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Le terre blu di Nico Orengo

Vengo da un paese di mare; un paese che si confonde e affonda in quel giardino”. Con queste parole lo scrittore Nico Orengo si presentava nel suo racconto Terre blu.

Quel giardino” dove si sentiva a casa erano i Giardini Botanici Hanbury che si distendono dal promontorio della  Mortola verso il mare di Ventimiglia, a pochi chilometri dal confine francese. Diciotto ettari sull’estrema punta del Ponente ligure al quale dedicò la sua opera letteraria, ambientando racconti e poesie. Un gioiello naturalistico prezioso, uno dei giardini di acclimatazione più belli e preziosi d’Europa e dell’intero bacino mediterraneo. Orengo raccontava che sono blu le terre della Liguria quando fioriscono i carciofi, quando il mare “rimbalza il suo colore sotto i pini, quando si alza il fumo degli sterpi sulle fasce, quando la campanula buca i rovi e quando la bungavillea e il glicine sui muri incontrano il tramonto”. In questo modo il blu si imprime indelebilmente nella memoria, trasformandosi nel colore del ricordo e della terra. Quella terra “aspra e dolce della Liguria di Ponente che da Imperia a Ponte San Luigi corre anguillesca sul mare e su, verso l’interno di paesi d’incanto, umidi e solari”. Con Terre blu Nico Orengo raccontava una geografia sospesa tra la realtà e l’immaginazione come può essere solo quella di “un viaggiatore che ritorna sui suoi passi per constatare che c’è un albero in più e una pietra in meno, che il pollaio è una villetta, o che quel tal orto si è fatto casa”. Alla terra di confine dove ambientò quasi tutti i suoi romanzi Nico Orengo rimase sempre legatissimo. La sua Liguria non era solo uno spazio naturale pieno di odori e colori, suggestioni straordinarie sospese tra il blu del mare e i colori forti dell’entroterra  ma anche un luogo della memoria, degli anni della giovinezza e dell’adolescenza. Un mondo intero dove si intrecciavano indimenticabili ricordi che rievocò nei suoi romanzi (Dogana d’amore, Il salto dell’acciugaLe rose d’EvitaLa guerra del basilicoRibesLa curva del latte) con la sua scrittura lieve e ironica. Nel suo penultimo romanzo, Hotel Angleterre, accompagnò i lettori in un viaggio della memoria rimescolando ricordi, rievocando la figura della nonna paterna, la contessa Valentina Tallevitch, che, nelle fredde sere invernali, mentre gettava bucce di mandarino nel fuoco acceso nel camino, narrava ai nipoti vecchie storie della nobiltà russa in Costa Azzurra e nella Riviera di Ponente, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Nell’ultimo, Islabonita, ambientato a metà degli anni Venti, usa l’espediente narrativo del bestiario e di una figura antropomorfica di anguilla voyeur, per raccontare un epoca che stava per lasciare una traccia dolorosa e indelebile sulla pelle della nazione. Spesso nei suoi libri riecheggia l’amarezza per il  tramonto della società contadina e il declino dei suoi umanissimi valori a scapito  del rapido imporsi del modello industriale e urbano che il boom economico avrebbe poi codificato nell’avvento della società dei consumi. E la natura e l’ambiente, entrambi da difendere e tutelare, rappresentano desideri che emergono in molti racconti come Gli spiccioli di Montale dove, in un tratto di mare al confine con la Francia, un uliveto che rischia di scomparire, provocando uno strappo violento nella memoria, quasi come se un ricordo venisse rubato. Ci restano in eredità i suoi versi, le filastrocche ( A-ulì-ulè ) , i racconti, le battaglie contro la speculazione edilizia e per la salvaguardia dell’ambiente e delle tradizioni culturali, il bellissimo ritratto delle langhe fissato nelle pagine del romanzo Di viole e liquirizia. Nico Orengo morì a Torino, nella mattinata di sabato 30 maggio 2009, all’ospedale delle Molinette dove era stato ricoverato dopo una crisi cardiaca. Aveva 65 anni. Al capoluogo piemontese ( vi era nato il 24 febbraio del 1944)  era legato per l’intensa collaborazione con Einaudi e la lunga direzione di Tuttolibri, il settimanale letterario de  La Stampa, quotidiano per cui scriveva. Non casualmente scelse come ultima e definitiva dimora il piccolo cimitero dei Ciotti tra La Mortola e Grimaldi, aggrappato alla roccia e affacciato sul mare blu cobalto. Come scrisse lui stesso nell’agosto  del 2000, lo scenario non poteva che essere quello di “ una Liguria favolosa di sapori, fico polveroso e gelsomino stordente, di buganvillea e cappero, di garofano, calendula e rose, mirto e rosmarino”Un buon modo di ricordarlo è quello di leggere le sue opere magari accompagnandone il piacere con un buon bicchiere di vino, preferibilmente rossese o vermentino, secondo le antiche ricette della cucina ligure.

Marco Travaglini

“Disegnare un elefante – l’insegnante di liceo come professione” Intervista al Professore Marco Vacchetti

Se provate a disegnare un elefante vi renderete subito conto che non è cosa semplice.  Marco Vacchetti, professore del Liceo Classico Massimo D’Azeglio di Torino, scrittore e pittore, ci è egregiamente riuscito nel suo ultimo libro edito EinaudiDisegnare un elefante – l’insegnante di liceo come professione” fornendo al lettore un’analisi quanto mai veritiera e accurata della scuola di ieri e, soprattutto, di quella di oggi. L’universo scuola è per l’appunto paragonato dal Professor Vacchetti ad un elefante “un animale enorme e, in quanto tale, probabilmente lento nei movimenti” con cui tutti abbiamo dovuto avere a che fare nella vita e su cui ognuno di noi potrebbe raccontare la propria esperienza. Un saggio accurato e mai noioso che mette il lettore di fronte alla maestosità dell’apparato burocratico della scuola- a tratti incomprensibile- alle sue peculiarità, alle contradizioni e agli infiniti luoghi comuni che aleggiano intorno ad essa, tentando di smontarli uno ad uno con oggettività e intelligenza. Nelle sue pagine emerge chiaramente l’importanza del ruolo rivestito dal docente, senza mai essere autocelebrativo, una professione considerata dallo scrittore “ecologica” perché in grado di non dissipare “energia ma di costruire ordine, di non compromette il futuro ma contribuire a progettarlo” riuscendo a sottolineare quanto il modo di intendere e di trattare quell’ enorme pachiderma possa contribuire a mettere le fondamenta del nostro prossimo futuro.

Nel suo libro ha tentato di smontarne parecchi luoghi comuni legati, nell’immaginario collettivo, alla scuola. Ce n’è almeno uno che ritiene veritiero?

Nei luoghi comuni c’è molto di falso, ma c’è anche un fondo di verità: così, anche sulla scuola, qualcosa di veritiero esiste. Mi viene in mente la frase che dice “primo a scuola, ultimo nella vita”: sono convinto che il successo scolastico e quello professionale non siano in alcun modo legati. Nel corso della mia esperienza mi sono reso che non è affatto detto che i primi della classe siano poi quelli che ottengano le migliori posizioni lavorative.

Un’altra idea che aleggia ma è priva di fondamenti è quella per cui “la scuola debba prepara al mondo del lavoro”: questa è una pura illusione. Il mondo del lavoro di oggi è veloce e dinamico, ed è del tutto utopistico pensare che la scuola possa andare di pari passo. Dal mio punto di vista, il compito dell’istruzione è quello di aiutarti a crescere, mettere ordine nelle idee e darti strumenti di comunicazione: le competenze professionali sono un’altra cosa. La scuola dovrebbe lasciare ai ragazzi la voglia di “continuare a studiare”, intendendo con questa espressione la volontà di sviluppare l’intelligenza per risolvere problemi, lo spirito d’intraprendenza e la capacità di essere autonomi nella vita.

La scuola e le università, però, stanno cambiando molto e sempre più si stanno orientando verso una formazione “telematica”. Lei affronta questa tematica nel suo libro dove dice che “si può comprare un diploma, ma non la formazione”: come spiega il dato di realtà che vede ricoprire ruoli istituzionali molto rilevanti da personalità che non hanno un alto grado di formazione?

Da un lato c’è un dato burocratico che prevede come requisito necessario il titolo di studio per accedere a determinate posizioni: n quel caso, il cosiddetto “pezzo di carta” è uno step necessario per l’accesso. Sappiamo bene, però, che prendere una laurea in un determinato ateneo, piuttosto che in un altro, comporta una qualità della formazione molto diversa. Per quanto riguarda il fatto che in Italia ci siano dei soggetti che occupino posti importanti senza avere le competenze necessarie è uno dei motivi per cui il nostro Paese arranca. Inoltre, l’Italia è una nazione in cui vige quel costume storico per cui le persone hanno sempre imparato ad arrangiarsi, conferendo loro un forte spirito di adattamento. Dall’altra parte, questo elemento ha come contropartita il fatto che molti individui siano riusciti a occupare ruoli che non meriterebbero. Secondo me, un Paese moderno deve fare attenzione a questo elemento e dovrebbe maggiormente premiare le competenze. Quello che noto è che in Italia si parla spesso di meritocrazia ma “per gli altri”; sul singolo poi vale sempre la raccomandazione. I giovani hanno le energie per lottare contro questo sistema: se vedi che un diritto viene violato devi farti valere per riconquistarlo.

Bisogna farsi sentire lì dove percepisci che vi sia un’ingiustizia insomma.

Sì, per esempio sul tema del complesso rapporto tra il mondo del lavoro e quello delle donne. Se il dato registra che a parità di mansione una donna guadagna il 20% in meno di un uomo bisogna concretamente trovare le strategie giuridiche per affrontare quella situazione. Non bisogna accontentarsi, ma trovare strumenti concreti per arginare il fenomeno. In Italia, spesso, ci si accontenta della mera protesta.

Passando al contenuto del libro, Lei sottolinea l’importanza dello studio del latino, una lingua molto complessa che difficilmente risulta comprensibile ai ragazzi. Che cosa si potrebbe fare per renderla “più fruibile” ai giovani?

Non è facile, perché sono materie difficili e faticose, in cui devi romperti la testa, e per questa ragione molti preferiscono una strada più semplice. In realtà, il latino è una materia splendida perché ha due aspetti: uno culturale e uno tecnico.

Dal punto di vista culturale, quella civiltà ha rimandi straordinari, il cui fascino però non si può imporre ai ragazzi. Infatti, mi dà molto fastidio quando si dice che gli studenti devono “amare la cultura”: non si insegna ad amare niente. Al massimo, gli studenti si possono incuriosire, mentre l’amore nasce spontaneamente. Dal mio punto di vista, è un diritto dell’intelligenza rifiutare le cose. Inoltre, il latino ha un aspetto tecnico che aiuta a capire meglio il linguaggio: quando ti appropri di esso, riesci a esprimere meglio anche il pensiero. Per concludere, penso che per insegnare ai ragazzi una materia del genere bisogna obbligarli. Infatti, l’idea secondo cui la scuola debba essere sempre interessante e “sedurre l’intelligenza” è una chimera. La scuola è fatta un po’ di obbligo e un po’ di passione: se si riesce a mettere insieme i due concetti, allora si può garantire una formazione completa.

E nel percorso di formazione, al giorno d’oggi, non può mancare anche l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Io lo vedo come uno strumento che può aiutare l’apprendimento perché semplicemente, come tutti gli strumenti, per sfruttarlo al meglio bisogna servirsi dell’intelligenza naturale. Questo è il problema di tutto il mondo digitale che, per citare Umberto Eco, ha creato tre categorie di persone: quelli che non hanno accesso alla rete informatica, una grande maggioranza di utenti e i pochi che sapranno tenere in mano le fila dello sviluppo degli strumenti digitali e saranno al vertice. Come ogni cosa, se la utilizzi al meglio può essere un mezzo di sviluppo potentissimo.

Nell’ultima parte del libro fa degli accenni anche al suo percorso di formazione che l’ha visto abbondare “le lusinghe di un lavoro creativo” (quello da pubblicitario) per addentrarsi nella carriera da insegnante. Che cosa la motiva di più di questo lavoro?

Le motivazioni sono tante ma prima di tutte penso che il lavoro faccia parte della persona e ne determini in parte la personalità. Ancora di più, penso che quello che conti davvero è come svolgi una determinata mansione, anche quella più umile: se lo fai bene, quello ti dà una gratificazione. Il lavoro del docente è vario, libero nei modi, hai a che fare con la cultura, hai il vantaggio di stare con i giovani. Un’altra grande motivazione è che la scuola, da pachiderma, sembra immobile ma in realtà ti obbliga ad essere sempre aggiornato, cosa che in altri lavori non succede.

Per chiudere, il suo modo di insegnare e il libro che ha scritto sono ricche di collegamenti e citazioni. C’è una frase iconica per la sua carriera?

Forse quella di Vico che dice che “la curiosità è madre della scienza”. In realtà sono convinto che queste forme di sapere tramite aforismi spesso siano dei gusci vuoti: il sapere non può essere fatto di tre parole. Piuttosto sono quei tremila collegamenti, di cui mi rendo responsabile durante le lezioni, a fare cultura e che possano accendere la curiosità degli studenti anche su argomenti molto lontani dalla loro zone di confort.

Valeria Rombolà

Foto Federico Solito

“Un libro tante scuole” sceglie “Il corpo” di Stephen King

E’  l’opera scelta dal “Salone Internazionale del Libro di Torino” per la quinta edizione del Progetto rivolto alle scuole

“Le cose più importanti giacciono troppo vicine al punto dov’è sepolto il vostro cuore segreto, come segnali lasciati per ritrovare un tesoro che i vostri nemici sarebbero felicissimi di portare via”: “tesoro” come mappa emozionale, guida ai percorsi più segreti e intimi dell’anima per raggiungere e agguantare valori come l’amicizia, il coraggio, la forza, la scoperta di sé e il mistero di crescere. Sono parole esemplari, su cui sentirci pienamente d’accordo, quelle succitate, a firma dello scrittore e sceneggiatore cult americano Stephen Edwin King (Portland, 1947), fra i più celebri autori contemporanei di letteratura fantastica, per alcuni anche horror, di best seller (da oltre 500milioni di copie vendute) e dalle innumerevoli trasposizioni cinematografiche e televisive. Parole e temi che l’autore ha saputo esprimere in maniera esemplare e toccante nel romanzo breve “Il corpo” (“The body”, il titolo originale) uno dei quattro mini-romanzi contenuti in “Stagioni diverse” (“Different Seasons”, una raccolta pubblicata nel 1982 dall’autore statunitense) e che  ispirò il celebre film “Stand by me” di Rob Reiner, in cui si narra di quattro amici che durante la torrida estate del 1960 partono dal paesino di Castle Rock, nel Maine, alla ricerca del corpo di un loro coetaneo scomparso. Un libro che segna un percorso che non è solo “fisico” per i quattro ragazzi, ma soprattutto “mentale” ed “esistenziale”. Pagine che sono “racconto di formazione”, in cui si traccia, passo dopo passo, parola dopo parola, paura dopo paura, la loro “crescita” e il loro reciproco “riscoprirsi”. Ideale, dunque, la scelta del “Salone Internazionale del Libro” di farne il “protagonista” della quinta edizione del “Progetto di lettura condivisa” per i giovani, “Un libro tante scuole”, arricchendo così, con un nuovo importante titolo (e con i contributi di autrici e autori come Silvia Avallone, Annalena Benini, Claudia Dutrastanti, Carlo Lucarelli, Loredana Lipperini e Stefano Nazzi) la “Biblioteca del Salone del Libro”.

 

Il “Progetto (che vede, accanto al “Salone del Libro”, quale Main partner “Intesa San Paolo”, la partecipazione di “Chora Media” e la collaborazione, quest’anno, di “Sperling &Kupfer”) riunisce, attorno ad un grande romanzo della letteratura internazionale, studentesse e studenti di tutta Italia, consegnando loro 7mila copie gratuite, per favorire nella comunità scolastica, attraverso la lettura, il confronto sulla comprensione di sé, del mondo e del nostro tempo. Un progetto che intende stimolare la riflessione grazie anche all’accompagnamento di contributi testualipodcast, audio originali, incontri con autrici e autori contemporanei.

Consolidato dal successo delle edizioni precedenti – la prima nel 2021 dedicata a “La Peste” di Albert Camus, la seconda nel 2022 con “Lisola di Arturo” di Elsa Morante, la terza nel 2023 con “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi, la quarta nel 2024 con “Cime tempestose” di Emily Brontë – la quinta edizione di “Un libro tante scuole” vedrà dunque approdare, a fine gennaio sui banchi di scuola (triennio delle scuole secondarie di secondo grado, delle scuole di formazione professionale e dei corsi serali) “Il Corpo” di Stephen King (edizione tradotta da Andrea Cassini), in una pubblicazione speciale del “Salone del Libro”, corredata da un testo inedito di Loredana Lipperini e una nota di Annalena Benini, direttrice del “Salone” di Torino. Come per i volumi precedenti, la copertina e l’impostazione grafica saranno curate da Riccardo Falcinelliart director e designer.

Inoltre, grazie alla collaborazione con la “Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale” del “Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI)”, quest’anno, per la prima volta, tre classi di “scuole italiane all’estero” potranno partecipare al Progetto: una classe del Liceo italiano paritario “Pier Martire Vermigli” di Zurigo e due classi del Liceo Scientifico della “Scuola Statale Italiana” di Madrid.

Il momento conclusivo del grande percorso di lettura de “Il corpo” sarà lunedì 19 maggio 2025, nel corso della XXXVII edizione del “Salone del Libro di Torino”, con un appuntamento corale aperto a tutte le ragazze e ai ragazzi coinvolti nel progetto, all’Auditorium del Centro Congressi di “Lingotto Fiere” da più di 1200 posti. Per rendere visibile il lavoro delle classi sul romanzo e permettere lo scambio e la condivisione, studenti e docenti pubblicheranno scritti e recensioni sul “Bookblog del Salone”, lo spazio di “racconto condiviso” che il Salone mette a disposizione dei ragazzi e delle scuole, nell’apposita area dedicata al progetto, dove sono già presenti i contributi su “La peste” di Camus, “L’isola di Arturo” della Morante, “Sostiene Pereira” di Tabucchi e “Cime Tempestose” di Emily Brontë. I migliori commenti saranno oggetto dell’incontro finale al “Salone”.

Per infowww.salonelibro.it

g.m.

Nelle foto: Stephen King, ph. Shane Leonard e Cover “Il corpo”, Ed. “Salone Internazionale del Libro di Torino”

Liu Zhenyun: “Una frase ne vale diecimila”

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Lo scrittore Liu Zhenyun è in Italia per presentare il suo libro intitolato “Una frase ne vale diecimila”, mercoledì 27 novembre, alle ore 18, presso il MAO di via San Domenico 11, a Torino. Il libro è di recentissima traduzione italiana. Zhenyun sarà a colloquio con Stefania Stafutti della Sezione Sinologica del Dipartimento di Studi Umanistici. Interverranno gli studenti delle scuole medie superiori “A. Spinelli” e “Umberto I” di Torino, e “G.F. Porporato “ di Pinerolo, presentando altre opere dell’autore tradotte in italiano.

L’incontro è gratuito, con prenotazione obbligatoria.


Giovedì 28 novembre, alle ore 10, con un anticipo di 15 minuti, si terrà un incontro gratuito con prenotazione obbligatoria dal titolo “Scrivere di gente comune: Liu Zhenyun racconta le sue opere”. L’appuntamento è presso l’auditorium del complesso Aldo Moro, in via Sant’Ottavio 18, a Torino. In collaborazione con la Sezione Sinologica del Dipartimento di Studi Umanistici e ISA Istituto di Studi Asiatici dell’Università di Torino. Liu Zhenyun è oggi l’autore di maggior successo nel panorama letterario cinese. Molti dei suoi lavori sono pubblicati in italiano, tra cui i più recenti sono “Un giorno, tre autunni” e “I mangiatori di angurie”. In questi giorni esce finalmente, anche nella nostra lingua, forse la sua opera più importante: “Una frase ne vale diecimila”, insignita nel 2006 del Premi Mao Dun, il massimo riconoscimento cinese in ambito letterario. Contribuiscono alla fama dello scrittore le versioni cinematografiche e televisive di molte sue opere, spesso sceneggiate dallo stesso scrittore e diretti da registi di rilievo internazionale e premiati anche fiori dalla Cina. Una breve rassegna dei film tratti dai suoi romanzi sarà presentata a partire dal 2 dicembre prossimo presso il cinema Romano.

 

Mara Martellotta

Lisa Pessotto: “Il manoscritto di Dickens”. Misteri Anni ’80 tra Londra e Verona

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Questo thriller anglo-italiano vi terrà incollati e con il fiato sospeso fino all’ultima pagina, in un misterioso intreccio di familiari insoddisfatti e singolari personaggi bramosi di amore e potere

Cosa accadrebbe se Anne, discendente dell’illustre romanziere britannico Charles Dickens, legittima custode di uno dei suoi più celebri manoscritti… ne venisse brutalmente depredata? E se suo marito, Jackson Pond Jr. – Capitano della Royal Navy – venisse barbaramente ucciso da uno dei gruppi criminali ricettatori di opere d’arte più efferati d’Inghilterra? Riuscirà l’impavida figlia Ariette, con l’aiuto di Egle – un’agente Interpol – a vendicare la morte del padre e a riportare a casa il prezioso oggetto di famiglia perduto?

Questo thriller anglo-italiano vi terrà incollati e con il fiato sospeso fino all’ultima pagina, in un misterioso intreccio di familiari insoddisfatti e singolari personaggi bramosi di amore e potere. Emozioni forti e contrastanti si susseguiranno in questa intricata vicenda che ha luogo all’inizio degli anni ottanta tra la maestosità di una Londra signorile e le meraviglie di una delle città più affascinanti d’Italia: Verona.

Già, e perché proprio Verona? Cosa potrebbe mai c’entrare con il manoscritto di Dickens? E chi sarà il vero mandante, il colpevole di tutto ciò? Ammesso che si tratti di una sola persona. Beh, cosa state aspettando? Non vi rimane che scoprirlo.

E’ questa la trama de IL MANOSCRITTO DI DICKENS: storia di un ignobile furto, un affascinante romanzo thriller autunnale ambientato tra Londra e Verona all’inizio degli anni ’80 scritto da Lisa Pessotto, architetto e designer trevigiana, nonché autrice già nota per la pubblicazione di una guida motivazionale (“PENSA A VIVERE MEGLIO!” edita da Diarkos e distribuita da Mondadori).

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“Il Manoscritto di Dickens” è in vendita in esclusiva solo su Amazon (a breve sarà disponibile anche la versione inglese per il mercato mondiale.

Link per l’acquisto: https://amzn.eu/d/0yVpP93

Pagina Facebook: https://www.facebook.com/people/Il-Manoscritto-di-Dickens-Storia-di-un-ignobile-furto-Il-libro/61562392862354/

Sito web dell’autrice: https://lisapessotto.it/

Enrico Vergoni: “Non è un selfie”. Nella storia di G. la nostra vita tra amore, illusioni e felicità

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L’autore: “Abbiamo tutti bisogno di una storia in cui calarci, di parole che ci facciano pensare e sorridere, piangere e stringere i pugni. G. è il nome del protagonista che racconta dando del tu al lettore la sua vita, ma lo fa in una maniera diversa: è come un conduttore radiofonico che parla al microfono identificandosi con chi lo ascolta. È un dialogo, il sentirsi parte della stessa comunità”

 

L’INTERVISTA 

Per iniziare, c’è qualcosa del tuo carattere, della tua vita o dei tuoi ideali che ti piacerebbe condividere con noi?

Sono cresciuto nel volontariato; ho iniziato a 14 anni ad occuparmi degli altri tramite l’oratorio della parrocchia. Poi negli anni ho sempre seguito i più giovani cercando di imparare da loro e crescere insieme. Credo nell’amicizia e nello spendere la vita per qualcosa che non sia solo proprio arricchimento: per questo scrivo e per questo ogni anno incontro tanti ragazzi nelle scuole italiane che mi invitano a portare la mia testimonianza.

Come è nata l’idea del libro? Quanto tempo è passato dall’idea del libro alla pubblicazione?

Erano anni che mi chiedevano un libro di narrativa: avevo sempre rifiutato ritenendo le poesie una meravigliosa coperta che mi copriva! Poi piano piano ho accettato la sfida grazie a Robin edizioni Torino e, sognando una storia d’amore attraverso il tempo e lo spazio, ho iniziato a riempire un block-notes di parole, disegni e dialoghi. Nel giro di tre mesi il libro era pronto. Ho voluto raccontare la vita di G. che è la vita di tutti noi: amore, sesso, amicizie, tradimenti, attimi di illusioni e di felicità. G. è la maschera perfetta in cui ognuno di noi può riconoscere un pezzo della propria vita. Mi stanno arrivando molti messaggi sui miei social di persone che mi raccontano che si sono specchiati nel protagonista e questo mi fa felice: un libro è come l’acqua, prende la forma del contenitore ovvero di chi ci legge.

Come presenteresti in poche parole il tuo romanzo?

Inviterei a leggerlo perché abbiamo tutti bisogno di una storia in cui calarci, di parole che ci facciano pensare e sorridere, piangere e stringere i pugni. G. è il nome del protagonista che racconta dando del tu al lettore la sua vita, ma lo fa in una maniera diversa: è come un conduttore radiofonico che parla al microfono identificandosi con chi lo ascolta. È un dialogo, il sentirsi parte della stessa comunità! Non ci sono messaggi tra le righe se non quello di rendere la propria vita degna di essere combattuta. Come dice il protagonista nella prima pagina “Cosa sai di te stesso se non ti sei mai battuto?” Ognuno si faccia la domanda e si dia l’opportuna risposta.

 Ci sono consigli che vorresti dare a giovani scrittori?

– Abbiate qualcosa da perdere, rischiate e sporcatevi d’inchiostro. Scrivete per voi stessi e non per pubblicare o per avere due follower in più su Insta. Fatevi raggiungere dalla bellezza della parola, permettete al bambino o la bambina che è in voi di venire alla luce attraverso la Parola.

Viviamo in un’epoca in cui parlare e mentire sono sempre più sinonimi, quindi abbiamo bisogno di voi!

Esistono uno o più libri o scrittori che hanno avuto una grande influenza nella tua vita e nel tuo stile di scrittura?

Amo i classici e la lingua latina nella quale mi diverto a comporre poesie. Sono sempre stato colpito ed ispirato dalla poetica di Cesare Pavese e dalla grande letteratura del dopo guerra italiano. Nelle scuole leggo le poesie di Pasolini e Sandro Penna ma anche Mario Luzi con cui mi accomuna l’inquietudine e la ricerca di un senso oltre la banalità del quotidiano.

 

Link pagina Facebook:

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Scopri il cuore pulsante di “Il viaggio e la mente. Operazione Shark”

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Cosa succede quando il tempo e la memoria cominciano a sgretolarsi, ma la determinazione e l’amore per la vita rimangono intatti?

Il viaggio e la mente. Operazione Shark” è un romanzo che esplora questo interrogativo con una narrazione che alterna profondità emotiva e tensione da thriller, trasportando il lettore in un’avventura che va oltre il semplice racconto di un ex-agente dei servizi segreti.

Nel cuore della Calabria, Vincenzo, un ex-agente dei servizi segreti italiani, si trova ad affrontare una battaglia silenziosa e dolorosa contro una malattia neurodegenerativa che minaccia di sgretolare i ricordi di una vita vissuta intensamente. Ma Vincenzo non è uno che si arrende facilmente. Circondato dall’affetto della sua famiglia, in particolare dalla moglie Gioia e dal suo fedele badante Peter, lotta ogni giorno per mantenere intatti i ricordi più preziosi, convinto che, pur nel buio che avanza, la memoria possa essere un faro di speranza.

Il romanzo non è solo un viaggio nei meandri della mente, ma anche un’avventura avvincente che si dipana tra missioni segrete, traffici internazionali e una rete di relazioni che trasforma ogni pagina in un emozionante susseguirsi di colpi di scena. La narrazione si sviluppa attraverso il rapporto tra Vincenzo e il giovane collega Silvano, un altro agente dei servizi segreti con cui condivide una missione cruciale per fermare un traffico internazionale di armi. Tra ostacoli, pericoli e compromessi morali, il legame tra i due si rafforza, rivelando una dimensione profonda di fiducia e amicizia che rappresenta un altro tema centrale del romanzo.

L’autore ci guida in un mondo di azione, ma anche di riflessione. Mentre Vincenzo combatte per non perdere i suoi ricordi, il lettore è spinto a interrogarsi sulla natura della memoria, dell’identità e del legame con le persone che ci sono accanto. La lotta per la memoria diventa metafora di una lotta per la vita stessa, per restare vivi nel presente mentre si costruiscono ricordi che possano accompagnarci nel futuro.

Con uno stile coinvolgente e personaggi che rimangono nel cuore, “Il viaggio e la mente. Operazione Shark” è il libro che saprà emozionarti, farti riflettere e tenerti incollato alle pagine fino all’ultimo capitolo. Non perdere l’occasione di vivere questo viaggio straordinario attraverso la mente di un uomo che non si arrende mai, nemmeno di fronte al buio che minaccia di inghiottirlo.

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L’AUTORE

Vitaliano Fulciniti è nato e vive a Catanzaro. Coniugato, ha due figli. È laureato in Consulenza e Controllo Aziendale.

Per undici anni ha svolto servizio d’istituto nei ruoli della Guardia di Finanza. Al termine di questo periodo ha lavorato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri fino al raggiungimento dei limiti per il collocamento in quiescenza.

È in pensione da circa dieci anni durante i quali ha assolto incarichi per conto del Tribunale di Catanzaro e per l’ANBSC – Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità. Nello specifico è stato Amministratore Giudiziario e Amministratore Unico di aziende sottoposte a sequestro preventivo in seno a procedimenti penali e, per ultimo, Direttore del Regional Hub Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto (KR), primo centro in Europa per l’accoglienza di stranieri richiedenti asilo.

Prima di questo romanzo ha pubblicato per la casa editrice Rubbettino di Soveria Mannelli i seguenti saggi:

  • Dall’accoglienza all’integrazione. L’esperienza del Cara Casa del Regional Hub Sant’Anna in Calabria (2019);
  • Frammenti di vita. L’umanità al tempo del coronavirus (2020);
  • Ovunque qualcuno. Storie di condivisione e accoglienza (2022);
  • Un fantastico viaggio attraverso frammenti e bozzetti (2023).

Ilenia Dell’Aquila e Fabio Partemi protagonisti al Caramella Choco Bistrot

Domenica 10 novembre scorso, presso il Caramella Choco Bistrot, all’interno del calendario di incontri del salotto letterario ideato da Paola Caramella, gli autori Ilenia Dell’Aquila e Fabio Partemi hanno presentato i loro libri, rispettivamente il romanzo “Sussurri dall’anima” e la silloge “Incendi-poesie indocili”, alla presenza della giornalista Mara Martellotta e dell’avvocato Alberto Cochis, che hanno tenuto le redini di un’intensa presentazione. Dell’Aquila e Partemi hanno saputo toccare corde emotive profonde attraverso pensieri e riflessioni che si possono definire “universali”, lo straordinario legame di parole che un letterato consapevole dona al lettore, creando una sorta di specchio che accomuna le vite di ognuno di noi.

L’importanza della parola sembra essere il fil rouge che unisce due opere sostanzialmente diverse, sorelle nella capacità di “creare mondo”, un pensiero che ci riporta alle “Vie dei Canti” di Bruce Chatwin, in cui si narra della magia che gli aborigeni australiani evocavano attraverso il canto, fondamentale per creare il mondo che li circondava. Forse le parole sono soltanto l’ombra delle cose che vogliono rappresentare, ma il gesto dello scrivere ci conduce all’epoca dei primi uomini, al momento in cui nella pittura rupestre si potevano scorgere i prodromi di quella che oggi chiamiamo scrittura, al momento in cui dal ballo e dal canto nacque la poesia. 

Nel romanzo di Ilenia Dell’Aquila “Sussurri dall’anima” si viene guidati nell’inconscio di Aura, la giovane ragazza protagonista della vicenda (e che assume quasi la funzione di Virgilio nella Commedia dantesca), affetta da una malattia che le ha strappato violentemente la vita da adolescente. La parola diventa luce che illumina di coraggio, che elenca (cito Carlo Emilio Gadda) tutto ciò che prima era ombra della notte, abbattendo muri, scoprendo segreti.

Le poesie di Fabio Partemi, contenute nella silloge “Incendi-poesie indocili”, si immergono in tutti quegli stati d’animo ricchi di vuoto, assenze amorose e estraneità dal mondo in cui si vive. I versi paiono rappresentare la salvezza dell’uomo, ancor prima che del poeta, e contemporaneamente la condanna che il fanciullino presente in ogni poeta rappresenta verso la bellezza. Tutto il simbolismo che riguarda la natura riporta alla mente il pensiero del poeta John Keats, per il quale “il poeta è l’essere più impoetico del mondo, poiché portatore di tutte le voci a parte la propria”.

Ilenia Dell’Aquila è una linguista orientata verso l’emergente ramo della linguistica clinica o, più specificatamente, la neurolinguistica. Dopo la laurea magistrale in Scienze linguistiche, e dopo un Master di II livello in Didattica della lingua latina, insegna lettere, latino e geo-storia presso la scuola secondaria di secondo grado. Ha di recente pubblicato un personale contributo dal nome “Disturbi linguistici e comunicativi derivanti da lesioni degli emisferi cerebrali: un focus sulle afasie epilettiche” in “Le lingue della malattia-Seconda serie”, edito da Mimesis Edizioni e curato da Raffaella Scarpa, docente di Linguistica medica e clinica all’Università di Torino.

Fabio Partemi ha da sempre coltivato il sogno di diventare violinista, pur non essendoci musicisti in famiglia. Si avvicina, però, alla batteria e, successivamente, alle percussioni, mettendo a frutto l’innata ecletticità che gli consente di spaziare tra i più disparati ed esotici strumenti. Coltiva l’arte dello scrivere attraverso recensioni, articoli, poesie, storie e testi di canzoni. Viene spesso invitato in numerosi convegni per esporre il proprio punto di vista su come musica e cultura possano trasformare profondamente le relazioni umane. Nel 2021, con il nome d’arte Falunaa, pubblica il suo primo singolo musicale, “Elek”, seguito nel 2022 dall’album “A guardia dei sogni”.

Gian Giacomo Della Porta

“Mi fai una storia?”: l’unico “Festival di Lettura” dagli 0 ai 6 anni

Ritorna a Settimo Torinese,  per i bambini che ancora (di solito) non sanno leggere

Venerdì 15 e sabato 16 novembre

Letture, laboratori, incontri e un convegno. Sarà una due giorni felicemente “immersiva” la seconda edizione di “Mi fai una storia?”, il “Festival di lettura e ascolto” pensato per bambini nel pieno della più tenera età, dagli 0 ai 6 anni, età in cui ancora solitamente pochissimi di loro sono già in grado di leggere. O, per lo meno, di leggere correttamente. L’iniziativa, unica del genere in Italia, è in programma per venerdì 15 (dalle 9 alle 18) e sabato 16 novembre (dalle 9,45 alle 13) negli spazi della “Biblioteca Civica Multimediale Archimede” di Settimo Torinese (Torino), è completamente gratuita ed è organizzata dall’Associazione “Il Bambino Naturale” e “Il Leone Verde Edizioni”, in collaborazione con la “Biblioteca” settimese, il patrocinio della Città di Settimo Torinese e sotto la direzione di Anita Molino. Ci si chiederà: “Ma quale il senso di un ‘Festival di Lettura’ per bimbi che ancora non sanno leggere?”. La risposta è immediata: “In realtà – spiegano gli organizzatori – l’iniziativa risponde a un’esigenza del bambino e mette al centro un comportamento al quale andrebbe abituato fin da piccolissimo: leggere con i propri genitori, ascoltando la voce, seguendo e interpretando i disegni, commentando gli spunti offerti dalle pagine”.

Il titolo dell’iniziativa, mutuato dal libro (“Mi fai una storia?”, ed. “Il Leone Verde”)  di Elisa Mazzoli, scrittrice per l’infanzia di Cesenatico (Premio Nazionale “Nati per Leggere” 2018) intervenuta nella prima edizione, lo scorso anno, e ospite anche di questa edizione, riprende una domanda che, spesso, i più piccoli rivolgono ai loro genitori, chiedendo loro di inventare (“fare”) storie.

Nell’agenda della “due giorni”, il “Festival” prevede, da un lato, una serie di incontri, letture, laboratori per famiglie e bambini (che per necessità è d’obbligo prenotare), insieme a scrittori ed esperti provenienti da tutta Italia; dall’altro, è in programma un “Convegno” pensato per i genitori ma anche per gli insegnanti, gli educatori e i nonni per approfondire meglio il grande mondo della lettura con i bambini e tutta una serie di aspetti ad essa collegati. L’incontro si intitola “La lettura ad alta voce degli albi illustrati, come e perché leggere ai bambini da 0 a 6 anni”ed è in programma venerdì 15 novembrea partire dalle attestato di partecipazione riconosciuto da parte del “MIUR”.

 

“La prima edizione del Festival “Mi fai una storia”, che si è svolta a Settimo l’anno scorso, ha riscosso un’accoglienza molto incoraggiante da parte del pubblico in generale e dei professionisti. E questo fa ben sperare – dichiara Anita Molino – in un’epoca dove la digitalizzazione e l’uso dei dispositivi elettronici hanno fatto violentemente irruzione anche nel vulnerabile mondo dei bambini. Tutti gli ultimi studi e le ricerche da parte di pedagogisti e neuropsichiatri non fanno che mettere in luce l’importanza della ‘lettura condivisa’ con i più piccoli, perché, oltre ad avere effetti benefici sul neurosviluppo, ha un’influenza positiva sul rapporto che il bambino avrà da grande con i libri. Ed per questo motivo che teniamo a sottolineare la condivisione della lettura. Infatti non è tanto il leggere ‘al’ bambino o ‘per’ il bambino. La dimensione a cui si deve puntare è la lettura ‘con’ il bambino”.

 

In un’epoca sempre più digitale, è fondamentale – aggiunge la sindaca di Settimo Torinese, Elena Piastra – promuovere attività che mettano al centro la parola parlata, il contatto diretto e l’interazione umana. ‘Mi fai una storia?’ rappresenta tutto questo, ma anche un invito alla scoperta e alla fantasia. Speriamo che l’evento possa lasciare un segno positivo nei nostri piccoli partecipanti e nelle loro famiglie. Inoltre sarà l’occasione per un confronto che coinvolga chi opera nella cultura e nell’editoria”.

Per info e programma dettagliato: “Biblioteca Civica Multimediale Archimede”, piazza Campidoglio 50, Settimo Torinese (Torino); tel. 011/8028724 o www.mifaiunastoria.it

g.m.

Nelle foto: Elisa Mazzoli e immagine di repertorio

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Carlotta Fruttero “Alice ancora non lo sa” -Mondadori- 18,50

Questo è il primo romanzo della figlia del celebre Carlo Fruttero

(della premiata ditta F&L, in sodalizio artistico con Lucentini), dopo il precedente “La mia vita con papà” del 2013; tenerissima e preziosa testimonianza delle memorie paterne e di una vita incredibile. Una sorta di autobiografia in rapporto al padre, al quale era legatissima e che ha assistito fino all’ultimo respiro.

La storia di “Alice ancora non lo sa” è ambientata sullo sfondo dell’alta Maremma Toscana, dove l’autrice è cresciuta nella casa al mare a Castiglione della Pescaia. Luogo scelto (quando ancora la pineta era vergine) dal padre che qui decise di comprare una delle prime villette, e che amò tantissimo.

Alice ha 40 anni, un marito e due figli; vive tra la città e la casa al mare e il suo matrimonio è di quelli che si trascinano in un appannato tran tran quotidiano. La madre della protagonista è ammalata di depressione, pazientemente accudita dal marito regista e sceneggiatore.

Tutto scorre più o meno tranquillamente, almeno fino all’incontro con un altro uomo: un “Lui” che la intriga, la insegue, convincendola della chimica unica che li unirebbe. Il lettore intuisce fin dall’inizio l’animo manipolatore del giovane che assume atteggiamenti fastidiosi da stolker. Ma la sua strategia pare fare breccia in Alice. Il marito scopre i loro messaggi e il matrimonio va a rotoli; infine lei cederà, convinta di avventurarsi in un grande amore passionale.

Si forma la nuova coppia e i primi tempi di convivenza con “lui” paiono un sogno di condivisione profonda. Tutto sembra andare nel migliore dei modi; poi il precipizio. “Lui” si trasforma in un altro; a tratti cattivo e subdolo, e lascio ai lettori scoprire il baratro in cui la seconda vita di Alice finisce per sprofondare.

 

 

Hannah Rothschild “La Baronessa” -Neri Pozza- euro 19,00

La Baronessa è Pannonica (detta Nica) Rotschild -prozia dell’autrice- ed è stata l’aristocratica inglese mecenate e musa ispiratrice del jazz americano a cavallo degli anni Quaranta e Cinquanta. Hannah Rotschild ha ricostruito la sua esistenza privilegiata e fuori dagli schemi, raccontandola in questo romanzo-biografia accurato e scorrevole.

Kathleen Anne Pannonica Rotschild nasce il 10 dicembre 1913 a Londra, in una delle più potenti e ricche famiglie d’Europa. Il nome Pannonica (una rara falena) è scelto dal padre Nathaniel Charles Rotschild, influente banchiere ed appassionato di entomologia. Pannonica, poi detta Nica è la figlia minore di Charles e della baronessa ungherese Rózsika Edle von Wertheimstein.

La sua è un’infanzia dorata, immersa nel lusso della tenuta di famiglia, Country House di Waddesdon Manor nell’Hertfordshire; cresciuta da tate e istitutrici insieme alle due sorelle e al fratello Victor, ai quali e legatissima. Genitori assenti, un padre molto amato, ma irrimediabilmente depresso, che decide di porre fine ai suoi tormenti terreni tagliandosi la gola a soli 46 anni, nel 1923.

Pannonica è un’ereditiera spavalda, ama le auto e la velocità, a 21 anni ottiene il brevetto da pilota di aereo. Sposa il barone Jules de Koenigswarter, ebreo come lei (maniaco di ordine e controllo), aviatore e futuro diplomatico. Avranno 5 figli, un castello francese -lo Chateau d’Abondant- e una vita di privilegi.

Quando vengono promulgate le leggi razziali, scatta la persecuzione e deflagra la Seconda Guerra Mondiale, Nica deve fuggire. Riesce a mettere in salvo i figli, poi raggiunge il marito in Africa dove entrambi si distinguono per valore. E dopo la guerra la vita familiare riprende.

Ma tutto cambia quando Nica scopre e si appassiona alla musica jazz, soprattutto a quella del pianista di colore Thelonius Monk. Vuole conoscerlo a tutti i costi, ed ecco la miccia che fa esplodere il matrimonio ed innesca la seconda vita della baronessa. Nel 1951 abbandona marito e figli, si trasferisce a New York in una suite dello Stanhope Hotel e diventa il punto di riferimento e il sostegno economico di decine di musicisti. Vive di notte, se ne infischia delle regole e sprofonda al centro di scandali e dicerie.

Soprattutto si innamora -non ricambiata- del pianista jazz Thelonius Monk, sposato con figli e in crisi lavorativa. Diventa il suo sostegno, nonostante lui non lasci la moglie. Nica gli starà accanto fino all’ultimo e poi ne coltiverà per sempre la memoria.

Dopo aver superato un cancro e un’epatite, muore il 30 novembre 1988, a New York, a 74 anni, portata via dalle complicazioni sopraggiunte all’operazione per un by pass al cuore. Ma resterà sempre la musa ispiratrice degli artisti jazz che le dedicarono memorabili canzoni.

 

 

Ana Maria Matute “La trappola” -Fazi Editore- euro 18,50

Questo romanzo è l’ultimo della trilogia della scrittrice spagnola nata nel 1925 e morta a 88 anni nel 2014; considerata una delle voci più importanti del suo paese nel Novecento. Autrice di una trentina di opere narrative, Vincitrice di parecchi premi (inclusi il Planeta e nel 2010 il Cervantes), diventata membro della Reale Accademia della lingua spagnola.

Nei suoi lavori emerge la memoria di un’infanzia difficile, segnata dagli orrori della guerra civile e dal regime Franchista. Un passato con cui ha continuato a fare i conti.

Dopo i precedenti titoli della trilogia –“Ricordo di un’isola” e “I soldati piangono di notte”- l’ultimo capitolo si svolge a Maiorca e vede messe a confronto più generazioni, in un affresco in cui compaiono caratteri contrastanti, rancori mai sopiti e, fondamentalmente, il trauma della guerra civile spagnola.

La proprietaria della storica casa sull’isola, la Grande Vecchia, sta per compiere 99 anni, ma decide di celebrare già i 100, ed obbliga tutti i parenti a riunirsi sull’isola. E’ la dispotica matriarca agli ordini della quale ubbidiscono tutti i familiari; dagli ottuagenari ai più giovani. Arrivano dalle zone più svariate del mondo, convergono nell’avita dimora, ubbidienti e convinti che lei li seppellirà tutti.

 

 

Selby Wynn Schwartz “Le figlie di Saffo”

-Garzanti- euro 18,00

E’ il romanzo di esordio di Selby Wynn Schwartz, attivista e critica americana nata nel 1975 in California, docente di scrittura alla Stanford University. Filo rosso di questo libro (entrato nella longlist del Man Booker Price 2022) è l’amore per la poetessa greca Saffo, i cui frammenti vengono incrociati con i destini di alcune donne che, tra la fine dell’800 e il Ventesimo secolo, sono state innovatrici dotate di forza e coraggio nel rompere le convenzioni ed inseguire la libertà.

Dietro questo libro ci sono approfondite ricerche condotte da Selby Wynn Schwartz, che ha messo in luce come l’unica donna dell’antichità di cui ci è giunta la voce, sia diventata la guida di personaggi del calibro di Virginia Woolf (per poterla leggere al meglio imparò il greco), Sibilla Aleramo, Eleonora Duse, Isadora Duncan, Anna Kuliscioff, Lina Poletti (allieva di Pascoli, affascinante, attivista coraggiosa e dichiaratamente lesbica).

Tutte ambivano ad essere riconosciute e amate per quello che erano, come la tessitrice di viole di Lesbo che aveva saputo cercare la vera se stessa e trovato le parole che esprimevano desiderio, bellezza e sguardi al femminile.

Molte delle donne raccontate nel libro furono vittime di stupri e violenze da parte degli uomini. Alcune di loro erano privilegiate per nascita e istruzione, dotate di strumenti per esprimersi e lottare. Quasi tutte avevano scelto e intrapreso attività artistiche che permettevano di perseguire e manifestare talenti e idee che potevano fare la differenza.