ECONOMIA- Pagina 399

Lo straordinario valore dell’oro blu

Di Marco Travaglini     Non saranno sempre le “chiare, fresche e dolci acque” della famosa poesia del Petrarca ma restano (e sempre di più saranno) il principale oggetto del desiderio per tanta parte dell’umanità. “Acqua, tu non hai sapore, né colore, né aroma. Non si può nemmeno descriverti. Ti si beve senza conoscerti. E non è vero che sei indispensabile per la vita: tu stessa sei la vita” .

Così scriveva, con senso premonitore (morirà nel Mediterraneo, inabissandosi con il suo aereo) Antoine de Saint-Exupéry, autore de “Il Piccolo Principe”. La parola acqua, di per se, “suona” bene. Suscita, senz’ombra di dubbio,  sentimenti positivi. Chi può negare che l’acqua è il presupposto insostituibile per una vita sana e l’elemento in assoluto più importante? Allo stesso tempo, c’è il rovescio della medaglia.

Infatti, l’acqua può significare anche grande dolore, minaccia, paura. Basta pensare alla siccità, alla mancanza d’acqua, all’inquinamento delle falde, per non parlare di alluvioni, frane e smottamenti. Dunque, l’acqua è vita ma può anche rappresentare la morte. Da sempre l’acqua porta in sé questo potenziale contrario: maledizione e benedizione. Il 71 % della superficie terrestre è coperta da acqua. Il 97% di questa massa d’acqua è composto da acqua salata. Del rimanente 3% la maggior parte è irraggiungibile, imprigionata nelle calotte polari, in profonde falde, in ghiacciai e nuvole. Meno dello 0,5% è disponibile come acqua dolce potabile ed è distribuito in maniera estremamente ineguale sul globo. L’acqua è insufficiente in molti paese. E’ così in Israele, India, Cina, Bolivia, Ghana. Ma anche in Canada, Messico e Stati Uniti. Le guerre dell’acqua non sono più un prevedibile evento del futuro. Sono già una realtà. Che si tratti del Punjab ( la “terra dei cinque fiumi”, nell’ovest dell’India) o della Palestina, spesso la violenza politica nasce dalla competizione per appropriarsi delle scarse e vitali risorse idriche. Molti di questi conflitti sono “sotto traccia”, poco visibili. Chi controlla il potere preferisce mascherare le guerre dell’acqua, facendole apparire come scontri etnici o religiosi, anche se in realtà le regioni lungo i fiumi sono per lo più abitate da società pluralistiche che presentano una grande diversificazione di gruppi umani, lingue e usanze. “Le guerre dell’acqua“, come ci raccontava nell’omonimo libro l’economista indiana Vandana Shiva , premio Nobel per la pace nel ’93, sono il volto peggiore della silenziosa deregulation e della privatizzazione di un bene che – al contrario – ha sempre svolto, in ogni epoca, un ruolo di pacificazione. Ovunque i beni preziosi sono distribuiti in maniera diseguale e anche nel caso dell’acqua potabile, ci sono grandi problemi di rifornimento e una spaccatura netta tra poveri e ricchi. Nel corso del ‘900 il fabbisogno d’acqua raddoppiò rispetto alla popolazione mondiale.  Negli ultimi 50 anni è quadruplicato.

E cresce sempre di più. Il 70% del consumo di acqua dolce ricade sull’agricoltura intensiva, il 20% sull’industria e solo il 10% sull’uso privato (in Europa: 26% agricoltura, 53% industria e uso privato 19%). L’esplosione demografica e lo spreco d’acqua fanno ridurre in modo drammatico le riserve d’acqua. Diversamente dal petrolio, gas o uranio , l’acqua e l’aria sono le uniche risorse che non si possono sostituire in alcun modo. Nel 2050, secondo le stime dell’ONU, la popolazione mondiale sarà di circa 9,7 miliardi e sfiorerà gli 11 a fine secolo. Così, nell’arco di 150 anni, si sarà  sestuplicata. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara che oggi quasi la metà della popolazione mondiale soffre per mancanza d’acqua e che questa sarà nei prossimi anni la più grave minaccia per la produzione di generi alimentari. L’acqua potrebbe diventare molto presto più preziosa dell’oro. Già oggi almeno un quinto della popolazione terrestre non ha alcun accesso diretto ad acqua potabile e pulita; un terzo dell’umanità non conosce alcun impianto sanitario né sistemi per la depurazione dell’acqua. Sempre i rapporti dell’OMS attribuiscono la causa dell’80% delle malattie nel terzo mondo all’acqua inquinata e nella carenza di sistemi per lo smaltimento delle acque reflue. Ogni anno, per queste cause legate all’acqua inquinata e contaminata, muoiono dieci volte più persone che nelle guerre, nella fattispecie più di cinque milioni di persone, di cui oltre due milioni di bambini (circa seimila al giorno). La metà dell’umanità vive in realtà che devono condividere il loro sistema idrografico con i paesi confinanti. Più di duecento grandi fiumi scorrono attraverso due o più stati. Solo di rado la divisione e la gestione della acqua internazionali sono regolate in maniera precisa. I conflitti più evidenti di questi anni si sviluppano, ad esempio, nelle zone condivise del Nilo, del Giordano, dell’Eufrate e del Tigri (Turchia, Israele, Palestina, Giordania, Egitto, Sudan, Etiopia, Siria, Irak). Ogni singolo funzionamento dello sciacquone nei paesi industrializzati utilizza la stessa quantità d’acqua che in un giorno serve ad una persona in un paese in via di sviluppo per bere, cucinare, lavarsi, ammesso che possa averla a disposizione. Non ci si può nascondere una verità, tanto grande quanto scomoda: solo quando ciascun individuo avrò lo stesso accesso all’acqua potabile ci sarà anche per i paesi poveri la possibilità di pensare a uno sviluppo sostenibile. E questo sarà possibile a condizione che l’acqua rimanga un bene veramente pubblico sotto la protezione degli utenti e dei governi, ai vari livelli. Tema molto “hard” da trattare considerando come le multinazionali che si ritengono l’ “OPEC dell’acqua” litigano già oggi per commercializzare questo bene tanto prezioso e così scarso.  “A causa dell’inquinamento e del crescente bisogno le scorte d’acqua naturali sono in pericolo anche lì dove sarebbero sufficienti o addirittura in eccesso” ammoniva il segretario generale dell’ONU Kofi Annan in occasione dell’anno internazionale dell’acqua, nel lontano 2003. Da allora siamo stati spettatori di un disastro dopo l’altro e gli unici fiumi che hanno continuato a scorrere sono stati quelli di parole.

L’ONU prevede che tra cinque anni, nel 2025, due persone su tre soffriranno per la drammatica carenza d’acqua. Soprattutto in Africa, Asia, Medio Oriente. Le riserve idriche di 17 paesi, falde comprese, sono già allo stremo, ma la crescente domanda di acqua e i cambiamenti del clima aggraveranno la situazione.  E’ evidente che le riserve d’acqua dolce, di fatto insostituibili, sono da annoverare tra i beni maggiormente in pericolo. Da anni sono in corso accesi dibattiti sulle riserve idriche. E qui entrano in gioco anche le montagne. Più di metà della popolazione mondiale dipende dall’acqua che sgorga dalle montagne. Le montagne sono i “serbatoi d’acqua” e rivestono un ruolo chiave nel ciclo globale dell’acqua. A  titolo di esempio sono circa cinque i milioni di persone che dipendono dal rifornimento di acqua proveniente dal Lago di Costanza. E si tratta, a tutti gli effetti, di acqua delle Alpi. Quest’ultime rivestono per l’Europa una funzione centrale nel rifornimento. Qui nascono importanti fiumi come il Reno, il Rodano e il Po oltre a decine di importanti affluenti del Danubio. Senza questa massiccia immissione idrica il rifornimento d’acqua di grandi parti d’Europa sarebbe impensabile. Le acque interne e sorgive forniscono ,ad esempio, in Svizzera l’80% e in Austria addirittura il 99% dell’acqua potabile.  “Disfa li monti e riempie le valli e vorrebbe ridurre la Terra in perfetta sfericità, s’ella potesse”. Quando Leonardo da Vinci scrisse questa frase, riferendosi all’acqua, il paesaggio alpino era pressappoco intatto da millenni. E fino alla prima metà del XX° secolo, valli, fiumi e laghi non erano che il risultato di fenomeni geologici, climatici e biologici. In pochi decenni tutto è mutato, quasi sempre in peggio. Con i loro oltre 13 milioni d’abitanti, sette Stati, 83 Regioni e 6.187 Comuni, le Alpi (che sono state definite “il bastione acquifero” d’Europa) sono sottoposte a una pressione ambientale senza precedenti. Oltre alla fitta ragnatela d’infrastrutture, pesa moltissimo il massiccio sfruttamento idrogeologico. “Nelle Alpi non esistono quasi più corsi d’acqua naturali”, denunciò qualche anno fa Helmuth Moroder  di Cipra Italia, l’associazione che si occupa dell’ambiente dei paesi alpini. E aggiunse che  “meno del 10 per cento dei fiumi è ancora in condizioni di naturalità”. Gli ultimi corsi d’acqua con almeno 20 chilometri non toccati dalla mano dell’uomo erano il Gail nella Lasachtal (Austria), il Metnitz e il Wimiz in Carinzia, la Stura di Demonte in Piemonte e l’Esteron in Francia. Ora la realtà è peggiorata. I grandi massicci fanno confluire enormi quantità d’acqua in un bacino di 143.000 km quadrati, attraverso il quale corrono verso le valli ben duecento miliardi di metri cubi d’oro blu. “La qualità delle acque alpine è potenzialmente eccellente, ma è sempre più minacciata dall’inquinamento e dalla cattiva gestione, che insieme causano danni irreversibili”, si legge ancora in un rapporto della Cipra. Un’altra grave minaccia è rappresentata dal riscaldamento climatico che interessa particolarmente le Alpi. Il manto nevoso e i ghiacciai non sono più quelli di una volta: rispetto al 1850 si sono già ridotti della metà. Tuttavia, le risorse d’acqua potabile delle Alpi sono ancora considerevoli. Tanto che fioriscono progetti di vendita e d’esportazione. Per quanto riguarda l’Italia, spesso sotto accusa sono le scelte dell’Enel, responsabile della maggior parte delle derivazioni che alimentano le centrali idroelettriche ma prosciugano i fiumi. Finora a poco sono valse le disposizioni legislative che obbligano a “liberare” l’acqua nei loro corsi naturali. “Se imponessimo il rilascio di un minimo deflusso”, secondo la Cipra, “la produzione d’energia elettrica ne risentirebbe, a livello nazionale, solo per l’1 per cento”. Viceversa, i benefici a livello ambientale nell’immediato e a breve periodo anche economico sarebbero innegabili. In una realtà come quella dell’alto Piemonte,dove la produzione dell’energia idroelettrica è un’attività più che secolare, questa situazione è particolarmente avvertita. C’è poi il problema dello spreco. Nei Paesi europei le perdite sono stimate in media intorno al 30 per cento e giungono fino al 70-80 per cento in alcune città. Soltanto il 2 per cento circa dell’acqua potabile è effettivamente utilizzato per il consumo umano. La stessa Convenzione delle Alpi finora non ha prodotto grandi risultati. Esistono direttive europee  risalenti a più di vent’anni fa (nel febbraio 1998)  che raccomandavano una “gestione integrata e sostenibile degli ambienti acquatici”. In Italia, la legge Galli del 1994 imponeva “il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei…”. Analogo impegno veniva imposto dalla legge che istituiva le Autorità di bacino. Come sono andate le cose? Attualmente il 98 % della popolazione è servita da acquedotti con servizi spesso scadenti. Il 34% degli abitanti serviti non hanno acqua a sufficienza e il 44% non beve l’acqua del rubinetto.

Non parliamo di bazzecole: i problemi – e le opportunità – legati alla “economia dell’acqua” sono un fatto importante. Si va dagli impianti di regimazione alla gestione dell’acqua per usi potabili ai progetti idroelettrici per colmare il pauroso deficit (in Piemonte sfiora il 50%) d’energia elettrica in tutto il settore alpino, alla utilizzazione del diporto lacuale (l’alto Piemonte è anche la zona dei laghi Maggiore, Orta e Mergozzo, ai quali vanno aggiunti i canavesani laghi di Viverone, Candia e Sirio, quelli di Avigliana e altri minori) e a tutte le attività sportive connesse alla vita fluviale.Il sistema alpino produce quasi 50 miliardi di metri cubi d’acqua: un’immensa risorsa naturale che, almeno in parte, va trasformata in risorsa economica. Si tratta di sperimentare e di diffondere – accanto a modalità di consumo e distribuzione che puntino all’efficienza, al risparmio e al minor impatto ambientale possibile – modalità di produzione energetica incentrate sulle energie rinnovabili, che possono anche costituire delle filiere economiche “brevi”, come nel caso del legno. E’ necessario promuovere l’attivazione di progetti e di risorse ad hoc da parte del sistema pubblico degli Enti locali ( dalle Regioni in giù) , capaci di coinvolgere anche i privati. Nessuno può negare che sono “risorse delle montagne”, ma è un fatto che alle montagne non ritorna praticamente niente. Le regioni del Nord-Ovest “producono” complessivamente almeno 30 miliardi di metri cubi d’acqua. Più della metà defluisce al mare inutilizzata. Ma la parte usata assume, presso i “consumatori finali”, valori interessanti. Dai pochi centesimi al metro cubo dei consumi agricoli si sale ai 45/80 centesimi per i consumi industriali e idropotabili, fino ai 200/300 euro al metro cubo nel caso si tratti d’acque minerali. Ci sono leggi regionali sul ciclo idrico (come quella piemontese) che stabiliscono in perecentuale un ritorno minimo alle comunità locali ( le ex-comunità montane, ad esempio) sul valore finale dei consumi idropotabili, utilizzando le risorse per rafforzare l’assetto idrogeologico “friabile” di molti territori. E così  “usare” meglio l’acqua, affinché una risorsa “di tutti” serva davvero “a tutti”. Il lungo periodo di crisi economica e sociale ha determinato un forte incremento dell’utilizzo dell’acqua potabile, con la scelta dell’acqua di rubinetto per bere che è salita a tre quarti della popolazione. Un dato evidente, legato a una politica di “risparmi”, che emerge da una ricerca fatta qualceh tempo fa da CRA Nielsen in collaborazione con Aqua Italia, associazione che unisce le imprese che si occupano del trattamento delle acque primarie. Acqua che, dopo il referendum sulle risorse idriche del giugno 2011 ( in cui sono state abrogate le leggi che parlavano di una sua privatizzazione) sarebbe dovuta passare dalle società private al settore pubblico. Passaggio in gran parte non avvenuto a causa di ricorsi in Cassazione e al TAR, decreti legge e vuoti normativi. Così è stata in parte minata la vittoria del fronte dell’acqua pubblica nel 2011 che portò circa 27 milioni di persone a votare per il referendum sulla privatizzazione dell’acqua. Grazie a quel risultato l’acqua va considerata un bene pubblico ma nei fatti non si sono determinati dei concreti cambiamenti. In realtà l’acqua adesso costa di più , con perdite stimate in circa due miliardi e mezzo di metri cubi all’anno, vale a dire un buon terzo del totale. E con l’autorizzazione alla revisione delle tariffe, concessa già qualche anno fa  dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico si sono visti degli aumenti sensibili nelle bollette ( il 3,9% in più nel 2014 , il 4,8% in più nel 2015, tanto per fare degli esempi). Con gli investimenti che sono rimasti fermi al palo e ora la prospettiva di una forte recessione dovuta alla diffusione virale del Covid19 e al rallentamento complessivo dell’economia,  in una nazione dove si hanno dei picchi di dispersione dell’acqua distribuita pari al 50% nel sud e in cui il 15% della popolazione vive in zone prive di rete fognaria, il quadro è preoccupante. La lotta dell’acqua di tutti e per tutti, lungi dell’essere un tema marginale, è quanto mai attuale.

Tranche da oltre 3,6 milioni per le imprese agricole

Psr 2014-2020 Piemonte: proseguono i pagamenti da parte di Arpea

L’Agenzia regionale piemontese per le erogazioni in agricoltura – Arpea – sta liquidando un ulteriore tranche di 3.611.455 euro di contributi, finanziati tramite il fondo europeo Feasr e relativi alle misure del Programma di sviluppo regionale 2014-2020 che andranno a beneficiare 112 aziende piemontesi.

“In un momento di grande difficoltà per il Piemonte, per l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo e che si ripercuote anche sul comparto agricolo piemontese, è importante saldare nei tempi previsti i pagamenti dell’anno 2019 a favore delle aziende agricole piemontesi, compresi i pagamenti di anni pregressi che presentavano criticità . Grazie al lavoro di collaborazione tra Arpea e Assessorato all’Agricoltura e cibo della Regione Piemonte, i Caa – Centri di accoglienza agricola, nel mese di marzo la Regione eroga un’ulteriore tranche di contributi che andranno alle nostre imprese”.

Cultura, turismo e Commercio: “Cura Italia insufficiente”

“Il DL Cura Italia – commenta l’assessore regionale alla Cultura, al Turismo ed al Commercio Vittoria Poggio – ci lascia molto perplessi. Le misure di sostegno alle imprese più colpite non solo sono infatti palesemente insufficienti, ma dimostrano anche che il Governo si è completamente dimenticato di interi settori.

Penso ad esempio a tutto il mondo della moda, ma anche a molti altri settori, come la gioielleria, i fioristi, le cartolibrerie, i negozi di arredamento e a tutto quanto è stato incluso nella sospensione dell’attività prevista dal Dpcm dell’11 marzo ma escluso dalle misure di sostegno del Cura Italia. Perché? E non solo, penso anche a tutte quelle attività che per Decreto possono stare aperte, con tutti i rischi e le preoccupazioni del caso, per garantire la salute propria e dei propri dipendenti, al fine di rendere servizi di prima necessità, che certamente vedono drasticamente ridotti i loro fatturati e che sono, anch’esse, escluse da alcune importanti misure di sostegno. Ancora una volta mi chiedo: perché?

Prendendo come esempio tutto il settore moda, che tra l’altro è uno dei settori che maggiormente contribuisce all’immagine del Brand Italia nel mondo, possiamo certamente affermare che dal punto di vista economico questa crisi, agisce già su una patologia pregressa del settore (come testimonia il dato sulla nascita-mortalità degli ultimi otto anni in cui hanno chiuso in Italia 52mila punti vendita della moda a fronte di 26mila nuove aperture, con un saldo negativo di 26.399 unità. Da 141.212 negozi di moda al 31 dicembre 2011 a 114.813 punti vendita al 31 dicembre 2019) rischi davvero di far registrare un numero di chiusure non immaginabile, mettendo la tenuta dell’intero settore, come tutti gli altri, fortemente a rischio dal punto di vista economico.

Sul fronte del mercato interno si è assistito, infatti, negli ultimi giorni in cui era concessa l’apertura ai negozi una decisa flessione dei ricavi, raggiungendo medie drammatiche del 60% tenendo conto anche dei luoghi non ancora raggiunti dal contagio.

Sul fronte dell’incoming estero, si fa presente inoltre che l’impatto del turismo non ricade solo sulle attività direttamente comprese nel settore, appunto, turistico-ricettivo, ma ha ricadute forti anche sugli altri settori della distribuzione e del commercio al dettaglio e su tutti i soggetti culturali che operano nel nostro territorio, indipendentemente dalle scritture contrattuali. L’ultima Indagine di Banca d’Italia sul Turismo Internazionale, pubblicata il 18 giugno 2019, evidenzia che su un budget complessivo di 41,71 miliardi di euro destinato dai turisti stranieri per i viaggi in Italia, la quota destinata allo shopping, pari a 7,34 miliardi di euro, rappresenta la terza voce di spesa (17,6%), dopo i 9,2 miliardi di euro per la ristorazione (22,1%) ed i 18,15 miliardi di euro per l’alloggio (43,5%). In Italia, lo stallo di arrivi di turisti cinesi che rappresentano il 28% dello shopping, ma anche di russi (12%), americani (11%), ed arabi (5%) ha provocato da gennaio un danno rilevante che si stima possa anche arrivare ad una perdita superiore ai 5 miliardi di euro per le attività di questi settori. Tutti ora interessati anche dal provvedimento di sospensione dell’attività disposto dal Dpcm dell’11 marzo 2020, ma dimenticati dai provvedimento del DL Cura Italia.

I settori del commercio al dettaglio, inoltre, sono anche quelli maggiormente colpiti da questa crisi, anche per far fronte alle scadenze dei pagamenti dei fornitori, programmate secondo logiche di normalità sulla base di previsioni di vendite nella stagione che sicuramente non si concretizzeranno.

Un problema che coinvolge l’intera filiera, sviluppandosi secondo logiche di produzione e di vendita in un lungo e impegnativo iter temporale che va dalla presentazione delle collezioni alla raccolta degli ordini (effettuate tra giugno/luglio 2019), per passare attraverso le diverse fasi di produzione fino alla messa a disposizione dei prodotti al cliente finale (febbraio/marzo 2020) che avviene dopo circa otto mesi dall’ordine. E così per gli ordini della prossima stagione autunno/inverno 20/21 conclusi da poco.

Per questo, servono eccezionali misure per la “Quarantena commerciale” a partire dall’inclusione del settore moda e di tutti quelli del commercio al dettaglio attualmente esclusi (gioiellerie, cartolibrerie, arredamento, etc) tra quelli maggiormente colpiti dalle disposizioni restrittive ed elencati nell’art. 61 del Decreto Legge n. 9 del 16 marzo 2020.

Non si comprendono, infatti, le motivazioni per cui questi settori non rientrino tra quelli previsti nell’art. 61, che beneficiano, tra l’altro, di una sospensione dei versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria fino al 30 aprile 2020.

Non si capisce inoltre perché il Dl Cura Italia, per queste imprese (non tutte, peraltro, perché si esclude una fetta di aziende con più punti vendita o che operano con l’estero, realizzando fatturati superiori a 2 milioni di euro) preveda solo in via residuale, nonostante la chiusura obbligatoria disposta ex DPCM dell’11 marzo e le presumibili impossibilità di un ritorno a breve ad una tanto auspicata normalità, la sospensione dei versamenti da autoliquidazione per il solo periodo compreso tra l’8 marzo 2020 e il 31 marzo 2020, mentre per i settori riconosciuti come “più colpiti” ex art. 61, senza peraltro alcun limite di ricavi, tale periodo è esteso al 30 aprile 2020.

Chiediamo dunque che,- conclude l’assessore Poggio – nel corso dell’iter parlamentare, questi importantissimi settori siano ricompresi tra quelli elencati nell’art. 61 con il riconoscimento ufficiale di essere considerati tra i maggiormente colpiti dalla crisi. Sono settori, lo ribadisco, che meritano attenzione, rappresentando uno dei traini della nostra economia e del nostro made in Italy.”

Asili notturni Umberto I: “Noi ci siamo”

Riceviamo e pubblichiamo / Noi ci siamo! Siamo lì, annidati persino nell’assordante silenzio che fa eco al perentorio invito del
governo che recita: «Restate a casa»! Noi ci siamo. Siamo qui per coloro che molto spesso una casa
non ce l’hanno e che dunque non sanno dove restare …, siamo qui per i “senza tetto”, per i
disperati, per gli affamati, per gli indigenti malati e infreddoliti

Sì, una cosa è certa: Noi ci siamo!
È ovvio che non possiamo ignorare i protocolli, né tanto meno le attuali disposizioni, e pertanto
abbiamo aderito all’emergenza Coronavirus con le seguenti disposizioni:
“In considerazione della contingenza che si è venuta a creare con la diffusione del COVID-19. In
applicazione delle disposizioni contenute nell’ordinanza del Ministero della Salute d’intesa con la
Regione Piemonte n. 1 del 23 febbraio 2020 (che potete leggere in allegato).
In ottemperanza al nostro principio generale in base al quale gli Asili applicano sempre tutte le
disposizioni di legge e danno corso a tutte le misure atte a garantire, a tutti i volontari e a tutti i
nostri ospiti, le migliori condizioni possibili di igiene e di sicurezza si comunica quanto segue:
gli Asili Notturni di Torino hanno sospeso l’attività degli studi dentistici. Restano aperti gli
ambulatori medici, soprattutto il servizio di pneumologia e di virologia, proprio per evidenti motivi
contingenti. Per evitare raggruppamenti di persone, la Mensa serale è stata chiusa, ma verranno
comunque distribuiti al cancello i sacchetti con il pasto serale. Resta aperto il dormitorio, anche se
stiamo vagliando ulteriori misure di prevenzione e sicurezza. I volontari presenti in struttura
portano mascherina e guanti (laddove necessario anche il camice). Sono stati allestiti cartelli
informativi (decalogo, informative). È stato predisposto un protocollo d’intervento con l’Università
(facoltà di pneumologia e Virologia) e con gli assessorati alle politiche sociali della Regione
Piemonte e della città di Torino”.
Viene peraltro osservato un Vademecum che prevede che ad ogni potenziale ospite venga misurata
la febbre e, laddove venisse rilevato uno stato febbrile, questi verrà isolato nell’ambulatorio medico
dopo avergli fatto indossare la mascherina in attesa di disposizioni dell’Autorità Sanitaria. A tal
proposito il dormitorio, super igienizzato, accoglie gli ospiti, offrendo loro materiali protettivi, nel
caso si accedesse all’ambulatorio per un servizio medico. L’igienizzazione viene sistematicamente
eseguita a tutela della salute sia degli ospiti che di coloro che incontrano durante la giornata.
Blindati i reparti del Piccolo Cosmo e ospitalità per coloro che usufruiscono di cure ospedaliere …
In particolare per i settori dedicati ai bambini.
E poi, ancora, profusione di mascherine, realizzate artigianalmente da nostre volontarie e
produzioni di gel igienizzanti prodotti da nostri volontari che dispongono di reparti galenici nelle
farmacie… Straordinario lo spirito sia dei giovani volontari che degli anziani volontari che incuranti
del pericolo sono in prima linea ad offrire se stessi. E in questo particolare momento storico, eccoli
attivi fin dalle 8 del mattino per confezionare da 150 a 200 pasti che verranno distribuiti da asporto
alla sera, non essendo possibile servirli all’interno della mensa poiché non si rispetterebbero le
distanze. Agli Asili Notturni di Torino il lavoro dei volontari è davvero estremamente prezioso, ed è
proprio in occasioni estreme come queste che, nell’ascoltare le invisibili voci che sembrano
ripetere: “Noi ci siamo” varrebbe la pena dire anche a se stessi: non dimentichiamoci di loro perché
davvero meritano tutta la nostra attenzione e la nostra sincera riconoscenza.

ASILI NOTTURNI UMBERTO I
Il Presidente (Sergio Rosso)

Tre milioni da Ersel Investimenti per Regione Piemonte e Fondazione Paideia

Le famiglie torinesi Giubergia e Argentero, tramite la società Ersel Investimenti, hanno scelto di stanziare tre milioni di euro per offrire il proprio contributo in occasione dell’emergenza Coronavirus. Due milioni di euro saranno destinati alla Regione Piemonte per acquistare dispositivi medici, sostenere le strutture sanitarie e tutto il personale che in questi giorni sta combattendo una durissima battaglia per curare i cittadini piemontesi

Un milione di euro sarà invece destinato alla Fondazione Paideia, sostenuta dal Gruppo Ersel da oltre 25 anni, per contrastare l’emergenza sociale attraverso il supporto a famiglie e bambini in difficoltà.

Abbiamo ritenuto doveroso intervenire in questo modo – ha dichiarato Guido Giubergia, Presidente di Ersel – per fornire il nostro supporto alla Regione in questa grave situazione di emergenza; ma, al tempo stesso, abbiamo ritenuto importante sostenere Fondazione Paideia nelle sue attività di sostegno alle famiglie in difficoltà, perché fin da ora riteniamo importante non sottovalutare le conseguenze sociali che si manifesteranno anche dopo la fine di questa fase di emergenza”.

Nuova vita per le ex aree ferroviarie

Al via l’accordo operativo tra Comune di Torino e Fs Sistemi Urbani

E’ partita la cabina di regia, organizzata dal Comune di Torino con FS Sistemi Urbani, per la riqualificazione delle ex aree ferroviarie.

Un ulteriore step che segue il Workshop “Rail City Lab” organizzato nel maggio scorso da FS Sistemi Urbani in collaborazione con la Città di Torino con la partecipazione di investitori, progettisti, imprenditori e istituzioni locali uniti dall’unico obiettivo di riqualificare le sette aree ferroviarie dismesse della città, basandosi su tre temi: Città del Vivere, Città delle Connessioni e Città della Sostenibilità.

Le maggiori opportunità di riqualificazione urbana con le proposte individuate tra gli esiti del Workshop saranno inserite nel più idoneo percorso autorizzativo che rientra tra i compiti della Cabina di Regia avviata oggi con l’obiettivo di garantire la condivisione delle scelte di valorizzazione, governare il processo di trasformazione e programmare il cronoprogramma temporale del processo autorizzativo per ogni singola area da presentare al Consiglio Comunale per l’approvazione finale.

Il progetto di riqualificazione urbana interesserà gli oltre 500mila metri quadrati delle aree dismesse di proprietà del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane che saranno destinati prevalentemente ad uso turistico, ricettivo, commerciale e terziario.

Le aree ferroviarie coinvolte sono:

– Porta Susa Spina 2 Lotto Torre (Ambito 8.18/3 Unità minima di Intervento II);

– Corso Principe Oddone Spina 3; (Ambito 4.13/2)

– Stazione Rebaudengo Spina 4; (Ambito 5.10/3, 5.10/4, 5.10/8)

– Lingotto “Parco della Salute, Ricerca e Innovazione” e sede Regione Piemonte (Ambito 12.32)

– Lingotto FS (Stazione ponte, (Ambito 16.3)

– FS San Paolo, (Ambito 12.2, 12.3)

– Corso Brunelleschi.

Le coop e la tutela dei lavoratori socio-sanitari

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato unitario delle Centrali Cooperative e Organizzazioni Sindacali del Piemonte a tutela dei lavoratori dei servizi socio sanitari, socio assistenziali, servizi ausiliari impegnati in servizi essenziali e attività produttive finalizzate all’inserimento lavorativo

In queste ore drammatiche centinaia di operatori degli Enti Locali, delle organizzazioni del Terzo Settore e delle Cooperative Sociali sono impegnate quotidianamente nel difficile compito di garantire l’erogazione di numerosi servizi di assistenza, cura, accoglienza delle persone più fragili, nell’espletamento di sevizi ausiliari quali pulizie e sanificazioni e in attività produttive finalizzate all’inserimento lavorativo.

Sono le lavoratrici e i lavoratori che garantiscono il funzionamento dei servizi di segretariato sociale, delle
comunità di accoglienza (per minori, disabili, anziani, tossicodipendenti, persone con problemi di Salute
Mentale, persone malate di HIV), delle RSA, dei servizi domiciliari infermieristici e socioassistenziali, dei
dormitori per persone senza dimora, dei servizi di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, dei consultori
familiari, a sanificare e pulire ambulatori, ospedali, uffici pubblici, zone comuni quali atri e scale di edifici
condominiali, a percorsi di inserimento lavorativo di persone fragili.

Sono colleghi che ogni giorno svolgono un compito delicato ed importante per consentire alle persone
affidate di continuare a vivere “normalmente” in questi frangenti così difficili.

Sono lavoratrici e lavoratori per i quali è indispensabile avere i DPI (mascherine, guanti, occhiali protettivi,
termometri, camici etc) che attualmente è quasi impossibile reperire sul mercato.

Per questo chiediamo alle Prefetture Piemontesi, alla Regione Piemonte, alla Protezione Civile ed alle
Istituzioni tutte di garantire a coloro che operano in questi settori i DPI necessari, a seconda delle diverse
necessità derivanti dai singoli servizi, per continuare ad operare in sicurezza per loro stessi e per le persone
fragili cui prestano cura, per dare continuità e la sicurezza a tutti quelli che operano in comparti che
continuano a fornire un servizio indispensabile e che non possono fermarsi.

In qualità di Associazioni di Rappresentanza delle Imprese Cooperative e di Organizzazioni Sindacali,
siamo disponibili ad organizzare forme di raccordo e di distribuzione alle organizzazioni impegnate in questi
compiti dei DPI che si rendessero disponibili. L’esposizione ai rischi di questi operatori è spesso pari a quella
degli operatori ospedalieri, per questo chiediamo vengano ad essi assimilati nell’accesso ai dispositivi di
protezione.

Siamo convinti come non mai che solo nella collaborazione tra tutte le parti in causa risiede la possibilità
di fare fronte a questa emergenza e pertanto contiamo sulla sensibilità ed attenzione a questo nostro
appello.

CGIL FP, Elena Palumbo Confcooperative Federsolidarietà, Enrico Pesce
CISL FP, Tiziana Tripodi Legacoopsociali, Anna Di Mascio
CISL FISASCAT, Cristiano Montagnini AGCI Solidarietà, Giuseppe D’Anna
UIL FPL , Nicolino Conconi
UIL TuCS, Luigi Gambale

“Cura Italia”, Tronzano: “Per il Piemonte misure insoddisfacenti”

Alcune delle misure contenute nel decreto “Cura Italia” saranno certamente utili, ma, per come sono state strutturate, non sono completamente soddisfacenti per la realtà economica piemontese

Ne è convinto l’assessore alle Attività Produttive della Regione Piemonte, Andrea Tronzano, che così commenta il dispositivo: “Come Regione siamo impegnati a ragionare sull’emergenza, ma soprattutto a creare le condizioni affinché il Piemonte torni a decollare velocemente quando il Coranavirus cesserà i suoi effetti. Stiamo già interloquendo con la UE per pensare a una riprogrammazione dei Fondi Europei Fesr in caso di necessità; in particolare due sono gli assi che più riteniamo incisivi: spesa sanitaria e sostegno alle imprese. Con l’Unione Europea stiamo anche provando a ridisegnare il grande tema degli aiuti di Stato; abbiamo suggerito di sfruttare l’articolo 107 del TFU (Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea) che prevede una deroga per ‘calamità e altri eventi eccezionali’: e il Covid è sicuramente un evento eccezionale”.

“Infine – sottolinea ancora l’assessore Tronzano – continua l’interlocuzione con l’Abi per capire che cosa sia più opportuno fare con il fondo di garanzia, viste le ingenti risorse inserite dal governo; su questo tema un nodo critico presente nel decreto Cura Italia è rappresentato da una cifra troppo bassa di finanziamento massimo garantito dal fondo: 3.000 euro sono un importo irrisorio che deve essere portato almeno a 10/20.000 euro.  L’elemento più critico all’interno del decreto è l’assenza di contributi diretti, reali, immediati; i piccoli negozi, gli alberghi, le micro e piccole imprese hanno necessità senz’altro di cassa integrazione e garanzie, ma devono rimanere in piedi anche attraverso contributi a fondo perduto: solo così potremo farle ripartire. Lavoreremo quindi perchè il fondo perduto sia inserito nella conversione dell’attuale decreto. Nel testo non si parla dei liberi professionisti, e si agisce poco e in modo quasi offensivo sui lavoratori autonomi e sulle partite IVA e questo trovo che sia oggettivamente penalizzante: non sono lavoratori di serie B”.

“Altro tema non considerato – aggiunge Tronzano – è l’edilizia. In Spagna, Francia, Belgio sono partiti con il riconoscimento della causa di forza maggiore considerando il Coronavirus una delle cause che permettono di fermare i cantieri senza che le imprese ne supportino i relativi costi; il decreto del Governo invece non dice nulla su una cosa che sarebbe molto utile e che permetterebbe agli appaltatori di essere indennizzati per la maggior parte dei costi durante il periodo di sospensione.”

Dodici finalisti per il Premio Odisseo

Tra questi  verranno selezionati i sei vincitori dell’edizione 2020 promossa dal Club Dirigenti Vendite & Marketing dell’Unione Industriale di Torino

Premio Odisseo edizione 2020. Come le precedenti edizioni, anche quella di quest’anno intende  premiare i sei vincitori che verranno scelti da un’apposita giuria, con un riconoscimento dato dalla consegna ai vincitori di opere d’arte contemporanea.

“La giuria di primo livello – spiega Antonio De Carolis, presidente del CDVM ( Club Dirigenti Vendite & Marketing ) – ha valutato le candidature al Premio che sono pervenute ed ha stilato una short list di dodici finalisti, nell’ambito dei quali una giuria di secondo livello sceglierà le sei aziende vincitrici. La cerimonia di premiazione è prevista alla fine del mese di aprile”.

Le dodici aziende finaliste sono risultate:

– Across ( Torino), Digital Solution Company

– Astelav ( Vinovo),  Progetto Ri-Generation per recupero elettrodomestici

– Fabbrica Innovazione Torino (Torino), Occhialeria

– Gelati Pepino (Avigliana)

– Guido Gobino (Torino), Cioccolateria Artigiana

– Innamorati della Cultura ( Torino), Piattaforma Crowfunding

– IOT Solutions ( Moncalieri,Torino), Progetto Disabled Easy Park System

– Izmade (Torino), Impresa sociale, design e realizzazione arredi sostenibili

– Logic Sistemi (Aosta), Programma Aimfare per sicurezza sul lavoro

– No Real Interactive (Torino), Software e applicazioni per Realtà virtuale e aumentata

– Powertech Engineering (Torino), Consulenza per ricerca e sviluppo powertrain

– Tapparo (Roddi, Cuneo), Apple TabUi di informazione turistica

“Il Premio Odisseo – aggiunge Antonio De Carolis – rappresenta un’iniziativa nata in seno al Club Dirigenti Vendite & Marketing dell’Unione Industriale di Torino e si propone, quale obiettivo fondamentale, quello di premiare e valorizzare realtà che, partendo dal nostro territorio, sono riuscite a distinguersi per la loro capacità di innovarsi attraverso la digitalizzazione, la sostenibilità e capacità di realizzare progetti in chiave di marketing utili a migliorare il loro posizionamento sul mercato e le loro performance commerciali”.

“Il Premio Odisseo – conclude il Presidente De Carolis – si propone come obiettivo  fondamentale quello di motivare le aziende a diventare un vero e proprio modello di eccellenza nell’ambito delle proprie competenze, richiamandosi, come indica il suo stesso nome, alla figura di Odisseo, eroe che incarnava il mito del visionario, da un lato individualista, dall’altro ricco di valori che, con un grande gioco di squadra, superava ogni tipo di ostacolo. L’associazione tra l’originale nome in greco e le sfide che questo terzo millennio conduce inevitabilmente ad affrontare, costituiscono una provocazione tra tradizione e sperimentazione, tra il classico e l’innovazione. Il Premio Odisseo è stato ideato nel lontano 2005, dal CDVM, in collaborazione con altri Club Dirigenti dell’Unione Industriale di Torino.”

Mara Martellotta

Scuole online, la Regione vuole collegarle tutte “con o senza Governo”

«I dati piemontesi sull’utilizzo di Internet ufficializzano un’impennata dell’utilizzo della rete. Siamo quasi al limite del traffico e si rischia di arrivare al massimo disponibile. A fine emergenza collegheremo tutte le scuole piemontesi e le aziende con o senza il Governo, soprattutto nelle aree bianche, lontane dai grossi centri».

Così l’Assessore regionale ai Servizi Digitali Matteo Marnati annuncia di accelerare l’iter di collegamento di tutte le scuole e delle aziende con la Banda Ultra Larga, eventualmente anche in forma autonoma. “Il report settimanale di TOPIX sugli accessi al Web – ha sottolineato Marnati – ha infatti evidenziato l’urgenza di migliorare le connessioni con la BUL. In questo momento sono state registrate crescite superiori al 100% nei Nodi Core di TOP-IX tra febbraio e marzo 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Il nodo torinese presso il CSI ha fatto registrare +150% seguito da quello milanese (+128%) e da quello in IT.Gate +127%”.

Nella settimana che va dall’8 al 15 marzo, TOP-IX ha registrato i valori massimi tanto per quanto riguarda il valore massimo, quanto per i valori medi. «I dati piemontesi – spiega Marnati – ufficializzano l’impennata dell’utilizzo della rete. In questo momento ci potranno essere dei rallentamenti e dei problemi di connessione soprattutto la sera. Il monitoraggio di TOPIX – conclude Marnati – evidenzia quanto sia ormai improrogabile portare a termine l’infrastruttura della banda ultra larga. Ma serve una forte accelerata”.