CULTURA- Pagina 58

Lezioni feline di pedagogia alla Libreria Borgopo’

Sabato 25 febbraio

la

LIBRERIA BORGOPO’

presenta

IL DIARIO DI DAISY.

Lezioni feline di pedagogia

 

Il libro ispirato alla

International Daisy Primary School

 

La prima scuola elementare d’Italia

ad adottare il metodo educativo finlandese*

Via Luigi Ornato 10

Ore 18.30

 

Esistono gatti speciali che posseggono la rara e preziosa capacità di “leggere” gli umani e di percepirne la profondità, quasi come se riuscissero a comprenderli empaticamente.

 

Come Daisy, «gatta tricolore dal musetto appuntito e dagli occhi furbetti» che suggerisce alla propria padrona quali libri leggere facendoli cadere dagli scaffali e, soprattutto, impartisce acute lezioni di pedagogia agli altri gatti di casa, come una maestra che ha a cuore la natura unica e ineguagliabile di ciascuno di essi.

 

E sono proprio Daisy e gli altri micetti, che con lei condividono divani, mensole e cucce, i protagonisti del nuovo libro di Nicoletta CoppoIl diario di Daisy. Lezioni feline di pedagogia, pubblicato dalla Daisy S.r.l., arricchito dalle illustrazioni di Monica Ferri e disponibile in tutte le librerie fisiche e digitali a partire dal 28 novembre 2022.

 

Il volume sarà presentato sabato 25 febbraio presso la Libreria Borgopo’ di via Luigi Ornato 10 a partire dalle ore 18.30, alla presenza dell’autrice e dell’illustratrice. A moderare l’incontro, Erica Comoglio, la quale dialogherà con Nicoletta Coppo e condurrà il pubblico alla scoperta dei dettagli della raccolta, tra i suggestivi disegni dell’artista Monica Ferri e la particolare “didattica” messa a punto dalla gattina Daisy. A impreziosire l’incontro, anche la lettura ad alta voce di alcuni brani tratti dal testo, al fine di rendere tangibili gli argomenti affrontati nel corso della conversazione e trarre da essi lo spunto per parlare del metodo educativo finlandese, di cui le storie sono degli emblemi narrativi.

 

Il libro raccoglie, infatti, dodici “racconti felini”, dedicati ciascuno a un gatto di casa Coppo: da Spadino a Gina Carapelli, da Cleo a Cesarino, fino al Conte Lackoskj e a Ciro Maradò, tutti i personaggi delle narrazioni riportate dalla scrittrice sono osservati nel loro carattere peculiare e unico, nei confronti del quale Daisy funge da “guida” e supporto non giudicante.

 

Lo stesso approccio del metodo educativo finlandese da cui Il diario di Daisy prende, appunto, ispirazione, e che contraddistinguerà, per la prima volta in Italia, l’International Daisy Primary School*: la scuola elementare che aprirà le sue porte a settembre 2023, negli spazi della scuola Sant’Anna di piazza Mazzini a Chieri.

 

Promossa dall’Istituto Pascal – di cui l’autrice del libro, Nicoletta Coppo, è Dirigente scolastica –, la scuola elementare Daisy si renderà fautrice dei modelli di insegnamento del Nord Europa, favorendo, così, la condivisione, l’inclusività, l’aiuto reciproco, il rispetto e l’empatia tra insegnanti e discenti.

 

L’obiettivo è, appunto, quello di crescere bambini curiosi, dinamici e liberi, capaci di sviluppare un pensiero critico autonomo e di collaborare gli uni con gli altri. Proprio come i protagonisti delle dodici storie nate dalla penna di Coppo, che ha qui convogliato i cardini educativi del metodo finlandese facendoli vivere, sperimentare e mettere in pratica dalla gatta emblema del metodo stesso: Daisy, felino «onnisciente e onnipresente» che, tra un passo di Rodari e una citazione di Rousseau, è in grado di riconoscere e incanalare le caratteristiche proprie degli altri gatti in ciò che è in grado di renderli davvero liberi e in equilibrio con se stessi.

 

«I racconti raccolti nel Diario di Daisy sono storie reali – precisa Nicoletta Coppo – e, in quanto tali, sono ispirate ai miei gatti di casa. Sono una gattara convinta, e sono da sempre affascinata dalla vita dei felini, cui ho dedicato romanzi, racconti e storie di tutti i giorni. Nello specifico, le narrazioni riunite nel volume sono nate un paio di estati fa in Sicilia, per sfuggire alla calura stagionale: in quel contesto, ho compreso quanto la natura sia la nostra prima maestra di vita e, al contempo, quanto il mondo animale abbia da insegnarci. Proprio come l’universo infantile, con cui quello felino è qui messo in correlazione, per la sagacia degli insegnamenti impartiti da Daisy e l’estrema libertà con cui quest’ultima lascia esprimere a ciascun gatto di casa il carattere autentico e spontaneo che lo caratterizza».

 

Il diario di Daisy è disponibile su tutte le piattaforme online e in tutte le librerie fisiche ed è rivolto a grandi e piccini, i quali potranno, così, riconoscere tratti di se stessi e imparare i valori della condivisione, dell’autonomia e della libertà attraverso le storie buffe, tenere e divertenti dei gatti di “casa Daisy”.

 

*In fase di accreditamento da parte del Ministero dell’Educazione finlandese, ma con l’approvazione del Console Onorario di Finlandia a Torino Giovanni Dionisio.

Informazioni

 

L’incontro letterario inizierà alle ore 18.30 e sarà a ingresso gratuito. Per informazioni e prenotazioni, contattare il numero 011 4147510 o scrivere alla mail alberta@libreriaborgopo.com.

Quaglieni rieletto alla guida del “Centro Pannunzio”

OLTRE 50 ANNI DI PRESTIGIOSA ATTIVITÀ CULTURALE 
Lo storico Pier Franco Quaglieni è stato rieletto alla guida del Centro Pannunzio di cui è presidente fondatore
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Una riconferma che testimonia un lavoro intellettuale  e organizzativo di  oltre mezzo secolo nel solco della cultura liberale e laica. Sicuramente  un record  nell’ambito della cultura italiana e piemontese, paragonabile solo con Franco Antonicelli e Alda Croce.
Il prof. Quaglieni, autore di libri importanti e conferenziere apprezzato in tutta Italia e all’estero, e’ uno degli esponenti più autorevoli della cultura liberale italiana di oggi. E’ cavaliere di Gran Croce ed è stato decorato della medaglia d’oro di benemerito della cultura. Riferendosi alla sede storica del Centro che è a Torino in via Maria Vittoria 35 H,  scherzosamente il prof.  Quaglieni ha dichiarato : “Con questa rielezione mi hanno  condannato al 35 H, che comunque è  sempre molto  meglio del 41 bis,  ma è anche assai  faticoso. Io sto lavorando da tempo ad una mia successione e mi affianchero’ nell’immediato di un comitato  collegiale di direzione. Più che soddisfatto di ciò che ho fatto, sono stanco di un impegno sempre più avvolgente. Tra gli eletti nel nuovo direttivo del Centro ci sarà sicuramente il mio o la mia  successore/a. Il mio desiderio è quello di andare a coltivare il mio giardino in Liguria  come il Candide di  Voltaire.”

Torino e i suoi musei. Il museo delle Antichità

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Con questa serie di articoli vorrei prendere in esame alcuni musei torinesi, approfondirne le caratteristiche e “viverne” i contenuti attraverso le testimonianze culturali di cui essi stessi sono portatori. Quello che vorrei proporre sono delle passeggiate museali attraverso le sale dei “luoghi delle Muse”, dove l’arte e la storia si raccontano al pubblico attraverso un rapporto diretto con il visitatore, il quale può a sua volta stare al gioco e perdersi in un’atmosfera di conoscenza e di piacere.

1 Museo Egizio
2 Palazzo Reale-Galleria Sabauda
3 Palazzo Madama
4 Storia di Torino-Museo Antichità
5 Museo del Cinema (Mole Antonelliana)
6 GAM
7 Castello di Rivoli
8 MAO
9 Museo Lomboso- antropologia criminale
10 Museo della Juventus

 

4 Museo delle Antichità

Scrivere questa serie di articoli ha in effetti i suoi lati positivi, perché “mi costringe” a venire spesso in centro, cosa che mi fa sempre molto piacere.
Mi trovo di nuovo a cercare la biglietteria di Palazzo Reale, supero prima la cancellata di Palagi, poi arrivo all’altezza del ragazzo musicista che molto spesso si piazza all’ombra di Palazzo Chiablese e suona magistralmente il suo “digiridù”.
Questa volta però il biglietto che compro è per visitare il piccolo e sotterraneo Museo delle Antichità, a cui si accede passando per i Giardini Reali, dalla stessa entrata che porta alla Galleria Sabauda, anche se in ultimo è necessario seguire le indicazioni che portano verso il piano di sotto.
Il Museo è un’istituzione antica, che può vantare nobili origini ed è giunto all’attuale sistemazione attraverso una lunga e spesso travagliata vicenda.
La raccolta mantiene la denominazione storica di Museo di Antichità per sottolineare la continuità di questa istituzione che risale al XVIII secolo, ma comprende raccolte formatesi già in precedenza per volere di Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580) e dei suoi successori.
L’esposizione si articola in tre sezioni: quella del Territorio Piemontese e quella delle Collezioni Storiche, c’è una terza sezione dedicata a Torino, antica Augusta Taurinorum, al piano seminterrato della Manica Nuova del Palazzo Reale, in collegamento diretto con l’area archeologica del Teatro romano e del gruppo episcopale paleocristiano, costituito in origine dalle chiese del Salvatore, di San Giovanni e di Santa Maria (chiese abbattute per volere di Domenico della Rovere, committente del nuovo Duomo dedicato a San Giovanni).

In epoca rinascimentale si evidenzia, da parte dei Savoia, il desiderio di eguagliare la dignità e lo splendore delle altre corti italiane ed europee. Tra le sculture antiche pervenute sono state identificate opere già appartenute alle collezioni dei Gonzaga, di Gerolamo Garimberti e di Bindo Altroviti.Dal Settecento in avanti il settore delle antichità greco-romane si accresce continuamente, a seguito dell’acquisto di cospicue raccolte private e per i ritrovamenti effettuati nei territori del Piemonte e della Sardegna.Per molti anni la storia della collezione del Museo di Antichità viaggia in parallelo con quella del Museo Egizio, fino al 1940, anno in cui la collezione di antichità e quella egizia vengono definitivamente separate. La collezione di antichità rimane al pianterreno del palazzo dell’Accademia delle Scienze fino al 1963, quando viene individuata la sede definitiva nelle Serre dei Giardini di Palazzo Reale, il cui recupero viene curato dall’architetto Caterina Fiorio. Una volta discesa mi ritrovo in una zona dalle volte a botte in cui prevale l’uso del mattone, interessante è il gioco delle luminarie, taglienti raggi di luce cadono netti sui reperti, facendoli risaltare dall’ombra quasi richiamando alla mente la tecnica pittorica caravaggesca. Sono rimasta molto colpita dalla collezione, oggetti e reperti che molto spesso passano in sordina e che anche io non avevo ancora avuto l’occasione di conoscere o di approfondire. Subito richiamano la mia attenzione due lastre marmoree lavorate a rilievo e raffiguranti delle menadi danzanti. Le donne seguono il dio Dioniso nella frenesia dell’”entusiasmo” bacchico, e sono copie fedeli dei modelli creati alla fine del V secolo a.C. dallo scultore greco Callimaco: recano i tipici attributi del corteo del dio della vite, torce, tirsi (bastoni con infiorescenze) e strumenti musicali. Vi sono nella composizione anche altre figure, come la menade che regge un cesto colmo di frutti e quella che urla scarmigliata brandendo due torce e con le braccia avvolte da serpenti, che non sono tipiche del “thiasos” dionisiaco ma rimandano all’iconografia di una portatrice di offerte o di un’Hora (stagione) oppure di una Erinni (personificazione della vendetta soprattutto nei confronti di chi colpisce la famiglia), temi comunque che si adattano a un ambito funerario. I due grandi rilievi con figure di menadi danzanti sono noti da tempo nelle collezioni sabaude, forse già verso la metà del Seicento, come dimostrano numerosi disegni e tavole incise del periodo.

Nel piccolo Museo mi muovo piano, per una volta non mi trovo ad avere paura di non riuscire a vedere tutto e mi godo ogni singolo oggetto, dai rilievi, agli esempi di “autoctona”, ai ritrovamenti musivi della Domus romana di via Bonelli 11, al grande mosaico policromo fino ai bei gioielli della cosiddetta “Dama del Lingotto”. Il cuore della collezione è tutto contenuto in teche vicine e fortemente illuminate, si tratta del “Tesoro di Marengo”. Il tesoro è costituito da un sontuoso complesso di argenti, decorati a sbalzo e in alcuni casi dorati, che originariamente dovevano costituire lamine di rivestimento di mobili e arredi di legno, oltre all’eccezionale busto-ritratto dell’imperatore Lucio Vero (161-169 d.C.), forse anticamente montato al centro di uno scudo ornamentale (clipeo), oppure esposto su un supporto in legno o innalzato sui vessilli militari dell’esercito. Gli altri elementi sono costituiti da una tabella con iscrizione votiva alla dea Fortuna Melior, un disco con i simboli dello zodiaco, cornici, fregi decorativi con motivi figurati, geometrici, floreali e un rarissimo esemplare decorato con una catasta di armi.  Notevole è anche la  fascia di rivestimento (di un altare o della base di una statua) decorata con tredici figure di divinità in altorilievo, tutte ispirate a celebri modelli statuari del mondo greco.
Credo sia un mio inconscio tentativo di rielaborazione del trauma del Liceo Classico, ma mi scopro a giocare a riconoscere i vari personaggi mitici e ricordarne le vicende.
L’insieme si distingue da altre argenterie antiche note, sia per l’assenza di vasellame da mensa, sia per la rarità del ritratto imperiale di grandi dimensioni in metallo prezioso, oltre che per la peculiarità di alcune tipologie di oggetti, come i due elementi decorativi di una spalliera laterale di letto (kline).

Quasi tutti gli elementi che compongono il Tesoro si possono datare tra la seconda metà del II secolo e i primi decenni del III secolo d.C. La scoperta avvenne casualmente nel 1928, durante i lavori agricoli condotti presso la Cascina Pederbona di Marengo (Alessandria): gli argenti furono rinvenuti in una grossa cassa di legno ancora visibile in tracce, lacerati, schiacciati e deformati per essere più facilmente trasportati, forse a seguito di un saccheggio avvenuto in antico.
La mancanza di precisi confronti, l’assenza di dati circa la giacitura originaria e la dispersione di parte dei reperti dopo la scoperta rendono problematica l’interpretazione del ritrovamento: forse gli argenti furono saccheggiati in un sacello privato o forse in un santuario pubblico dedicato all’Imperatore oppure a un culto solare tra il III e l’inizio del V secolo d.C. Occultato in un luogo isolato e ritenuto sicuro, con l’intendimento di recuperare i beni per la loro rifusione, non fu poi più recuperato. Apprezzo davvero le dimensioni ridotte dell’esposizione, perché prima di “tornare a riveder le stelle” posso soffermarmi sui reperti che più mi hanno incuriosito, in questo caso il gusto femminile prevale e mi ritrovo a guardare nuovamente i preziosi gioielli longobardi che sfavillano all’interno della teca. Costituiscono l’eccezionale corredo funebre della “Dama del Lingotto” una coppia di orecchini in oro del tipo “a cestello”, con lunghi pendenti mobili e gocce di ametista, una collana a catena con maglie d’oro, una raffinata spilla (“fibula”) circolare a cloisonné con granati del tipo almandino e paste vitree colorate.
In effetti sì, devo ammettere che quelle preziosità antiche incontrano proprio i miei gusti: non c’è che dire, la vanità è donna.

Alessia Cagnotto

Torino e i suoi musei. Museo Lombroso – antropologia criminale

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Torino e i suoi musei / Con questa serie di articoli vorrei prendere in esame alcuni musei torinesi, approfondirne le caratteristiche e “viverne” i contenuti attraverso le testimonianze culturali di cui essi stessi sono portatori. Quello che vorrei proporre sono delle passeggiate museali attraverso le sale dei “luoghi delle Muse”, dove l’arte e la storia si raccontano al pubblico attraverso un rapporto diretto con il visitatore, il quale può a sua volta stare al gioco e perdersi in un’atmosfera di conoscenza e di piacere.

1 Museo Egizio
2 Palazzo Reale-Galleria Sabauda
3 Palazzo Madama
4 Storia di Torino-Museo Antichità
5 Museo del Cinema (Mole Antonelliana)
6 GAM
7 Castello di Rivoli
8 MAO
9 Museo Lombroso – antropologia criminale
10 Museo della Juventus

 

9 Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso

Che Torino sia “città misteriosa” è ormai appurato. La meta che vi propongo oggi può rientrare sotto questo aspetto “tenebroso”, infatti è del Museo Cesare Lombroso che vi voglio parlare.
Il Museo di Antropologia Criminale espone gli studi che Cesare Lombroso (Verona 1835-Torino 1909) eseguì tra l’Ottocento e il Novecento: fanno parte della raccolta preparati anatomici, disegni, schizzi, fotografie, corpi di reato, e le particolari produzioni artigianali degli internati dei manicomi e delle carceri.
Non deve essere stato semplice per la famiglia di Cesare accettare che il celebre studioso organizzasse la sua prima esposizione di “scheletri e armi del delitto” proprio nella sua stessa casa. Chissà se fu proprio la signora Lombroso a spostare, l’anno successivo, nel 1877, un pezzo alla volta, gli attrezzi del mestiere del marito in Via Po 18, dove si trovava lo studio.
Superati i probabili battibecchi familiari, Cesare espose nel 1884 due vetrine ricolme di crani, maschere, fotografie criminali e altri oggetti a dir poco inquietanti, all’ Esposizione Generale di Antropologia Italiana.

Il tempo passa e il materiale si accumula, ecco nuovamente il problema di dove contenere questa raccolta in continua crescita. Nel 1896, quella che poi diverrà la collezione del Museo, viene esposta in via Michelangelo 26, sotto la supervisione dell’amico e assistente Mario Carrara, il quale provvede a riordinare la miriade di oggetti in sei sale differenti, arricchendola a sua volta con reperti inerenti agli sviluppi della polizia scientifica e della medicina legale.
Gli appassionati studi di Lombroso e di Carrara devono sopportare un periodo di dimenticanza, fino alla riscoperta avvenuta intorno agli anni Settanta del Novecento, in occasione della fortunata mostra “La scienza e la colpa”.

Solo nel 2001 la collezione riesce a trovare una sistemazione definitiva presso il Palazzo degli Istituti Anatomici, inserendosi nel progetto “Museo dell’Uomo”, che prevedeva una sede comune per i musei di Anatomia Umana, Antropologia Criminale, Antropologia ed Etnografia (ora in via Accademia Albertina); nella stessa residenza venne poi affiancato il simpatico Museo della Frutta.
Ogni tanto trovo la scusa per andarci, al Museo Lombroso, non è eccessivamente grande e non richiede chissà quanto tempo, certo tutto dipende dagli intenti personali e dalla relatività dei termini “tanto tempo”. Incominciamo dunque la visita.
Nella prima sala sono accompagnata dal sonoro di un dialogo immaginario tra due individui che discutono sugli studi di Lombroso; le voci cadono su alcuni mobili e macchinari che sono scenograficamente disposti per riprodurre lo studio del criminologo. Ciò che i due protagonisti dicono è importante per capire il contesto sociale in cui Cesare opera e per comprendere le valide riflessioni che vengono affrontate sul progresso e sui suoi limiti.

Nella seconda sala mi ritrovo in un luogo a metà tra scienza e fantascienza, una moltitudine di strumenti tecnici per rilevazioni morfologiche e funzionali dimostrano la tesi lombrosiana, per cui follia, delinquenza e genialità sono fenomeni quantificabili e oggetto di studio con metodo scientifico.
Impattante è la terza sala: l’ambiente ricorda i musei di antica concezione, teche e pavimento scricchiolante, decisamente i miei preferiti. Qui facciamo conoscenza con Cesare Lombroso in persona, solo un po’ più magro di com’era in realtà: per volontà testamentaria il suo scheletro è esposto nel Museo, sorridente come i teschi dei tesori dei pirati, guarda i visitatori, come se non volesse smettere di continuare ad osservare e a studiare, sempre alla ricerca di nuove prove a favore della sua tesi.

Superato – credo, non ci è dato saperlo- l’esame di Cesare, possiamo dedicarci a guardare la numerosa rassegna di reperti umani, maschere mortuarie, corpi di reato, manufatti carcerari e manicomiali, nonché ritratti di criminali che ornano le pareti. Non c’è che dire, un po’ si accappona la pelle davanti a quei volti cerati, costretti ad essere esangui per sempre. In questa sala ci sono gli oggetti che più mi affascinano, si tratta dei mobili realizzati da Eugenio Lenzi, uno dei tanti sfortunati reclusi nel manicomio di Lucca. Sono mobili senza definizione, abilmente intarsiati e scolpiti, con una dovizia di particolari che solo un matto avrebbe potuto concepire. Tutte le volte che li osservo non posso che domandarmi: se fossero esposti alla GAM o al Castello di Rivoli, sarebbero giudicati allo stesso modo o diventerebbero magicamente opere di inestimabile valore artistico?
Mi prendo il mio tempo prima di proseguire, quegli oggetti hanno il potere d’incantarmi e tutte le volte scopro dettagli nuovi che mi fanno rimanere a bocca aperta. Qualcuno mi osserva, mi sento giudicata e proseguo verso la quarta sala. Mi trovo di fronte a dei teschi tagliati e a qualche scheletro, le didascalie mi ricordano che questa stanza spiega la teoria atavica di Lombroso, il quale sosteneva che il criminale regredisse ad una sorta di condizione primitiva dello stadio evolutivo; un video ricorda, a chi se lo fosse dimenticato, che la malformazione cranica della fossetta del teschio Villella è solo una variabilità individuale, non un fondamento scientifico.

La quinta sala è dedicata agli abiti realizzati da Giuseppe Versino, internato a Collegno, e altri oggetti creati da persone affette da disturbi mentali. Il binomio “genio-follia” è presente da sempre nella storia dell’uomo e nella storia dell’arte, si pensi all’ iconica e stereotipata figura di Vincent Van Gogh (1853-1890), artista inequiparabile, internato nel manicomio di Saint Remy, dopo essersi amputato l’orecchio e dove realizzò 150 opere in soli 53 giorni. Del resto proprio questo luogo mi fa venire in mente che la “lista dei pazzi” è decisamente ampia: Fancisco Goya (1746-1828) era affetto da encefalopatia, (causata da intossicazione da piombo presente nei colori), la malattia lo portò alla sordità e a disturbi di personalità; lo stesso Michelangelo (1475-1564) secondo alcune fonti era piuttosto schizofrenico, come dimostrerebbero le ricerche di Gruesser collegabili allo studio dei volti realizzati dal Buonarroti.

Particolarmente attinente è la vicenda del pittore Richard Dadd (1817-1886), che uccise il padre con un coltello a serramanico perché lo aveva scambiato per un principe delle tenebre, nemico della divinità che Richard adorava, Osiris, a cui aveva anche dedicato un piccolo santuario in una camera in affitto a Londra. Non c’è bisogno di spiegazioni per personaggi allucinati come Ensor, ( 1860-1949) e Munch,( 1863-1944). Forse tra tutti l’ “oscar della follia” va a Jackson Pollock, artista maledetto per eccellenza, consumato da alcool e droghe, riformato dall’esercito per problemi psichici, morto a soli 44 anni in un tragico incidente stradale, la stessa signora Guggenheim di lui aveva detto: “quest’uomo ha dei seri problemi, la pittura è senza dubbio uno di questi”. L’elenco è ancora lungo ed è costituito da grandi nomi quali Francis Bacon, (1909-1992), l’autodistruttivo e tormentato Jean Michel Basquiat (1960-1988) e la triste Camille Claudel (1864-1943), artista brillante, allieva e amante di Rodin. Camille soffrì di depressione con manie di persecuzione e venne internata per volere della madre, in tal modo è come se fosse morta due volte in solitudine: sola, perché rinchiusa in manicomio e sola, perché nemmeno un familiare partecipò al suo funerale.

Continuando nel percorso espositivo, alla sala 6 si trovano le uniche tracce di vite anonime e maledette: graffiti e incisioni sugli orci per l’acqua dei detenuti del carcere di Torino. La sala 7 presenta il modellino del carcere di Filadelfia e la ricostruzione di una cella ottocentesca, qui si affronta la problematica della detenzione, divenuta nel corso dell’Ottocento architrave dei sistemi penali.
Sono quasi alla fine della visita e nuovamente incontro Lombroso, ma se prima era solo un silenzioso scheletro scrutatore, ora è una voce incorporea che mi parla come dall’Aldilà: è un discorso immaginario che ripercorre l’esperienza di studio, i pensieri, i dubbi che attanagliarono il grande pensatore, umanizzandolo e quasi tramutandolo in un normale “figuro” della bella époque torinese.

Uscendo, attraverso un lungo corridoio che mi riassume i punti principali della mostra: qui ho l’opportunità di rabbrividire ancora una volta alla vista della forca, proprio quella un tempo situata al “rondò” la piazza che ancora oggi in città così si chiama. Giustamente, a mio parere, perché il passato va studiato e compreso, ricordato e contestualizzato: se cancelliamo gli errori che abbiamo commesso, come possiamo correggerli e non ripeterli?

Alessia Cagnotto

Una gita a Briançon

Uno degli aspetti positivi di vivere a Torino è la possibilità di arrivare in Francia, Svizzera, Austria e Germania in pochissimo tempo

Fare una gita oltre confine  senza dover dormire fuori città è possibile e confortevole, così come deciderlo all’ultimo momento senza la necessità di pianificare

Una delle località più vicine e raggiungibili in giornata è Briançon, un gioiellino arroccato sulle Heute Alpes che vanta il primato di città più alta di Francia, 1326 metri. A soli 15 km dal confine italiano ed a 110 da Torino, Briançon, Patrimonio dell’Umanità UNESCO, fu fortificata da Vauban, un famoso ingegnere militare al tempo del Re Sole. Non solo la visita in questa deliziosa cittadina, anche la strada che si percorre per raggiungerla è una bellissima esperienza: colori meravigliosi in primavera e autunno, il bianco e il candore in questo periodo invernale, meravigliosi paesaggi montani e suggestivi, scenari di una natura rigogliosa e fitta cominciano non appena si lascia l’autostrada e ci dirige verso Claviere, il confine tra Italia e Francia. Scendendo giù per la valle, dopo aver superato alcune località sciistiche, arriviamo a Briançon, la prima cosa che salta all’occhio è la Cittadella, le mura, la roccaforte militare. Entriamo nella “Vauban Cité” o “Gargoyle”, ovvero la città alta caratterizzata da case alte e colorate dalla Porte de Pignerol.

 

Sulla strada principale, la Grand Rue, si concentrano negozi tipici, caffé e ristoranti. Scendendo fino alla fine si arriva Place d’Armes, usata nel Medioevo come mercato. La Collegiale Notre-Dame-et-Saint-Nicolas, la cattedrale che venne costruita intorno al 1703, si trova risalendo a sinistra, sulla facciata si trova una delle più antiche meridiane delle Hautes-Alpes. Altri luoghi di interesse sono: i Forti Militari L’Infernet e Randouillet, il Convento dei Cordelies, il Giardino del Governatore, il Pont d’Asfeld. La visita a Briançon continua con un tour culinario, per esempio andando al supermercato Gèant nella parte nuova della città dove si possono trovare prodotti tipici francesi dai formaggi, ai patè, ai vini, oppure rimanendo in centro dove i negozi di prodotti tipici sono deliziosi e invitanti: marmellata alle violette, biscotti alla vaniglia, miele, macarons, l’Armagnac, il distillato di vino più antico in Francia, sono solo alcuni gustosi prodotti che si possono trovare.

Maria La Barbera

***
Un suggerimento su dove mangiare:
La Gavroche, l’Etage e Le Pied de la Gargouilletutti sulla Grand Rue.

Per qualsiasi ulteriore informazione, per avere una mappa e approfondimenti:
Ufficio del Turismo di Briançon – 1 Place du Temple City Vauban.

I primi settant’anni dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema

 Dal 1953 passione e inclusione con il cinema

Un excursus sulle attività per il 2023, da febbraio a dicembre

Nel 2023 l’Associazione Museo Nazionale del Cinema (AMNC) festeggia il suo 70° anniversario e lo fa con un ricco programma di proiezioni, incontri e rassegne durante tutto l’anno, da febbraio a dicembre.

Fondata dalla storica del cinema Maria Adriana Prolo il 7 luglio 1953, in Via Riberi 7 a Torino, insieme ad altri sei pionieri del cinema torinese – Giordano Bruno Ventavoli, Leonardo Mosso, Giovanni Pastrone, Mario Gromo, Augusto Ferraris e Carlo Giacheri – l’Associazione ha conservato e valorizzato il patrimonio raccolto da Maria Adriana Prolo fino al 1992. In quell’anno, l’Associazione ha donato il patrimonio all’allora neonato Museo Nazionale del Cinema per iniziare così un nuovo percorso affiancando il Museo nella promozione della memoria storica audiovisiva e nel creare sinergie per coinvolgere nuovi pubblici costruendo con essi un dialogo costante.

In occasione del 70° anniversario, in rete con numerosi partner e istituzioni del territorio, l’Associazione Museo Nazionale del Cinema ha deciso di promuovere molteplici iniziative durante tutto l’anno per celebrare questa ricorrenza, nel rispetto della propria storia, ma soprattutto con uno sguardo proiettato al futuro – dichiarano Vittorio Sclaverani e Valentina Noya, rispettivamente Presidente e Vice-Presidente dell’AMNC. Ad accompagnare l’Associazione in questo percorso ci sarà un padre nobile del cinema italiano, il regista Davide Ferrario, nuovo Presidente onorario della nostra realtà. Da anni il regista di Tutti giù per terra accoglie con entusiasmo e generosità le nostre proposte culturali decentrate: nel 2013 ha diretto il corto Lighthouse in occasione di un altro 70°, in quel caso della Biennale Cinema di Venezia, girato alla Casa nel Parco di Mirafiori durante una proiezione delle comiche di Buster Keaton organizzata proprio dall’AMNC. Davide Ferrario è un autore che da sempre dialoga con la Storia del Cinema: ha scritto, infatti, insieme al regista Daniele Segre, il documentario dedicato alla fondatrice del Museo del Cinema Occhi che videro e diretto Dopo mezzanotte a seguito dell’inaugurazione del Museo alla Mole Antonelliana. Con Davide condividiamo il lavoro e la visione che portiamo avanti dentro e fuori dal carcere, luogo in cui l’Associazione lavora da anni con il progetto LiberAzioni e contesto che il regista conosce molto bene anche grazie a numerosi suoi lavori, a partire dal film Tutta colpa di Giuda. Siamo quindi felici di poter condividere con lui, come nuovo Presidente onorario, il percorso dell’AMNC dei prossimi anni certi che ci sarà uno scambio proficuo e fertile”.

“Sono felice e onorato della proposta dall’AMNC – commenta il regista Davide Ferrario, neo Presidente onorario. Ne seguo e condivido da tempo l’attività, a cui talvolta ho avuto la fortuna di dare il mio contributo. In particolare, c’è una coincidenza che mi rende cara la cosa: nel 2023 sono esattamente 20 anni che girammo, sotto la volta della Mole, Dopo mezzanotte, che uscì l’anno dopo al festival di Berlino. In quel film c’è tutta la passione e l’affetto che ho per il Museo e che ho avuto la fortuna di comunicare a una platea internazionale.”

Il ricco programma di proiezioni, incontri e rassegne prende avvio già da febbraio con molte iniziative a partire da tre proiezioni a ingresso libero, ospitate presso la sala Gabriella Poli del Centro Studi Sereno Regis (Via Garibaldi 13, Torino): sabato 11 febbraio alle 16.30 si terrà un dialogo a distanza tra le pagine scritte da Luisa Viglietta e le immagini del documentario Astrosamantha – La donna dei record nello spazio dedicato all’astronauta Samantha Cristoforetti, in occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza. Si prosegue il giorno successivo, domenica 12 febbraio alle 15.30, con la proiezione per famiglie del film d’animazione di Ron – Un amico fuori programma nell’ambito della rassegna AffiDarsi che proseguirà fino al 12 marzo con altri quattro appuntamenti settimanali ospitati presso il CineTeatro Baretti e il Cinema Massimo. Lunedì 13 febbraio alle 21.00 invece si ricorderà il 40° anniversario della tragedia del Cinema Statuto attraverso il documentario Sale per la capra di Fabrizio Dividi, Marta Evangelisti e Vincenzo Greco, alla presenza degli autori insieme a Michela Favaro, Vice Sindaca della Città di Torino con deleghe alla sicurezza e alla legalità.

 

Martedì 14 febbraio alle 9.30 presso il Cinema Massimo avrà luogo, in collaborazione con i Servizi educativi del Museo Nazionale del Cinema, una proiezione speciale per le scuole secondarie di II grado di Eldorado di Markus Imhoof. Al termine della proiezione seguirà un incontro con gli studenti a cura dell’AMNC che ha consegnato il Premio Maria Adriana Prolo 2022 al regista svizzero, candidato più volte agli Oscar, in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani, e che gli ha dedicato il numero monografico della rivista Mondo Niovo, con il patrocinio di Amnesty International Italia.

Da metà febbraio l’AMNC, insieme al centro del protagonismo giovanile Comàla (C.so Ferrucci 65/a, Torino) e la Fondazione Merz (Via Limone 24, Torino), ospiteranno la rassegna a ingresso libero 7 sere per 7 registe che metterà in dialogo importanti autrici internazionali con giovani cineaste italiane, per lo più legate al mondo produttivo piemontese. Lo stimolo di questo progetto deriva da una parte dal desiderio di volgere al femminile la fortunata rassegna da tempo promossa da Comàla che ha sempre dato spazio ai registi e dall’altra mostrare alcuni film diretti da registe che sono entrate nella nuova classifica dei migliori film di sempre pubblicata dalla famosa rivista cinematografica inglese Sight and Sound. La rassegna verrà inaugurata con Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma giovedì 16 febbraio per chiudersi domenica 23 marzo con Jeanne Dielman, 23 quai du commerce, 1080 Bruxelles di Chantal Akerman, considerato il miglior film di tutti i tempi proprio dalla rivista punto di riferimento del cinema mondiale. Nell’ambito del programma saranno mostrati film di registe riconosciute a livello internazionale come Sofia Coppola (Il giardino delle vergini suicide), Jane Campion (Lezioni di piano), Susanna Nicchiarelli (Miss Marx), Andrea Arnold (Fish Tank) e Chloé Zhao (The Rider). Il percorso più indie della rassegna sarà inaugurato da Elsi Perino e Ilaria Ciavattini con il loro film Un uomo deve essere forte in programma il 19 febbraio, a seguire Flavia Montini e Anita Otto presenteranno il pluripremiato Los Zuluagas il 26 febbraio, Cristina Monti introdurrà il suo racconto dedicato alla Resistenza Non aver paura! Donne che non si sono arrese il 5 marzo, Francesca Frigo di BabyDoc condividerà la sua esperienza nel mondo dell’accoglienza dei migranti attraverso il documentario Sanperè! – Venisse il fulmine il 20 marzo. La Fondazione Merz accoglierà, infine, le proiezioni di Gente dei bagni di Stefania Bona e Francesca Scalisi in programma il 12 marzo e di Ventisette di Donatella Di Cicco il 24 marzo.

Il 20 febbraio alle 20.45 il Cinema Massimo (Via Verdi 18, Torino) ospiterà l’anteprima del film Pluto (Or: How I Learned NOT to Stop Worrying and NOT to Love the Bomb) di Renzo Carbonera (2022, 75′), prodotto da Kiné con Rai Cinema, in collaborazione con EiE Film e la distribuzione di OpenDDB. L’attore principale del documentario dedicato al nuovo rischio di minaccia atomica è Andrea Pennacchi, noto per le sue partecipazioni nei film di Mazzacurati, Segre e Milani, ma soprattutto per il personaggio del Pojana, conosciuto nel programma televisivo Propaganda Live.

Pietro Perotti, artista, ex operaio, filmmaker indipendente e Premio Maria Adriana Prolo nel 2018, condurrà un laboratorio artistico gratuito dall’11 al 26 febbraio, Gli occhi e le mani, presso Comàla, per creare maschere e coreografie in gommapiuma e plastazote che andranno a colorare lo sciopero globale per il clima del 3 marzo e il Carnevale per l’ambiente che animerà le strade del quartiere Cit Turin domenica 5 marzo.

Il cinema al femminile sarà nuovamente protagonista il 22 febbraio presso la sede torinese delle Gallerie d’Italia, nell’ambito della mostra JR – Déplacé∙e∙s, con la presentazione del film Visages, Villages di Agnès Varda e JR introdotto da Marco Mastino ed Edoardo Peretti, responsabile del progetto Parole&Cinema.

In occasione dell’8 marzo, Festa della Donna, la rete del progetto Le cose che abbiamo in comune organizzerà una giornata presso il Liceo Domenico Berti di Torino dedicata alle diverse forme di resistenza femminile tra Nepal, Africa e Iran, costruita insieme alle testimonianze di diversi artisti originari di questi paesi.

Sabato 11 marzo il regista Giovanni Piperno sarà presente nella sala del CineTeatro Baretti con il documentario distribuito dall’Istituto Luce-Cinecittà Cipria che mette in scena, attraverso un attento lavoro sugli archivi, le storie attualissime di tre donne italiane all’inizio del secondo conflitto mondiale.

Sempre all’interno del progetto Parole&Cinema, nell’ambito di Biennale Democrazia, si parlerà di Luciano Bianciardi, a pochi mesi dal centenario dalla nascita: la libertà erosa e l’alienazione legate al mondo del lavoro, in particolare negli ambiti delle professioni culturali, sono tematiche centrali nel romanzo La vita agra e più complessivamente nell’opera di Bianciardi, scrittore disincantato nella sua irriverenza e preveggente nella sua lucidità. Tematiche e atmosfere che tornano nella trasposizione cinematografica del suo romanzo più celebre, realizzata in forma di commedia amara da Carlo Lizzani nel 1963 con protagonisti Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli.  L’incontro e proiezione del film di Lizzani avranno luogo presso il Centro Studi Sereno Regis, giovedì 23 marzo alle ore 21.00.

PRIMAVERA ed ESTATE

Ad aprile si svolgerà la quindicesima edizione di cinemAutismo, iniziativa curata da Marco Mastino e Ginevra Tomei, in programma il 2 aprile, Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo. Per proseguire i percorsi dedicati all’inclusione, durante la primavera l’Associazione produrrà, nell’ambito dell’ottava edizione di Cinema Plurale, dei piccoli film che documenteranno il lavoro degli artisti legati a InGenio Arte Contemporanea, all’Archivio d’arte irregolare della Città di Torino e le attività promosse dalla rete Motore di Ricerca.

Fino a giugno verranno portate avanti le attività della terza edizione di Ragazzi in Città, un progetto di proiezioni e produzioni partecipate che coinvolgerà le studentesse e gli studenti di diverse scuole del territorio cittadino con particolare attenzione ai quartieri di Barriera di Milano e di Mirafiori grazie a due tutor d’eccezione come il regista Giovanni Piperno e lo sceneggiatore Pier Paolo Piciarelli. Mentre in estate prenderà il via la terza edizione di Barriera a cielo aperto, la rassegna che unisce diversi spazi della periferia nord a partire dall’Arena cinematografica Monterosa.

AUTUNNO/INVERNO

In autunno si svolgerà la quarta edizione di LiberAzioni festival – l’arte dentro e fuori il carcere, diretto da Valentina Noya, con la restituzione dei laboratori artistici organizzati presso la Casa circondariale Lorusso Cutugno di Torino e dei due concorsi nazionali: quello cinematografico dedicato alla cittadinanza libera e quello letterario esclusivamente dedicato alla popolazione detenuta. A dicembre sarà consegnato, infine, il 22° Premio Maria Adriana Prolo e pubblicato il numero 108 di Mondo Niovo 18-24 ft/s, la rivista fondata nel 1961 e ora diretta da Davide Mazzocco. Dal 2022 l’AMNC ha deciso di uscire dalla vetrina del Torino Film Festival, ex Cinema Giovani, per ricercare una posizione libera e autonoma in dialogo con la Giornata mondiale dei diritti umani, il 10 dicembre, in collaborazione con Amnesty International Italia.

Nel corso di tutto l’anno proseguiranno le attività di digitalizzazione, catalogazione e valorizzazione delle immagini conservate nell’Archivio Armando Ceste e nel Fondo Corrado Iannelli grazie alla preziosa collaborazione con Claudio Coloberti, Rewind Digital e il laboratorio di Zenit – Arti Audiovisive.

Partner principale dei progetti dell’Associazione sarà il Museo Nazionale del Cinema: grazie a una rinnovata sinergia, l’AMNC e l’istituzione diretta da Domenico De Gaetano collaboreranno alla maggior parte delle attività in programma a partire da un evento speciale organizzato per il prossimo 7 luglio. Il Museo e l’AMNC, in un periodo ancora molto complesso per la fruizione cinematografica in sala, ritengono fondamentale cooperare e co-progettare insieme, lavorando per diffondere una cultura cinematografica alle nuove generazioni grazie alla nodale collaborazione con i Servizi Educativi. Le due realtà nel corso del 2023 intendono anche far accrescere nel pubblico le potenzialità creative dei nuovi linguaggi, grazie alle due sale VR allestite alla Mole Antonelliana. Durante tutto l’anno il Museo e l’AMNC si porranno costantemente in ascolto del territorio con l’obiettivo di rendere il patrimonio museale sempre più accessibile a tutte e a tutti, pensando al cinema come strumento privilegiato per poter leggere la realtà.

 

Ex Nihilo Nihil Fit di Alessia Savoini allo Spazio Musa

Mercoledì 15 febbraio 2023, alle ore 19.00, lo Spazio Musa di Torino sarà sede e luogo della parola,  dell’orecchio che si accosta al labbro e della voce che diviene tempo e spazio. Accoglierà la narrazione poetica di Ex Nihilo Nihil Fit, testo di Alessia Savoini, prodotto di mesi trascorsi tra la camera da letto e il Day Hospital, in chemioterapia, tra la cura e la spina.

Trascuro la portata delle cose flessibili,

riordino

su ogni vertebra spezzata

l’intera misura dell’onda

e dall’orecchio

il guaito della conchiglia.

L’evento prevede una presentazione della raccolta, performance di reading poetico e a seguire dibattito, dove sarà possibile esporre ed esporsi al luogo fertile della domanda, alla possibilità dell’incontro e del confronto, all’interno di Spazio Musa, che attualmente ospita la mostra “Babele”, del curatore Caspar Giorgio Williams.

Saranno inoltre rese disponibili copie per l’acquisto della raccolta Ex Nihilo Nihil Fit.

Ad una sola azione tende,

che fu il primo

o che sia l’ultimo

con in distinzione, mors –

ne cancella il volto.

E allor se da principio timor di quel che viene ha mosso,

non so consolare

l’animale che piange il morto.

Concept e voce: Alessia Savoini

Sound e chitarra: Nico Tommasi

Ex Nihilo Nihil Fit è un processo ancora in fase di inseminazione, la parola che svela la parola e ne osserva il dispiegamento, la paura, l’accettazione, l’abbandono, il ritrovamento. La malattia è un accesso a uno sguardo differente e se tutti gli eventi sono neutri, lo spazio interpretativo è l’unico versante in cui scorgere il sintomo della risposta.

Desiderai tentare la lingua,

gustai

e mordicchiai

il fiore nella mia bocca:

dunque da due dei miei sensi,

queste grandi aperture dell’anima

venne a me tutto il mondo.”

Alessia Savoini, Borgomanero, 1994. I suoi incipit si situano sulla soglia, ogni volta che la parola è stata come sete una promessa del labbro, lingua sul taglio, la sua voce rimarcava presenza. Per dieci anni ha vissuto a Torino, città dove ha sedimentato la conca e conosciuto la prefazione dell’orlo, quello che a maggio 2022 ha costituito una massa d’ombra nel torace e l’ha portata a scrivere Ex nihilo nihil fit. Nel 2010 riceve la sua prima proposta di pubblicazione come vincitrice al premio selezione opere inedite della casa editrice Aletti Editore, con la quale si è aggiudicata i primi posti in classifica in diversi concorsi. Nel giugno 2019 collabora con la rivista filosofica Sovrapposizioni al progetto Eros, nel marzo successivo contribuisce all’uscita del secondo numero cartaceo della stessa, per il progetto Deserto. Nel novembre 2020 la rivista online di poesia Poesiainverso pubblica alcuni suoi frammenti, in seguito cui la rivista d’arte greca Εξιτήριον ne propone una traduzione.

Nico Tommasi, Trento, 1995. La passione per la musica lo accompagna dagli albori, il suo incipit è al clarinetto, “volevo suonare il sax ma non c’era…”. Durante il periodo della scuola media si appassiona di chitarra elettrica e avvia i primi studi con la scuola Lizard Academy, a cui seguirono numerosi concerti all’attivo con band rock e metal. Con il tempo la passione attecchisce e prende la forma delle cose che restano: a quindici anni si incammina nel lungo percorso del conservatorio e della chitarra classica, inizialmente a Riva del Garda, concludendo gli studi a Torino.

Attualmente esibisce un format, Food for fish (cibo per pesci), un progetto in solo che ha la volontà di adattare la musica classica “seriosa” a contesti più abituali e meno formali, “letteralmente dandomi in pasto al pubblico”.

Cancro ascendente sagittario, affianca la passione per la musica a quella del fonico, per cui ha studiato presso la scuola APM di Saluzzo, riuscendo in tal modo a “sopravvivere di arte e mangiando aria per ora”.

Un bacio, un mito. Dall’amor cortese a Doisneau. Gymnasium di Camera

I baci più famosi nella Storia dell’Arte

9 febbraio| ore 18.30 | Gymnasium di CAMERA

 

Giovedì 9 febbraio alle 18.30 è in programma a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografial’ultimo incontro del ciclo de “I giovedì in CAMERA”, appuntamenti aperti al pubblico dedicati alla mostra di grande successo che racconta lo sguardo e la sensibilità di Robert Doisneau, uno dei padri della fotografia del Novecento.

Nell’incontro si parlerà dei più conosciuti e interessanti baci della Storia dell’Arte, dall’amor cortese a Doisneau, attraverso le riflessioni del direttore di Palazzo Madama di Torino, Giovanni Carlo Federico Villa.

Si inizierà l’excursus proprio dal 9 marzo 1950, data in cui è stata scattata l’iconica fotografia di Doisneau Le baiser de l’Hotel de Ville: una costruzione quasi teatrale creata su misura per un reportage sugli innamorati parigini commissionato da “Life”. Si passerà poi attraverso un altro scatto di Doisneau di vent’anni dopo, 25 ottobre 1967, dove la Rivoluzione russa viene vista da Akademgorodok e non si capisce letteralmente cosa sia – il perfetto equilibrio tra uomo, natura e scienza nella città giardino – a illustrare un numero speciale de “La Vie Ouvrière”.

Robert Doisneau si rivela autore capace di cogliere la spontaneità dell’utopia in simbiosi con la natura e di costruire un’immagine rispettando le regole auree del perfetto equilibrio compositivo, rivelandosi, così, l’erede della grande tradizione iconografica europea, capace di saldare in uno scatto le suggestioni del Gotico internazionale con il Bacio di Hayez.

Protagonista dell’incontro è Giovanni Carlo Federico Villa, Direttore di Palazzo Madama, Torino e Professore associato di Storia dell’Arte Moderna Università degli Studi di Bergamo e Udine, in dialogo con Walter Guadagnini, direttore di CAMERA.

Intervengono:
Giovanni Carlo Federico Villa, Direttore di Palazzo Madama e Professore associato dell’Università degli Studi di Bergamo e Udine
Walter Guadagnini, Direttore di CAMERA

Ingresso a 3 Euro.

Per prenotazioni, www.camera.to.

Riscoprire Filippo Burzio protagonista del ‘900

Filippo Burzio è stato uno dei più affascinanti e più complessi intellettuali italiani del ‘900: scienziato del Politecnico di Torino, maestro di balistica alla Scuola di Applicazione e apprezzato nel mondo, narratore, filosofo, giornalista famoso. Direttore della “Stampa” alla caduta di Mussolini, condannato a morte dalla Repubblica di Salò e costretto alla clandestinità, tornò a dirigere il grande giornale di Torino fino alla morte. Prestigioso commentatore politico, europeista, è noto per aver rilanciato in chiave moderna la platonica teoria del Demiurgo.

Giovedì 9 febbraio, ore 18 al Polo del ‘900 il suo maggiore studioso Paolo Bagnoli e Corinna Desole presenteranno il nuovo libro da loro curato Il seminatore solitario. Introduzione al Demiurgo, edito dal Centro Studi Piemontesi per la Fondazione Burzio. Con loro saranno Fulvio Cammarano, storico dell’Università di Bologna, e Piero Polito, direttore del Centro Studi Piero Gobetti.

 

In onore del grande intellettuale e della fondazione che porta il suo nome, Poste italiane presenterà in quell’occasione al Polo del ‘900 un annullo postale speciale.

Abraham Brueghel raccontato da Cottino al Centro Pannunzio

LUNEDÌ 6 FEBBRAIO ALLE ORE 17.30

al Centro  Pannunzio in via Maria Vittoria 35H a Torino Alberto COTTINO, docente di Storia dell’Arte alla Università di Torino e Bologna, presentando il suo libro “ABRAHAM BRUEGHEL”, edizioni etgraphiae, parlerà del grande pittore, nato ad Anversa e vissuto prevalentemente in Italia. Introdurrà Pier Franco QUAGLIENI.