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Il Vino di Sofia. La contessa di Bicherasio e l’Albarossa di Uviglie Monferrato

Laura Brezzi Caponetti racconta la storia di Sofia Cacherano di Bicherasio in un luogo iconico dove siintrecciano vite, invenzioni e un vino che racconta un’epoca in fermento.

Sabato 22 novembre nello scenario unico della Galleria Subalpina di Torino, ospitati da una delle Librerie piu’ belle del mondo, La Luxemburg, e’ stato presentato il libro di Laura Brezzi Caponetti Il Vino di Sofia.

Nel Castello di Uviglie, tra le colline morbide del Monferrato, si muove ancora l’ombra raffinata di Sofia Cacherano di Bicherasio, protagonista del libro. La sua figura attraversa un tempo di straordinarie trasformazioni: l’Italia tra fine Ottocento e inizio Novecento, quando la modernità accelera, la scienza trova nuove strade e la cultura si rinnova con slanci visionari. Nella sua vita si specchia un mondo in movimento, fatto di persone che hanno inciso profondamente nella storia del Paese. “Non c’erano molte tracce della contessa” racconta l’autrice” “ricostruire la sua storia e’ stato un grande lavoro che e’ durato piu’ di un anno”. Effettivamente la storia di Sofia non e’ molto conosciuta, ma finalmente con questo libro si porta alla luce la sua intensa  e sostanziosa esistenza e libro la racconta di lei con quelladelicatezza che non toglie nulla al suo peso storico.

Attorno alla contessa ruotano figure decisive: il fratello Emanuele, uno dei fondatori della futura FIAT, idealista irrequieto e simbolo di un’Italia che sogna velocità e progresso; Federico Caprilli, rivoluzionario dell’equitazione, capace di trasformare la relazione tra cavallo e cavaliere in un gesto moderno; Leonardo Bistolfi, scultore simbolista che porta nelle sue forme morbide lo spirito dell’epoca, ma anche Riccardo Gualino, imprenditore e mecenate, incarnazione della borghesia creativa che sta ridisegnando il Piemonte. Sono presenze che non fanno da sfondo, ma danno profondità al ritratto di una donna capace di muoversi con naturalezza tra arte, tecnica e vita quotidiana.

È in questo contesto che nasce, grazie all’enologo Giovanni Dalmasso” l’idea dell’Albarossa, un vino che parte da un’intuizione: unire l’eleganza dei vitigni piemontesi con la forza più antica delle colline. A Uviglie, questa visione trova una casa speciale: la cava sotto il castello, scavata nei secoli e trasformata in cantina naturale, diventa un luogo quasi simbolico: un cuore di pietra dove temperatura e umidità restano costanti e dove il vino può maturare lentamente. Non è solo un dettaglio architettonico, ma una metafora della stessa Sofia: radicata nella tradizione, capace però di accogliere la novità con intelligenza e misura.

La nascita della moderna enologia fa da cornice al racconto. Sono anni in cui il vino smette di essere soltanto un prodotto agricolo per diventare oggetto di studio, ricerca e cultura. La scienza entra nelle cantine, le tecniche si affinano, la qualità diventa un obiettivo condiviso. Anche Uviglie partecipa a questo fermento: la gestione delle vigne si rinnova, la cantina nella cava diventa un laboratorio naturale, il vino un’espressione identitaria del territorio.

Il vino di Sofia è un affresco che intreccia biografia, storia, invenzioni e paesaggio epocale. Racconta la forza discreta di una donna che ha saputo comprendere il proprio tempo e attraversarlo con grazia; restituisce al Monferrato il ruolo di luogo fertile, capace di trasformare intuizioni in materia viva: un vino che ancora oggi parla di lei e di quel mondo che cambiava correndo verso il futuro.

Maria La Barbera

“Cassetta dei ricordi” al Velò Sport Bistrot del Motovelodromo  

Il 26 novembre verrà presentato alle 18 il libro nato dal progetto di raccolta di testimonianze sul Velò 

Si tratta di un libro a più voci nato dal progetto della “Cassetta dei ricordi”, dedicato al Motovelodromo di Torino, con proiezione del documentario “Memorie del Velò”, che raccoglie le interviste pubblicate nel volume intitolato “Motovelodromo. La cassetta dei ricordi”  a cura di Stefano Delmastro, Laura Giachino e Benedetta Lanza, pubblicato in condivisione da Graphot e Scritturapura.
Il volume è  nato dal progetto della “Cassetta dei ricordi”, ideato per raccogliere da testimoni diretti e indiretti che, a vario titolo, hanno frequentato in diverse stagioni il Motovelodromo torinese, inaugurato nel 1920, le storie più significative legate a quel luogo leggendario della città,  tanto quelle sportive,  dal ciclismo al rugby, passando per il calcio, il football americano e il baseball, quanto quelle di altro genere, dalla musica operistica ai concerti rock, fino alle esperienze più personali di quartiere.
Il libro, curato da Stefano Delmastro, Laura Giachino e Benedetta Lanza, che hanno selezionato il materiale testuale e fotografico raccolto e poi pubblicato dalle due case editrici, raccoglie oltre trenta testimonianze, spesso diversissime, in forma di memoria, racconti e immagini, volte a salvaguardare e condividere momenti anche privati di oltre cento anni di storia di un luogo chiave dell’immaginario di Torino e non solo, quale è  il Motovelodromo Fausto Coppi, confidenzialmente chiamato Velò, uno dei più antichi velodromi d’Italia, sicuramente l’impianto sportivo più antico del Piemonte, monumento sotto tutela della Soprintendenza dal 1994, che ha superato decenni di degrado, fino alla sua rinascita dal 2021 ad oggi.
Alla presentazione , a cui interverranno tra gli altri Beppe Conti, opinionista di Rai Sport che con Graphot e Scritturapura ha pubblicato “Storia e leggenda del Motovelodromo”, il giornalista Carlo Pestelli, Fabrizio Rostagno di Sport 4 Good, la società  di rigenerazione e gestione del Motovelodromo di Torino, la scrittrice Angela Vecchione, che leggerà brani tratti dal racconto  di sua invenzione sul Velò, l’antropologo e narratore Marco Pollarolo, verrà inoltre proiettato  il documentario “Memorie del Velò”, realizzato da Francesco Dragone  quale regista, Mattia Cavaliere quale operatore ed editor, e Valentina Grani come produttrice, che raccoglie le interviste di sportivi e testimoni di un tempo e di oggi contenuti nel volume.

Dalla voce di giornalisti, scrittori nonché da quella di molte altre persone che hanno vissuto l’esperienza di vita legata al Motovelodromo e che hanno voluto condividerla, emerge un ritratto più ampio e rotondo, più personale e al tempo stesso più radicato nel territorio di un luogo che è stato testimone delle imprese di ciclisti indimenticabili quali Coppi e Bartali, le sfide dei rugbisti, le botte da orbi dei primi scontri del football americano,  le mitiche partite di calcio del Grande Torino e della Nazionale degli anni Venti e Trenta del Novecento , e ancora il “Torneo di guerra” del 1944 o la messa in scena di opere come la Carmen di Bizet e l’Aida di Verdi, i grandi concerti dei Pooh, di Francesco De Gregori e dei Roxy Music.

Motovelodromo Fausto Coppi corso Casale 144

“La Cassetta dei ricordi” a cura di Stefano Delmastro, Laura Giachino e Benedetta Lanza

Mercoledì 26 novembre ore 18

Mara Martellotta

Il libro di Oliva tra brigantaggio e guerra civile

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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Pier Franco Quaglieni

Secondo lo storico Gianni Oliva, che è uno dei pochi studiosi non a priori  ideologicamente schierati , le rivolte e la repressione nel Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia rappresentarono la prima guerra civile italiana. Non so se la tesi sia totalmente condivisibile perché chi scrive resta fermo al magistero di Rosario Romeo che ebbe una visione diversa del problema del brigantaggio, del latifondo e della stessa questione meridionale -a partire dall’ episodio di Bronte  -perché vide nel Risorgimento e nell’ Unità d’Italia la prospettiva reale  di un riscatto  delle plebi meridionali. Anche Giajme  Pintor,  che si era occupato del socialismo risorgimentale di Carlo Pisacane, riconobbe nel Risorgimento l’unico episodio della nostra storia politica  capace di restituire all’ Europa “un popolo di levantini e di africani“.

Oliva sceglie una sua strada , facendo una ricerca non preconcetta. Tralascia giustamente anche il lavoro realizzato da Alessandro Barbero che entrò in dialogo polemico con Pino Aprile,  capofila del violento ed esasperato  revisionismo filo borbonico che demonizza il Risorgimento. Oliva analizza una situazione che rischiò di mettere in crisi lo Stato unitario a pochi anni dalla sua fondazione: da una parte i ribelli che si oppongono con la violenza più brutale ed efferata  alle nuove istituzioni, dall’altra lo Stato che risponde con rastrellamenti, incendi di villaggi e fucilazioni sommarie.
Gianni Oliva
Oliva analizza le cause sociali del brigantaggio, riconoscendo però  che a volte si trattò di bande criminali che si ammantavano di pretesti politici. Riconosce anche che agenti borbonici, papalini e reazionari locali non esitarono  a fomentare il caos per destabilizzare lo Stato appena costituito. In effetti, come scrisse Narciso Nada, lo Stato dovette difendersi e le ragioni immediate della forza dovettero necessariamente prevalere sulle valutazioni sociali. La classe dirigente liberale, di fronte anche al pericolo di  possibili interventi stranieri, dovette reagire. Imputare ad essa una rozza insensibilità sociale come fa  Federico Fornaro, scrivendo anche del libro di Oliva, senza recensirlo, significa rimasticare la vulgata gramsciana senza neppure considerare  Rosario Romeo che dimostrò con rigore  storiografico la valenza ideologica e  non documentata della critica gramsciana. La stessa legge Pica contro il brigantaggio promulgata dal re Vittorio Emanuele a Ferragosto sta a dimostrare l’emergenza drammatica i cui si era caduti. Fare gli Italiani, come diceva d’Azeglio, richiedeva tempi lunghi specie al Sud, difendere l’Italia imponeva tempi rapidi e il ricorso all’ Esercito .Non ci furono altre strade percorribili. Se non si fosse difesa l’esistenza dello Stato, non sarebbero stati possibili nè scuole ne’ ospedali, come mi disse una volta Rosario Romeo. Questa risulta essere la verità storica che nell’ultimo periodo della sua vita riconosceva anche Umberto Levra che si era liberato dagli ideologismi della giovinezza . La visione moderata di Nada andrebbe totalmente ricuperata perché essa rappresentò una lettura del Risorgimento che impedì a molti di noi di lasciarsi abbindolare dalle sirene del manicheismo ideologico. Il libro di Oliva si discosta dalle vulgate e contribuisce a dare un giudizio complessivo su quella che rappresentò la prima guerra civile italiana. Forse una guerra un po’ Ibrida, si direbbe adesso, non  una guerra di classe come il buon Fornaro sembra sottintendere. Ovviamente non prendo neppure in considerazione le menzogne filoborboniche riemerse di recente che non hanno nessun valore storico.

“Affreschi”, dieci storie per raccontare l’importanza della scelta

L’intuizione narrativa e creativa nel libro di Valentina Castellan

Valentina Castellan, torinese, laureata in Medicina e Chirurgia, è direttrice editoriale e marketing di Capricorno Espress Edizioni. Da sempre interessata alla scrittura, oltre ad articoli a carattere medico-scientifico, è autrice del libro “Filosofia in prima persona” (Voglino Editrice, 2019).

In questa intervista ci racconta del suo ultimo libro “Affreschi”, edito da Buendia Books, una raccolta di dieci racconti che custodiscono storie e testimoniano la storia, un’affascinante collezione di avventure umane che ruotano attorno ad oggetti suggestivi e iconici, un percorso, ad episodi, di quello che è il tema della scelta, del prendere decisioni, a volte scomode, che spesso ci cambiano la vita. Dalle parole dell’autrice si percepisce la tensione emotiva che l’ha legata a questo lavoro e la passione per periodi storici e luoghi lontani temporalmente, ma vivi nella memoria.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

Una decina di anni fa, durante un corso, mi fu chiesto di scrivere una storia di fantasia. Ne uscì fuori un racconto che non rispettava i canoni standard della narrazione, ma che rispecchiava il mio criterio comunicativo. In seguito scrissi altri racconti che rimasero nel cassetto, era come un’urgenza creativa, li avevo scritti per me. Qualche tempo fa un’autrice che collabora con la mia casa editrice mi segnala La Buendia Books e le sue “fiaschette”, libri di piccolo formato per a racconti brevi; li ho contattati e loro entusiasti dei miei racconti e mi hanno chiesto di farne un libro. Ne abbiamo selezionati tre, tra quelli che avevo già scritto, che riguardavano di oggetti antichi o storie di archeologia, la mia passione, ne ho aggiunti altri sette, così è nato “Affreschi”. Il racconto breve è per me la forma ideale per comunicare e anche come lettrice lo amo molto per la sua capacità di essere intenso e per la tensione narrativa che si concentra in poche pagine.

Perché’ Affreschi ?

È il titolo di un racconto del libro, uno dei primi che ho scritto, ma soprattutto ero convinta che fosse perfetto come mezzo espressivo ovvero storie brevi che colgono un elemento in particolare all’interno della trama, che è creata da diverse dinamiche, esattamente come in un affresco. L’idea era quella di cogliere una figura centrale e l’oggetto archeologico mi sembrava ideale come spunto per parlare di emozioni, pulsioni, sentimenti, desideri ma, anche e soprattutto, della scelta un tema che mi interessa da sempre, soprattutto quella etica. Ad ognuno può capitare di cambiare il proprio percorso per il bene della collettività rinunciando a vantaggi personali. I personaggi di questo libro si trovano di fronte a questo dilemma che crea disagio e inquietudine qualche volta però interviene il destino che sceglie per loro, così è anche nella vita reale.

La fine di ogni racconto è alternativa e originale?

Sì, gli affreschi finiscono con un taglio netto. In concetto è quello di dare uno spunto breve, ma denso e travagliato, ma di non arrivare ad una soluzione, questo per far rimanere il lettore immerso nell’ atmosfera del racconto e anche per indurre riflessioni. Mi piace che chi legge possa esplorare luoghi e tempi lontani e diversi perché’ questo, a mio parere, è stimolante e affascinante e gli oggetti sono un ottimo tramite, una guida sapiente, per viaggiare all’indietro nel tempo: sono portatori di simbologie e tradizioni.

Che luoghi ha esplorato in questo libro?

Le ambientazioni sono perlopiù mediterranee, ma il viaggio temporale e spaziale è arrivato fino al Mesoamerica che ho visitato anni fa e che mi aveva colpito. Ripercorrere luoghi e tornare indietro nel passato è stato per me molto emozionante, così come raccontare di oggetti e dell’animo umano con tutte le sue incertezze e le sue difficoltà.

Maria La Barbera

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Natale a Torino. La città del fantastico

Il libro di Natale che offre uno sguardo inedito su Torino, tra luci e nebbia, tra caffè e vecchie leggende

Partecipare alle presentazioni al Circolo dei lettori è sempre una esperienza piacevole e arricchente, se poi l’incontro avviene nella Sala Biblioteca, la più piccola ma anche la più suggestiva, il tutto assume una connotazione ancora più affascinante. Per un libro come Natale a Torino. La città del fantastico non c’è niente di meglio che vedersi catapultati in uno scenario degno del film Harry Potter, una sala colma di edizioni meravigliose che riempiono le mensole di librerie d’altri tempi, in un’atmosfera tra il magico e il sogno. Il 12 novembre scorso, proprio nel magnifico luogo sopracitato, si è respirato uno stato d’animo più luminoso del suo inverno con la presentazione del bel libro natalizio, edito da Neos Edizioni e curato da Teodora Trevisan.

Nell’elegante cornice di via Bogino si è parlato di storie e di magia, di luci e di ombre, di quella particolare bellezza che la città sa esprimere nei mesi più freddi, quando la fantasia sembra scaldare anche l’aria più tersa. Il volume raccoglie diciassette racconti che offrono uno sguardo inedito su Torino, città che da sempre custodisce un’anima doppia: concreta e operosa, ma anche misteriosa e incantata. I protagonisti di queste pagine si muovono tra piazze illuminate, portici avvolti nella nebbia, caffè che profumano di cioccolato e vecchie leggende. Il Natale, qui, non è soltanto una cornice, ma una chiave per leggere la città con occhi diversi, come se dietro ogni angolo potesse nascondersi una storia capace di stupire. A dialogare con la curatrice, Silvia Maria Ramasso, che ha moderato l’incontro, e alcuni degli autori e delle autrici, tra cui Loredana Cella, Davide Monopoli e Silvia Cascinali, mentre le letture di Bruna Parodi hanno dato voce ai racconti, restituendo il ritmo e la suggestione della scrittura. Ne è nato un confronto vivo e appassionato su come la narrativa fantastica possa raccontare Torino meglio di tante cronache: una città che, pur restando sé stessa, sa ancora lasciarsi attraversare dal sogno.

Natale a Torino. La città del fantastico è un libro che invita a passeggiare con la mente e con il cuore, a scoprire nei luoghi familiari un riflesso di meraviglia. Un piccolo dono d’inverno per chi ama Torino e la sua capacità di trasformare la realtà in racconto, soprattutto quando le luci del Natale la rendono, davvero, una città del fantastico. Torino e il Natale, quale miglior connubio per creare una meravigliosa realtà onirica e incantata? Il volume è disponibile in libreria e online, pubblicato da Neos Edizioni.

Maria La Barbera

“Istantanee dal Senegal”, un viaggio umano e spirituale

Il libro di Elisabetta Picco presentato presso lo studio del Maestro Roberto Demarchi dall’editrice Paola Caramella e dalla giornalista Mara Martellotta

Esiste un sottile fil rouge tra la mostra del Maestro Roberto Demarchi, ispirata alla poesia “Sereno” di Giuseppe Ungaretti e intitolata “Immagini passeggere”, e il volume “Istantanee dal Senegal – appunti di un viaggio lungo il filo perduto dei miei passi”, un racconto intenso di un viaggio umano e spirituale in Africa, precisamente nella terra del Senegal, dove la sofferenza si apre all’incontro, alla solidarietà e alla rinascita.

“Jean Cocteau diceva ‘Scrivere è un atto d’amore, se non c’è è solo scrittura – ha raccontato il Maestro Roberto Demarchi – e penso sia proprio questo grande sentimento dell’amore, ormai tanto abusato, a trasformare lo scrivere in vera poesia. L’amore nasce dal dolore, che spesso è associato a un’idea di morte e rinascita, e che rappresenta un grande tema contenuto nel toccante libro di Elisabetta Picco. Il suo libro incarna proprio quella forza dell’amore capace di segnare speranze e nuovi inizi”.

Nel dialogo con la giornalista Mara Martellotta, Elisabetta Picco ha raccontato le fasi che hanno poi portato alla stesura del libro. I temi principali sono il senso della mancanza, il dolore, le nuove consapevolezze e il ritorno, poiché solo nel ritorno vi è la possibilità di racconto, narrazione e memoria.

“La partenza per il Senegal è stata una fuga – ha raccontato l’autrice Elisabetta Picco – una fuga per porre una distanza tra me e i miei problemi, in un momento di vuoto e in cui vari pezzi del mio puzzle non combaciavano più. In questo mio libro ho recuperato le esperienze vissute in quella magica terra come fossero i nuovi fili della mia vita nata dopo il viaggio. Grazie al Senegal e a tutti gli incontri capitati lungo la strada, ho ritrovato identità dopo essermi sentita come acqua fuori da un contenitore, senza più forma. Partita nel dolore, ho rivisto la luce ritrovando una me stessa più consapevole”.

“Ho provato da subito un forte senso di empatia verso la popolazione – ha proseguito l’autrice – e molta compassione per il senso di povertà che esprimeva, oltre alla constatazione della difficile vita a cui sono costrette le donne, che devono occuparsi della famiglia, dei figli, in un regime poligamico, lavorando al posto del marito e vivendo ancora l’arretratezza di un patriarcato molto profondo. Quindi mi sono messa in ascolto della vita cercando di evitare i pregiudizi che potevano nascere da una differenza culturale così marcata, sentendomi spesso anche inerme di fronte alle sofferenze di quei bambini costretti a mendicare e a portare una sorta di ‘obolo’ ai marabout, i leader religiosi musulmani che li costringono a sottostare a questa dimensione di vita. Nonostante queste grandi difficoltà, mi hanno colpito, e ho potuto riflettere in me, il loro sorriso e la loro leggerezza, che porto ancora oggi nel cuore e nella vita quotidiana”.

“Il momento in cui mi sono sentita realmente accettata – ha concluso Elisabetta Picco – è stato quello in cui la popolazione locale, per la prima volta, mi ha definito una “Toubab”, termine che nella lingua Wolof significa ‘individuo bianco europeo’, quindi non più un’estranea, un’immagine passeggera nella loro vita, ma una forma, un modo di essere identitario e rappresentativo”.

Gian Giacomo Della Porta

“La Mendicante di Rialto”, un thriller storico di Lucio Martucci

Informazione promozionale

L’AUTORE SI RACCONTA

Questo è il mio quarto libro, ma rappresenta per me una tappa particolarmente significativa: è infatti il mio primo romanzo. Si intitola La Mendicante di Rialto, un thriller intriso di suggestioni storiche e ambientato in quella Venezia che da sempre mi affascina e mi accompagna. Il romanzo è stato pubblicato dal Gruppo Albatros.

Prima di questo progetto, ho scritto I Santi di Venezia, un volume dedicato alla storia della città e alle numerose reliquie custodite tra le sue chiese e isole della laguna. Proprio quel lavoro di ricerca e di scoperta è stato la scintilla che mi ha ispirato a dare vita al romanzo.

In tutti i miei libri sono presenti disegni realizzati da me: amo infatti unire la parola all’immagine, la narrazione al tratto del pennello. Venezia è una città che conosco profondamente e nella quale lavoro da oltre trent’anni. La mia attività principale è quella di barman, professione che svolgo negli hotel della città, e proprio a questo mondo ho dedicato il mio primo libro: un omaggio all’arte del bere e al fascino dei cocktail.

Il volume raccoglie 92 miei acquerelli, 90 ricette e 21 storie dedicate ai cocktail più celebri, ed è scritto in doppia lingua, italiano e inglese.

Accanto al lavoro, coltivo con passione la scrittura e la pittura, che considero i miei spazi di libertà e creatività. Tra le mie passioni non manca neppure il ballo, in particolare il Tango, che amo per la sua eleganza e la sua intensità — la stessa che cerco di trasmettere anche nelle mie opere.

INFO

Il libro si trova nelle librerie fisiche, su Amazon e altri siti 
La mendicante di Rialto – Lucio Martucci | Gruppo Albatros https://share.google/vFDzfIkfcIzvJXBVM

“Scrittorincittà” a Cuneo

Ritorna, nel capoluogo della “Granda” e per la sua 27^ edizione, la rassegna dedicata alla promozione “in toto” della lettura

Dal 12 al 16 novembre

Cuneo

Tema di quest’anno, pensato e realizzato con raffinata intelligenza, “CERCHI”Cinque giorni (da mercoledì 12 a domenica 16 novembre) e oltre 200 ospiti in programma. Organizzato dall’Assessorato alla Cultura del “Comune di Cuneo” e dalla locale “Biblioteca Civica” – in collaborazione con la “Provincia di Cuneo” e la “Regione Piemonte” – da ormai 27 anni “Scrittorincittà” è sicuramente, e non solo in Piemonte, uno degli appuntamenti culturali più attesi, tappa conclusiva di una “promozione della lettura che si sviluppa durante l’intero arco dell’anno, coinvolgendo scuole, associazioni e cittadini in un dialogo continuo con i libri e con le idee”. Dalla poesia, alla saggistica, dalla narrativa al racconto, il Festival rappresenta per il grande pubblico l’occasione per incontrare, e con essi dialogare, gli autori più amati, italiani e non, in una sorta di grande “Cerchio”, tema e manifesto realizzato dall’illustratrice milanese Francesca Gastone“perché come esseri umani– spiega la Gastone –  abbiamo bisogno di stare in ‘cerchio’, di ritrovarci … di sentirsi parte di una civiltà, ognuno col proprio posto e senza esclusioni”. E proprio per questa ragione, ogni anno, una particolare attenzione viene dedicata ai bambini e ai ragazzi e che, quest’anno, vedrà più di 20 incontri dedicati alle famiglie e ben 100 per le scuole. A cura di Stefania ChiaveroMatteo CorradiniRaffaele RibaGiorgio Scianna e Andrea Valente, il programma (con incontri sparsi in tutta la città) prenderà il volo, mercoledì 12 novembre e vedrà in contemporanea, a partire dalle 17,30, diversi incontri incentrati sui più vari argomenti trattati in forma letteraria e narrativa. Oltre 200 gli ospiti, si diceva. Per consultare il programma completo e per eventuali prenotazioni, è dunque giocoforza rimandarvi al sito: www.scrittorincittà.it.

Presenza, di certo, fra quelle più attese e di maggior richiamo, quella che si terrà proprio in chiusura della prima giornata, con Roberto Saviano, che, a partire dal suo ultimo libro “L’amore mio non muore”, terrà una lectio inedita preparata appositamente per il pubblico di “Scrittorincità”. Quattordici gli appuntamenti di giovedì 13 novembre. Da segnalare, nel tardo pomeriggio, quello celebrativo del 250° anniversario della nascita di Jane Austen, fra le autrici più amate di sempre, cui il Festival dedica un incontro fra Carolina Capria, autrice del libro “Per sempre tua. La vita, le battaglie e l’universo di Jane Austen” e Chiara Codecà, che ha riunito in un unico volume alcune delle citazioni più argute e profonde tratte dai romanzi dell’autrice inglese. Nel pomeriggio di venerdì 14, è atteso a Cuneo l’arrivo dei primi autori internazionali: dal romeno Costica Bradatan impegnato a raccontare il filo che unisce attraverso i secoli figure come Socrate e Thomas More, Ipazia e Giordano Bruno, il monaco vietnamita Thích Quang Đúc e il filosofo ceco Jan Patočka, ognuno di loro disposto a morire per difendere le proprie idee e la giornalista olandese Judith Koelemeijer, che ha trasformato in un “racconto biografico” i suoi studi sulla storia di Esther “Etty” Hillesum, scrittrice olandese di fede ebraica uccisa ad Auschwitz, colmando così un vuoto durato più di ottant’anni.

Ancora scrittori stranieri, sabato 15 novembre: dall’americana Elizabeth George, il cui romanzo “Assassinio in Cornovaglia” vede nuovamente protagonista l’ispettore Thomas Lynley alla scrittrice britannica Joanne Harris, autrice di “Chocolat”, da cui è tratto il noto film, e che a Cuneo presenterà il “prequel”“L’apprendista del cioccolato”, fino allo spagnolo Fernando Aramburu, già vincitore nel 2018 del “Premio Strega Europeo” e che in Italia ha recentemente vinto il riconoscimento per autori internazionali “Premio Malaparte”. Due incontri da non perdere, fra i tanti, di domenica 16 novembre: nell’insolita veste di scrittore Enzo Iacchetti, che, in “25 minuti di felicità”, racconta con ironia la sua vita d’artista, dagli inizi al “Derby” fino alla televisione, restituendo il ritratto di un uomo che non smette di cercare allegria e giustizia. Imperdibile, infine, l’incontro con Don Luigi Ciotti, che, nel suo appello “Lettera sul razzismo agli adulti di domani”, si rivolge direttamente ai giovani, parlando loro di empatia e cittadinanza, opponendo accoglienza alla paura del diverso. Da segnalare anche alcuni interessanti eventi dedicati, per l’occasione, alla “Città di Cuneo”. Uno, in particolare, mi piace segnalare: la presentazione, domenica 16, alle 10,30, di “Rendiconti Cuneo 2025” (Nerosubianco), curato dalla “Biblioteca Civica”. Domanda in premessa: “Chi lo dice che Cuneo è una ‘città morta? Che non succede mai nulla?”. A smentirlo appieno, questo almanacco cuneese che sorprende, stupisce, talvolta incanta. Un altro modo, inedito, di guardare la città.

Per riscoprirla. Stefania Chiavero, Dora Damiano, Piero Dadone, Fabio Daziano e Roberto Martelli intervistano i protagonisti di tante esperienze che, insieme, raccontano un anno, tutt’altro che “vuoto” della città.

Per info e programma completo: Comune di Cuneo, tel. 0171/1444823 o www.scrittorincittà.it

g.m.

Nelle foto: Francesca Gastone “Manifesto” Festival; Roberto Saviano copy Pasqualini, Musacchio, Fucilla MUSA; Enzo Iacchetti copy Giuliano Plorutti; Don Luigi Ciotti