CULTURA- Pagina 3

Mai Più! (Non) Sono Solo Parole

Al “Teatro Toselli” di Cuneo, l’“ACI” locale torna a dire “No” all’incessante fenomeno della violenza sulle donne

Domenica 23 novembre, ore 17,30

Cuneo

“Pare che quest’anno sia diminuito il numero delle ‘vittime donna’, ma i numeri sono ancora troppo alti. Festeggeremo davvero solo quando il numero sarà pari a ‘zero’. Fino ad allora, continueremo a fare rumore e cercheremo, anche quest’anno, di far sì che le parole ‘Mai’ e ‘Più’ non siano effettivamente solo parole”. Ma “Parole” ben chiare. Come quelle succitate, usate da Giuseppe De Masi, direttore dell’“ACI” di Cuneo, per raccontare le motivazioni alla base dell’organizzazione dello spettacolo “Mai Più! (Non) Sono Solo Parole!”, in programma domenica 23 novembredalle 17,30, presso il cuneese ottocentesco “Teatro Toselli” (via Teatro Toselli, 9), quale serata di sensibilizzazione, per l’appunto, contro il drammatico, inarrestabile fenomeno della criminale violenza sulle donne. A fianco di “ACI – Cuneo” nell’organizzazione dell’evento, ad ingresso gratuito (con prenotazione obbligatoria su “Eventbrite”), anche “Trs Radio Savigliano”.

Lo spettacolo si tiene in occasione della “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne” che si celebra ogni anno il 25 novembre e si svolge con il patrocinio della “Città di Cuneo”, inserendosi all’interno del calendario eventi di “8 marzo è tutto l’anno”, l’annuale rassegna di appuntamenti proposta dall’assessorato alle “Pari Opportunità – Servizio Parità e antidiscriminazioni” del “Comune di Cuneo”.

La serata, condotta da Davide De Masi (direttore artistico) e Simona Solavaggione (“Trs”), richiede, come detto, la prenotazione obbligatoria su “Eventbrite”. Per maggiori infoeventi@acicuneo.it

Ancora il direttore Giuseppe De Masi“Portiamo a Cuneo una nuova edizione di ‘Mai Più! (Non) Sono Solo Parole”, lo spettacolo/talk show sull’importanza del fare rete nella lotta alla violenza contro le donne, attraverso gli strumenti dell’arte, della danza, della musica e delle parole. Per questa edizione il ‘Comune di Cuneo’ ci ha concesso l’onore di poter calcare il ‘Teatro Toselli’: da questo importante palco cercheremo, nel nostro piccolo, di portare avanti un messaggio chiaro e preciso: ‘basta con la violenza di genere!’”.

La manifestazione vedrà la partecipazione di Giuseppe De Masi (direttore “ACI Cuneo”), Elena Banin (avvocato esperta di “diritto delle donne”) e Chantal Milani (antropologa forense, esperta in casi di violenza e rappresentante dell’Associazione “Mai + Sole”).

Sul palco saliranno inoltre professionisti e volti noti del mondo dello spettacolo, come Cecilia Gayle (che interpreterà i suoi celebri successi da “El Pam Pam” a “El Tipitipitero”), Mauro Villata, direttamente da “Colorado Cafè” ed Athena Priviterainfluencer e attivista contro la violenza sulle donne.

Momenti chiave dello spettacolo anche suggestive performance di danza. Ad esibirsi saranno “Palcoscenico Performing Arts Center” (Sezione di Ginnastica Ritmica “ISEF” di Torino), “Out of Dance”“Julie’s School” e “La Maison de la Danse”.

  1. m.

Nelle foto: Un momento di una precedente edizione dello spettacolo e Giuseppe De Masi, direttore “ACI Cuneo”

Stefano Tempia, workshop sulla musica e il canto corale

Giovedì 20 novembre, alle ore 17, presso la biblioteca civica Italo Calvino, a Torino, si terrà un workshop sulla musica e il canto corale di un maestro diviso tra innovazione e tradizione, Stefano Tempia

Nel 150⁰ anniversario della fondazione dell’Accademia Corale Stefano Tempia, la più antica associazione musicale del Piemonte, nonché la prima Accademia Corale nata in Italia, è in programma giovedì 20 novembre un incontro dedicato alla riscoperta dell’opera e del mondo musicale del suo fondatore, che ha dato avvio a una tradizione corale viva ancora oggi. Al workshop partecipano Aldo Salvagno, direttore d’orchestra e saggista, Giuliana Maccaroni, docente al Conservatorio di Torino, Luigi Cocilio, direttore artistico e maestro del Coro dell’Accademia Stefano Tempia.  Interviene e coordina il giornalista e musicologo Nicola Gallino. Dopo il workshop, le celebrazioni dei 150 anni dell’Accademia culmineranno giovedì 4 dicembre al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino con la prima esecuzione, in tempi moderni, delle opere di Stefano Tempia, custodite dal Fondo Tempia del Conservatorio di Torino. Giovedì 20 novembre, alle 17,

biblioteca civica Italo Calvino: Lungo Dora Agrigento 94, Torino

“Riscoprire Stefano Tempia” – ingresso libero

Prenotazioni: info@stefanotempia.it

MARA MARTELLOTTA

Accreditamento regionale dei musei non statali

La Giunta regionale del Piemonte ha approvato la procedura di accreditamento regionale degli istituti museali non statali, in coordinamento con il Sistema Museale Nazionale (SMN) promosso dal Ministero della Cultura.

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L’iniziativa rappresenta un passaggio fondamentale per la conoscenza, la valorizzazione e il rafforzamento del sistema museale piemontese, in linea con quanto stabilito dal decreto ministeriale n.113/2018, che definisce i Livelli Uniformi di Qualità (LUQ) validi per musei, monumenti e aree archeologiche, al fine di garantire standard minimi omogenei su tutto il territorio nazionale.

Grazie a questa delibera anche i musei piemontesi non statali potranno avviare il percorso di autovalutazione e accreditamento attraverso la piattaforma nazionale www.museiitaliani.it, con l’obiettivo di entrare a far parte del Sistema Museale Nazionale e beneficiare delle relative opportunità in termini di visibilità, formazione e reti collaborative.

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Per accompagnare gli enti interessati la Regione Piemonte, in collaborazione con il Ministero della Cultura e la Scuola nazionale del patrimonio e delle attività culturali, organizzerà un incontro informativo online rivolto ai musei non statali del territorio, in programma giovedì 4 dicembre 2025. Durante l’incontro verranno illustrate le finalità del Sistema Museale Nazionale, il funzionamento della piattaforma digitale e le modalità operative per la compilazione del questionario di autovalutazione.

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«Con questa iniziativa – dichiara l’assessore regionale alla Cultura Marina Chiarelli – la Regione Piemonte compie un passo importante verso una gestione sempre più moderna, partecipata e qualificata dei nostri musei. L’accreditamento rappresenta non solo un riconoscimento di qualità, ma anche un’occasione per rafforzare le reti territoriali e valorizzare il ruolo della cultura come motore di crescita, innovazione e sviluppo sostenibile».

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Le modalità di partecipazione all’incontro e il programma dettagliato saranno disponibili nei prossimi giorni sul portale istituzionale della Regione Piemonte, nella sezione dedicata alla Cultura www.regione.piemonte.it/web/temi/cultura-turismo-sport/cultura

È torinese la prima opera LGBTQ+ in italiano

Di Renato Verga

Nel melodramma le amicizie virili non sono certo una rarità: da Achille e Patroclo e poi Oreste e
Pilade nelle due Ifigenie gluckiane, fino a Zurga e Nadir dei Pescatori di perle, passando per Carlo e
Rodrigo del Don Carlos. Molto più rari, invece, i casi in cui l’amore omosessuale diventa motore
esplicito della vicenda: gli esempi recenti come il folgorante Lessons in Love and Violence di
George Benjamin (2019) o gli Edward II firmati da Cilluffo (2006) e Scartazzini (2017). Poi c’è
Britten, naturalmente, che meriterebbe un capitolo a parte.

In questo solco s’inserisce Davide e Gionata, di Marco Emanuele che tre anni fa aveva presentato la
sua “tragédie biblique” italiana proprio a Torino, nel giorno dedicato alla storia del movimento
omosessuale credente e ai cinquant’anni del F.U.O.R.I. Ora l’opera torna al Teatro Vittoria, anche
questa volta in forma di concerto. Si tratta un soggetto antichissimo — l’amicizia/amore tra Davide
e il figlio del re Saul – già affrontato nel 1688 da Charpentier in David et Jonathas, ma qui la
rilettura è esplicita, contemporanea, dichiarata: «Amo te solo…» cantano i protagonisti, e raramente
nel repertorio italiano tali parole si sono udite così nitide.

Il libretto, dello stesso Emanuele, parte dal Saul del Romani per montare con abilità un collage
poetico che attraversa i secoli: Metastasio, Landi, Goldoni, Cernuda, Testori. Un pastiche colto e
spregiudicato che trova nella musica un equivalente estetico: il compositore guarda al belcanto
primo Ottocento, con recitativi, pezzi chiusi, cabalette, strette, ma si diverte a disseminare echi
vivaldiani, ombre settecentesche e perfino pulsazioni da Piazzolla in un’opera “antica” ma
pienamente di oggi.

La storia è nota, ma assume qui una forza diversa. Il re Saul ha allontanato Davide, sospettoso del
suo legame col figlio Gionata, che intanto tenta di conformarsi al volere paterno sposandosi e
generando eredi. Davide torna, vuole smettere di nascondersi. Saul, accecato dalla gelosia politica e
paterna, trama di eliminarlo. In battaglia Gionata scambia l’armatura con l’amato e paga con la vita:
è il padre stesso a colpire suo figlio credendolo Davide. Solo davanti al cadavere, Saul comprende la
tragedia.

Emanuele costruisce una drammaturgia vocale di grande intelligenza. Davide e Gionata sono due
controtenori: timbri chiari, Davide più sopranile, Gionata più contraltile. Un omaggio al teatro
barocco e alla coppia soprano/contralto del belcanto rossiniano. Abner è un basso “villain”, mentre
la figura contprta del re Saul è affidata a una voce femminile en travesti, scelta che introduce un
gioco di rispecchiamenti e ambiguità molto contemporaneo: l’amante e il Padre condividono,
simbolicamente, lo stesso registro.

La partitura, per quattro voci e otto strumenti, è un cantiere di idee. Simone Lattes dirige con
precisione e trasporto l’Accademia dei Solinghi formata da Flavio Cappello al flauto, Gianluca
Calonghi al clarinetto, Stefano Arato alla fisarmonica, Lucia Caputo e Paola Nervi ai violini, Magda
Vasilescu alla viola e Massimo Barrera al violoncello. Al clavicembalo, festeggiatissima, Rita
Peiretti. I venti numeri musicali offrono una tavolozza sorprendente: cavatine rossiniane, arie “di
tempesta”, recitativi secchi, canzoni pastorali. Spicca la pagina tanghera dell’aria «Fra l’orror della
tempesta», con la fisarmonica in veste di bandoneón: un lampo ironico e geniale.

Fra i momenti più intensi, la scena del sonno di Saul, vegliato con struggimento da Gionata, che
intona l’aria metastasiana «Mentre dormi». Nel finale, la follia del re — un turbine virtuosistico —
e il lamento sul corpo del figlio portano l’opera verso un epilogo di sorprendente pathos.
Il soprano Marina Degrassi delinea un Saul complesso e sofferto, brillano i controtenori Angelo
Galeano (Gionata) e Maurice Beack (Davide), mentre il basso Yulin Wang (Abner) mostra margini
di crescita. Pubblico calorosissimo per tutti, e soprattutto per Marco Emanuele.

Questa seconda esecuzione in forma di concerto — arricchita dalla sobria mise en espace di Pietro
Giau — lascia il sospetto che Davide e Gionata meriterebbe una piena realizzazione scenica. Per
idee, qualità musicale e coraggio drammaturgico, sarebbe ora che la trovasse.

Il tesoro alla fine della solitudine: la letteratura del ritorno

L’Angolo della Poesia

Di Gian Giacomo Della Porta

“Mi trovo gettato sopra un’isola orribile e desolata senza alcuna speranza di uscirne, sono in un certo modo separato e isolato dal resto del mondo, infelice e per sempre”.

Così scrive Robinson Crusoe nel suo diario, battezzando la piccola terra dove si è salvato “Isola della disperazione”. Su quell’isola dovrà percorrere, da solo, tutte le tappe dell’evoluzione della civiltà umana, con la conquista del fuoco, l’agricoltura, la memoria. L’isola di Robinson è luogo di punizione e redenzione di un uomo colpevole di essersi avventurato per mare contro il volere della comunità, espresso perentoriamente dalla figura del padre.

A differenza della storia che si svolge su un’altra isola, dove la redenzione opera diversamente, per sortilegio, incanto, amore, e dove gli spiriti e i demoni dialogano con i personaggi, unificati alla fine dalla magia di Prospero, a differenza dell’isola della “Tempesta” di Shakespeare, dove si svolge una vicenda teatrale sinfonica, la storia di Robinson Crusoe e della sua solitudine è espressa nella forma del monologo. Non c’è concorso di voci ma una sola voce che parla nel deserto di un’isola sperduta nel mare.

La letteratura del secolo trascorso, e quella contemporanea, leggono prevalentemente il mondo come l’isola di Robinson, un luogo di prigionia e solitudine, e tendono a dimenticare il finale, il ritorno. Sembra esserci un tentativo di smitizzazione del mito d’avventura, conoscenza e mistero su cui si basa la letteratura d’Occidente: illusorie Penelope e Itaca, risibili le apparizioni delle dee e delle ninfe marine, sgraziate le voci che incantarono Ulisse, immotivato il viaggio e insignificante il ritorno. Dopo molto più di duemila anni il mondo legge il poema di Omero, non so se tra cento anni si leggerà l’”Ulisse” di Joyce. Certo la pensano diversamente dallo scrittore irlandese, in merito al mito di fondazione della nostra avventura letteraria e conoscitiva, gli autori che re immettono il passato nel presente, come Borges; certo prendono molto sul serio Odisseo e le sue avventure gli scrittori che gettano i semi della letteratura dal duemila in avanti, come l’africano Wole Soyinka o il caraibico Derek Walcott.

Più in generale, credo che la metafora della navigazione sia quella che esprime con maggiore potenza la nostra avventura umana nel mondo e la natura metafisica della letteratura: andare oltre, verso terre lontane, per tornare e restituire l’esperienza vissuta in forma di racconto, la visione tradotta in poesia. Il viaggio per mare, la partenza per l’isola, microcosmo perfetto, la discesa agli inferi che la memoria mantiene in vita come legame con il passato e unione della specie: queste grandi esperienze non sono morte perché la letteratura ha saputo preservarne il senso e il mistero, e la presenza nella nostra vita, se vissuta poeticamente, che non significa in modo sovreccitato o enfatico, ma guardando gli accadimenti nella luce che meritano.

Forse nessuna opera letteraria può esprimere il senso della nostra vita e della letteratura come la storia di quel ragazzo che salpa alla ricerca di un tesoro, seguendo una mappa, avventurandosi in mari lontani. La storia dell’uomo che dopo mille prodigi scopre che il vero miracolo è il ritorno. Perché solo il ritorno consente racconto, memoria, narrazione. Rendere comune a chi ascolta, a chi legge, l’avventura del tesoro, la sua ricerca, gli ostacoli, i misteri, ma anche la certezza che sotto qualche strato di terra, nascosto, sepolto, il tesoro esisteva.

Dalla Regione più fondi per lo spettacolo dal vivo

LE RISORSE COMPLESSIVE DIVENTANO COSÌ 3 MILIONI

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Gli assessori Chiarelli e Tronzano: «Investire nello spettacolo dal vivo significa investire nella comunità e nella vitalità culturale dei nostri territori»

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La Giunta regionale del Piemonte ha approvato l’incremento di 1 milione di euro della dotazione finanziaria della misura “Aiuti allo spettacolo dal vivo”, portando a 3 milioni il totale delle risorse destinate al sostegno delle imprese culturali che operano in questo settore.

La misura, attivata nell’ambito del Programma regionale FESR 2021-2027, sostiene gli interventi di realizzazione, ampliamento, riqualificazione e ammodernamento tecnologico di teatri, sale e spazi destinati allo spettacolo dal vivo, oltre al miglioramento delle dotazioni tecniche e impiantistiche delle imprese professionali con sede in Piemonte.

L’incremento di risorse si è reso necessario a seguito del grande interesse e dell’elevato numero di domande pervenute in occasione del primo bando, che aveva già impegnato quasi integralmente la dotazione iniziale di 2 milioni di euro. Le nuove risorse permetteranno di sostenere ulteriori progetti e rafforzare la competitività del comparto culturale piemontese, favorendo la transizione sostenibile e digitale del sistema produttivo regionale.

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«La Regione Piemonte rinnova così il proprio impegno a sostegno della cultura e dell’impresa, due dimensioni che sempre più spesso dialogano e si rafforzano a vicenda – evidenziano gli assessori alla Cultura, Pari Opportunità e Politiche giovanili Marina Chiarelli, e al Bilancio, Finanze e Sviluppo delle Attività produttive Andrea Tronzano – Lo spettacolo dal vivo è un settore strategico, non solo per il valore artistico delle produzioni, ma anche per l’impatto economico, occupazionale e sociale che genera sui territori. Investire nello spettacolo dal vivo significa fatti investire nelle persone, nelle competenze e nella capacità del Piemonte di produrre cultura e innovazione. Con questo incremento vogliamo dare continuità a un percorso che valorizza teatri, compagnie, maestranze e professionalità, sostenendo la filiera culturale in tutte le sue componenti. La cultura è un motore di sviluppo e coesione: favorire la crescita delle imprese creative significa rendere più forte e competitivo l’intero sistema regionale».

«Queste risorse aggiuntive – concludono Chiarelli e Tronzano – sono un segnale concreto dell’attenzione della Regione verso chi, con professionalità e passione, anima palcoscenici grandi e piccoli, contribuendo alla crescita economica e sociale del Piemonte».

“Bianco al Femminile”. In mostra sei secoli di autentici capolavori tessili

Appartenenti alle Collezioni di “Palazzo Madama”

Fino al 2 febbraio 2026

Occasione contingente, il riallestimento della “Sala Tessuti”. Da questa pratica incombenza, nasce una mostra di notevole valore culturale, storico e didattico che racconta, attraverso sei secoli di altissima arte tessile una storia che passa per ricami minuti e intricati e preziosi merletti, arrivando al più iconico degli abiti femminili di colore bianco, il colore naturale della seta e del lino: l’abito da sposa. Si presenta così la mostra dal titolo (non per nulla) di “Bianco al Femminile” curata da Paola Ruffino e allestita nella “Sala Tessuti” di “Palazzo Madama” fino a lunedì 2 febbraio 2026. In rassegna, trovano adeguato spazio cinquanta manufatti tessili, appartenenti alle Collezioni del Palazzo che fu “Casa dei secoli” per Guido Gozzano, di cui sei restaurati per questa precisa occasione e quattordici esposti per la prima volta: autentici capolavori nati dal sorprendente lavoro (più che artigianale) passato, per tradizioni secolari, attraverso “mani femminili” che hanno operato con minuta diligenza sul “ricamo in lino medievale”, così come sulla lavorazione dei “merletti ad ago” o “a fuselli” o ancora sul “ricamo in bianco su bianco”. Donne artigiane, donne artiste, donne “autrici, creatrici, nonché raffinate fruitrici e committenti di tessuti e accessori di moda”. Comune fil rouge, per tutte, il colore bianco, colore “in stretta connessione, materiale e simbolica, proprio con la donna”. E che trova il suo massimo apice in Francia e in Europa, sul finire del XVIII secolo, complice il fascino esercitato dalla statuaria greca e romana su una moda che guarda, affascinata non poco, all’antico. “Le giovani – si legge in nota – adottano semplici abiti ‘en-chemise’, trattenuti in vita da una fusciacca; il modello del ‘cingulum’ delle donne romane sposate, portato alto sotto al seno, dà avvio ad una moda che durerà per trent’anni. I tessuti preferiti sono mussole di cotone, garze di seta, rasi leggeri, bianchi o a disegni minuti, come le porcellane dei servizi da tè”.

Dal XIV – XV secolo fino al Novecento (dietro l’angolo) l’iter espositivo prende avvio dai primi “ricami dei monasteri femminili”, in particolare di area tedesca e della regione del lago di Costanza (lavorati su tela di lino naturale e poi diffusisi, per la povertà dei materiali e per la facilità di esecuzione, anche in ambito domestico – laico, per la decorazione di tovaglie e cuscini) per poi passare a documentare la lavorazione del “merletto” nell’Europa del XVI e XVII secolo che vide protagonisti i lini bianchissimi e la straordinaria abilità delle “merlettaie veneziane e fiamminghe”. In rassegna una scelta di bordi e accessori in pizzo italiani e belgi illustra gli eccezionali risultati decorativi di quest’arte “esclusivamente femminile”, che nel Settecento superò gli stretti confini della casa o del convento e si organizzò in “manifatture”. E proprio l’inizio della “produzione meccanizzata” causò, nel XIX secolo, la perdita di quell’insostituibile virtuosismo nell’arte manuale del “merletto”, che riemerse invece nel ricamo in filo bianco sulle sottili “tele batista” (in trama fatta con filati di titolo sottile) e sulle “mussole” dei “fazzoletti femminili”. Quattro splendidi esemplari illustrano l’alta raffinatezza raggiunta da questi accessori, decorati con un lavoro a ricamo che restò sempre un’attività soltanto al femminile, anche quando esercitata a livello professionale.

L’esposizione si conclude nel XX secolo con uno dei temi che più vedono uniti la donna e il colore bianco nella nostra tradizione, l’ “abito da sposa”, con un abito del 1970, corto, accompagnato non dal velo ma da una avveniristica cagoule (cappuccio), scelta non scontata “che ribadisce la forza e la persistenza del rapporto tra l’immagine della donna e il candore del bianco”.

La selezione di tessuti è accostata nell’allestimento a diverse “opere di arte applicata”, fra cui miniature, incisioni, porcellane e legature provenienti dalle Collezioni del “Museo”. 

In occasione del nuovo allestimento delle Collezioni Tessili, “Palazzo Madama” propone, inoltre, un laboratorio di cucitura in forma meditativa” a cura di Rita Hokai Piana nelle giornate di sabato 15 e 22 marzo, 5 12 aprile,  dalle ore 10 alle ore 13. Tutte le info su: www.palazzomadamatorino.it

Gianni Milani

“Bianco al Femminile”

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it

Fino al 2 febbraio 2026

Orari: lun. e da merc. a dom. 10/18; mart. chiuso

 

Nelle foto: “Sala Tessuti” (Ph. Studio Gonella); Caracò, Italia 1750-60; Corpetto, Germania sud-occidentale, 1750-75

Paolo Siccardi: dai teatri di guerra alle rotte dei migranti

Al Centro Interculturale della Città di Torino 

Il Centro Interculturale della Città di Torino di corso Taranto ospita giovedì 6 Novembre alle ore 18 l’evento “Dai teatri di guerra alle rotte dei migranti”. Partendo da alcuni scatti realizzati nell’arco della sua carriera, il giornalista e fotoreporter Paolo Siccardi racconta il suo percorso umano e professionale tra memorie, immagini e storie raccolte nelle zone di conflitto di tutto il mondo per dare voce a tutte quelle persone dimenticate dalla cronaca e cancellate dalla storia. Nell’arco di alcuni decenni Siccardi ha costruito il suo linguaggio fotografico con cui leggere e interpretare la realtà. Un linguaggio che diventata racconto di una lunga esperienza di fotoreporter. Il suo è un percorso umano e professionale che viaggia tra memoria, immagini e le storie raccolte nelle zone di guerra più calde del mondo, e che si riconosce da un obiettivo sempre al servizio di quell’umanità fatta di singole persone sovente dimenticate dalla cronaca e cancellate dalla storia. Realtà che conosce bene per avere a lungo frequentata come fotoreporter in quei luoghi dove tornavano, dopo l’ultimo conflitto mondiale, i terribili bagliori della guerra. Come Robert Capa, uno dei più grandi maestri della fotografia, sostenitore della tesi contenuta in una delle sue frasi più famose ( “Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino” ) anche lo sguardo di Siccardi è sempre stato il più vicino possibile alla realtà che voleva rappresentare, limitando al minimo i filtri tra fotografo e soggetto. Le sue foto sono spesso asciutte, centrate sulla sofferenza, la miseria e il caos che la guerra porta con sé. In fondo , nel suo lavoro, ha messo in pratica l’insegnamento di Henri Cartier-Bresson: “quello che un buon fotografo deve cercare di fare è mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l’occhio”. Ed è ciò che ha fatto con il suo codice di scrittura per immagini, con uno stile e una sensibilità che l’ha distinto da molti altri che preferivano le velocissime spedizioni di due o tre giorni con molto denaro a disposizione, giubbotti antiproiettile in prestito e una buona dose di cinismo nella ricerca dello scoop a tutti i costi. La conferma è testimoniata dai tanti lavori, dalle mostre, dai reportage pubblicati sulle testate più prestigiose, da libri come il bellissimo e quasi introvabile Una guerra alla finestra, testo fotografico che documentava i suoi reportage a Sarajevo e nei Balcani più di trent’anni, edito dal Gruppo Abele.
Eros Bicic, giornalista nato a Pola a quel tempo corrispondente dall’estero per il Corriere della Sera, presentando quel volume di Paolo Siccardi, scriveva con parole quasi profetiche: “Soltanto fra molto tempo capiremo forse quanto la guerra nella ex Jugoslavia sia stata devastante per tutti noi. Anche per quelli che si credono fuori, lontani, appartenenti a un’altra civiltà, ad altri valori e destini. Allora comprenderemo forse che senza che ce ne fossimo resi conto, quegli orribili massacri, quell’immensa sofferenza della popolazione, quella violenza senza limiti, avevano sconvolto, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, il nostro modo di essere, il nostro concetto del bene e del male, la nostra sensibilità all’ingiustizia, la convinzione di essere forti nel bene e capaci di fermare il male. Allora, quando i tempi saranno probabilmente anche peggiori di quelli attuali, ci ricorderemo che, chi sa come, proprio la guerra jugoslava ci aveva abituati a convivere con l’orrore, ad accettarlo come un fatto quotidiano, quasi normale, senza più l’ambizione di ribellarsi. E capiremo che doveva essere proprio in questi anni che, distratti, abbiamo perso la nostra coscienza”. Paolo Siccardi, all’epoca trentenne fotoreporter con già all’attivo numerosi servizi e reportage in giro per il mondo, in quella sessantina di pagine con trentasette scatti che documentavano il dramma della gente nella ex Jugoslavia e in particolare a Sarajevo, interrogava le coscienze quasi in presa diretta, richiamando l’attenzione in quel 1993 sul conflitto che infuriava da quasi tre anni sull’altra sponda dell’Adriatico, nel tempo in cui Sarajevo nel cuore della Bosnia, la regione più jugoslava della terra degli Slavi del sud, era stretta d’assedio e si preparava al secondo, terribile inverno di sofferenze. L’occhio della sua macchina fotografica inquadrava la realtà, indagava la vita che resisteva testardamente alla violenza, scavava in quella tragedia dall’interno, si soffermava sulle istantanee della vita di tutti i giorni nella Sarajevo “amorosa che non si arrende” ( Liubavno Sarajevo se ne predaje ) come scriveva il poeta Izet Sarajlic. Da quel tempo e come allora le sue foto hanno documentato molte realtà, migrazioni e conflitti. I suoi scatti vanno guardati senza fretta per coglierne l’essenza. Come diceva Bicic “bisogna lasciare che quelle immagini entrino in noi da sole, senza forzature” per avvertire il dolore di cui sono impregnate, per cogliere il racconto “ dell’assurdità della sofferenza, della distruzione e dell’ingiustizia”. Un lavoro di decenni che narra il caos che produce morte e pulizia etnica, le migrazioni in cerca di speranza, cibo e pace per sfuggire alle violenze e alle carestie, le corse a perdifiato per sfuggire al tiro dei cecchini ai quattro angoli del mondo, le file per l’acqua e il pane ma anche i giochi dei bambini, la voglia di vivere che non si fa soffocare e prova a resistere in condizioni spesso oltre il limite, dal medio oriente al Dombass, dal Sud America all’Africa spesso dimenticata. Il suo lavoro e le immagini che ha scattato nel corso di una vita sono necessarie per aiutarci a comprendere e forse ( perché la speranza in fondo è davvero l’ultima a morire..) a diventare un poco migliori e meno disattenti su ciò che ci accade attorno. Sono scatti d’autore che rappresentano con la stessa forza il punto dove la cronaca e l’informazione incontrano l’arte perché è fondamentale riflettere su ciò che è stato evitando gli “sguardi indifferenti e bui” dei tanti, veramente troppi, che preferirono e preferiscono guardare da un’altra parte. In fondo è questa l’unica ragione etica nel lavoro di un buon fotoreporter.

Marco Travaglini

 

Chiarelli: “La cultura è lavoro e futuro per i giovani”

L’assessore regionale a margine degli Stati Generali della Cultura: “Come Regione continuiamo a investire con convinzione – 148 milioni di euro nel nuovo piano triennale – perché la cultura non è un costo: è futuro, competitività e qualità della vita”

“Gli Stati generali della cultura sono un’occasione preziosa per ribadire che la cultura è il vero motore dello sviluppo del Piemonte e del Paese. Oggi parliamo di una cultura che genera impatto, che trasforma i territori e crea valore sociale ed economico, opportunità e lavoro. Il comparto culturale e creativo piemontese vale 7,8 miliardi di euro, con 122 mila occupati e il 3,5% del nostro PIL regionale. Sono numeri che raccontano che fare cultura significa creare impresa, occupazione qualificata e offrire ai giovani prospettive concrete: lo vediamo nel successo dei nostri eventi internazionali, sempre più attrattivi per gli under 35. Lavorare nella cultura e nella bellezza oggi significa essere al centro della trasformazione dei territori, dell’innovazione e della costruzione di comunità più aperte e competitive. Come Regione continuiamo a investire con convinzione – 148 milioni di euro nel nuovo piano triennale – perché la cultura non è un costo: è futuro, competitività e qualità della vita per la nostra comunità. E lo è soprattutto perché parla alle persone, ispira, unisce e accende passioni: la cultura è ciò che ci fa sentire parte di una storia comune e ci dà la forza e la responsabilità di costruire insieme il futuro.” Con queste parole l’assessore regionale alla Cultura Marina Chiarelli è intervenuta  agli Stati Generali della Cultura 2025, organizzati dal Sole 24 Ore e ospitati all’Auditorium del Grattacielo Intesa Sanpaolo di Torino. “Gli Stati generali della cultura sono un’occasione preziosa per ribadire che la cultura è il vero motore dello sviluppo del Piemonte e del Paese. Oggi parliamo di una cultura che genera impatto, che trasforma i territori e crea valore sociale ed economico, opportunità e lavoro. Il comparto culturale e creativo piemontese vale 7,8 miliardi di euro, con 122 mila occupati e il 3,5% del nostro PIL regionale. Sono numeri che raccontano che fare cultura significa creare impresa, occupazione qualificata e offrire ai giovani prospettive concrete: lo vediamo nel successo dei nostri eventi internazionali, sempre più attrattivi per gli under 35. Lavorare nella cultura e nella bellezza oggi significa essere al centro della trasformazione dei territori, dell’innovazione e della costruzione di comunità più aperte e competitive. Come Regione continuiamo a investire con convinzione – 148 milioni di euro nel nuovo piano triennale – perché la cultura non è un costo: è futuro, competitività e qualità della vita per la nostra comunità. E lo è soprattutto perché parla alle persone, ispira, unisce e accende passioni: la cultura è ciò che ci fa sentire parte di una storia comune e ci dà la forza e la responsabilità di costruire insieme il futuro.”

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

SABATO 8 NOVEMBRE

 

Sabato 8 novembre ore 16

I CERCHI NELL’ACQUA

Palazzo Madama – visita guidata in collaborazione con OFT

Musica e arte sono unite dalla bellezza. Si potrà scoprire il filo che le lega nel corso delle visite guidate organizzate presso i tre grandi musei della Città di Torino e ispirate dai concerti della Stagione concertistica Memories dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Il sabato precedente il concerto GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, MAO Museo d’Arte Orientale e Palazzo Madama Museo Civico d’Arte Antica propongono infatti, a rotazione, un ciclo di visite guidate al proprio patrimonio museale.

L’iniziativa è come sempre a cura dei Dipartimenti Educazione della Fondazione Torino Musei con la collaborazione di CoopCulture.

Sabato 8 novembre 2025, ore 16

I cerchi nell’acqua

Per avvicinarsi al concerto per archi dell’Orchestra Filarmonica di Torino, Palazzo Madama propone una visita guidata alla mostra “Il conte Cozio di Salabue e il mito di Stradivari”: allestita nella Corte Medievale, la mostra presenta venti capolavori tra violini e viole – di cui 12 appartenuti al conte Cozio – attraverso cui sarà possibile conoscere le caratteristiche della liuteria italiana tra Sette e Ottocento e di scoprire il lavoro realizzato dal collezionista, il piemontese Ignazio Alessandro Cozio di Salabue, che acquistò il fondo della bottega di Stradivari e alcuni prestigiosi esemplari di altri maestri, avvicinandosi all’arte della costruzione degli strumenti con atteggiamento moderno e innovativo rispetto alla sua epoca.
Per la prima volta a Torino sarà possibile ammirare il violino Antonio Stradivari costruito a Cremona nel 1718 (che Cozio descrisse nei suoi carteggi) e appartenuto a Giovanni Battista Viotti, e il violino Giuseppe Guarneri “del Gesù” realizzato a Cremona nel 1736, appartenuto a Gaetano Pugnani.

Costo: 7€ per il percorso guidato + biglietto di ingresso (ingresso gratuito al museo con Abbonamento Musei e Torino +Piemonte Card).

Info e prenotazioni: t. 011 19560449 (lunedì-domenica ore 10-17) – ftm.prenotazioni@coopculture.it

 

DOMENICA 9 NOVEMBRE

 

Domenica 9 novembre ore 16

SENZA PERDERE IL FILO

MAO – attività per famiglie

L’attività si concentra sulle suggestive opere dell’artista Chiharu Shiota. La scoperta inizia seguendo i fili di lana o di alcantara, tra il vuoto che si fa pieno, l’invisibile che si fa visibile, le relazioni che come i fili creano legami. In questo altalenarsi di sensazioni che si ingarbugliano e si intrecciano come fili, la barca è l’elemento che meglio definisce questo stato d’animo.

In laboratorio, mettendo in campo spirito d’osservazione e abilità manuali, si realizzeranno piccole installazioni costruendo barche in fil di ferro e fili di lana.

Costo €7 a bambino per l’attività; adulti ingresso ridotto mostra, gratuito per i possessori Abbonamento Musei.
Prenotazione obbligatoria maodidattica@fondazionetorinomusei.it – Tel 011-44336927

 

LUNEDI 10 NOVEMBRE

 

Lunedì 10 novembre ore 15.30-17.30

PARCO DEL VALENTINO

Palazzo Madama – passeggiata botanica

Giardini, parchi, viali raccontati dal punto di vista del verde e in particolare del ricco patrimonio arboreo nelle aree più amate della nostra città. Riconoscere un albero, comprenderne la storia sia botanica che culturale e infine apprezzarne il valore estetico e paesaggistico in ambito urbano. Attraverso le passeggiate impareremo a metterci nei panni dei nostri alberi per tutelare e curare al meglio la loro crescita.

I colori autunnali, il fiume, il fascino di un parco romantico e all’inglese ci portano in una dimensione differente dove la città fa da contorno a un polmone verde e vitale ricco di storia e fascino. Passeggiata dall’arco monumentale di Corso Vittorio fino al Borgo Medievale.

Costi: 10 € (5 € Abbonamento musei) – pagamento anticipato

Info e prenotazioni: tel. 011 4429629; e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

Prenotazione obbligatoria. Il punto di ritrovo verrà di volta in volta comunicato ai partecipanti

 

 


Visite guidate in museo alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO
a cura di CoopCulture.
Per informazioni e prenotazioni: t. 011 19560449 (lunedì-domenica ore 10-17)

ftm.prenotazioni@coopculture.it

 

https://www.coopculture.it/it/poi/gam-galleria-darte-moderna/
https://www.coopculture.it/it/poi/mao-museo-darte-orientale/
https://www.coopculture.it/it/poi/palazzo-madama-museo-civico-darte-antica/