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Da Halloween al Black Friday

PAROLE ROSSE di Roberto Placido 
Il grande successo del Black Friday di quest’anno mi permette di fare alcune considerazioni, questa volta non politiche ma sociali , di costume e religiose.

In verità ci avevo pensato già alcune settimane fa per un’altra ricorrenza “americana” , Halloween. Il successo della festa , da tanti, ritenuta di provenienza pagana ma che in realtà prende origine in buona parte da una tradizione popolare del sud Italia . Ad essa si è unita una simile usanza irlandese, entrambe ” esportate” negli Stati Uniti dagli emigranti dei due cattolicissimi , ai tempi, paesi. Anche il ” dolcetto scherzetto ” è mutuato dal nostro sud.

Gli americani sono stati bravi a farla diventare, come il Black Friday, un fenomeno internazionale compresi i paesi d’origine della festa della notte che precede il giorno di Ognissanti. Ma andiamo con ordine. Chi volesse approfondire può leggersi il libro scritto da Luigi Lombardi Satriani , ordinario di Antropologia culturale all’Università di Napoli. Il Professor Lombardi Satriani, senatore nella XIII legislatura, dal 1996 al 2001, ha scritto, a quattro mani, con il defunto Mariano Meligrana, ricercatore universitario di storia e tradizioni popolari, il volume ” Il ponte di San Giacomo.

L’ideologia della morte nella società contadina del Sud “,  edito nel 1982 da Rizzoli. In quell’anno il libro si aggiudicò il Premio Viareggio per la saggistica e fu pubblicato successivamente da altri editori ultimo dei quali Sellerio. In esso viene descritta molto bene l’usanza della notte del 31 ottobre. La processione dei bambini, per le vie dei paesi del sud, con le zucche vuote , intagliate come un teschio e con dentro una candela accesa. L’obiettivo è quello di “incontrare” i defunti nel tentativo di “ricucire” una relazione con chi è morto, la festa cattolica del 2 novembre . Ai bambini si regalavano dei dolci o essi stessi chiedevano un’offerta, un dolce, per l’anima dei morti , il famoso ritornello della festa americana “trick or treet ” e cioè dolcetto o scherzetto.

La stessa cosa nella festa delle streghe irlandese con le lanterne , le zucche, appese fuori dalle case. Vale la pena ricordare che la Festa di Ognissanti era in origine celebrata il 13 maggio e solo nel ‘700 , dal Papa Gregorio III , fu spostata il 1 novembre in coincidenza della festa pagana , di origine celtica, di tutti i santi. Più recente e squisitamente commerciale il Black Friday, che segna , sempre negli USA, l’inizio delle vendite di fine anno. Il tutto avviene il giorno dopo la Festa del Ringraziamento , ” Thanks Giving” , sempre di origine cristiana, il quarto giovedì del mese di novembre, per ringraziare il Signore di quanto “raccolto” durante tutto l’anno.

Per quanto riguarda il nostro paese la cosa che mi colpisce di più , storia e religione a parte, è il mix di provincialismo culturale e di internazionalizzazione o globalizzazione che dir si voglia delle due date. La stessa cosa è avvenuta, negli anni, per l’albero di Natale che ha superato il tradizionale Presepe e per Babbo Natale , Santa Claus, con corollario dei regali , verso la più nostrana Befana e la sua calza. Resistono, per il momento e speriamo per molto tempo, il classico panettone ed il suo concorrente pandoro in una gara tutta nazionale.

"…E la Lippa roteava nell’aria”

Mai capitato di sentirvi dire, in varie forme dialettali, “…ma vai a giocare a lippa ! “, che era poi – spesso – un modo come un altro per esprimere una scarsa considerazione nei mezzi e nelle qualità del prossimo ?

Riordinando i ricordi dei giochi d’infanzia, da “praticare” all’aperto, nei prati ( dove non c’erano vetri da rompere e, di conseguenza, non c’erano nemmeno botte da prendere..), un posto di tutti rispetto va assegnato – per simpatia e particolarità – alla “Lippa”. Mai capitato di sentirvi dire, in varie forme dialettali, “..ma vai a giocare a lippa ! “, che era poi – spesso – un modo come un altro per esprimere una scarsa considerazione nei mezzi e nelle qualità del prossimo ? Un modo, a dire il vero, piuttosto improprio ed ingeneroso vista la discreta abilità che era richiesta ai praticanti della “lippa”, vera antesignana – secondo alcuni – del baseball. Ma, tralasciando l’aspetto storico sul quale ritorneremo dopo, vediamo in che cosa consiste il gioco. Si comincia dagli attrezzi, che sono due: il bastone e la “lippa” vera e propria, entrambi di legno, non di rado ricavati da un manico di scopa o, in mancanza, da qualsiasi ramo purché diritto ( era molto diffuso l’uso del nocciolo, flessibile, sinuoso e robusto ). La “lippa”, di solito lunga una spanna e mezza, aveva due punte che permettevano – colpendone una con il bastone – di alzarla e batterla al volo per “tirarla” il più lontano possibile. E la “lippa”, roteando nell’aria, tesseva la fitta trama del gioco. Il bastone – lungo più o meno un metro – aveva due funzioni: da una parte quella, già detta, di “battere” la lippa e dall’altra quella di fungere da unità di misura nella determinazione dei punti. Il gioco era aperto a tutti, da due ragazzi in su, e ci si accordava innanzitutto sulla scelta del campo, sulla direzione del tiro e sul numero dei punti necessari a vincere la partita.

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Prima di dare il via alla sfida bisognava “segnare” la base, cioè un cerchio di circa 150 centimetri di diametro, da tracciare “grattando” il terreno con il bastone, muovendosi su se stessi in senso rotatorio come in una sorta di “compasso vivente”. Sorteggiato l’ordine di battuta dei giocatori, la “lippa” poteva cominciare, ovviamente rispettando le regole che non erano poche.Vediamole, nella successione dei “gesti”. Il battitore si poneva dentro la base con lippa e bastone in mano, gli avversari si disponevano ad una distanza – ritenuta dagli stessi “giusta” – per poter valutare direzione e lunghezza del tiro. Il battitore, che disponeva di un solo tiro, chiedeva l’apertura del gioco pronunciando una parola convenzionale ( da noi diceva “lippa” ) e gli altri gli esprimevano il loro consenso rispondendo con un’altra parola ( nel caso che ricordo era “dàgla”, cioè dagliela.. intendendo la bastonata ), ma potevano anche rispondere diversamente, per ingannare il battitore e – secondo le regole – eliminarlo qualora questo avesse iniziato ugualmente il gioco. Tuttavia il battitore, a scanso di spiacevoli sorprese, sventava le insidie mettendosi al riparo con la formula liberatoria ed universale del ” Tutto vale! “. Sgombrato il gioco da preliminari e trabocchetti, avveniva il lancio della “lippa” che, colpendola a mezz’aria, si voleva mandare il più lontano possibile dalla base. Se sbagliava il tiro lo si dichiarava “cotto” e doveva lasciare il passo a chi seguiva. Se il tiro era valido, gli avversari tentavano di acchiappare al volo la “lippa” e se l’operazione aveva successo il battitore era “cotto”. Nel caso che la presa al volo falliva bisognava recuperare la “lippa” dal punto di caduta e rispedirla al battitore che doveva , a sua volta, ribatterla al volo e mandarla il più lontano possibile per “difendere” la base e poter avere ancora in mano gioco e battuta. Scontato che, se non riusciva, la cosa si faceva più complessa: se la “lippa” cadeva entro il perimetro della base o entro la misura di un bastone dalla medesima, il battitore era “cotto”; se cadeva oltre queste misure il battitore aveva diritto a tentare tre tiri alzando e battendo al volo la “lippa” dal punto in cui era caduta. I punti venivano calcolati in modo piuttosto singolare. Se il battitore andava a segno, proponeva lui stesso un numero di punti equivalente ( a sua valutazione ) a tante misure di bastone quante ne intercorrevano tra la base ed il punto di caduta della “lippa”. Gli avversari accettavano la proposta ? I punti venivano assegnati.

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Gli avversari però potevano fare una controproposta ( ovviamente inferiore.. ) : se il battitore l’accettava quella diventava legge, se la rifiutava si arrivava alla misurazione. Se la distanza risultava più vicina a quella proposta dal battitore i punti che aveva richiesto venivano raddoppiati, se viceversa era più giusta la controproposta il battitore restava con un palmo di naso e all’asciutto. Un bel regolamento, vero? In realtà il gioco della “lippa” offriva tre varianti: quella soltanto “battuta”, in cui si cercava di far arrivare la “lippa” in un certo punto o alla massima distanza – con delle gare molto semplici in cui ognuno giocava per se – , la versione della “lippa” in cui un giocatore la tirava e l’altro doveva afferrarla al volo ed infine la “lippa” tirata, afferrata e rilanciata, la più complessa ed anche la più bella, che abbiamo prima descritto. Ed è lei, per tornare al punto di partenza, la probabile antenata del baseball. Il gioco più famoso d’America – che in origine venne chiamato Town-ball, successivamente New York Game e dal 1839 con l’attuale Baseball – deriva dal Cricket portato in America ( come il Bowling… ) dai coloni inglesi. E se il “nobile Cricket ” discendesse dalla popolare “lippa”? Il cerchio sarebbe chiuso. E tutto torna, com’è successo per il Baseball. Dall’Europa si trasferì in America dove si rifece un nome per poi tornare nella terra d’origine. In Italia l’americano Max Ott ( forse una modifica anglofona di Massimo Ottino.. ), nel 1919, a Torino, organizzò la prima squadra italiana di Baseball. Una prova della “capacità migratoria” della lippa ? Di quella lippa che in Italia aveva molti nomi a seconda delle regioni ( dall’Aré Brusé fiorentino alla Bricca canavesana ) ed una comune radice antica ? Non saprei rispondere. So però che mentre mister Ott organizzava il Baseball tricolore con più o meno le stesse regole della “lippa”, i nostri bisnonni ed i nostri nonni ( allora ragazzini ) almeno qualche volta provavano la battuta al volo. E non è detto che non riuscissero a fare anche un bel po’ di punti.

Marco Travaglini