Il premier Saad Hariri ha ritirato le dimissioni dopo aver cercato all'estero una sorta di legittimità internazionale

Il destino del Libano

FOCUS  di Filippo Re

Che ne è del Libano a poche settimane dalla rocambolesca “fuga” del premier Hariri da Beirut, poi tornato in patria una volta passata la “grande paura”? Nella capitale libanese la crisi sembra rinviata ma l’incertezza politica resta molto alta e nasconde insidie ancora più pericolose. Il premier Saad Hariri ha ritirato le dimissioni dopo aver cercato all’estero una sorta di legittimità internazionale ma continua a ripetere che il regime siriano, filo-iraniano, lo vuole morto. Come il padre Rafik, fatto saltare in aria a Beirut est con una tonnellata di tritolo il 14 febbraio 2005 insieme ad altre venti persone. E per il figlio Saad i mandanti sono i servizi segreti di Damasco. Sullo sfondo di questo scenario si riaccende il duello Riad-Teheran che rischia di frantumare i fragili equilibri politici del Paese dei Cedri. L’offensiva regionale dell’Arabia Saudita sunnita ha come obiettivo l’odiato Iran sciita che continua a

guadagnare terreno nell’area e si presenta come il vincitore assoluto della partita siriana contro il radicalismo sunnita. Il governo libanese accusa i sauditi di aver “prelevato” il premier Hariri, la cui famiglia è legata a Riad da vecchie amicizie e interessi economici, perchè guida un governo in mano agli Hezbollah filo-iraniani, arcinemici dei sauditi. Se Teheran è sempre più forte sullo scacchiere mediorientale, Riad non va certo per il sottile. Tutto è cambiato con l’ascesa al trono di re Salman e soprattutto con la nomina a ministro della Difesa e poi a principe ereditario del giovane figlio, il trentaduenne Mohammad Bin Salman che è diventato in poche settimane l’artefice della nuova politica interna e internazionale del suo Paese. I sauditi non perdono tempo per scagliarsi ogni giorno contro gli ayatollah iraniani ritenuti i grandi avversari da sconfiggere ad ogni costo, con il benestare degli americani. Il principe MbS vuole dominare la regione ma deve affrontare la crescente influenza geopolitica iraniana e attacca tutti coloro che nell’area sostengono la potenza persiana, appoggiata dalla Russia. Come nello Yemen, dove continua a salire il livello dello scontro tra le due potenze regionali, reso ancora più incandescente dopo la morte dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh, trucidato, stile Gheddafi, dai ribelli sciiti Houthi, a cui l’Iran fornisce i missili usati per colpire obiettivi in territorio saudita. Oppure quando rompe le relazioni diplomatiche col Qatar accusato di essere una pedina iraniana nel Golfo o quando tenta di destabilizzare il Libano per mettere in difficoltà l’aggressiva politica di Teheran.

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La sfida irano-saudita, che riesuma l’antica rivalità arabo-persiana, rischia di degenerare in una guerra aperta da combattere sul territorio libanese per interposta persona, tra gli Hezbollah libanesi filo-iraniani e i gruppi alleati di Riad, tra sunniti e sciiti, creando un contesto simile a quello siriano, con il pericolo di coinvolgere Stati Uniti, Russia e Israele. La tensione tra Saad Hariri e gli Hezbollah è altissima da dodici anni, da quando in un attentato a Beirut fu ucciso Rafik Hariri, padre dell’attuale capo del governo libanese. Gli ultimi eventi scavalcano lo scenario libanese e annunciano l’arrivo di una nuova crisi in una regione che non conosce pace e sta uscendo solo ora dall’orrore della lunga stagione di sangue segnata dall’Isis. La sfida è tra sauditi e iraniani che già si combattono in Siria, Iraq e Yemen armando le loro milizie alleate mentre il piccolo Libano, già sfiorato più volte dalla guerra siriana, può diventare il terreno di un altro scontro armato tra potenze regionali, Arabia Saudita e Israele da un lato, l’Iran e i suoi alleati dall’altro. Ma con Teheran c’è anche la Russia che nella guerra siriana è sul fronte opposto a quello saudita ma insieme a Riad decide pur sempre il prezzo del petrolio sul mercato mondiale. Un’alleanza consolidata dopo la storica visita a Mosca di re Salman d’Arabia nello scorso ottobre, la prima volta di un monarca saudita in Russia. Quanto sta accadendo nei Palazzi del potere a Beirut rischia di avere gravi contraccolpi in tutto il Medio Oriente. Nella cancellerie occidentali cresce la preoccupazione per il fragile Paese levantino, da sempre una polveriera sul punto di esplodere, ma anche un punto di riferimento per i cristiani della regione, un Paese di circa 4,5 milioni di persone che finora è riuscito a mantenere un equilibrio pur accogliendo un milione e mezzo di profughi siriani, mezzo milione di rifugiati palestinesi e pagando guerre e crisi divampate in altri luoghi. Quasi un miracolo che sembra sostenuto dalle parole cariche di ottimismo del suo presidente, il cristiano Aoun, che getta acqua sul fuoco per spegnere i primi focolai d’incendio, secondo cui “la crisi in Libano è alle spalle con il sunnita Hariri saldamente al vertice del governo insieme agli Hezbollah mentre la Siria si avvia verso la democrazia con Assad ancora presidente”.

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Teheran appoggia il Partito di Dio libanese (Hezbollah) presente con vari ministri nel governo di Beirut e nel Parlamento, militarmente più forte e meglio armato dell’esercito regolare libanese. In Siria gli Hezbollah hanno subito pesanti perdite, oltre 2 mila uomini, e per una forza stimata in circa 25 mila effettivi è un duro colpo. Continua a sognare Aoun: “il Libano non ricadrà in una guerra civile, anzi il modello di convivenza fra diverse comunità e religioni che ha retto dal 1990 in poi può estendersi ai Paesi vicini”. Uscito nel 1989 da quindici anni di guerra civile, il Libano è un mosaico etnico-religioso formato da 18 diverse entità confessionali, 12 delle quali sono chiese cristiane. In virtù di un’intesa tra le forze politiche, la carica di presidente spetta a un cristiano maronita, quella di premier a un musulmano sunnita e quella di presidente del Parlamento a uno sciita e i seggi dell’Assemblea nazionale sono divisi in modo da soddisfare le varie identità presenti nel Paese. Tutte le confessioni cristiane oggi raggiungono il 36%, gli sciiti il 34%, i sunniti il 23% e i drusi il 7 per cento. I cristiani restano la maggioranza ma l’equilibrio religioso è a rischio a causa del massiccio afflusso di rifugiati siriani che sta cambiando la proporzione tra i vari gruppi. Prigioniero di forze e interessi molto più grandi, il Libano resta un Paese a “sovranità limitata” come dimostrano i recenti raid israeliani che partono dallo spazio aereo libanese per colpire obiettivi iraniani in Siria.

(dal settimanale LA VOCE E IL TEMPO)