diversa disposizione dell’antenna, a più di mezzo chilometro da quella pensata in un primo momento. Ma ormai il sonno di millenni era stato  disturbato. Il vecchio, grande Mammut era ormai sveglio. Non che si fosse destato subito, perché ci vollero alcuni mesi prima di averne piena coscienza. Dopo aver sbadigliato a lungo, l’enorme bestione si sentiva in piena forma. Quel lungo riposo gli aveva giovato. Se il giorno in cui si era appisolato sentiva le sue ossa cigolare e la grande massa dei muscoli era intorpidita ora , dopo il “sonnellino” , si sentiva come ringiovanito. Provò ad aprire gli occhi ma non vide nulla. In quello scuro immaginò fosse ancora notte. Una notte senza luna, nera come la pece, dove non s’intravvedeva  nemmeno una stella. Gli parve persino di sentirselo addosso quel cielo nero e opprimente quasi a dover sostenere sulle possenti spalle portare l’intero peso di quella cappa buia. Gli venne il dubbio di sognare ancora ma un istante dopo decise di muoversi. Zolle di terra grosse come aiuole saltarono in cielo come per effetto di una esplosione. Grandi alberi misero a nudo le loro radici, crepitando. Dal Santuario di Luciago alla strada Borromea, dalla Vidabbia all’alpe Grandi fino ai boschi che salivano oltre il Mastrolino, sopra Omegna , l’intero Mottarone  fu scosso da un formidabile e inaspettato evento. Un gigantesco animale, grande come il culmine della vetta, coperto da un pelo fitto, stava lì fermo su quattro enormi zampe, con due lunghe zanne e una impressionante proboscide che sferzava l’aria. Sulla groppa aveva tracce evidenti di terriccio, piccoli arbusti, muschi e radici. Nel mezzo del muso due occhi , grandi come scodelle, si guardavano attorno. Uno sguardo incuriosito, non spaventato. Si sarebbe quasi potuto azzardare anche l’aggettivo intelligente.

Quel giorno Ale era andato, come faceva di solito, a passeggio nei primi boschi che salgono sulla “montagna dei milanesi”, alla ricerca di funghi e piccoli frutti del sottobosco. In una radura in mezzo al bosco, incontrò l’enorme animale che dalla vetta era sceso in basso cercando di evitare strade e sentieri. In silenzio, il vecchio e grande Mammut e il ragazzino dalla testa bruna, si guardarono negli occhi. Era difficile stabilire chi dei due fosse più stupito per lo strano incontro. All’animale preistorico mancava solo il dono della parola. Cosa, del resto, superflua poiché durante il lungo sonno aveva sviluppato le sue capacità di pensiero a tal punto da poter comunicare attraverso gli impulsi che la sua enorme mente era in grado di trasmettere. Il suo cervello, enormemente evoluto, ospitava un grande archivio di memoria, paragonabile a un  potente computer. Fatti, luoghi, situazioni erano stati immagazzinati con un ordine perfetto, tale da far invidia ai più moderni e sofisticati sistemi infornatici. Bastò che Ale pronunciasse le sue prime parole ( “E tu,chi sei ?” ) perché il suono della voce del bambino gli rammentasse i suoni di quegli animali che sembravano scimmie ma camminavano su due zampe e con la schiena diritta: il modo di esprimersi, di comunicare attraverso suoni gutturali degli uomini che aveva conosciuto prima di lasciarsi andare al lungo sonno aveva qualcosa in comune. Il suo cervello, in un attimo, aveva già trovato il modo di stabilire un contatto con quel minuscolo essere che aveva davanti e che, con tutta probabilità, doveva essere proprio un cucciolo d’uomo. E dunque, al “chi sei?” pronunciato da Ale, rispose articolando delle parole lentamente, quasi sillabando: “Sono il Gran Mammut, signore delle immense foreste. Chi sei tu, piuttosto..”. Ale rimase a bocca aperta. Quella montagna di muscoli e peli che aveva davanti aveva parlato. E nonostante non avesse emesso il benché minimo suono, aveva sentito la sua “voce”. “Io..io sono Ale…” , rispose , tradendo  qualche incertezza. “Che strano nome. Non l’ho mai udito prima d’ora. Eppure, a prima vista, mi sei parso un cucciolo d’uomo. Ale.. Mah.. e che razza di animale saresti, allora ? –, borbottò il pachiderma. “Ma scusa, te l’ho appena detto:sono Ale, ho dieci anni e vivo ad Omegna. Se per cucciolo d’uomo intendi un bambino allora sì, sono proprio così. Ma tu, che sembri un Mammut, cosa ci fai qui sul Mottarone ?Non eri un animale preistorico e come tale ormai estinto ?”. Per nulla intimorito, Ale non intendeva rinunciare alla sua curiosità. Figurarsi poi in questo caso, dal momento che si trovava davanti proprio un bel Mammut in carne e ossa. E per di più sulla vetta della sua montagna. Non stava più nella pelle dalla contentezza. Altro che storie!n Quel libro diceva il vero quando lesse “ ..la strada sale dolcemente verso la vetta, come se risalisse il dorso di un grosso pachiderma addormentato..”. Chiese allora al Mammut se conosceva quel signore che aveva scritto il libro ( perché,pensava, dovevano per forza conoscersi altrimenti , lo scrittore, come avrebbe potuto sapere che la sommità del Mottarone nascondeva proprio il Gran Mammut?). Il pensiero dell’animale incontrò quello del bambino, dialogando per un po’. Al termine di quell’incredibile colloquio, seppure a grandi linee, Ale apprese la storia del Mammut, scoprendo  che ci aveva scritto quelle cose era all’oscuro di tutto. Aveva tirato a indovinare, usando la fantasia. E gli  era andata bene.  Dopo di che toccò al bambino raccontare la sua di storia e così tra i due nacque una forte simpatia. Fu a quel punto che Ale pensò di far conoscere al vecchio Mammut il mondo che stava attorno. Disse all’animale: “Sai, credo che le cose, dai tuoi tempi, siano cambiate un po’. Forse è bene che ti accompagni giù dalla montagna, così te ne renderai conto da solo. Ma non andiamo da questa parte. E’ meglio passare dall’altro versante”. Con buon passo – il Mammut, con la sua enorme mole ed il bambino in groppa, dove si teneva ben stretto alle grandi orecchie – presero a risalire il monte attraverso boschi di castagni, robinie e  faggi per poi ridiscendere. Raggiunsero una strada e quella terra, liscia e dura, color antracite, era già una novità per l’animale. L’asfalto, come lo chiamava Ale, non c’era ai suoi tempi e il Mammut nutriva seri dubbi sulla bontà di quella terra. Comunque, in breve tempo , a dispetto del suo considerevole volume, il Mammut si era già lasciato alle spalle molti tornanti, tant’è che potevano già intravedere le prime case di Cheggino, sopra Armeno. Non incontrarono anima viva. Il Mammut si stupiva vedendo quei blocchi di pietra con delle aperture chiuse da assi di legno e Ale ebbe il suo bel daffare a spiegargli che erano case e che lì dentro vivevano gli uomini. Il Mammut aveva memoria di uomini primitivi che dimoravano nelle caverne e pareva scettico ma non insistette per non dare dispiacere a quel suo piccolo amico così gentile e premuroso. Ad Armeno non incontrarono nessuno. Il paese era come vuoto. Le strade deserte e le case con gli usci sbarrati. Anche il bar sulla piazza del Municipio,quasi sempre aperto, aveva calato la serranda. E così pure i negozi. Ale era sorpreso. Gli sembrava di attraversare uno di quei villaggi fantasma dei film western. Ignorava che, appena segnalata la presenza di uno strano, enorme animale,  somigliante a un elefante, che stava scendendo la Mottarone, la voce si era sparsa in un battibaleno e la gente, spaventata, si era chiusa in casa , chiudendo porte e finestre. Così, dopo Armeno, fu anche a Bassola, al Pescone, ad Agrano. Solo a Borca incontrarono le prime auto che, alla vista del Mammut, fecero dei rapidi dietrofront, con manovre convulse quanto azzardate. Nonostante Ale gli avesse parlato delle auto, la vista di quei strani animali colorati, rumorosi , veloci e puzzolenti  (si lasciavano alle spalle una scia odorosa e acre che irritava la sua proboscide) turbò non poco il vecchio Mammut. Non più con passo spedito ma con andatura incerta, dubbiosa, il bestione imboccò la statale del lago d’Orta, dirigendosi verso il centro di Omegna. Ma lì i pochi curiosi che, sfidando la paura, si erano nascosti dietro le colonne di granito del Municipio per spiarne le mosse, non lo videro mai arrivare. Il Mammut sparì nel nulla. Di quella montagna di carne e peli preistorici non c’era traccia. Svanita, quasi non fosse mai esistita se non nei sogni e nell’immaginario dei cusiani. Anche quel bambino che alcuni giuravano di aver visto in groppa al Mammut ma che nessuno poteva dire di aver riconosciuto, era sparito con lui. Alcuni automobilisti, qualche abitante di Borca, il gestore dell’Agip, giuravano che i due stavano andando verso Omegna. Ma lì, come già sappiamo, non erano mai giunti.

Nei giorni che seguirono furono indette assemblee, riunioni, tavole rotonde, consigli comunali a “porte chiuse” e in sedute aperte al pubblico. Corsero fiumi di parole,un bla-bla-bla impressionante, tanto monumentale quanto inutile. Tutti dicevano la loro, chi aveva visto e chi no. Scomodarono  scienziati, storici e biologi, antropologi e paleontologi, filosofi e medici, impiastri e ficcanaso, letterati e analfabeti. Giornali e riviste pubblicarono articoli, saggi, inchieste, indiscrezioni, fotomontaggi. Un mare d’inchiostro sommerse l’opinione pubblica. Alla fine di tutto questo chiassoso guazzabuglio il “caso” venne chiuso con una rassicurante presa di posizione di Sua Eccellenza il Prefetto che così sentenziò: “Non è successo nulla. Dopo aver analizzato e ponderato il problema siamo giunti, con assoluta certezza e senza difetto alcuno, alla decisione di comunicare che si è trattato solo di uno scherzo dell’immaginazione. Tutto, dunque, è sotto controllo: parola di Prefetto“. E quindi? Era stato solo un sogno, un’illusione ottica? La gente si guardava, scettica. E se nessuno, pubblicamente, osava mettere in discussione il Prefetto, in cuor proprio agli abitanti dei paesi attorno al lago d’Orta quelle parole suonavano poco convincenti per non dire addirittura false. Non erano per nulla convinti. Dopotutto, passati la paura ( ma era poi davvero paura ? O non era forse una bella e forte emozione di quelle che si provano davanti a qualcosa di nuovo e inaspettato!) l’idea di un Mammut in giro per la città non dispiaceva affatto. Qualcuno , con uno spiccato pallino per gli affari,aveva già pensato di cambiare nome a un noto ristorante per ribattezzarlo “ Al vecchio Mammut “ o di aprire un locale notturno in stile preistorico, con arredamento alla “Flinstone” oppure il Caffè “Delle due clave”. Tutto sommato, quell’elefante vecchio di  milioni di anni , alla gente piaceva. Anche a scuola, tra i bambini, si parlò per molto tempo solo di questo. E tutti si impegnavano a far supposizioni su dov’erano andati a finire il Mammut ed il bambino. C’era chi li aveva visti prendere il volo e sparire tra le nuvole, in direzione delle alture dei “Tre Gobbi”, suscitando un coro di risate. Chi invece li aveva visti nuotare nel lago verso il lido di Gozzano, lasciandosi alle spalle una scia come la motonave Azalea. Solo Ale non parlava. Dal suo banco guardava fuori dalla finestra, su verso la vetta del Mottarone. Il Mammut era tornato là, considerando quella del letargo la miglior soluzione. Si era scavato una comoda tana in una valletta isolata e con la proboscide si era coperto di foglie e terriccio. Era un segreto pattuito con il suo piccolo amico. Di tanto in tanto, senza farsi vedere dagli altri, Ale agitava la mano, accennando un timido saluto in direzione del rifugio segreto tra gli alberi, pensando intensamente al Mammut. Chissà se l’animale lo  percepiva il saluto? Non ne era del tutto certo ma, di tanto in tanto, seppure l’aria era immobile, senza un benché minimo alito di vento,  là in alto le chiome degli alberi  parevano scosse da un leggero, appena percettibile, fremito. E i suoi occhi sorridevano di una felice complicità.

Un po’ di bon ton per tutti

A cura di: https://quantabellezzainquestomondo.com/blog/

Esistono mille regole per un cameriere che deve servire un potage a tavola, o preparare una mise en place; anche il suo abbigliamento e’ codificato con cura. Ci sono persino scuole che insegnano ad impilare piatti e posate senza farli mai cadere.

Io credo che ci vorrebbero anche un po’ di regole per essere dei buoni clienti. Ci avevate mai pensato? Molti ritengono che basterebbe rispettare la buona educazione, ma secondo me non e’ sufficiente.

Cio’ che va aggiunto in dosi adeguate, proprio come nella preparazione di un buon piatto, sono tre ingredienti essenziali: rispetto, gentilezza e collaborazione.

Rispetto. Di fronte a noi abbiamo una persona che sta lavorando; non solo: sta lavorando per farci star bene, ci serve pietanze e piatti che dovrebbero soddisfare il nostro palato e lo fa con dedizione, attenzione e grazia. A tale proposito mi ricordo il butler dell’Andros Boutique Hotel a Cape Town, un uomo di colore che aveva trasformato la sua vita in arte del servizio: vi posso garantire che avrebbe potuto insegnare grazia, attenzione, perfezione e generosità a tanti di noi.

Gentilezza. Quando siamo al ristorante ci aspettiamo di essere serviti mentre discutiamo con i nostri commensali, e di rado ci rendiamo conto che il sommelier che sta versando il vino è una persona; e’ importante ricambiare la sua attenzione con un sorriso ed un grazie e interrompere per un attimo una conversazione che sicuramente non lo/la riguarda. Recentemente siamo stati a pranzo da Stratta in piazza San Carlo a Torino: un locale in cui si respirano tanta esperienza e superba professionalità; uno dei camerieri a cui ho fatto proprio questo complimento mi ha ringraziato dicendomi che le mie parole valevano più di una mancia, perché ormai pochi sono in grado di apprezzare la qualita’ del suo lavoro.

Il tea delle 17 all’Andros Boutique hotel

Collaborazione: avete mai notato la fatica cui a volte sottoponiamo chi ha il compito di raccogliere le ordinazioni oppure i piatti? Io credo sarebbe bellissimo se al nostro tavolo all’arrivo del cameriere si smettesse di parlare (abbiamo tutta la vita per farlo) e si ascoltasse attentamente la persona che sta descrivendo i piatti da gustare… anche se si tratta della solita lista di “…profitterol, tiramisù, panna cotta, creme caramel e chipiùnehapiùnemetta”.

Ah che hotel favoloso! ❤️

Regole molto semplici che costituiscono gli ingredienti segreti per un’esperienza di vera bellezza, e che renderanno straordinari anche i piatti piu’ banali.

Gta, Giulia con grinta

Il Mirafiori Motor Village di Torino, primo flagship store del gruppo FCA, si dimostra ancora una volta un catalizzatore di esperienze uniche per i propri clienti. Infatti nella settimana scorsa ha fatto tappa in Piazza Cattaneo l’Alfa Romeo Giulia GTA, la berlina sportiva più performante mai prodotta dal brand Italiano.

“Per celebrare Giulia GTA – dichiara Massimo Dallara, Dealer Manager del Mirafiori Motor Village – abbiamo curato un allestimento speciale, affiancando il nuovo modello ad una Giulia GTA d’epoca. Un selezionato numero di collezionisti e appassionati ha così potuto ammirare i due modelli”.

La nuova Giulia GTA si ispira tecnicamente e concettualmente alla Giulia GTA del 1965, la “Gran Turismo Alleggerita” sviluppata da Autodelta a partire dalla Giulia Sprint GT che collezionò successi sportivi in tutto il mondo. Giulia GTA è costruita in una serie limitata di 500 unità, numerate e certificate, pronte ad affiancare la progenitrice del 1965 tra gli oggetti da collezione più desiderati, non solo da ammirare ma preparate per sprigionare su strada una grande potenza, fruibile grazie alle raffinatissime soluzioni tecniche.

“Al Mirafiori Motor Village cerchiamo di rendere unica ogni esperienza e mai come in questo caso l’occasione ci ha permesso di creare per i clienti un momento davvero unico”, continua Massimo Dallara. “L’esclusività di Giulia GTA e Giulia GTAm è caratterizzata da una customer experience dedicata. La vettura è stata presentata individualmente a un ristrettissimo gruppo di selezionati clienti, direttamente da Francesco Flamini (Alfa Romeo Marketing Manager) che ha illustrato agli ospiti tutte le caratteristiche della straordinaria vettura”.

Giulia GTA deriva da Giulia Quadrifoglio ed è equipaggiata con una versione potenziata del motore Alfa Romeo 2.9 V6 Bi-Turbo, da 540 CV. Grazie all’adozione estesa di materiali ultraleggeri beneficia di una riduzione di peso pari a 100 kg rispetto a Giulia Quadrifoglio, raggiungendo un rapporto peso/potenza eccezionale di 2,82 kg/CV che la rende best in class.

Il progetto Giulia GTA beneficia della consolidata partnership con Sauber Group AG e sfrutta il know-how del comparto Engineering e Aerodynamics. Forte di 50 anni di esperienza nel motorsport, di cui 27 in F1, Sauber Group ha maturato una grande competenza sulla progettazione e sull’utilizzo del carbonio, oltre ad un know-how approfondito sull’aerodinamica. Il team svizzero è, infatti, uno dei pochi team di F1 ad avere una galleria del vento di proprietà. Una struttura, a Hinwil, Svizzera, tra le più avanzate in Europa.

L’esperienza d’acquisto di Giulia GTA non si esaurisce con il processo di vendita dedicato. È previsto infatti un experience package personalizzato, che comprende un casco Bell in livrea speciale GTA, abbigliamento racing completo Alpinestars (tuta, guanti e scarpe) e un telo coprivettura Goodwool personalizzato, per proteggere la propria GTA o GTAm. Oltre ad altri equipaggiamenti da vero appassionato, la customer experience Alfa Romeo comprende anche un corso di guida specifico realizzato dall’Accademia di Guida Alfa Romeo.