Questa è la storia di una famiglia piemontese, delle sue quattro generazioni e delle sue
intuizioni più felici, passate attraverso 140 anni ed una tazzina di caffè come costante che
attraversa il tempo.
La storia di Caffè Vergnano parte nel 1882 da una piccola drogheria voluta e sognata da
Domenico Vergnano dove la passione per la miscela si fa ben presto culto e – soprattutto –
impresa. Un luogo in cui si sprigionano profumi, si raccontano leggende, si parla di bellezza,
si instaurano rapporti umani duraturi e sinceri, si sogna molto e si lavora tanto.
L’intuito vede sempre prima degli occhi e certamente è stato così anche nel 1930, quando
Enrico Vergnano, figlio di Domenico, decide di acquisire la prima fattoria produttrice di caffè
in Kenya andando a segnare una svolta rilevante per l’impresa di famiglia.
Nel 1970, a quasi cento anni di distanza, Carlo e Franco (nipoti di Domenico) che in quella
stessa drogheria hanno vissuto momenti felici da bambini, prendono le redini dell’azienda
portando Caffè Vergnano verso gli albori di una nuova era.
Il 1986, l’acquisizione di Casa del Caffè a Torino, segna il consolidamento imprenditoriale
nel mondo dell’Horeca. Si arriva così al 1996 quando i confini di Caffè Vergnano si allargano
verso il mercato estero attraverso un processo di internazionalizzazione e sviluppo che
permetterà al brand di affermarsi in 90 paesi.
Nel corso degli anni, Caffè Vergnano ha fatto della cultura del caffè una filosofia di vita,
grazie al suo know-how di eccellenza e qualità, differenziandosi in questo modo dalle
politiche commerciali dei maggiori competitor.
È proprio con l’entrata nel business della quarta generazione composta da Carolina, Enrico
e Pietro Vergnano che la voglia di mantenere e consolidare i valori familiari in ottica di
sviluppo, soprattutto affermandosi in mercati emergenti e in forte crescita, diventa centrale
per il successo dell’azienda che si avvia, oggi, verso un anniversario importante.
Parole come sostenibilità ambientale e sociale sono da sempre la cifra distintiva di Caffè
Vergnano e si traducono in tutte le azioni quotidiane, grandi e piccole, intraprese dal brand:
dalle capsule compostabili compatibili, ai processi di riciclo e di riduzione degli sprechi oltre
al recupero dei rifiuti.
In ambito etico, Women in Coffee è sicuramente il progetto che meglio racconta l’impegno
di Caffè Vergnano. Nato nel 2018 per sostenere piccole realtà di donne coltivatrici di caffè,
il progetto è in continua evoluzione ed ambisce a supportare iniziative concrete che parlano
di empowerment, inclusione e rispetto al femminile.
Altro valore chiave del brand è la cultura, intesa come processo di crescita e miglioramento
continuo. Per questo è nata l’Accademia Vergnano, istituita nell’antica casa di famiglia a
Chieri, dove vengono organizzati corsi teorici e pratici per i baristi che vogliono imparare
tutti i segreti del mondo del caffè e approfondire le loro competenze.
Con il 2021, arriva la partnership strategica con Coca-Cola HBC per la distribuzione esclusiva
dei prodotti di Caffè Vergnano nei territori di Coca-Cola HBC, con l’esclusione dell’Italia.
L’accordo rappresenta un’importante opportunità di crescita internazionale e di sviluppo del
business export attraverso un rafforzamento della propria presenza, oltre i confini italiani.
Giunto oggi ai suoi primi 140 anni, Caffè Vergnano continua ad affrontare nuove sfide che
lo porteranno a scrivere nuovi capitoli di un libro che racconterà molto di questa famiglia,
della sua passione per il caffè e dei suoi grandi sogni.
Il 2021, nonostante le difficoltà affrontate, si è chiuso con un fatturato totale di 92mil di
euro, andando quasi a pareggiare il 2019. Nel dettaglio l’export ha chiuso a 22,4mil di euro,
il retail a 37,6mil, il comparto Horeca a 29,4mil e il vending a 2,6mil di euro.
Un risultato ambizioso in un contesto ancora delicato ed incerto.
Il nuovo anno sarà un intero anno di celebrazioni, eventi, sorprese e regali per i nostri
consumatori. Ci sarà una limited edition di prodotti iconici dell’azienda che per l’occasione
si vestiranno d’oro, oltre ad una reinterpretazione del coccio in terracotta toscana, storico
regalo di Natale.
Caffè Vergnano compirà inoltre un viaggio lungo l’Italia durante il quale porterà il vero
espresso italiano vicino ad amici, partner e consumatori.
“Siamo “vecchi” ma non ci siamo mai sentiti più giovani. Abbiamo tante idee, energia
positiva, ottimi partner ad affiancarci, ma soprattutto tanti amici che ogni giorno dimostrano
amore per la nostra famiglia ed il nostro marchio. Sarà un anno da celebrare e ricordare
perché tante cose succederanno e tutte saranno ispirate dai valori in cui da 140 anni
crediamo, da quei sentimenti che arricchiscono i nostri sogni e li fanno diventare realtà. Il
nostro sguardo è e sarà sempre rivolto al futuro perché il domani è ancora tutto da costruire
assieme.” Carolina Vergnano – CEO di Caffè Vergnano
Caffè Vergnano
Caffè Vergnano è la più antica torrefazione italiana a livello nazionale. Fondata nel 1882 e ancora
oggi guidata dalla famiglia, da 140 anni racconta il rito dell’autentico espresso italiano portando in
una tazzina profumi e aromi di tutto il mondo. Il segreto delle miscele è la tostatura, lenta e
tradizionale che valorizza ogni singola origine, nel rispetto della materia prima.
Le miscele Caffè Vergnano si trovano nella grande distribuzione, nei migliori bar e negli oltre 179
Caffè Vergnano 1882, la catena di caffetterie all’italiana presente in tutto il mondo.
Dal giorno in cui ho messo piede in questo nuovo “supermercato del gusto”, l’ho visto crescere, modificarsi, superare crisi, rinnovarsi di continuo per soddisfare sempre più una clientela che nel tempo ha individuato questo posto come un polo di riferimento gastronomico importante. Fin da subito, si respirava un senso di rilassatezza mentale, curiosando nelle varie corsie, quasi a dedicarsi dei momenti di contatto fra il cibo e i produttori, tanti, tantissimi e ognuno con le proprie peculiarità.
Col passare del tempo, Eataly Lingotto ( e poi anche nella sede più centrale della città, quella di via Lagrange) è diventata una tappa importante del sapere sul cibo piemontese e nazionale. Dalla pasta secca, alla pasta fresca, le cui vetrine di esposizione sono a “ cielo aperto” : si possono così scegliere agnolotti e plin come ci si trovasse in un vero e proprio pastificio. La loro realizzazione è stata improntata secondo lo stile della storica famiglia Alciati – che in termini di lavorazione dell’agnolotto è fra le più famose in Piemonte – e che da poco tempo aperto il nuovo bistrot “Giù da Guido”. E’ un luogo dedicato al “mangiare con lentezza” – ricavato in un’ampia area proprio vicino alla zona dei vini regionali e della cantina che contiene quelli più rinomati – dove è possibile gustare tante proposte della tradizione piemontese ma proposte in maniera rinnovata e allo stesso tempo gustosa : tra tavoli in stile retrò, in un’atmosfera rilassante e immersi in un tempo indefinito, assaporando portata dopo portata, l’amore e l’eleganza della loro cucina.
Grande attenzione è dedicata sopratutto ai vini, alle birre, ad etichette anche internazionali di liquori e distillati. Il cuore pulsante è proprio nello shop situato al piano inferiore. Lì una volta si poteva anche mangiare, con un menu un po’ più rustico in abbinamento alle birre: ora questa zona, insieme a tutti gli altri ristoranti a tema, sono stati spostati al piano principale.
Per 10 giorni, dal 20 al 30 gennaio, si sono succedute numerose cene e pranzi con cuochi e ristoranti di tutta Italia, non solo piemontesi, e che hanno trasmesso i valori dei luoghi di provenienza, le peculiarità e le ricette tradizionali; tutti seduti intorno ad una tavola al gusto di “ Italia” .
Nel pensiero che esprimeva sulla città di Torino, come potenziale sede di un’ulteriore apertura del ristorante, si è compreso come da romano, abituato a tempi e orari dilatati nel tempo, con ritmi di lavoro completamente diversi da quelle tipicamente sabaudi, sentisse forte la necessità- inaspettatamente- di volersi adeguare al rigore della città della mole, ai modi garbati e attenti di accogliere le nuove realtà gastronomiche, soprattutto se provenienti da regioni che portano con sé ricette particolarmente gustose, proprio come quelle della tradizione culinaria romana. E poi, testuali parole “ Torino è così bella!”
1.Da quanto tempo il ristorante è aperto?
Troppe volte i ragazzi che seleziono mi chiedono in quali orari dovrebbero svolgere l’attività: per me è impensabile inserire negli annunci part time. Il lavoro nella ristorazione è full time, 6 ore al mattino e 6 ore la sera. Gli straordinari – se richiesti, io di solito non ne chiedo mai se non in occasioni particolari – sono regolarmente pagate, come da contratto. Per altro, il part time che intendiamo noi , in Gran Bretagna- ad esempio- non è contemplato.
Alla base vi è un profondo studio della materia, un’attenta lavorazione, importanti investimenti nella comunicazione e, naturalmente, passione per la materia prima: son solo alcuni degli aspetti che, parallelamente alla gestione sanitaria in corso, costituiscono i motivi per i rialzi dei prezzi e, in questo caso, della bevanda più consumata al mondo, la pausa della giornata per eccellenza, il caffè.
Il libro, oltre che proporsi come un’aggiunta di qualità ai contenuti che già vengono impartiti negli istituti di formazione, vuole divulgare il concetto che la caffetteria non dev’essere solo un complemento all’attività del barista, ma parte integrante della sua attività, così da essere completi nel percorso di formazione. Ed anche qualcosa in più. Attualmente, nelle scuole, viene dato risalto ai reparti consueti quali quelli destinati alla gestione della sala o alle tecniche più moderne relative alla preparazione dei cocktail, ben poche ore sono invece riservate al settore della caffetteria. E, come ci rendiamo spesso conto, se nel bar un caffè non viene realizzato a regola d’arte, di solito, il cliente in quel locale non ci torna più volentieri.
Fabio, provenendo dal settore della cucina nella veste di cuoco e di pasticcere, è anche famoso come “coffee chef “, e cerca di riportare nel caffè il concetto di materia prima da trasformare e da lavorare. Il caffè, quindi, come alimento ancora non lo avevamo considerato. Tutte le declinazioni, nell’espressione e nella lavorazione dei prodotti sono possibili, e non a caso vari sono stati i cuochi che negli anni, proprio con Costadoro, hanno proposto piatti a base di caffè, facendo emergere, in maniera coraggiosa ma consapevole, sapori inaspettati e curiosi.
Spesso poi, un caffè non è cattivo perché la materia prima non è di qualità, ma è la presenza di personale non adeguatamente formato a realizzare un “buon” caffè che porta a bere espressi con sentori di bruciato o con sgradevoli acidità.