CULTURA- Pagina 54

A Coassolo, toccante retrospettiva dedicata a Domenico Riccardo Peretti Griva

“Il mondo fotografico di Riccardo”, illustre magistrato e fotografo coassolese

Fino al 31 agosto

Coassolo (Torino)

A sessant’anni dalla scomparsa, avvenuta l’11 luglio del 1962, il Comune di Coassolo (dove nacque il 28 novembre del 1882) torna a ricordare il suo figlio più celebre ed indimenticato, Domenico Riccardo Peretti Griva, attraverso una ricca retrospettiva fotografica curata da Giovanna Galante Garrone, storica dell’arte e nipote delle stesso Peretti Griva, in cui si presentano fotografie facenti parte della collezione privata di famiglia (furono più di 25mila gli scatti a sua firma), riproduzioni da originali del “Museo Nazionale del Cinema” di Torino (che custodisce il fondo donato dalla figlia Maria Teresa) e del Comune di Lanzo Torinese, che già ospitò la mostra nel luglio scorso. Tutte riunite in un’unica esposizione, fino al prossimo mercoledì 31 agosto, presso la “Sala Consigliare” del Comune, “si tratta di opere – sottolinea Giovanna Galante Garrone – realizzate nella prima metà del secolo scorso e che restituiscono una preziosa sintesi delle predilezioni tematiche e delle scelte estetiche di Riccardo Peretti Griva”. “Le sue fotografie in bianco-nero – prosegue – testimoniano una forte attenzione al chiaroscuro che nel procedimento di stampa, assume caratteri pittorici di particolare liricità”. Magistrato, giurista, fervente antifascista e provetto alpinista – come l’amico magistrato Umberto Balestrieri, che lo iniziò alla passione per la fotografia – in magistratura Peretti Griva rimase per 43 anni, partendo come pretore di Morgando e arrivando (in una carriera per molti “scomoda”, da “magistrato del vecchio Piemonte” come ebbe a definirlo il genero Alessandro Galante Garrone) fino a ricoprire la carica di primo presidente della “Corte d’Appello” di Torino”. Sua costante compagna di strada, l’inesauribile passione per la Fotografia. Formatosi nella “Scuola Piemontese di Fotografia Artistica”, è nel 1905, sull’onda dell’“Esposizione Internazionale” tenutasi a Torino che inizia la sua incalzante avventura artistica, che lo porterà, fra il 1920 ed il 1950, ad essere considerato uno dei principali esponenti del cosiddetto “pittorialismo” italiano, attratto in particolare dal tema della natura, cristallizzata in poetiche atmosfere romantiche, attraverso la sofisticata tecnica al “bromolio”, con l’utilizzo di interventi manuali in grado di conferire alle foto le sembianze di un disegno a carboncino, e meno frequentemente con quella al “bromuro d’argento”. Nel 1923 viene premiato alla “Prima esposizione internazionale di fotografia, ottica e cinematografia” e da allora partecipa costantemente ai “Salons d’arte fotografica internazionale di Torino”, nonché a numerose altre manifestazioni in Italia e all’estero. Molte anche le mostre dedicategli in seguito.

Le più recenti, fra le postume, al “Museo Nazionale del Cinema” e al Museo “Arnaldo Tazzetti” di Usseglio (2018), a cura di Daniela Berta e di Giovanna Galante Garrone. Nel febbraio del 1962, gli venne assegnata l’onorificenza di “eccellenza” da parte della prestigiosa “Féderation internationale de l’art photographique”. E’ l’occhio della poesia, della semplicità e della sincerità che guidavano e guidano ancor oggi la vita dei contadini e dei suoi montanari, dall’Alpe Vaccarezza alla Cima dell’Angiolino fra le Valli Tesso e Malone, a “marchiare” in ogni angolo e prospettiva la sua opera. Dalla dolcezza compiaciuta della “madre” di Gubbio alla meravigliata curiosità della piccola di “Purità”fino ai due vecchietti intenti a leggere e a commentare un giornale in due sulla panchina posta davanti alla Chiesa del paese e al silente tappeto di neve, promessa generosa di frutti buoni che verranno. In ogni opera l’insegnamento delle radici.

L’onestà che guidò ogni gesto, ogni decisione, ogni attimo della sua vita. Congedandosi dalla Magistratura, il 19 aprile del 1953, Peretti Griva scriveva in un “Discorso ai Coassolesi”: “Io voglio bene a Coassolo…E’ qui che sono sempre accorso a rinfrancarmi…Qui mi rinfrescavo l’anima coi ricordi gentili nella grande pace non profanata dalle contese cittadine” . E ancora, ricordando il giorno in cui vi salì (“nelle limpidezze del piano di Coup”) quando a Torino arrivò il Duce: “Trovai un contadino che mi chiese ‘Come mai Riccardo si trova quassù mentre Mussolini è a Torino?’. Mi fu facile rispondere che ero lassù, nell’aria pura, proprio per liberarmi dall’aria asfissiante delle adunate forzate”.

Gianni Milani

“Il mondo fotografico di Riccardo”

Sala Consigliare Comune di Coassolo, via Capoluogo 198, Coassolo (Torino); tel 0122/45617 o www.comune.coassolo.to.it

Fino al 31 agosto

Orari: nei giorni feriali, 9/12

Nelle foto:

–       “Purità”, stampa alla gelatina ai sali d’argento, 1930 ca.

–       “La madre”, Gubbio, bromolio trasferto, 1939 ca.

–       “Il giornale”, bromolio trasferto, 1925-‘30

–       “La lunga attesa”, gelatina ai Sali d’argento, 1930-‘40

Spirito geniale. Scrittori, ispirazione e alcol

Penne e drink, capolavori e banconi dei bar, centinaia di righe scritte in compagnia di cocktail che hanno ispirato la creatività e donato leggerezza a molti scrittori, indiscussi talenti della letteratura

 

Alcuni ne hanno abusato, ne hanno fatto uno stile di vita non sempre benefico, altri sorseggiando meravigliosi cocktail e istaurando con l’alcol un rapporto affettivo più equilibrato, di equa e sobria distanza, hanno dato vita a opere letterarie altresì straordinarie.

Il bevitore per eccellenza fu Hernest Hemingway, “bevo da 15 anni e nessuna cosa mi ha dato più piacere” affermava. Genio della forma scritta, coraggioso nei reportage di guerra, Premio Nobel per la Letteratura con Il vecchio e il mare, non si vergognò mai della sua debolezza terrena, del suo amore per il vino anzi “un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti” diceva. Tra i sui cocktail preferiti il Mojito, foglie di menta, lime, zucchero bianco di canna, ghiaccio spezzato, rum e soda e il Daiquiri, da egli stesso reso celebre, fatto con una miscela di rum, limone, zucchero, ghiaccio tritato e maraschino. Tra le sue preferenze pare ci fosse anche il whisky, assolutamente senza ghiaccio. Oscar Wilde, eccezionale scrittore e drammaturgo irlandese, era un tradizionalista e amava moltissimo lo Champagne. In seguito, dopo il suo trasferimento a Parigi in seguito a vicende giudiziarie che biasimarono la sua moralità, si dedicò all’Assenzio che considerava poetico, incline all’amore e per cui “è necessario il silenzio, la meditazione, la dolce pazzia”.

L’autore del mistero e del terrore Edgar Allan Poe amava invece il Brandy. L’alcol è spesso protagonista delle sue opere come ne Il gatto nero dove colui che narra la storia è proprio un bevitore ostinato. A causa del suo vizio ebbe problemi già ai tempi dell’università, la sua vita fu difficile, ma il suo animo tormentato diede vita a opere incredibili, poetiche e passionali. “Ciò che non cura il brandy è incurabile” dichiarava, riferendosi molto probabilmente al dolore per la morte della moglie, un evento che lo fece sbandare ma che non gli impedì di scrivere magnifiche e indimenticabili capolavori del brivido.

La birra, signora alcolica morbida ma decisa, “scoperta più grande del fuoco” come affermava Wallace è stata magnificata da molti scrittori. Charles Bukowsky la mischiava con qualsiasi altra bevanda, Goethe affermava che sapere dove si “spilla” la birra aiuta a conoscere la geografia, Poe le dedicava poesie, Rimbaud scriveva che “giugno sa di vigne e birra” e Milan Kundera: “Non è la birra una santa libagione di sincerità? La pozione che dissipa ogni ipocrisia, ogni sciarada di belle maniere?”. Il nostro Gabriele D’annunzio, poeta esuberante e trasgressivo, fu testimonial dell’Amaro Montenegro e Amaretto di Saronno, ma il suo rapporto con il vino rimane ancora un mistero, “non bevo vino dall’infanzia” diceva, “Iersera bevvi una certa “malvasìa” a me donata dai Càlabri! E tu sai che io son quasi astemio”.

Forse, come scriveva Euripide, ”bevendo gli uomini migliorano” e sicuramente l’alcol avrà favorito momenti di pura creatività e attutito periodi bui di dolore esistenziale, ma bere non può essere una condotta abituale, una consuetudine giornaliera che diventa indispensabile, una terapia o una automedicazione. Un bicchiere con gli amici, un drink dopo il lavoro, una concessione saltuaria per rilassarsi un po’ e distendere le tensioni che la quotidianità ci procura, solo questo può essere, un piacere effimero. Bere responsabilmente invece può anche aiutare l’organismo infatti l’alcol può funzionare come antiossidante, grazie al polifenolo contenuto nella buccia dell’uva, e come antinfiammatorio, maggiormente attivo nel vino rosso.
Insomma, come dice un anonimo è molto probabile che l’alcol sia un propellente che fa andare lo spirito in orbita, ma rimanere ben ancorati e sobriamente a terra è molto più salutare.

 

Maria La Barbera

Torino e i suoi musei. Il MAO

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Torino e i suoi musei

Con questa serie di articoli vorrei prendere in esame alcuni musei torinesi, approfondirne le caratteristiche e “viverne” i contenuti attraverso le testimonianze culturali di cui essi stessi sono portatori.

Quello che vorrei proporre sono delle passeggiate museali attraverso le sale dei “luoghi delle Muse”, dove l’arte e la storia si raccontano al pubblico attraverso un rapporto diretto con il visitatore, il quale può a sua volta stare al gioco e perdersi in un’atmosfera di conoscenza e di piacere.

1 Museo Egizio
2 Palazzo Reale-Galleria Sabauda
3 Palazzo Madama
4 Storia di Torino-Museo Antichità
5 Museo del Cinema (Mole Antonelliana)
6 GAM
7 Castello di Rivoli
8 MAO
9 Museo Lomboso- antropologia criminale
10 Museo della Juventus

8 Mao

“Oriente”: una parola così piccola che cela un significato così grande. Geograficamente il termine indica il “mondo” che si estende ad est, il Vicino, Medio ed Estremo Oriente, rispetto all’Europa, con le sue numerose culture e religioni assai lontane da noi, forse più da un punto di vista concettuale che del territorio. Oggigiorno, nel mondo della globalizzazione e del livellamento culturale, nulla pare irraggiungibile, aerei, treni ad alta velocità e colossali transatlantici inaffondabili ci portano ovunque e noi godiamo mentre, abbronzati, ci scattiamo “selfie” con sfondi esotici e che fanno tanto moda “blogger”: è evidente che non si esce dal tranello della società dei consumi.  Per me l’ “Oriente” è qualcosa che conosco appena, un’infinità di mistici saperi che ancora non ho avuto modo di approfondire e studiare.
L’ “Oriente” è un enigma che l’ “Occidente” non potrà mai risolvere. La parola deriva dal latino “orior”, “nascere”, riferito al Sole che sorge; in geografia diventa sinonimo di “levante”, termine che per assonanza di significato si collega a “Nippon”, uno dei nomi del Giappone, “Ji Pen Kwo”, letteralmente traducibile con “Paese dove sorge il Sole”.

Una delle tante definizioni recita: “L’opposto dell’oriente è l’occidente, associato viceversa al concetto di tramonto e decadenza”. E con questa serafica affermazione potrei anche terminare qui le mie riflessioni di oggi, ma volutamente continuo perché voglio portarvi nel luogo in cui Torino conserva il suo “Sol Levante”.  Nel cuore del Quadrilatero romano, mimetizzato tra ristorantini, “torterie” e locali chiassosi, sorge il MAO-Museo d’Arte Orientale. Il museo, uno dei più recenti tra quelli ospitati dalla città, ha sede a Palazzo Mazzonis, noto come “Palazzo Solaro della Chiusa”, abitazione dell’omonima famiglia. L’edificio venne restaurato nel 1870, divenendo proprietà del Cav. Paolo Mazzonis di Pralafera, importante industriale tessile. Successivamente esso fu adibito a sede della Manifattura Mazzonis s.n.c. fino al 1968, anno in cui l’attività cessò. Nel 1980 fu ceduto al Comune di Torino, nel 2001 il palazzo fu oggetto di altri restauri e finalmente il 5 maggio 2008 si inaugurò l’apertura del MAO. L’esposizione del MAO è formata dalle collezioni già precedentemente conservate nel Museo Civico d’Arte Antica e dai reperti provenienti dalle raccolte della Regione Piemonte, della Compagnia San Paolo e della Fondazione Agnelli.

Lo scopo è quello di rendere note al pubblico opere emblematiche della produzione artistica orientale. Il compito di curare l’allestimento interno è stato affidato all’architetto Andrea Bruno, il quale ha previsto una tipologia di esposizione a rotazione di circa 1500 opere disposte in cinque sezioni corrispondenti ai diversi piani del Palazzo: il primo ed il secondo piano sono dedicati al Giappone, il terzo ospita la “Galleria Himalayana” mentre il quarto, che conclude il percorso, offre preziosi esempi d’arte islamica.
Vi sono poi anche altre collezioni, come quella del Gandhara che comprende la produzione artistica dell’Afghanistan e del Pakistan nord-occidentale; una zona è dedicata all’India, in cui sono visibili sculture, busti, bronzi, terrecotte e dipinti su cotone originari del Kashmir e del Pakistan Orientale; un’altra area è dedicata al Sud-est asiatico, nella quale sono esposte opere della Cambogia, Myanmar, Thailandia e Vietnam. Un’ultima sala espositiva si propone di presentare al pubblico interessanti elaborati dell’arte islamica provenienti dalla Turchia, dalla Persia e dall’Asia Centrale.

Eccoci allora pronti per la visita.
“Saltellando” tra un sanpietrino e l’altro, finalmente raggiungo l’ingresso del Museo. Appena varcata la soglia, pare subito evidente che stiamo entrando in un altro mondo: l’atrio fatto di vetrate e sabbia bianca propone un’elegante ricostruzione di un giardino “zen” giapponese con tanto di muschio e, proprio in linea retta con il mio sguardo, un saggio “Buddha” mi sorride, conscio della sua superiorità filosofico-intellettuale. Mi dimentico sempre di quanto sia grande il MAO, con i suoi quattro piani ricolmi di opere meravigliose, abilmente disposte e illuminate. Come molto spesso mi capita di dire, penso “la teoria la so”: i primi due piani sono dedicati al Giappone, dovrei trovare dapprima dipinti, paraventi e sculture lignee, poi armature e preziose stampe, al terzo piano, invece so che ci sono rari esemplari di “thang-ka” tibetani mentre all’ultimo dovrei trovare, tra gli altri ricercati oggetti, alcune copie del Corano.
Solo per non creare più dubbi del necessario, “thang-ka” in tibetano significa “messaggio registrato” o “arrotolato” e indica dei dipinti didascalici che danno degli aiuti per la vita, in quanto ogni dettaglio rappresentato cela un significato preciso e profondo. Questa è la teoria, in pratica inizio il percorso e subito mi perdo, un po’ a causa del mio inesistente senso dell’orientamento, un po’ perché appositamente mi voglio abbandonare in questo minuscolo viaggio sensoriale alla scoperta di ciò che “so di non sapere”.

Quando mi imbatto nel “Kongo Rikishi stante su base rocciosa” mi sembra quasi di incontrare un demone di Luca Signorelli: non sono riuscita a lasciare il mio occidentalismo fuori dalla porta. La scultura che mi trovo davanti è enorme, eseguita in legno di cipresso giapponese dipinto, alta 230,5 cm e risalente al periodo Kamakura, (seconda metà XIII secolo). L’opera è stata realizzata con la tecnica “yosegi-zukuri”, (pezzi assemblati) e rappresenta uno dei due “dvarapala”, ossia i guardiani del tempio e della dottrina buddhista, generalmente posti in coppia ai lati della porta dei monasteri. Il viso espressivo è segnato dalla particolare illuminazione della sala, gli occhi esorbitanti sono eccessivamente in fuori, la bocca è contratta ed esprime l’esplosività della sillaba “hum”, il terribile mantra delle divinità furiose. La penombra segna il petto nudo, ne esalta i muscoli e le vene in rilievo, la figura, imponente e possente, rispecchia i canoni della “Scuola Kei”, apprezzata dalla casta militare che a quell’epoca dominava il paese.

Mi sento come in un viaggio fantastico, le opere che vedo le percepisco come esseri alieni che mi dispiace non identificare e forse proprio per questo li scruto con l’attenzione di un pioniere.
Continuo a perdermi e intanto che tento di capire geograficamente dove mi trovo, incontro “Zhenmushou” e quasi mi spavento. Capisco di essere in Cina, sto guardando una creatura protettrice delle tombe, è una scultura in terracotta a impasto marrone-rosato, ingobbio bianco e pigmenti appartenente alla seconda metà VII secolo d.C, (dinastia Tang). Mi sento osservata di rimando, il mostro multicolore,-bianco, arancione, nero e rosso- è accucciato in una postura rigida e frontale, ha testa di animale, il muso largo e schiacciato, tiene le fauci spalancate, lunghe corna da antilope e piccole ali sul dorso. Mi accorgo della coda sinuosa che pare muoversi appena distolgo lo sguardo, ha artigli aguzzi nelle zampe e pancia piatta. Forse non è cattivo, ma preferisco allontanarmi.
Come inseguendo una bussola rotta mi trovo magicamente in India. I reperti sono assai numerosi, eleganti, agghindati e sinuosi come la “shalabhanjika” che mi conquista con la sua danza immobilizzata nella pietra. L’immagine, scolpita a rilievo nel marmo, raffigura la tipica movenza del corpo chiamata “tribhanga” che subito mi rimanda all’iconografia della danza del ventre, l’anca è incurvata, il busto si dispone di conseguenza e a me sembra di sentire dei campanelli sonanti in risposta a quei movimenti. La fanciulla ha il braccio alzato sopra la testa e con la mano sta afferrando un ramo rigoglioso, è la posa dello “shalabhanjika”, ossia “colei che spezza un ramo dell’albero”.

Un altro balzo temporale e geografico e sono in Tibet. Qui l’iconografia del Buddha la fa da padrona ed è proprio davanti ad uno di questi Buddha che decido di fermarmi. Mi avvicino alla teca e scruto la scultura –o forse è lui a guardare me- leggo la targa, c’è scritto: “akshobhya” che significa “l’Irremovibile”, “l’Imperturbabile”. La nomenclatura è più che azzeccata, il Buddha del Paradiso d’Oriente non si smuove davanti alla tentazione di Mara, “Morte” (dalla radice sanscrita “mri”), l’asura che cerca di distogliere il Buddha dal “Risveglio”. Gautama Buddha raggiunge così l’Illuminazione. La figura maestosa, il volto scolpito con un sorriso appena accennato, tipico del periodo Pala, siede in “vajrasana”, la mano sinistra è nel tipico atteggiamento meditativo, con l’altra sfiora il suolo, è, cioè, in “Bhumisparshamudra” ossia con il “gesto che chiama la Terra a testimone del diritto maturato in infinite vite precedenti”.
La sintesi non rientra nei requisiti necessari per raggiungere il Nirvana.

Trasportata dalla penombra arrivo al termine del percorso, sono circonda da preziosità islamiche e anche qui sento la vastità della definizione -tutta occidentale- di “arte islamica”, con cui si identifica la produzione artistica eseguita in quasi mille anni, dalla fondazione dell’Islam (ad opera del profeta Maometto, nel VII sec. d.C,) fino al XVII secolo, quando iniziano a definirsi i grandi imperi islamici. Soprattutto in un primo momento i motivi che caratterizzano tale produzione artistica sono disegni geometrici e vegetali, come quelli che decorano la cupola della roccia di Gerusalemme (VII sec. d.C.). L’artista musulmano deve seguire alcuni dettami estetici, definiti dal Profeta: “Dio è bello e ama la bellezza”; “Dio ha iscritto la bellezza in tutte le cose”; “Dio desidera che se fate qualche cosa, ciò sia fatto alla perfezione”; “Il Lavoro è una forma di adorazione”.  In questo contesto mi colpisce un manoscritto proveniente dalla Persia, il Commentario sulle “40 Tradizoni”, databile al periodo timuride. L’opera è attrib uita al Profeta, tradotta dal poeta Ahmad al-Jami e copiata dal calligrafo Muhammad al-Sabzevari. Il testo, scritto in grandi caratteri “muhaqqaq” è stilato in oro con vocalizzazioni in blu, i caratteri più piccoli e neri sono persiani (“rayhani”), i primi due fogli sono interamente miniati in oro e colori.
Immersa tra tali reperti, mi sembra difficile capire come sia stato possibile arrivare alle miserie violente che purtroppo continuano a non cessare là dove l’integralismo religioso ha vinto sulla cultura e sulla bellezza.

Il mio viaggio è finito, l’astronave su cui ero salita mi ha riportato a “riveder le stelle” occidentali, non mi resta che mescolarmi tra la folla chiassosa, conscia del fatto che quando si torna da un viaggio, non si è mai la stessa persona di prima.

Alessia Cagnotto

Prosegue l’estate al Museo Nazionale del Cinema

Il Museo Nazionale del Cinema sarà regolarmente aperto per tutto il periodo estivo.

Oltre alla ricca collezione permanente sarà possibile visitare la grande mostra Dario Argento – The Exhibit realizzata dal Museo Nazionale del Cinema Solares Fondazione delle Arti, il primo omaggio completo dedicato al genio e all’opera del cineasta, visionario maestro del thriller. La mostra, a cura di Domenico De Gaetano e Marcello Garofalo, sarà ospitata in Mole fino al 16 gennaio 2023.

Nel rinnovato piano di accoglienza della Mole Antonelliana, il Museo Nazionale del Cinema presenta fino al 26 settembre 2022 IL GUARDIANO DEI NOSTRI INCUBI, una raccolta di 21 tavole tratte dal numero monografico di LINUS (maggio 2022), edito da La nave di Teseo, dedicato a Dario Argento e pubblicato in occasione di DARIO ARGENTO – THE EXHIBIT.

L’esposizione ripropone le tavole che, con stili differenti propri a ogni autore e autrice, narrano e danno vita ad altrettante visioni contemporanee di Dario Argento e delle sue opere, capaci di coinvolgere il visitatore e di attirarlo a compiere un passo oltre in quell’universo onirico in cui il cinema di Argento invita ogni spettatore ad affacciarsi e immergersi.

Come durante tutto l’anno, si confermano per il periodo estivo le visite guidate previste tutte le domeniche: il percorso “Alla scoperta del Museo” permette di conoscere il Museo e le sue meraviglie, dal teatro d’ombre ai fratelli Lumière, fino ai grandi protagonisti della storia del cinema.

Durata: 1 ora e 30’. Costo visita: 6.00 euro a persona + biglietto d’ingresso ridotto.

Inoltre, su prenotazione per famiglie e piccoli gruppi lo speciale percorso di visita “Scopri il Museo”. Il visitatore può scegliere direttamente con la guida il percorso che più lo interessa e incuriosisce.

Al piano dedicato all’Archeologia del cinema le diverse sale tematiche consentono di scoprire i dispositivi ottici, le tecniche, i giochi e gli spettacoli che hanno portato al “Cinématographe” dei fratelli Lumière; La Macchina del cinema è invece l’area dedicata ai protagonisti e alle fasi della realizzazione del film: dalla sceneggiatura alla postproduzione, dai costumi alle riprese sul set.

Durata: 1ora / 1-5 persone – Costo: euro 85.00 complessivo (Incluso ingresso + attività).

Per orari, informazioni, tariffe e prevendite www.museocinema.it

La prevendita online è fortemente consigliata.

Il Cinema Massimo sarà chiuso per la pausa estiva da giovedì 14 luglio a mercoledì 24 agosto 2022 compresi, mentre la Bibliomediateca “Mario Gromo” e l’Archivio saranno chiusi al pubblico da lunedì 8 a venerdì 26 agosto 2022 compresi.

La Valcerrina per i torinesi raccontata nella vecchia guida

“Questo piccolo e modesto opuscolo è stato preparato con un solo scopo: fare conoscere una bellissima zona del Monferrato, raggiungibile da Torino in poco meno di un’ora, percorrendo la S.S. 590, tutta panoramica, partendo da San Mauro e passando per Gassino, Cavagnolo e Brozolo.

Chi ci va una volta, ci ritorna una seconda volta, e poi un’altra ancora, e poi periodicamente sente il bisogno di passare una giornata fra quei colli”. In queste poche righe si condensa la ‘Guida breve della Valcerrina – (Alla scoperta del Basso Monferrato’ realizzata da Giuseppe Negro ed edita nel 1974 dalla Tipografia Editrice Cav. G. Capella e Figli di Ciriè. Si tratta di una rarità nel suo genere perché, se è vero che di guide sul Monferrato se ne annoverano diverse e tutte di qualità, opere specifiche sulla Valcerrina, in realtà, non se ne trovano, quanto meno in tempi recenti. Questa, pur non essendo analitica (rinvenuta tramite un amico in un mercatino antiquario a Moncalieri qualche mese fa) tuttavia ha il pregio di focalizzarsi su una parte dei comuni della Valle in Provincia di Torino (Murisengo, Villadeati, Valcerrina (Cerrina Monferrato), Gabiano, Mombello, Serralunga di Crea) e di Asti (Robella). Qualcuno potrà obiettare, giustamente, che mancano altri centri come Odalengo Grande, Villamiroglio, Moncestino (e poi ancora Odalengo Piccolo, Ponzano Monferrato, Alfiano Natta)  in Provincia di Alessandria e Moransengo nella provincia astigiana, oltre a quelli nell’attuale Città Metropolitana di Torino, toccati dalla  ex Strada Statale 590 (oggi provinciale) ma il pregio della pubblicazione, che si snoda in 66 pagine con fotografie che all’epoca erano attualissime, è focalizzarsi su una zona che non ha mai realmente valorizzato il suo enorme potenziale turistico, pur trovandosi lambita da due Patrimoni dell’Umanità Unesco (il Santuario di Crea ed il territorio di Langhe-Rosero e Monferrato) oltre che dalla Collina Po. L’autore, così almeno si evince leggendola sua premessa, ha voluto illustrare soprattutto a chi vive a Torino le bellezze e le ricchezze della Valle, posta ad una breve distanza dal capoluogo regionale e facilmente raggiungibile in auto. E la direttrice di Torino, ancora oggi all’inizio del secondo ventennio del XXI secolo, è quella privilegiata perché la Valcerrina possa accogliere quei flussi turistici della gita fuori porta della domenica o dei festivi, più che quelli provenienti dal Milano o dalla Lombardia che sinora si sono sempre orientati verso un asse Casale Monferrato – Crea – Moncalvo. Naturalmente non è un’affermazione assoluta ma un’attenta osservazione non può che portare a queste conclusioni. Prima di entrare nelle caratteristiche dei 7 paesi visitati Negro ha affidato a Giuseppe Colli, un contributo su ‘Paesi e Castelli’. Colli, nato a Lu (oggi Lu e Cuccaro Monferrato) e scomparso a Torino nel 201, fu nel secondo dopoguerra uno dei più intraprendenti artefici della ricostruzione culturale torinese, fondando alcune associazioni e nel 1952 il periodico letterario ‘Il Solitario’. Tra le sue opere una ‘Monferrato’ del 1960 è stata ristampata da Alzani Editore nel 2005. Un altro interessante contributo è quello di Remo Grigliè ‘Monferrato alla sbarra’ nel quale viene evidenziato come il Monferrato sia oggi (1974) ‘trascurato ancor più che in passato’, pur essendo fra le ‘subregioni italiane, una delle più note per la sua storia millenaria’. Grigliè, autore di ‘Invito al Monferrato’ edito da Andrea Viglongo nel 1965 e di un ‘Invito alla Collina Torinese’, comasco di origine, aveva diretto la Gazzetta dello Sport per un anno tra il 1975 ed il 1976. Ma i riflettori della Guida breve sono tutti sulla Valcerrina ed i suoi paesi descrivendone, sia pure succintamente, l’economia, la storia, le tradizioni, i luoghi dove si mangiava e si beveva bene, le fondi idropiniche (Murisengo e Villadeati) e dedicando, nella parte di Serralunga di Crea una lunga descrizione al Santuario di Crea. Nello spazio dedicato a Gabiano, una scheda è riservata a Cantavenna ed ai suoi ristoranti e vini. Il pregio dell’opera è di focalizzarsi unicamente sulla Valcerrina, area che è ricca di storia e tradizioni e, che pur essendo parte del Monferrato, tuttavia è opportuno che riesca a mantenere una propria identità, andando anche al di là dei suoi confini provinciali alessandrini nella direzione di Asti e di Torino. Un’opera della quale di avverte la necessità che venga ripresa, seguendone la traccia che ha dato, anche con uno sguardo al futuro che non dimentichi il passato

Massimo Iaretti

Stendhal, la sindrome d’amore per l’Italia e il lago Maggiore

La scrittore Marie-Henri Beyle, più noto con lo pseudonimo di Stendhal, soggiornò più volte nel Verbano, incantato dalle bellezze del lago e dei territori che lo circondano.

“Niente al mondo può essere paragonato al fascino di queste giornate trascorse ai laghi (…) nei boschi di castagni cosi verdi, che sembrano immergere i loro rami nell’acqua”: l’autore de Il rosso e il nero e La Certosa di Parma così la passione che provò per questo lago diviso tra Piemonte, Lombardia e Svizzera ticinese.

In una famosa lettera si spinse addirittura oltre: ” Quand, par hasard, on a un coeur et une chemise, il faut vendre sa chemise pour voir les environs du lac Majeur …” (..se si ha un cuore sensibile, bisogna vendersi anche la camicia pur di visitare i dintorni del lago Maggiore). Della romantica bellezza delle sue rive si ricordò scrivendo il suo romanzo più famoso, La Certosa di Parma. Sul Verbano ambientò le vicende di due capitoli, il ventiduesimo e il ventitreesimo. E’ lì che si rifugiano il tribolato protagonista Fabrizio e la duchessa Sanseverina, segretamente innamorata di lui. La duchessa “aveva preso una casa a Belgirate, un paese incantevole che mantiene quel che il nome promette“, vale a dire belle gite nei dintorni, sul lago o sulle colline del Vergante.

Ma il giovane era ricercato dalla polizia, e perciò “la duchessa aveva mandato Fabrizio ad abitare a Locarno, una città svizzera sull’estremità del lago Maggiore. Ogni giorno andava a prenderlo in barca e facevano lunghe gite sul lago“. In altra occasione Stendhal visitò le isole Borromee e le definì “divine“. Nella parte bassa della sponda piemontese, poco distante dal centro di Arona, visitò il Sancarlone, la colossale statua di bronzo che sorge nei pressi delle rovine della rocca. “Una superba statua del buon San Carlo colpisce i nostri sguardi: ha sessantanove piedi d’altezza e il suo piedestallo ne ha venti; con un gesto maestoso della mano accenna al porto, con l’altra regge un lembo della cotta; è attraverso questo lembo che si entra nell’interno della statua. Un uomo sta dritto nel suo naso. Tranquilla essa sorge in mezzo al lago. Niente l’aveva turbata da molto tempo, quando ultimamente durante l’assedio di Arona una palla la colpì al petto, per fortuna senza danneggiarla“.

Appassionato dell’Italia, Stendhal ne subì il fascino dell’arte, della cultura e dei paesaggi.   L’opportunità di varcare le Alpi e conoscere la penisola si presentò nel 1800 quando si arruolò volontario nell’esercito di Napoleone per la liberazione di Milano dall’Austria. Da quel momento il suo amore per l’Italia divenne sempre più forte e profondo, portandolo a lunghi soggiorni come quelli a Milano dove conobbe, infatuandosene, la fascinosa Angela Pietragua (  “Senza dubbio la donna più bella che io abbia avuto, e forse anche che io abbia visto (…). Faceva pensare ad un essere superiore che avesse preso la bellezza perché questo travestimento gli si addiceva meglio di un altro, e che, con i suoi occhi penetranti, vi leggesse in fondo all’anima. Era il volto di una sublime sibilla”). Marie-Henri Beyle avvertì per il Belpaese un trasporto tale da preferirlo alla Francia che pure gli aveva dato i natali. Una vera e propria devozione, una vertigine come la sindrome che porta il suo nome e che volle rendere esplicita persino sulla lapide che sovrasta la sua ultima dimora al cimitero parigino di Montmartre dove, in italiano, si legge ”Arrigo Beyle. Milanese, scrisse, amò, visse”.

 Marco Travaglini

Estate di cultura a Torino Gli appuntamenti della seconda metà di agosto dei Musei Reali  

Anche la seconda metà del mese di agosto prevede un calendario ricco di eventi per tutti coloro che vorranno trascorrere del tempo tra le bellezze dei Musei Reali.  

 

Venerdì 26 agosto, dalle 19.30 alle 23.30, apertura della Galleria Archeologica, con il Teatro Romano, e della Galleria Sabauda, sezione dei Maestri del Rinascimento in Piemonte (ultimo ingresso ore 22.45)Tariffa di ingresso speciale a 5 Euro. Per la rassegna Torino. Crocevia di sonorità, alle ore 21, concerto Mozart nel Teatro Romano a cura della Scuola di Musica d’Insieme per Archi del Conservatorio di Torino.

Ingresso riservato ai visitatori dei Musei Reali, fino a esaurimento dei posti disponibili.

In caso di pioggia, i concerti si terranno nel Salone delle Guardie Svizzere di Palazzo Reale.

Per informazioni: Aperture serali e concerti estivi ai Musei Reali. Torino Crocevia di Sonorità – Musei Reali Torino (beniculturali.it) Visite serali in occasione di “Torino Crocevia di sonorità” | CoopCulture).

 

Giovedì 25 agosto alle ore 17, ultimo appuntamento con il ciclo di conferenze gratuite “Chiamata alle ArtiVite parallele. Storie di uomini e animali”. Tema dell’incontro Animali al cinema. Donata Pesenti Campagnoni, già Capo Curatrice del Museo Nazionale del Cinema di Torino, dialoga con Barbara Tuzzolino, responsabile Comunicazione dei Musei Reali.

Per informazioni: Chiamata alle Arti – Vite parallele. Storie di uomini e animali – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

Le conferenze di approfondimento intorno alla mostra Animali a Corte proseguiranno all’Accademia delle Scienze da giovedì 8 settembre (info: Accademia delle Scienze di Torino)

 

Attività per famiglie

Domenica 28 agosto, alle ore 16, appuntamento per famiglie con l’attività “In tutti i sensi”, a cura di CoopCulture. I 5 sensi sono gli strumenti attraverso i quali percepiamo il mondo che ci circonda. In questo percorso un po’ fuori dagli schemi i partecipanti potranno concentrarsi sulle proprie sensazioni e a esplorare i Giardini Reali soffermandosi di volta in volta su un senso diverso. Vista, tatto, Un viaggio sensoriale che avrà come obiettivo quello di creare il proprio personalissimo “Libretto dei 5 sensi”.

Per informazioni: In Tutti i Sensi | CoopCulture

 

I Giardini della Cavallerizza Reale sono nuovamente aperti al pubblico. Il patrimonio verde del museo ritorna completamente accessibile grazie a iniziative e attività gratuite, rivolte a bambini e famiglie, realizzate in collaborazione con Xké? ZeroTredici, società consortile vincitrice della manifestazione d’interesse per l’assegnazione del servizio di valorizzazione dei Giardini della Cavallerizza. Le modalità di accesso e il programma degli appuntamenti sono pubblicati sul sito dei Musei Reali al link Racconti Reali. Un’estate per giocare con la cultura nei Giardini della Cavallerizza – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Le attività con CoopCulture

Sabato 20, domenica 21, sabato 27 e domenica 28 agosto, alle ore 11 e alle 15.30, appuntamento con Benvenuto a Palazzo. Le guide e gli storici dell’arte CoopCulture vi aspettano per condurvi in una visita guidata alla scoperta delle sale di rappresentanza del primo piano di Palazzo Reale e dell’Armeria, un itinerario per scoprire o riscoprire la storia e la magnificenza della prima reggia d’Italia.

Costo dell’attività: 7 Euro oltre al biglietto di ingresso ridotto ai Musei Reali (13 Euro ordinario, 2 Euro da 18 a 25 anni, gratuito under 18). Biglietti online su Benvenuto a Palazzo! | CoopCulture– e-mail info.torino@coopculture.it

 

Le mostre in corso ai Musei Reali

 

Fantasmi e altri misteri – Fumetti in mostra. Fino a domenica 11 settembre, nello Spazio Scoperte al secondo piano della Galleria Sabauda, è visitabile la mostra Fantasmi e altri misteri – Fumetti in mostra. L’iniziativa del Ministero della cultura Fumetti nei Musei, in collaborazione con Coconino Press-Fandango, è stata realizzata per avvicinare i ragazzi al patrimonio artistico italiano. Le tavole originali della graphic novel “Io più fanciullo non sono” della fumettista e vignettista Lorena Canottiere, ispirata alla figura del Principe Eugenio di Savoia-Soissons, sono presentate con alcune opere dei Musei Reali legate al condottiero collezionista, con una selezione di lavori dei fumettisti che hanno partecipato al progetto e si sono confrontati con il tema del mistero e dei fantasmi. L’ingresso alla mostra è compreso nel biglietto dei Musei Reali. 

Informazioni: Fantasmi e altri misteri. Fumetti in mostra – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Animali a Corte. Vite mai viste nei Giardini Reali, curata da Stefania Dassi e Carla Testore, è la proposta con cui fino al 16 ottobre i Musei Reali intendono creare un percorso di visita innovativo nel quale le tecniche e i linguaggi dell’arte contemporanea dialogano con la cornice dell’antica residenza. Il percorso si snoda in parte nei Giardini Reali, elemento fondante dell’identità del museo, nonché prezioso luogo d’incontro e di socialità per cittadini e turisti. Le opere popolano non solo l’esterno, ma anche alcune sale di Palazzo Reale, Armeria e Galleria Sabauda per stabilire rimandi e connessioni tra le sculture e gli animali raffigurati nelle opere che costituiscono il patrimonio dei musei. Gli artisti in mostra sono Paolo Albertelli e Mariagrazia Abbaldo, Maura Banfo, Nazareno Biondo, Nicola Bolla, Stefano Bombardieri. Jessica Carroll, Fabrizio Corneli, Cracking Art, Diego Dutto, Ezio Gribaudo, Michele Guaschino, Luigi Mainolfi, Gino Marotta, Mario Merz, Pino Pascali e Velasco Vitali.

L’ingresso alla sezione della mostra nelle sale dei Musei Reali è compreso nel biglietto ordinario. Accesso gratuito per la sezione ospitata nei Giardini Reali. Informazioni: Animali a Corte. Vite mai viste nei Giardini Reali – Musei Reali Torino (beniculturali.it)

 

Le novità digitali

Tra le novità che accompagnano la visita ai Musei Reali, l’inedita applicazione di gamification MRT Play è disponibile gratuitamente sui principali store. Ideata dai Musei Reali in collaborazione con Visivalab SL e il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, nell’ambito del bando SWITCH_Strategie e strumenti per la digital transformation nella cultura, l’applicazione di realtà aumentata offre una nuova esperienza di fruizione innovativa e accattivante, per approfondire la conoscenza delle opere della Galleria Sabauda attraverso giochi e indovinelli, in compagnia di personaggi storici e professionisti della cultura.

 

Per visitare Palazzo Reale, la Galleria Sabauda e il Museo di Antichità con curiosi personaggi pronti a raccontare le loro coinvolgenti storie è disponibile l’Audioguida Kidsrealizzata dai Servizi Educativi dei Musei Reali in collaborazione con CoopCulture. Lungo il percorso sono presenti dei QR-code da scansionare per ascoltare gratuitamente le tracce audio pensate per i giovanissimi visitatori, per un’esperienza di visita coinvolgente e divertente (età consigliata: 5/12 anni).

 

La Biblioteca Reale

Dal 13 al 20 agosto 2022 la Biblioteca Reale resterà chiusa. Servizio di informazione attivo dalle 10 alle 12 scrivendo a mrt-to.bibliotecareale@cultura.gov.it. Da lunedì 22 agosto sarà ripristinato l’orario consueto.

Per conoscere le modalità di accesso e registrazione consultare la pagina Orari e modalità di apertura della Biblioteca Reale – Musei Reali Torino (beniculturali.it).

 

Caffè Reale

Nella suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale è possibile rigenerarsi con una pausa al Caffè Reale Torino, ospitato in una ambientazione unica ed elegante, impreziosita da suppellettili in porcellana e argento provenienti dalle collezioni sabaude. Informazioni e prenotazioni al numero 335 8140537 o via e-mail all’indirizzo segreteria@ilcatering.net.

Ogni venerdì di agosto, il Caffè Reale resterà aperto anche dalle 19.30 alle 23 in occasione della rassegna Torino. Crocevia di sonorità.

 

Museum Shop

Per rimanere sempre aggiornati sulle pubblicazioni dei Musei Reali e per dedicarvi un pensiero, il Museum Shop è aperto.

È disponibile anche online Musei Reali (shopculture.it).

 

Treno + bus in unico biglietto è la nuova opportunità per raggiungere la Sacra di San Michele

TRENITALIA, PIEMONTE: ATTIVO IL NUOVO COLLEGAMENTO

  • nuovo servizio intermodale per il monumento simbolo della Regione

  • tutti i fine settimana e festivi fino al 30 ottobre

Treno + bus in unico biglietto è la nuova opportunità per i piemontesi e non solo per raggiungere la Sacra di San Michele. Una soluzione integrata che conferma l’impegno del Polo Passeggeri del Gruppo FS per una mobilità sempre più sostenibile a supporto del turismo locale e di prossimità.

Attivo tutti i weekend e i giorni festivi, fino al 30 ottobre, il servizio combinato treno + bus di Trenitalia (Gruppo FS Italiane) consente di raggiungere in tutta comodità il monumento simbolo della regione Piemonte. Dalla stazione di Torino Porta Nuova è facile e veloce salire a bordo di uno dei treni della linea SFM 3 con direzione Avigliana dove dal piazzale di stazione partono autobus dedicati ad accompagnare i viaggiatori in cima al monte Pirchiriano.

È possibile acquistare in un’unica soluzione, il viaggio treno+bus digitando come stazione di origine o destinazione “Sacra San Michele” sui sistemi di vendita Trenitalia di tutt’Italia. A chi presenta il biglietto combinato alla cassa, l’ingresso all’abbazia verrà scontato del 25%.

Qui il dettaglio dell’offerta degli autobus in funzione dell’apertura dell’Abbazia

Numero Bus Partenza Ora Partenza Arrivo Ora Arrivo
CV002 Avigliana 09:00 Sacra San Michele 09:25
CV001 Sacra San Michele 09:30 Avigliana 10:00
CV004 Avigliana 10:00 Sacra San Michele 10:25
CV003 Sacra San Michele 10:30 Avigliana 11:00
CV006 Avigliana 14:00 Sacra San Michele 14:25
CV005 Sacra San Michele 14:30 Avigliana 15:00
CV008 Avigliana 16:00 Sacra San Michele 16:25
CV007 Sacra San Michele 16:30 Avigliana 17:00
CV0010 Avigliana 18:00 Sacra San Michele 18:25
CV009 Sacra San Michele 18:30 Avigliana 19:00

FOTO FABIO LIGUORI

La Fontana del Monumento al Traforo del Frejus: angeli o diavoli?

Oltre Torino. Storie, miti, leggende del torinese dimenticato.

Torino e lacqua

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce.

Il fil rouge di questa serie di articoli su Torino vuole essere lacqua. Lacqua in tutte le sue accezioni e con i suoi significati altri, lacqua come elemento essenziale per la sopravvivenza delpianeta e di tutto lecosistema ma anche come simbolo di purificazione e come immagine magico-esoterica.

1. Torino e i suoi fiumi

2. La Fontana dei Dodici Mesi tra mito e storia

3. La Fontana Angelica tra bellezza e magia

4. La Fontana dellAiuola Balbo e il Risorgimento

5. La Fontana Nereide e lantichità ritrovata

6. La Fontana del Monumento al Traforo del Frejus: angeli o diavoli?

7. La Fontana Luminosa di Italia 61 in ricordo dellUnità dItalia

8. La Fontana del Parco della Tesoriera e il suo fantasma

9. La Fontana Igloo: Mario Merz interpreta lacqua

10. Il Toret  piccolo, verde simbolo di Torino

6. La Fontana del Monumento al Traforo del Frejus: angeli o diavoli?

Alla fine della classica vasca in centro, dopo essere riemersi dal bagno di folla di via Garibaldi, si arriva in uno dei luoghi piùdiscussi di Torino: Piazza Statuto.

Questa è una delle piazze più conosciute della città, lultima delle grandi aree risalenti al  periodo risorgimentale della capitale sabauda, ed è caratterizzata da eleganti portici che la percorrono lungo tutto il perimetro.

Ha una forma allungata e da essa si dipartono molte strade: via Luigi Cibrario, via San Donato, corso Francia, (che in epoca romana era il tratto iniziale della strada per le Gallie), e via Garibaldi, antico decumanus maximus  della colonia romana Julia Augusta Taurinorum, già conosciuta come via Dora Grossa.

Al tempo degli antichi romani tutta la parte occidentale del castrum del quadrilatero romano veniva usata come necropoli e molto probabilmente  anche come luogo di esecuzioni.

Allinterno della piazza, dedicato allimponente lavoro del traforo del Cenisio-Frejus, vi è il monumento realizzato da Luigi  Bellinel 1879 e solennemente inaugurato  il 26 ottobre dello stesso anno. Sullalta piramide sono poste grosse pietre provenienti dagli scavi del traforo, sulle quali si posano corpi di titani abbattuti in marmo chiaro e, proprio sulla sommità, il genio alato della scienza, con una stella a cinque punte sulla fronte, poi rimossa nel 2013. Lopera è unallegoria del trionfo della ragione sulla forza bruta, riflesso dello spirito positivista dellepoca in cui fu realizzato. Tuttavia nella tradizione popolare a questo significato originario se ne sovrappone un altro, quello secondo cui il monumento celebrerebbe  le sofferenze patite dai minatori per realizzare lopera.

Non è solo per la bellezza architettonica però che Piazza Statuto è ricercata, soprattutto dagli appassionati di magia e mistero, infatti, nel contesto delle leggende esoteriche, essa è nota come uno dei vertici del triangolo della magia nera. Lepicentro dellenergia maligna sarebbe individuato proprio là dove si erge il monumento al traforo, alla sommità del quale, per alcuni, non si troverebbe langelo della scienza, ma Lucifero in persona. Secondo altre ipotesi, invece, lepicentro coinciderebbe con lastrolabio del piccolo obelisco poco distante. In realtà lobelisco fu eretto nel 1808 su un punto geodetico, in ricordo di un calcolo trigonometrico del 1760 sulla lunghezza di una porzione di meridiano terrestre (il gradus taurinensis), eseguito insieme ad altri punti geografici nei comuni piemontesi di Rivoli, Andrate e Mondovì.

Il Diavolo quindi terrebbe le ali spiegate proprio sul vertice del triangolo nero, collegando Torino con Londra e San Francisco, due città altrettanto ricche di misteri e anche scenari di delitti efferati. La leggenda che vede collegate queste tre città è una delle più conosciute al mondo, eppure tra tutti i luoghi chiamati in causa, Torino rimane quello più interessante, in quanto unica cittàad essere divisa a metà: il capoluogo è infatti anche vertice del così detto triangolo bianco, che si formerebbe con Praga e Lione. Non crea meraviglia tra gli appassionati del settore che proprio qui siano venuti in visita personaggi come Nostradamus, Fulcanelli, e Paracelso e non sorprende unaltra delle numerosissime leggende, secondo cui tutti coloro che hanno poteri occulti e divinatori debbano recarsi a Torino per omaggiare il Grande Vecchio, personaggio assai misterioso che risiederebbe tra le colline torinesi.

Al centro della piazza, presso la fontana, vi è laccesso che conduce al sistema fognario, che qui ha il suo snodo principale. Anche questo preciso elemento favorì il crearsi di leggende e credenze che vogliono la piazza come fulcro della magia nera e come altra ipotesi per quel che riguarda lampio discorso sulle tre presunte grotte alchemiche che sarebbero presenti in città

Impossibile dunque rimanere indifferenti davanti alle infinite suggestioni di una città bellissima, malinconica e romantica, ricca di arte e di cultura, ma anche di misteri. 

È così che si passeggia per questa città, sempre sospesi tra luce e ombra, sempre distratti, mentre magari qualcuno ci osserva, tra la folla, da sotto le fognature oppure dallalto, con le ali spiegate e un sorriso ermetico scolpito sul volto.

 

Alessia Cagnotto

Alpette dedica la biblioteca a Salgari

21 agosto 1862 nasce a Verona, Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgari, figlio della veneziana Luigia Gradara e del commerciante di tessuti,  il veronese Luigi Salgari. 

Domenica 21 agosto 2022 a centosessanta anni di distanza,  Alpette gli dedica la sua biblioteca comunale con una iniziativa che a partire dalle ore 10,30 presso il locale ecomuseo ,vedrà la partecipazione di uno dei maggiori conoscitori della storia della famiglia Salgari, ovverosia lo scrittore Felice Pozzo  che ha dato nelle stampe pochi mesi orsono,alla sua ultima fatica letteraria ” La vera storia di Emilio Salgari” edito dalla casa editrice Odoya.
Ma chi era Emilio Salgari ?
Lo so ricorda come scrittore straordinariamente prolifico, autore di romanzi d’avventura e di numerosissime pubblicazioni. 80 i libri pubblicati e oltre 200 i racconti  da cui ne sono scaturiti ben 42 film.
Protagonisti principali Sandokan,Yanez de Gomera,  il Corsaro Nero, James Brooke,la tigre.
A partire dal 6 gennaio  e fino all’8 febbraio 1976 andarono in onda sulla RAI, sei puntate per un  totale di 360 minuti, che ottennero uno strepitoso successo.
I suoi 80 libri si suddividono in cicli ( fra parentesi segnaliamo le pubblicazioni)
– i pirati della Malesia (11)
– i corsari della Antille (5)
– i corsari delle Bermude (3)
– del Far West (3)
– i marinari (2)
– il fiore delle perle (2)
– i figli dell’aria (2)
– Capitan Tempesta (2)
– avventure in India (3)
– avventure africane (12)
-avventure in  Russia (2)
– avventure di fantascienza (1)
-romanzi storici (2)
– avventure in Persia (1)
– romanzi d’Oriente (2)
– romanzi in Oceania (3)
– romanzi di mare (5)
-romanzi di Far West (5)
– romanzi fra i ghiacci polari (6)
– romanzi nella Americhe (6)
– romanzi in Italia (1)
– racconti (5)
– autobiografia (1)
Giunge normale a questo punto chiedersi perché l’amministrazione comunale di Alpette con il suo polo culturale di cui fa parte la biblioteca che dispone di oltre ottomilacinquecento volumi di cui una cinquantina sulle opere salgariane ,  abbia deciso di dedicargliela.
Ebbene Salgari sempre alle prese con problemi economici di cui ne approfittarono gli editori,  dopo aver frequentato l’istituto nautico di Verona ma mai capitano ,abitò soprattutto nel torinese con una breve parentesi nel genovese.
In particolare con la moglie Ida Peruzzi di professione attrice di teatro ed i quattro figli Omar,Roberto Nadir e Fatima soggiornò prima ad Ivrea poi in piazza Pinelli a Cuorgnè e ad inizi anni ‘900 per tre stagioni estive proprio ad Alpette che lo ricorda con una targa posta nell’abitazione che lo ospitò.
La sua storia letteraria ebbe un grande riscontro postumo ma quello reale è purtroppo funestato da grandi disgrazie.
Già  suo padre fu suicida, sua moglie Ida alle prese con problemi di salute mentale fu a lungo ricoverata nel manicomio torinese di via Giulio e  suo malgrado fu causa dei vari indebitamenti di Emilio.
Il protrarsi di  queste situazioni indusse infine Salgari a suicidarsi con la pratica giapponese del karakiri, il 25 aprile 1911 nella collina torinese nel parco vicino a Villa Rey mentre a pochi passi di distanza era in corso l’esposizone mondiale organizzata per i festeggiamenti del cinquantenario della creazione del Regno d’Italia.
Stessa fine  violenta per due dei tre figli mentre Fatima morì di malattia.
La su  salma è  sepolta nel cimitero monumentale di Verona ma le sue opere continuano ad attrarre milioni di lettori.
La cerimonia del 21 agosto ad Alpette sarà quindi l’occasione per rivivere le sue opere, il suo soggiorno in loco, l’attualità dei suoi scritti collegandoli ad altri fatti,  vedasi ad esempio l’utilizzo  fatto dei nomi protagonisti nei romanzi ed assunti come soprannomi dai partigiani anche locali durante i venti mesi della Resistenza.
L’ecomuseo per l’occasione effettuerà una apertura mattutina straordinaria ove si potrà fra l’altro visitare la nuova terza ala ed il suo allestimento inaugurata lo scorso maggio.