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“Human Craft Machine”, contaminazione artistica collettiva

Nasce nell’ambito della casa editrice torinese Gian Giacomo Della Porta la collana editoriale “Human Craft Machine”, contaminazione tra esponenti di diverse arti

 

Nasce una nuova collana editoriale dedicata alla sperimentazione, alla contaminazione e al sostegno tra artisti di ogni provenienza e settore. Il suo nome è “Human Craft Machine”, la collana editoriale fa parte della Gian Giacomo Della Porta Editore, la casa editrice torinese nata nel novembre del 2020 per volontà di Gian Giacomo della Porta, scrittore e autore di poesie, a sua volta punto di riferimento per tanti artisti e scrittori già affermati o ai primi passi nel mondo letterario. Il progetto vede la collaborazione dell’artista Fabrizio Santona di Arti Democratiche.

“Il nome della collana editoriale “Human Craft Machine” – spiega Giacomo Della Porta –  potrebbe sembrare insolito per un’iniziativa editoriale, ma è stato volutamente scelto per rappresentare il significato di quella che sarà  questa collana, una pubblicazione mensile di 15 artisti provenienti dal mondo della poesia, della narrativa, delle arti visive e della musica, che avranno la possibilità di confrontarsi e dar vita a una proficua e reciproca contaminazione artistica, partecipando ad un’opera collettiva basata su di un tema specifico che varierà di mese in mese.

“Ciò che differenzia questo da un semplice progetto editoriale – prosegue Gian Giacomo Della  Porta – sarà la possibilità data agli artisti di promuovere i loro lavori attraverso gli eventi “Live HCM”, che verranno indetti dalla stessa casa editrice in ogni città italiana, appena i tempi potranno consentirlo.

Questo movimento è stato voluto dall’artista Fabrizio Santona e da sostenuto dalla mia casa editrice. Nasce dalla necessità di unavolontà di riprogettare un futuro solidale e innovativo, in cui tuttipossano sentirsi parte integrante, favorendo la crescita in un’ottica di condivisione umana e artistica”.

Mara Martellotta 

Gian Giacomo Della Porta Editore

Sito www.giangiacomodellaporta.com

 

Il volto dell’amore

Con “Il volto dell’amore” Graziella Minotti Beretta ha aperto il cassetto del suo cuore davanti agli occhi del lettore trasformando in versi i suoi sentimenti più segreti.

Una silloge tutta dedicata alle poesie d’amore ( 98 per la precisione) non è impresa da poco, soprattutto quando si intende comunicare, con garbo e leggerezza ma senza pudori quel grumo di sensazioni che la vita a volte regala senza guardare in faccia a nessuno, infischiandosene dell’età e delle convenzioni. Graziella Minotti Beretta, classe ’42, alla dodicesima pubblicazione ha scelto la poesia per palesare il sentimento più  profondo e viscerale che difficilmente si può condensare in un breve momento. Quando si è innamorati spesso e volentieri non si trovano le parole per esprimere il sentimento che si prova nei confronti del proprio partner. Ecco allora il soccorso della poesia che aiuta a sentirsi vivi, a comunicare emozioni e passioni. Il sentimento amoroso trova la sua espressione letteraria più elevata nelle poesie d’amore, in quei componimenti che riescono a sintetizzare passione, sofferenza, innamoramento, affanno e una travolgente, incontenibile felicità. I poeti, da quelli famosi ai meno noti, hanno spesso scelto le liriche in versi per rendere omaggio  alle compagne e i compagni di vita, esaltando i propri sentimenti, rendendo pubblici i sentimenti che maggiormente segnano l’esistenza, regalano emozioni uniche e inimitabili. In questo contesto le  poesie di Graziella Minotti sono capaci di grande generosità e non possono fare a meno di scavare nell’anima, ricercandone le dimensioni ignote e inesplorate. Nelle sue liriche l’autrice esprime pensieri, gioie e  angosce legate all’amore con grande energia. Sembra che dica, parafrasando uno dei sonetti più celebrati di Pablo Neruda, tra le parole e gli spazi di ogni riga: “t’amo senza sapere come, né quando, né da dove, t’amo direttamente senza problemi né orgoglio: così ti amo perché non so amare altrimenti”. Anche le immagini delle sculture di Luigi Biagiotti  proposte nelle ultime pagine del libro non si discostano dal tema, proponendolo in forme diverse. Molti poeti e scrittori si sono cimentati con questo tema universale con toni e sfumature diverse. C’è chi è capace di mettere in versi sensazioni fisiche, sguardi, percezioni: una vera e propria fenomenologia dell’amore. Altri capaci di slanci lirici delicati, pieni di musicalità. In ogni caso occorre un certo coraggio e una non comune sensibilità. Quindi, complimenti a Graziella Minotti.

Marco Travaglini

Le mani e la terra

Il viaggio a ritroso nel tempo di Clara Cipollina tra le colline di Gavi

 

Gli guardo le mani, ora ritirate sulle ginocchia una nell’altra, le ha lanciate in alto, lateralmente, mentre narrava, in quel suo gesticolare che costituisce quasi una scenografia ai suoi racconti, ora sono piene di vene rigonfie e violacee, le ricordo grandi, callose e un po’ ingiallite, queste mani stanche, le rivedo arpionate ai manici di un aratro, alle spranghe di un carro e, quasi timide, appoggiate sul tavolo della cucina, nell’attesa che la minestra venga versata. Le rivedo appoggiate ad un bastone ricavato dal ramo di un albero, le rivedo strette nella presa delle zampe di un povero coniglio..”.

In questo passaggio c’è molto dell’essenza narrativa che si trova tra le pagine di Le mani e la terra, il libro di Clara Cipollina recentemente ristampato dalla torinese Impremix Edizioni Visual Grafika dodici anni dopo la prima edizione, da tempo esaurita.

L’autrice, nata a Gavi nel 1949 e laureatasi in lettere al Magistero di Genova nel 1971 con una tesi sull’attività del cartografo Matteo Vinzoni, ha preferito dedicarsi tutta la vita all’insegnamento piuttosto che al lavoro di ricerca negli archivi. Ha sempre scritto testi autobiografici e fiabe, inventandosi anche lo pseudonimo di Titolina (e Il segreto di Titolina, fiaba a otto mani scritta con i figli Nicola e Francesca e il marito Bruno, è l’appendice del volume). Il luogo dell’anima di Clara Cipollina si trova a Gavi, nel cuore della valle del Lemme “dove la campagna è ancora capace del silenzio dominato dai filari e da quell’impercettibile presenza del mare che  il vento porta con sé e le colline accolgono con tutti i suoi benefici influssi”. E’ in quello spazio di tempo e memoria che si snoda il suo lungo dialogo con il padre che rappresenta l’ossatura del racconto. I ricordi, i valori di una civiltà contadina fatta di poche e povere cose materiali e di insegnamenti profondi che restano per sempre, che in tempo non può usurare. I ricordi della sua infanzia vengono rievocati tra la cascina del Merlo, dove è nata, e  l’altra cascina, la Zerba di Alice, una delle frazioni di Gavi. E’ in quel contesto che si snodano e riannodano i ricordi, le immagini di un mondo semplice e povero nella sua materialità ed al tempo stesso ricco di valori e insegnamenti.  Ricordi che dall’infanzia agli anni della maturità di donna sembrano  “accompagnati dai movimenti lenti delle mani del padre di Clara. Lenti e profondi come quelli di chi ha imparato a rispettare quella terra , dura e gonfia di fatica, che gli ha dato da vivere”. “La mani e la terra non è una saga familiare”, ha scritto nella sua introduzione Nadia Gallarotti, l’amica più cara di Clara, prematuramente scomparsa. “Non è solo un pezzo di quel mondo dei vinti che si racconta attraverso le vicissitudini di chi  scelse di compiere tremendi sacrifici per far studiare la figlia brava, per riscattare attraverso di lei tutta una vita di lavoro tanto dignitoso quanto amaro. E’ il ritratto, la foto virata in seppia di una storia come tante e proprio per questo speciale, preziosa. E’ la storia di Clara, dei valori che ha avuto in eredità e che hanno orientato – come una bussola – la sua vita. Una storia troppo preziosa perché – una volta scritta, quasi graffiata con l’inchiostro sui fogli – finisse dimenticata in un cassetto”. Per fortuna quella storia non è finita in un cassetto, trasformandosi in un libro che trasmette sensazioni importanti. Clara Cipollina ha raccontato i pomeriggi passati a Gavi, nella casa dei sui genitori, negli anni che vanno dal 1997 al 2004. Vi arrivava nel fine settimana da Novara, dove vive tutt’ora, e registrava i racconti di suo padre: i conflitti, la vita nei campi, l’incontro con la madre di Clara, i ricordi della giovinezza. Così è andata “a ritroso nel tempo”, riportando alla luce narrazioni di fatti accaduti a cavallo tra le due guerre. Dopo la morte del padre quei ricordi sono riaffiorati  e, riordinando il suo passato, Clara Cipollina ha ritrovato  le persone che più mi hanno amata e ha ridato voce a Mario, suo padre. Tra le pagine ci sono i paesaggi dei vigneti di Gavi, il “terrazzino sul Lemme” tra quelle colline dove, come canta Ivano Fossati in una sua celebre canzone, “si sente il mare”. Ma anche i luoghi come Omegna, sul lago d’Orta, dove è stata giovane insegnante, sposa e madre; e Novara, terra di nebbie e risaie, dove risiede con la sua famiglia. La lettura di Le mani e la terra riporta alla mente le parole di Ermanno Olmi quando sosteneva caparbiamente che “la civiltà contadina è l’unica civiltà che ho conosciuto” .Era un mondo in cui fra marito e moglie ci si dava del voi; un mondo dove i valori erano imposti da una vita dura, faticosa. Dove il riscatto sociale era il desiderio di molti padri per i figli. Una dimensione dove i ritmi erano dettati dalle stagioni, dalle lune e dalla terra. Una civiltà in gran parte scomparsa, divorata dai tempi dove si vive sottomessi allo scandire dell’orologio, dove si è convinti di possedere il proprio tempo quando in realtà è il tempo che possiede noi. Il libro di Clara Cipollina si apprezza come una boccata d’aria fresca e pulita. E’ come il vento a primavera che porta con se i primi profumi del risveglio della natura dopo l’inverno. E in tempi come quelli in cui viviamo c’è bisogno di quest’aria.

Marco Travaglini

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Serena Dandini  “La vasca del Führer”   -Einaudi-  euro  17,50

L’idea di questo libro è nata dall’incontro dell’autrice con un’emblematica fotografia che  immortala una donna bellissima immersa in una vasca da bagno: lei è la famosa Lee Miller e la foto scattata dal collega David Scherman la ritrae nel bagno di Hitler.

Da questa folgorazione ecco l’idea di raccontare la vita eccezionale di Elizabeth Miller, donna incredibile che si è reinventata più volte ammantando la sua vita di un fascino unico.

Nata nel 1907 a Poughkeepsie, nello Stato di New York, a 20 anni è una modella di “Vogue”, ricercatissima e considerata la donna più bella del mondo. Ma l’esteriorità non le basta e le copertine patinate lasciano un vuoto…lei è alla ricerca di ben altro. Così a 22 anni la troviamo a Parigi dove strega il cuore del grande Man Ray e da lui si fa insegnare tutto sull’arte della fotografia.

E’ l’ingresso nella leggenda che la vede personaggio fuori dagli schemi, avanti e indietro nel mondo, macina amori che prende e lascia, è inafferrabile, inquieta e coraggiosa al limite dell’incoscienza. Diventa amica di personaggi del calibro di Picasso, poi a 27 anni sposa un  ricchissimo egiziano, Aziz Eloui Bey, che la lascia libera di inseguire se stessa e perdersi nei deserti della vita.

A Parigi incontra l’artista surrealista e curatore di mostre importanti, Lord Roland Penrose: il loro sarà un amore libero, capace di attraversare la Manica, continuare a Londra, sopravvivere alla guerra e sfociare in nuovo matrimonio con tanto di erede.

Lee è riuscita a convincere “Vogue” ad arricchire le sue pagine con le crude immagini della devastazione e diventa la sua corrispondente di guerra, una delle poche donne fotografe ammesse al fronte. Si troverà spesso al momento giusto nel posto giusto, finalmente fa il lavoro al quale si sentiva destinata, quello che dà il senso più profondo alla sua vita, ma che la consuma anche nell’anima.

E’ tra le prime ad entrare nel campo di concentramento di Dachau, dove di fronte alle “pile di morti accatastate come legna da ardere” ingaggia la sua personale battaglia contro l’orrore, stringendo la sua Rolleiflex tra le mani tremanti.

Ha 38 anni e il volto segnato, le viene assegnato l’alloggio di Hitler, dove entra quasi in trance scoprendo un ambiente squallido e mediocre. E’ nella vasca da bagno del Führer che cerca di lavare via la disperazione e l’odore di morte.

Quello che ha visto, raccontato e fotografato cambierà per sempre la sua vita, sprofondandola tra depressione e alcol. Non basterà diventare Lady Penrose, avere un figlio a 40 anni, Antony -che vive più come fastidio e col quale il rapporto sarà sempre difficile-. Non basterà rifugiarsi a Farley Farm (nel Sussex, oggi un museo) per salvarla dalla caduta. Gli ultimi tempi, divorata dal cancro, sono il triste epilogo di una vita irripetibile e camaleontica. Muore a 70 anni, nel 1977, e le sue ceneri sono disperse nel terreno della fattoria.

 

Tra i libri fotografici dedicati a Lee Miller vi segnalo di Antony Penrose  “The Lives of Lee Miller”  – Thames &Hdson-  in cui il figlio ricostruisce con dovizia di immagini la vita della madre. Dai primi anni tra 1907-1929, prosegue in una carrellata che attraversa il periodo fulgido nell’affascinante New York, poi gli anni di guerra, per arrivare all’ultima tranche della sua vita. Un volume ricco di foto famose scattate dalla Miller, ma anche foto private che la ritraggono con amici, affetti e conoscenti

 

 

Juliet Grames “Storia di Stella Fortuna che morì sette o forse otto volte”  –

HarperCollins-   euro   19,50

Questa è la storia dell’incredibile resilienza di una donna di altri tempi. E’ Stella Fortuna della quale seguiamo la vita a partire dai suoi 16 anni –quando lascia il povero paesino calabrese di Ievoli- e attraversa l’oceano alla volta degli Stati Uniti. Siamo nei primi anni del 900 in cui l’emigrazione poteva essere la svolta verso una vita meno grama per milioni di italiani.

Stella è frutto della fantasia, ma il quadro generale della sua vita è in parte ispirato ad Antonia Rotundo, nonna della giovane scrittrice americana Juliet Grames: editor della Soho Press, nata ad Hartford nel Connecticut, ma di famiglia italo-americana.

Il romanzo è un portentoso affresco familiare che segue le protagonista nel corso della sua lunghissima vita fino a 95 anni: tra sacrifici, forza interiore, sentimenti profondi ed energia portentosa.

C’è di più: la sua esistenza è costellata da gravi incidenti: ustioni gravissime, attacchi di maiali, rischi di soffocamento e altre inspiegabili disgrazie che l’hanno condotta ogni volta sulla soglia della morte. Alla fine il suo corpo è distrutto, ricoperto di cicatrici e suture, ma è anche la testimonianza vivente del suo tenace attaccamento alla vita, con toni da realismo magico.

Stella nasce in Calabria nel 1920 e cresce in un mondo di donne, con l’adorata madre Assunta e la sorella minore Cettina (Tina) alla quale è legatissima. E’ bellissima, intelligente e sogna una vita libera e indipendente in cui essere padrona di sé stessa e del proprio corpo.

La sua ribellione però viene schiacciata dal dominio assoluto del padre Antonio, uomo violento e pervertito che ne piegherà la volontà a suon di cinghiate. Perché nel loro ambiente una donna poteva lasciare la casa paterna solo per sposarsi, altrimenti era vista come una prostituta.

E’ così che si ritrova sposata al giovane Carmelo, che la violenta durante il viaggio di nozze e sfoga il suo forte appetito sessuale mettendola in cinta più volte, al ritmo di una gravidanza dopo l’altra, per un totale di 10 figli sopravissuti e dei quali seguiamo le vite.

Poi il sommo degli incidenti: quando sta per compiere 69 anni un’emorragia cerebrale rischia di ucciderla e viene sottoposta a un’operazione del lobo frontale. Invece di vivere come un vegetale, ancora una volta Stella sorprende tutti, anche se il suo carattere cambierà per sempre e determinerà un’insanabile frattura nei confronti della sorella …e scoprirete  perché.

 

 

Julian Barnes “L’uomo con la vestaglia rossa”  -Einaudi.  Euro 22,00

Questo libro raffinatissimo ci immerge nella Belle Époque europea, decadente, narcisista e affascinante. L’uomo con la vestaglia rossa del titolo compare in un famoso dipinto di John Singer Sargent ed è il dottor Samuel-Jean Pozzi, famoso e ricercatissimo ginecologo vissuto tra il 1846 e il 1918.

Figlio di un pastore di provincia, esteta decadente, abile seduttore seriale di nobildonne, ereditiere, artiste ed intellettuali; ma soprattutto uomo di scienza che riuscì ad entrare nel bel mondo della noblesse parigina di fine 800.

La sua vita è ai massimi livelli: diventa il medico dell’alta società, cura reali, aristocratici, attrici, scrittori e drammaturghi.

Si muove nell’orbita di personaggi del calibro della famiglia Proust, del conte Robert de Montesquiou, Flaubert, Oscar Wilde, Edmond de Goncourt, il principe Edmond de Polignac e la moglie  Winaretta Singer (erede della famigli produttrice delle macchine per cucire e grande mecenate) e Sarah Bernhardt (anche lei cadde nelle spire del Don Giovanni col bisturi).

Nel 1980 pubblica il suo “Trattato di ginecologia clinica e operatoria” in due volumi, corredato di diagrammi e  illustrazioni perlopiù  basati sui suoi stessi disegni. E’ qualcosa di assolutamente innovativo nel panorama medico, nato dallo studio delle pratiche inglesi, tedesche e austriache alle quali Pozzi aggiunge le proprie osservazioni ed esperienze, maturate negli anni come internista presso l’ospedale pubblico Lorcin-Pascal.

Il Trattato gli assicura fama in Europa e America, ricchezza ed entrature privilegiate anche presso il presidente della Repubblica francese col quale va a caccia nella foresta di Rambouillet.

Amicizie altolocate e una vita privata costellata di amanti sono i tratti salienti della sua vita nel corso della quale non solo diventa famoso, ricco e stimato, ma è eletto anche senatore della Dordogna e sindaco del suo paese.

Difficili i rapporti con la moglie totalmente sottomessa e con la figlia Catherine che nelle sue memoria altalena giudizi negativi sul padre ad altisonanti dichiarazioni di amore figliale.

Tutto raccontato sullo sfondo di un’epoca che ancora oggi conserva un fascino tutto suo, che Barnes ricostruisce attraverso le vicende di personaggi passati alla storia.

Purtroppo dopo tanto splendore  una fine imprevedibile e violenta stronca la vita del dottor Pozzi.

 

 

Toshikazu  Kawaguchi  “Basta un caffè per essere felici”   -Garzanti-  euro 16,00

Dopo il successo del libro di esordio “Finchè il caffè è caldo”, ora lo scrittore 44enne giapponese ci regala il secondo capitolo della quadrilogia ambientata in un locale leggendario di Tōkyō, dove bevendo una tazza di caffè e rispettando certe regole è possibile tornare indietro nella propria vita al momento in cui si era presa una decisione errata.

La caffetteria centenaria è in un piano seminterrato nel centro della città ed è un luogo decisamente speciale. Chi entra perché vuole tornare nel passato deve sottostare alle seguenti norme.

Le uniche persone che si possono incontrare nell’altra dimensione devono essere entrate a loro volta nel locale; qualsiasi cosa si faccia quando si torna indietro non si potrà cambiare il presente; c’è solo una sedia che veicola nel passato e da quella non ci si può alzare altrimenti si è immediatamente rispediti nel presente; il tempo che si può trascorrere all’indietro comincia quando il caffè viene versato nella tazza e dura solo finché è caldo.

In  questo secondo capitolo nel locale entrano più personaggi intenzionati a ripercorrere le  loro vite.

Sono Gotaro che non ha mai detto la verità sulla sua nascita alla ragazza che ha cresciuto come una figlia dopo che i genitori erano morti in un incidente e vuole rincontrare l’amico deceduto.

Yukio che ha inseguito i suoi  sogni e trascurato la madre nel momento  in cui avrebbe avuto più bisogno della sua vicinanza.

Katsuki che temendo di far soffrire la fidanzata le ha nascosto una dolorosa verità; e ancora, Kiyoshi che non è riuscito a dire addio alla moglie come avrebbe voluto.

Alla fine dei loro incredibili viaggi a ritroso tutti arriveranno a capire che per ritrovare la felicità non occorre cancellare il passato, piuttosto imparare a perdonare se stessi e gli altri per guardare più serenamente al futuro.

“Donne e follia in Piemonte”, il libro di Bruna Bertolo

Storie e immagini di vite femminili rinchiuse nei manicomi, nel nuovo libro della saggista e scrittrice rivolese 

Donne fragili. Negli occhi, nei corpi e nell’anima i pesanti fardelli dell’instabilità mentale. Ma anche solo donne “diverse” e per questo sospette, inquiete, libere e perfino geniali tanto da creare fastidiose intollerabili scomodità. E soprattutto “donne”.

Caratteristica considerata – insieme alle altre – un’aggravante in più e, all’epoca, non da poco per famiglie e società. Da nascondere ben bene e senza pietà fra le agghiaccianti mura di un manicomio. Sono loro le protagoniste, quasi mai nominate fatte salve alcune debite eccezioni, del nuovo libro-ricerca “Donne e follia in Piemonte” (232 pagine, pubblicata da “Susalibri Editore”) di Bruna Bertolo, già autrice di numerosi saggi di argomento storico, tra cui “Maestre d’Italia” e “Donne nella Resistenza in Piemonte”. Alla stesura del libro (ricco di documenti originali, con fotografie di Renzo Miglio e Sergio Sut, un capitolo finale scritto dallo psichiatra Pier Maria Furlan e una premessa di Alberto Sinigaglia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte), la scrittrice rivolese è arrivata seguendo un meticoloso “lavoro di ricerca – è lei a raccontarlo – attraverso le cartelle cliniche, per circa un secolo di storia”. Dalla seconda metà dell’800 fino agli anni che precedono l’entrata in vigore della “Legge Basaglia”, Legge 180 del 1978, che restituì dignità alla malattia mentale, non più considerando il paziente come “oggetto” da aggiustare, ma come “persona” da accogliere, ascoltare, comprendere ed aiutare. Altra cosa dalle storie vissute nei manicomi-prigione di cui racconta la Bertolo.“Sorie dimenticate, ignorate. Donne scomode internate in manicomio. Un’umanità femminile dolente…Tante storie. Uscivo dall’Archivio dell’ex manicomio di Collegno veramente spossata”. Addosso e dentro, l’amaro groviglio di emozioni, rabbie, compassione per vite tormentate, crudelmente torturate, vite nascoste alla vita. Raramente la Bertolo riporta i nomi. Tranne poche eccezioni. Come per Lucia Saltarin, ricoverata per molti anni al manicomio di Collegno e che “scriveva belle poesie ed era bravissima nel dipingere, ma affetta da deliri di tipo mistico”. Di lei “faccio il nome – precisa la scrittrice – perché lo stesso Guido Ceronetti, nella sua rubrica di prima pagina su ‘La Stampa’, aveva pubblicato la sua poesia ‘Madonna d’Egitto’”. Accanto alla Saltarin, si citano anche Anna Sworova la “smemorata di via Giulio”, Fiorella la “ribelle” di Racconigi, le alienate e le “pellagrose”, le “corrigende” e le “maddalene” del Buon Pastore fino a Ida (Aida) Peruzzi Salgari, moglie del celebre scrittore veronese che da lei ebbe quattro figli in vent’anni di matrimonio. Fino a quando l’estenuante condivisione dei quotidiani problemi legati alla frenetica estenuante attività del celebre marito, portarono la donna – in gioventù promettente attrice nei teatri veronesi – ad una tale difficoltà di vivere da necessitare di un ricovero in manicomio a Torino, dove i Salgari si erano trasferiti nel 1900. Fu “reclusa” nel reparto dei “relitti sociali”. Era mercoledì 19 aprile 1911. Pochi giorni dopo, il 25 aprile, il marito scrittore si tolse la vita nal parco di Villa Rey, sulla collina poco sopra corso Casale, dove al civico 205 una targa commemorativa ricorda ancora oggi la permanenza dei Salgari nel capoluogo piemontese. Lei lo amò fino alla pazzia e lui fino alla morte, scrisse Giovanni Arpino. Storie, quella di Ida Peruzzi e di tante altre sventurate, che scivolano con amara tristezza nelle pagine della Bertolo che ricorda ancora: “L’Archivio di quello che fu una delle realtà manicomiali più importanti del Piemonte, Collegno, permette di raccogliere frammenti di vita, di dolore, di alienazione, spesso di morte, che rappresentano uno squarcio di umanità dolente”. Perché davvero “il manicomio è una grande cassa/ di risonanza/ e il delirio diventa eco/ l’anonimità misura, il manicomio è il Monte Sinai/ maledetto, su cui tu ricevi/ le tavole di una legge/ agli uomini sconosciuta”. Versi della grande Alda Merini. Un’esperienza decennale in tre diversi manicomi. Una grande donna che, attraverso l’arte e la scrittura, ha saputo trasformare nel tempo la tragedia di veri e propri lager manicomiali in sublime poesia.

Gianni Milani

“Zeus ti vede” Il nuovo libro di Riccardo Marchina

E’ ambientato nel “piccolo paradiso proletario” del vecchio Borgo Campidoglio di Torino

Un “giallo” urbano, dal titolo intrigante e un tantino inquietante. “Zeus ti vede”. Proprio come recita la scritta misteriosa in cui, non di rado, ci si imbatte per le strade – soprattutto periferiche – dell’esoterica Torino (e di altre città), sulla cui origine si sono spese nel tempo svariate, improbabili e perfino un po’ folcloriche versioni e interpretazioni.

Tre parole e il disegno di un triangolo simbolico al cui interno un grande occhio scruta e avverte minaccioso i passanti. Tre parole che danno anche il titolo all’ultimo libro (224 pagine, pubblicate da “Neos edizioni”) del torinese Riccardo Marchina, giornalista e scrittore, che già per “Neos” aveva scritto nel 2011 “L’agenzia dei segreti precari” e nel 2018 “Lo squalo delle rotaie”. E proprio quelle parole affiorano alla mente di Pietro, il protagonista del romanzo, allorché pensa o si trova davanti all’imbarazzante bellezza di Mascia che “aveva grandi cosce, appiccicate a un corpo magro” e sulla schiena “aveva tatuato un sole stilizzato, all’interno del quale c’era un triangolo” e ancora “al suo interno c’era un occhio. Era una sorta di ‘Zeus ti vede’”. Siamo a Torino all’interno del vecchio Borgo Campidoglio, quartiere operaio sorto a fine ‘800, caratteristica isola di case basse (oggi museo a cielo aperto d’arte urbana – il MAU – per le circa 200 opere pittoriche di street – art dipinte sui muri esterni), di botteghe che sono memoria fascinosa di antichi mestieri artigianali, enoteche e caratteristiche piole dai prodotti tipici e dai semplici ma robusti e sinceri vini locali: “periferia ovest della città, dove corso Regina Margherita si perdeva nel parco della Pellerina, prima di diventare una cosa unica con la tangenziale”. E proprio qui si snoda gran parte della storia di Pietro. Quattro figli avuti da due (ex) compagne diverse, quindi due famiglie da mantenere, l’uomo lavora in un’impresa di torrefazione di Torino, fino a quando una multinazionale olandese acquisisce l’azienda e la sua vita comincia a rotolare all’ingiù. Licenziato e addirittura sospettato dell’omicidio della responsabile del personale, con la quale aveva una relazione, Pietro è condannato a giornate scandite da frustranti colloqui di lavoro e convocazioni in commissariato. Sullo sfondo la Torino ch’era un tempo città dell’auto, del caffè, della cioccolata, della birra, della penna a sfera, dell’informatica… e ora é “città sempre più fluida, inafferrabile e infida”. A sostenerlo nei vorticosi tentativi di riprendere in mano la propria vita, c’è però Mascia, giovane e provocante cameriera di una scalcinata ma accogliente trattoria di Borgo Campidoglio. “Giallo” urbano, si diceva. Ma non solo. Con questo romanzo, infatti, Riccardo Marchina intende superare la quotidiana, intricata e avvincente realtà degli eventi, sfruttati a base solida da cui partire per proporci una “riflessione sul mondo del lavoro fatto di acquisizioni aziendali e società di outplacement, di globalizzazione spinta e difesa del made in Italy, di esuberi e bandiere sindacali affisse ai cancelli delle fabbrichette, di responsabili del personale imbevuti di tecniche e filosofie aziendali e start-up come rimedio estremo all’impossibilità di ricollocarsi”. In tal senso, le parole dello scrittore (che per “Neos” cura anche la serie antologica “Spirito d’estate”) ci portano dentro, e fino al fondo di una realtà contemporanea assurda, frenetica e imprendibile, dalla quale non resta che fuggire. “Verso un posto dove Zeus non possa più vederci”.
g. m.

Il venerdì dello scrittore Incontro con il Prof. Quaglieni

Venerdì 19 marzo Ore 18 – Pagina facebook della biblioteca civica Arduino @bibliomonc

Cofondatore e vicepresidente del Centro Pannunzio, docente e saggista di storia risorgimentale e contemporanea, venerdì 19 marzo Pier Franco Quaglieni sarà ospite della rassegna Il Venerdì dello scrittore, e dialogherà a tutto campo con l’assessore alla Cultura di Moncalieri, Laura Pompeo.

L’appuntamento sarà alle 18 sulla pagina facebook della Biblioteca Civica Arduino @bibliomonc.
Il filo della discussione sarà dato da 4 recenti pubblicazioni del professor Quaglieni: “Mario Pannunzio. La civiltà liberale”, “Mario Soldati. La gioia di vivere”, “Grand’Italia” e “Figure dell’Italia civile”.

Pier Franco Quaglieni è pubblicista dal 1968. È conferenziere invitato in tutta Italia e all’estero. All’età di 47 anni è stato insignito dal presidente della Repubblica Scalfaro della Medaglia d’oro di I classe di Benemerito della Scuola, della Cultura e dell’Arte. Ha vinto, tra gli altri, i premi Voltaire, Tocqueville, Popper e Venezia. Nel 2006 è stato presidente del comitato scientifico del Comitato nazionale per il centenario della nascita di Mario Soldati presso il MiBACT.

“Come Assessorato alla Cultura siamo sempre ben lieti di dare spazio nella nostra biblioteca all’opera e alle riflessioni del prof. Quaglieni – spiega soddisfatta l’assessore Laura Pompeo – Non è la prima volta che ospitiamo un suo intervento ed è sempre un piacere ascoltarlo”.

 

“C’è il sole fuori”. Il libro di Silvia Cavallo parla di rinascita

Nel libro di Silvia Cavallo C’è il sole fuori, (entrato fra i 100 Bestseller Amazon nel primo weekend di vendita) il tema della rinascita, della consapevolezza e della capacità di “attraversare il dolore” per ricominciare a vivere è affrontato con profondità, così come alcuni argomenti di attualità tra cui quello dei pregiudizi, del lavoro vissuto come passione o al contrario come pura e sterile fonte di guadagno e infine il valore rivestito degli anziani, sono osservati con consapevolezza e volontà di comprendere.

Questo lavoro è nato anche grazie all’apprezzamento di un lettore che ha sottolineato come i libri dell’autrice non si limitano unicamente a narrare storie ma sono ricchi anche di spunti di riflessione e capaci di lasciare tracce, in linea perfetta quindi con lo spirito e il proposito letterario. C’è il sole fuori racconta di Vera, una donna fragile ma determinata, una maestra appassionata del suo lavoro che, a seguito di una cocente delusione, si dedica a ciò che rimane della famiglia che ha costruito.

Nell’estate del 2017, in una Torino affascinante e assolata, il ricovero del padre e la paura di perderlo per sempre obbligano la protagonista a riflettere sull’essenza della vita stessa. Solo allora, grazie all’esempio dell’amica Stella e all’incontro col misterioso Nicola, Vera riuscirà a rispondere alla domanda che per troppo tempo ha nascosto a se stessa: “Vuoi ricominciare a vivere?”.
Il romanzo, abilmente costruito su piani temporali alternati capaci di creare attesa e suscitare partecipazione lungo il dipanarsi della storia, consente al lettore di entrare in sintonia con la protagonista, comprendere il suo vissuto ed assistere al suo percorso di crescita.

C’è il sole fuori trasmette un messaggio positivo e di speranza in un periodo distopico come quello attuale, “il momento storico che stiamo vivendo”, spiega infatti Silvia Cavallo, “è delicato e complesso, ciononostante credo che continuare a parlare di buio ci tolga la possibilità di intravedere la luce e affrontare con coraggio le difficoltà. Come scrivo nelle pagine del libro, credo che la vera sfida, in un’esistenza fatta anche di ombre e di momenti bui, sia attraversare il dolore e trasformare i rischi in opportunità di crescita e realizzazione. Perché attraverso il buio, ed oltre la sua ombra, tornerà il sole fuori”.

Maria La Barbera

 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Peter Cunningham  “Il mare e il silenzio”    -SEM-  euro  17,00

Peter Cunningham (nato a Waterford nel 1947) è uno dei più importanti  scrittori irlandesi contemporanei: al suo attivo ha 10 romanzi di successo e con “Il mare e il silenzio” si è aggiudicato nel 2013 il Prix de l’Europe.

E’ il racconto di una storia d’amore, ma anche il ritratto di un’eroina affascinante; parla di rinuncia, guerra e destino sullo sfondo dell’abbagliante verde di Irlanda, paese che lottò con ogni mezzo per ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna.

Il mare e il silenzio sono il rifugio della protagonista Iz quando la vita tenta di stritolarla e lei trova pace affacciandosi sulla sommità del faro che appartiene alla famiglia del marito.

Nel prologo -che già intriga il lettore- c’è il lascito testamentario che l’anziana Iz Shaw ha fatto avere all’avvocato Dick Coad, conoscente di vecchia data che l’aveva incontrata anni addietro alla stazione di Monument ed era rimasto abbagliato dalla sua gioventù e bellezza.

Mrs Shaw ha disposto che le sue ceneri siano affidate al mare in un punto oltre il faro, e ha inviato a Dick due pacchi sigillati, da distruggere dopo averli letti.

Contengono la storia della sua lunga vita, a partire dai suoi fulgidi 23 anni, quando arrivò nella cittadina portuale di Monument, sulla costa sudorientale dell’Irlanda, e vide per la prima volta la casa in cui avrebbe vissuto con il marito Ronnie e il figlioletto Hector.

La sua non è stata una vita semplice, ma il carattere e una titanica forza interiore le hanno fatto scavalcare ostacoli immensi.

Nel suo passato di fanciulla c’è stato il fidanzamento con un uomo che non amava, ma che avrebbe salvato la famiglia dalla rovina. Poi la rottura e la fuga, dopo l’incontro con Frank, il grande amore della sua vita….finito in tragedia per colpa delle drammatiche vicende storiche che hanno avviluppato l’Irlanda nella sanguinosa guerra sulla strada per l’indipendenza.

Infine il matrimonio di ripiego con Ronnie, uomo debole e spaesato che la tradisce e non riesce a rimettere in carreggiata la sua vita.

In mezzo a tutto questo ci sono malattie, attentati, morti e personaggi bellissimi e struggenti le cui vite sono state deviate dalla Storia, quella con la S maiuscola.

 

 

Silvia Avallone  “Un’amicizia”     -Rizzoli-  euro  19,00

E’ la storia di un’amicizia totalizzante e perduta -fatta di innumerevoli luci ed ombre- tra la timida, studiosa e di origini modeste Elisa e la bellissima reginetta della scuola Beatrice, destinata a diventare un mito attraverso il suo blog che ricorda tanto l’ascesa delle influencer griffate nostrane.

A narrare i momenti più belli, ma anche il dolore della rottura di questo legame è Elisa; donna di 34 anni votata alla cultura e all’insegnamento, con velleità letterarie da sempre, madre single di Valentino che ha cresciuto da sola tra mille sacrifici e rinunce.

E’ lei che riannoda i fili del suo rapporto quasi simbiotico, ma anche sbilanciato con l’amica del cuore incontrata a 16 anni.

Beatrice, bellissima, occhi verdi incredibili e charme costruito a puntino è ammirata da tutti; ma l’altro lato della medaglia la vede intrappolata in un destino costruito per lei dall’ambiziosa madre Ginevra, ex reginetta di bellezza poi impantanasi in un matrimonio di facciata più che di felicità.

E se la famiglia di Elisa è sfasciata da una separazione, poi un ritorno di fiamma e infine la rottura definitiva, quella di Bea che sembra perfetta, in realtà è pura finzione e apparenza. E le madri saranno qui diversamente importanti…

Due ragazze diametralmente opposte, con vite totalmente diverse, eppure hanno fatto un significativo tratto di strada insieme, entrambe in lotta con se stesse per trovare la loro identità ed uscire dagli stereotipi.

Il racconto degli alti e bassi di questa amicizia è anche lo spunto per  una riflessione sul rapporto tra immagine e reale. Sulla crescita esponenziale della fama di cristallo che corre sui social e sull’affanno quotidiano nel postare una vita brillante, fatta di viaggi, abiti, borse, gioielli griffati, frequentazioni e sfondi che fanno sognare le teenager in cerca di modelli a cui conformarsi, nell’illusione di una vita perfetta e patinata.

 

 

Herman Bang  “La casa bianca”    -Iperborea-    euro 13,00

Herman Joachin Bang è stato uno scrittore danese, (1857-1912), esponente di spicco del movimento naturalista e anti-romantico che negli ultimi 30 anni dell’800 portò alla ribalta i letterati scandinavi.

Bang, raffinato, omosessuale, dandy eccentrico, suscitò un certo scandalo per i suoi romanzi e lo stile di vita.

“La casa bianca” e “La casa Grigia”, sono due memoriali in cui l’autore ritrae sotto forma di romanzo la propria infanzia e giovinezza; lo fa attraverso l’uso di un narratore esterno, ma è più che evidente il suo coinvolgimento emotivo che attinge da tratti fortemente autobiografici.

La casa bianca in cui è cresciuto è la residenza di campagna dei Hvide (casato in decadenza) sull’isola di Als, in cui visse la famiglia del pastore Fritz Hvide.

Una magione elegante, arredata con mobili importanti, che accoglie la famiglia impegnata in una sorta di aristocratico ozio, e permeata di un alone elegiaco, tra il malinconico e il senso di un tempo d’oro ormai perduto.

Herman ricostruisce piccoli-grandi episodi della sua infanzia; balza agli occhi soprattutto il ricordo della madre, Thora Blach, perfettamente incarnata nel personaggio di Stella.

E’ la moglie del pastore, madre di 6 figli, donna sensibile e di salute cagionevole, che ama la musica e la poesia; piena di dolcezza e grazia, sa dispensare amore e indulgenza non solo nei confronti dei figli, ma anche della servitù. Ama giocare, scherzare, cantare e travestirsi in una girandola di buonumore, immancabilmente frenato però dal rigido e rigoroso marito. Ad appannare la sua dirompente euforia c’è la sua “gioia  dagli occhi tristi”.

Questo libro, annoverato tra i capolavori della letteratura danese, è una sorta di primo capitolo di una stessa saga in cui lo scrittore racconta dapprima l’infanzia nella casa natale e prosegue con gli anni successivi nella casa dei nonni paterni ad Amaliegade, ovvero…

 

 

 “La casa grigia”     -Iperborea-   euro  14,00

Fu pubblicato da Bang tre anni dopo il precedente ed è il seguito naturale delle sue memorie, concentrate questa volta sugli anni formativi, precedenti agli esordi letterari.

Alter ego dell’autore è il protagonista William, giovane che vive con la famiglia nella capitale, nel palazzo in Amaliegade 7, di proprietà del nonno paterno, il vecchio patriarca Ole Hvide, ex medico di corte e figura severa.

In tutto il romanzo si respira una pesante aria di declino, anche se si cerca di mascherarlo con mezze verità e piccoli stratagemmi.

La casa grigia si trova vicino al palazzo reale di Copenaghen ed è una specie di grigio mausoleo del mondo nobile-borghese destinato al tramonto nel volgere del XIX secolo.

Centrale nella narrazione qui è l’anziano Ole, che lotta contro l’amarezza del tempo e della gloria perduti, abbandonato dai pazienti, fatica con la vista sempre più debole per scrivere poesie che nessuno pubblicherà. Gli stessi suoi parenti sembrano averlo lasciato indietro, tanto da non dirgli nemmeno che l’amata nipotina Emmely sta per essere portata via dalla malattia.

Una fase discendente avvolta in ampi saloni blasè in cui si consumano tristezze e spese che stanno sgretolando il patrimonio familiare, in linea con la decadenza dei tempi.

“Sei nato tardi” dice con disincanto il nonno Ole al giovane nipote William… e in quelle parole c’è il senso più profondo del crepuscolo di un’epoca.

In dirittura d’arrivo l’XI edizione del Premio Lattes Grinzane 2021

Da  Bolzano a Trapani, vede coinvolti 400 studenti di 25 Giurie Scolastiche

Monforte d’Alba – Saranno annunciati mercoledì 14 aprile prossimo i cinque romanzi finalisti e il vincitore del Premio Speciale dell’XI edizione del “Premio Lattes Grinzane”.

Promosso dalla “Fondazione Bottari Lattes” di Monforte d’Alba, voluta e presieduta da Caterina Bottari Lattes in memoria e omaggio al grande marito Mario Lattes (editore, pittore, scrittore e fra i più importanti intellettuali del secolo scorso), il Premio – sostenuto da Regione Piemonte, Fondazione CRC e CRT e Banca d’Alba – nasce nel 2009 “sulle ceneri del Grizane Cavour” ed è rivolto alle opere di narrativa italiana e internazionale pubblicate in Italia, per quanto riguarda l’odierna edizione, fra il gennaio 2020 e il gennaio 2021. “Nonostante la situazione di emergenza sanitaria – dice con orgoglio Caterina Bottari Lattes – i lavori non si sono mai fermati e abbiamo continuato a dialogare, come da tradizione, con il mondo scolastico e con quello editoriale, che ha risposto con entusiasmo nel proporre i romanzi ritenuti più meritevoli del riconoscimento”. Cinque, anche quest’anno, i romanzi finalisti, che verranno annunciati a mezzo stampa e sul sito, sulla pagina Facebook e sull’account Twitter della “Fondazione Bottari Lattes”. Selezionati dai docenti, intellettuali, critici e scrittori che formano la Giura Tecnica (presieduta da Gian Luigi Beccaria, linguista, critico letterario e saggista), i “magnifici” cinque saranno quindi affidati alla lettura e al giudizio di 400 studenti delle Giurie Scolastiche, avviate in 25 scuole superiori, da Bolzano a Trapani, passando per Torino (Convitto “Umberto I”), Alba, Bra, Pinerolo, Bologna, Macerata, Matera, solo per citare alcune delle città coinvolte. Con i loro voti, i giovani giurati decreteranno il libro vincitore tra i cinque in gara, che sarà proclamato sabato 2 ottobre, nel corso della cerimonia di premiazione (aperta al pubblico, compatibilmente con l’emergenza pandemica) al “Teatro Sociale Busca” di Alba.
Accanto al “Premio Lattes Grinzane”, anche quest’anno è stato istituito il “Premio Speciale Lattes Grinzane”, assegnato direttamente dalla “Giuria Tecnica” a un’autrice o autore internazionale di fama riconosciuta a livello mondiale, che nel corso del tempo abbia raccolto un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico. Il vincitore di questa edizione terrà una “lectio magistralis” su un tema letterario a propria scelta e verrà insignito del riconoscimento sempre nel corso dell’appuntamento fissato per sabato 2 ottobre ad Alba. In programma anche un incontro di scrittrici e scrittori finalisti con gli studenti del territorio cuneese. Gli appuntamenti saranno trasmessi anche in diretta “streaming” sul sito e sui canali social della “Fondazione Bottari Lattes”.
L’anno scorso, l’edizione 2020 del Premio fu vinta dalla scrittrice turca Elif Shafak con il romanzo “I miei ultimi 10 minuti e 38 secondi in questo strano mondo” pubblicato da Rizzoli, mentre il “Premio Speciale”, consistente in una somma in denaro, andò alla “Protezione Civile”, come apprezzamento per il grande impegno profuso nell’affrontare l’emergenza sanitaria.
Per info: 0173/789282 – eventi@fondazionebottarilattes.it – book @fondazionebottarilattes.it – WEB fondazionebottarilattes.it – FB Fondazione Bottari Lattes – TW @BottariLattes – YT FondazioneBottariLattes
g. m.

Nelle foto:
– Il “Premio Speciale 2020” ritirato da Angelo Borrelli, allora Capo Dipartimento della “Protezione Civile”
– Caterina Bottari Lattes
– Elif Shafak (foto Ferhat Elik)