CULTURA- Pagina 156

Nuova veste per il camino di Bernardino Quadri

L’intervento del gruppo Palazzetti. Nel Salone delle Guardie Svizzere a Palazzo Reale

Si erano già incontrati, poco più di una decina di anni fa, di fronte al restauro di quattro piccoli camini all’interno di Palazzo Ducale a Venezia e la perfezione del risultato li aveva spinti alla promessa di una nuova collaborazione: Fondaco Italia, che ama collegare le realtà museali al mondo dell’imprenditoria, e il gruppo Palazzetti di Pordenone, un lungo quanto efficiente percorso nella produzione di stufe e camini.

La nuova, recente collaborazione – unita all’apporto dei Musei Reali torinesi -, “una scommessa cui non si poteva dire di no”, è il restauro del Camino della Sala delle Guardie Svizzere, punto d’ingresso obbligatorio di Palazzo Reale, accesso per secoli di re e ambasciatori, possibile ancor oggi ad immaginarsi come inaccessibile corpo di guardia, il vociare dei soldati, i giacigli agli angoli del grande spazio, il fuoco costantemente acceso. Dal 1661, anno in cui l’architetto Bernardino Quadri (del Canton Ticino, attivo anche nella Basilica di San Pietro a fianco di Bernini e Borromini, le cronache ci dicono che gli screzi continui con quest’ultimo lo avrebbero spinto a raggiungere la nuova corte) lo posizionò, il camino campeggia sulla lunga parete a fronte della importante tela di Jacopo Palma il Giovane, lì a rappresentare la battaglia di San Quintino come il successivo trasporto della capitale sabauda a Torino, posizionato a ridosso dell’alta fascia di marmo verde ottocentesca dovuta a Palagio Palagi (1843) e sottostante le barocche Glorie Sassoni di due secoli prima.

“Restituito alla sua dignità originaria”, ha sottolineato la direttrice dei Musei Enrica Pagella, presentandolo alla stampa nei giorni scorsi e offrendolo al pubblico che lo incrocerà nel percorso attraverso le sale del palazzo. Una dignità che, finalmente, torna a parlarci del nostro territorio e della sua ricchezza, rimettendo a vista, dopo un restauro durato tre mesi e per cui sono occorse 774 ore di lavoro, la bellezza dei marmi usati (di “musicalità di colori” parla ancora Pagella), taluni oggi scomparsi. Dieci persone all’opera, sotto la guida di Annarosa Nicola, le radici ad Aramengo, la competenza e la passione riunite in una sola famiglia ed in un gruppo vincente, un accanito lavoro di pulizia, una webcam a riprendere giorno dopo giorno le tante tappe dei risultati raggiunti, la salvaguardia di questo piccolo gioiello ma imponente e prezioso, l’alternarsi di marmi policromi e di pietre dure, una struttura nobilitata da colonne binate, dai putti di Quadri (forse un riciclo di epoca più antica) e dai busti antichi di imperatori romani (Giulio Cesare al centro, di sapore ellenistico quello a destra di chi guarda), in marmo bianco di Carrara, l’eleganza e il gusto modernamente legati alla corte da Carlo Emanuele II, sovrano mecenate pronto a riunire a Torino quelle opere antiche che andava acquistando durante i suoi viaggi a Roma.

Molti gli interventi eseguiti, anche a cancellare d’obbligo quelli maldestri eseguiti in passato e necessari di una completa revisione. Si è quindi proceduto alla verifica e in taluni casi al preconsolidamento degli elementi lapidei, al riposizionamento e fissaggio delle parti distaccate e instabili, alla cancellazione generale di quanto potesse essere polvere ossidazione e invecchiamento, alla pulitura dei depositi superficiali, vale a dire stuccature vecchie, strati di mastice e cera debordanti, colature corrosive, sporcizia penetrata nelle imperfezioni della pietra, alla rimozione delle ridipinture localizzate ad imitazione del marmo in corrispondenza di rifacimenti e alla reintegrazione pittorica ed all’adeguamento cromatico di eventuali aloni residui. Un lavoro che offre nuovamente al pubblico un piccolo capolavoro, nella sua piena ricercatezza di elementi. Durante i lavori, è stata pure riscoperta e restaurata la piastra all’interno del camino: si può nuovamente rileggere il nome dei fabbricatori, sono i fratelli Colla, torinesi, la data è quella del 1884.

Elio Rabbione

ARTiglieria, il Con-temporary Art Center 

Il nuovo incubatore di progetti culturali per la valorizzazione dello spazio dismesso dell’ex Accademia Artiglieria di Torino

Si ispira a Les Grand Voisins di Parigi e a La Casa Encendida di Madrid il progetto “ARTiglieria – Con-temporary Art Center” nell’ex Accademia Artiglieria di Torino: un incubatore di arte e creatività emergente che aspira a diventare un punto di riferimento nazionale e internazionale, al pari di progetti analoghi riconosciuti nel mondo.

Dopo la sottoscrizione di una convenzione con la Città di Torino, lo spazio è stato dato in concessione fino al 31.12.2020 a PRS Srl Impresa Sociale ente no profit, da CDP Investimenti SGR, società del Gruppo Cassa depositi e prestiti. Si tratta di una delle prime esperienze in Italia di affidamento temporaneo di uno spazio pubblico per la riqualificazione del patrimonio immobiliare inutilizzato.

Nata nel 1679 come “Reale Accademia”, scuola di formazione per nobili e giovani gentiluomini alla vita di corte, l’Accademia Artiglieria fu in seguito trasformata in accademia militare e sede dell’esercito, sino ad essere abbandonata al degrado. Dopo l’apertura per la prima volta al pubblico in occasione di Paratissima lo scorso mese di novembre, l’ex Accademia Artiglieria è stata ribattezzata “ARTiglieria – Con-temporary Art Center” ed è pronta a condividere i propri spazi con la cittadinanza. L’obiettivo è incubare e rendere autonomi e sostenibili progetti culturali di realtà pubbliche e private che vorranno partecipare alla “chiamata alle armi” di PRS. Al piano terra del complesso saranno concentrate le attività ordinarie di PRS, mentre i piani superiori saranno utilizzati in occasione di appuntamenti ed eventi temporanei o per ospitare gli studi degli artisti “in residenza”, ovvero artisti stranieri e/o ospiti che necessitano di un laboratorio per realizzare o produrre la propria opera (non è però prevista attività ricettiva notturna all’interno del complesso). Lo spazio delle ex scuderie ospiterà mostre temporanee di arte e design. L’ex mensa ufficiali una zona lounge per presentazioni, incontri, reading e live performance.

Si prevedono attività laboratoriali per gli Istituti scolastici la mattina dal lunedì al venerdì e per le famiglie nei pomeriggi e nel weekend; attività formative come il corso N.I.C.E., alla settima edizione, destinato ai giovani curatori, ma anche incontri di formazione e workshop destinati ai professionisti, agli artisti e agli appassionati di arte e design. Il primo appuntamento è in programma nel mese di marzo: Paratissima Talents, il progetto espositivo curato dalla direzione artistica di Paratissima che raccoglie le migliori proposte presentate alla 15esima edizione della fiera internazionale degli artisti indipendenti e l’apertura dell’ArtShop, lo spazio dove vedere e acquistare a prezzi accessibili opere d’arte selezionate e realizzate in edizioni a tiratura limitata. A seguire, a maggio, Paratissima PhotoView, in concomitanza con Fo.To Fotografi a Torino.

Lo spazio dell’ex Accademia Artiglieria sarà gestito e presidiato da PRS – Paratissima Produzioni e Servizi Srl, l’impresa sociale nata nell’ottobre del 2017 con il compito di gestire e sviluppare le attività di Paratissima, subentrando nella gestione a YLDA Associazione Culturale no profit. La compagine societaria di PRS vede la partecipazione dei soci storici di Paratissima e di un pool di investitori torinesi che hanno creduto nell’ambizioso progetto di crescita e diffusione del marchio Paratissima sul territorio nazionale e internazionale. Fondamentale anche il percorso di accelerazione e il grant ricevuto da Socialfare, il centro torinese per l’innovazione sociale, nel novembre 2017, che hanno permesso al team di PRS di focalizzare l’attenzione sul percorso di crescita e sviluppo dei diversi ambiti di progetto dal 2018 al 2020.

L’operazione di concessione temporanea di un bene così prestigioso situato nel cuore della città a favore di una realtà radicata ed affermata sul territorio che opera a livello nazionale da 15 anni nel campo dell’arte contemporanea e creatività emergente, rappresenta un’opportunità di costruzione e sperimentazione di un modello gestionale che può essere scalato e replicato su tutto il territorio nazionale. PRS, attraverso la sua attività, funge sia da presidio per la conservazione del bene e sia da soggetto in grado di valorizzare il complesso nell’ottica di una futura destinazione d’uso definitiva.

Il silenzio dei Corti, l’eredità di Nino Chiovini

Il 14 e 15 febbraio scorsi Verbania ha ospitato “Il Silenzio dei Corti”, iniziativa ispirata alla memoria di Nino Chiovini promossa dalla municipalità verbanese e dal Parco Nazionale Val Grande con Casa della Resistenza, Anpi e Tararà Edizioni

Nino Chiovini (Biganzolo, 1923 – Verbania, maggio 1991) è stato un partigiano, scrittore e storico italiano, studioso della Resistenza e della cultura contadina di montagna delle valli tra il Verbano, l’Ossola e la Val Vigezzo. Dopo l’azione teatrale del Teatrino al Forno del Pane “Giorgio Budidan” ispirata al libro di Chiovini su Cleonice Tomassetti, unica donna tra i 42 martiri fucilati a Fondotoce nel giugno del ’44, a Villa Giulia si è svolto il convegno sulla figura di Chiovini e sulla prospettiva di un parco letterario a lui intitolato, imperniato sul binomio natura-cultura. Al convegno sono intervenuti Giovanni Antonio Cerutti, direttore dell’Istituo stroicod ella Resistenza di Novara e Vco (“Capire dove e come sbagliammo. La lunga riflessione del partigiano Chiovini sull’eredità della Resistenza”), i giornalisti e scrittori Erminio Ferrari (“I fogli della semina”), Giuseppe Mendicino (“I sentieri della libertà di Mario Rigoni Stern, Nuto Revelli e Nino Chiovini”), Marco Travaglini ( “Sostenibilità delle aree alpine, dalle intuizioni di Nino Chiovini alle esperienze odierne”) e, infine, il direttore del Parco nazionale della Val Grande Tullio Bagnati (“Il silenzio dei Corti e l’esercizio della memoria: nuovi profili della Val Grande”).

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Riportiamo qui una sintesi dell’intervento di Marco Travaglini, collaboratore della nostra testata

E’ praticamente impossibile inquadrare la personalità di Nino Chiovini in una sola definizione. Le sue passioni e l’impegno di narratore, storico, antropologo, appassionato di sociologia rappresentano un tutt’uno.E il collante di tutto, capace di generare un fermento emotivo, era la sua forte e determinata etica civile, la passione per la storia, l’abilità nello scrivere, la capacità di intuire e comprendere i fenomeni sociali, e – non certamente secondario –   un’ideale politico tendente al riscatto degli ultimi, degli umili. La traccia più evidente si trova nei suoi libri dove le fatiche contadine entrano nella narrazione delle storie, rendendo omaggio e offrendo risarcimento a un mondo ormai scomparso. Il ritmo dei cambiamenti ha fatto sprofondare luoghi e persone in un niente, in un oblio al quale la caparbia determinazione di ricercatori come Nino Chiovini hanno saputo opporre l’ostinata volontà della memoria, la forza della narrazione, il racconto del tempo vissuto. Gli stessi paesaggi montani, aspri e carichi di memorie e di senso, racchiudono come una cornice le esili vite dei protagonisti. Nei suoi libri sulla civiltà rurale montana – “Cronache di terra lepontina”, “A piedi nudi”, “Mal di Valgrande” e “Le ceneri della fatica”, uscito postumo -, così come nei volumi dedicati alla lotta partigiana – “I giorni della semina”, “Classe IIIa B. Cleonice Tomassetti. Vita e morte”e i due volumi pubblicati postumi “Fuori legge??” e “Piccola storia partigiana” – il suo impegno di ricerca emerge con grande forza e nitidezza. In questo importante lavoro culturale che ci ha lasciato in eredità il passato ritorna attraverso i volti e le parole di quelle persone, uomini e donne. Un mondo arcaico, retto da pratiche e valori ancestrali, per certi versi poco moderni, secondo i canoni odierni, ma quanto mai importanti, necessari, utili per l’oggi e il domani.

 

Nelle sue opere Nino rende giustizia agli abitanti del territorio, al lavoro duro, alla fatica che schianta, al rispetto del tempo, del ritmo delle stagioni e della terra, all’impegno spesso obbligato che genera sudore mischiato a un grumo di rabbie e speranze, di tradizioni e fame, di poche gioie e tanti, troppi dolori. Mi è venuta in mente un’intervista a Francesco Guccini dove, ricordando quel prozio emigrato oltreoceano al quale dedicò la canzone “Amerigo”, raccontava come – ritornato in Appennino – al saluto della gente rispondeva con un “Buongiorno e vita lesta, mangiar poco e lavorar da bestia”.Quello indagato e descritto da Chiovini è un mondo che ci insegna ad essere umili, a riconoscere che una parte importante della cultura accumulata da generazioni di montanari risiede in quei luoghi aspri, spesso percorsi su sentieri ripidi sotto il peso di una gerla. Posti dove le frontiere dei crinali sono stati più un punto d’incontro che una linea di demarcazione e separazione. Se c’è una eredità che Nino Chiovini ci ha lasciato credo si possa individuare nell’assillo di una riorganizzazione della cultura in grado di aiutare una sintesi su storia, radici, saperi. Si riconosce lì il messaggio di chi, pur tra speranze e illusioni, ha sempre pensato ad una società nuova e più giusta. Un messaggio che sottende la volontà di ricerca, di un approfondimento più che mai necessari per salvare noi e il paese in questo tempo segnato da superficialità, dalla riduzione e impoverimento del linguaggio. E’ la rivalutazione di quella parte del paese che non sta sotto i riflettori e che rappresenta buona parte della montagna più povera, dell’area prealpina, dell’entroterra appenninico e pedemontano, dei piccoli borghi abbandonati,ai margini del commercio, dell’industria, della cultura. Negli incontri con Nino Chiovini e nella lettura dei suoi libri avvertivo l’urgenza, il bisogno di testimoniare e in qualche modo risarcire la memoria degli ultimi, narrando la civiltà contadina, le radici e le origini. Un pensiero antico e al tempo stesso moderno che, in parallelo, ricordava le ricerche di Nuto Revelli o – più tardi – quelle di Marco Aime sui pendii ruvidi della Val Grana o tra i pastori transumanti di Roaschia, in Valle Gesso. La difesa e il riscatto quantomeno culturale del “mondo dei vinti” fa emergere un’attenzione, una forza nella denuncia dell’abbandono della montagna, dei coltivi, degli alpeggi, delle borgate che ha portato ad un depauperamento dell’ambiente, alla perdita di capacità, conoscenze, competenze. Quando l’antico edificio agromontano si sgretolò, iniziò l’abbandono della montagna. Raccontando il disboscamento della Val Grande con l’Ibai, la cura del bestiame, i lavori precari nel fondovalle nello “spartano” secondo dopoguerra, Chiovini raccolse ,tra confessioni e reticenze, la testimonianza del collorese Settimio Pella sul tema delle “disobbedienze” – il   bracconaggio, la pesca di frodo, il contrabbando con le bricolle –chiedendosi quale processo si dovesse fare a questi uomini che, al netto di queste “disobbedienze”, furono “corretti servitori di uno stato diretto da un ceto dirigente che tanto non meritava”. Siamo nel 1983 e così scrive Chiovini: “Gente che non evade il fiscoche non spreca, che non inquina, che produce fino alla fine dei suoi giorni, che non intrallazza con il potere, che non impoverisce l’azienda Italia; gente che, chiamata alle armi, mandata su ogni fronte, pagò i prezzi che conosciamo; gente che quando fu il momento ospitò i partigiani e fu dalla loro parte più che in altri luoghi, mentre anche i suoi giovani si facevano combattenti per la libertà; in cambio, dal nemico, ebbe devastazioni, spoliazioni, morte; dallo Stato nato dopo la Resistenza, che ancora oggi pretende e in parte ottiene il loro consenso politico, quasi nulla”. E si domandava ( e chiedeva) quale processo potesse essere fatto a queste persone e se non fosse il caso di conceder loro un’amnistia precisando però che non si trattava di “quella che periodicamente premia evasori, speculatori, trafugatori di pubblico denaro e via sottraendo… Un’amnistia culturale, di costume: quella che passando attraverso il territorio, possa giungere ai suoi antichi utenti”.

 

 Aggiungeva: “Forse il Settimio e la sua gente comprenderebbe il valore e il senso di quell’amnistia, di quel messaggio: giungerebbero, forse, alla conclusione che il rapporto stabilito da sempre con l’ambiente, non tollera più antiche devianze, remote e recenti contraddizioni. Quell’amnistia, poetico e politico ripianamento di colpe nei riguardi dell’ambiente, se sorretta dall’assenso delle giovani generazioni, dei ragazzi che oggi frequentano le sopravvissute scuole di quei villaggi – che dovrebbero fungere anche da sedi di rifondazione della cultura montana e da fonte della sua memoria – potrebbe diventare più efficace dei guardacaccia e dei finanzieri. Forse, un esperimento da ripetere in settori molto più importanti e decisivi del pianeta”. Una grande lezione morale. La stessa lezione che si trova nella conclusione di “A piedi nudi” quando scrive : “ Quello scomparso era un mondo imperfetto e crudele in cui tuttavia erano ravvisabili e riconosciuti vivi gli obiettivi, il senso della vita, il suo fine:l’obiettivo della sopravvivenza e quello della continuità della stirpe; il senso della vita sorretto dalla memoria della specie; il fine del bene operare che faceva perno sulla speranza. Quel mondo scomparso rappresentava la riconosciuta e accettata civiltà della fatica quotidiana, del lavoro realizzato da mani con le palme di cuoio; la civiltà dei sentieri e delle mulattiere selciate e lastricate, dei geometrici terrazzamenti e, in fondo, dell’ottimismo collettivo, simboleggiato dal rituale saluto di congedo – alégher, allegri – che si scambiavano i suoi abitanti”. Qui si coglie, nel saluto, l’importanza della lingua e del linguaggio. Un caro amico mi ha fatto rilevare come la lingua si fondi sul significante, sull’immagine acustica della parola che la distingue dal significato. La nostra cultura ha dato la preminenza assoluta al significato mentre nel dialetto è il significante che pesa e conta. Alégher non è traducibile con un “ciao”. Il significato è più o meno lo stesso ma il saluto è più denso e più ricco, parla e suona diversamente perché è la lingua il significante. La parola risuona diversamente e ha effetti differenti su di noi e questa è l’identità della lingua. Tutto ciò racchiude quell’insieme che è la storia delle ceneri della fatica, di quella civiltà alpina sulla quale calò, come scrisse, “ un sipario di fogliame”.

Residenze reali non più sabaude? Manca il senso della storia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / Il prof. Guido Curto è un  vip rampante torinese di grande successo, figlio dell’egittologo Silvio, che da vice preside di Giovanni Ramella al liceo d’Azeglio diventò direttore dell’Accademia Albertina, per poi approdare a palazzo Madama e infine alla Reggia di Venaria

Una carriera sfolgorante e sicuramente  molto meritata  per un  iniziale, modesto  professore liceale di storia dell’arte.

Adesso  il prof. Curto vuole cancellare dal circuito delle residenze sabaude l’aggettivo sabaude. La notizia mi fa un po’ trasalire e mi domando a che titolo il prof. Curto può decidere  -in una intervista di giornale- di annunciare la cancellazione  del nome dei Savoia dalle residenze che appartennero alla Dinastia millenaria che si fonde con i destini stessi  del Piemonte e dell’Italia. Spero che ci sia  stato un equivoco e che la cosa si chiarisca, andando oltre le polemiche già scatenate  su Facebook. Infatti apparirebbe  strano, se non persino ridicolo, che proprio nel bicentenario della nascita del primo Re d’Italia e Padre della Patria Vittorio Emanuele II, venisse ostracizzato  un nome che non può essere cancellato e non va cancellato per nessun motivo da quelle residenze che appartennero storicamente  ai Savoia. Non  e’  una questione di monarchia o repubblica, ovviamente, ma di   modesto buon senso o,meglio,di quello che Omodeo definiva  il “senso della storia”.

Aldo Viglione, presidente del Piemonte per antonomasia, che  volle per primo il recupero delle residenze sabaude, non si sarebbe mai sognato, in epoca di trionfante demagogia antisabauda, di cancellare quel nome che può piacere o non piacere, ma che risulta oggettivamente dalla realtà storica tramandata nei secoli. Vorrei chiedere al Presidente della Regione Cirio che si ritiene un erede di Viglione, di prendere  posizione e di dire la sua opinione in proposito.

Chi volesse cancellare il nome di Savoia  dalle residenze  reali  apparirebbe, pur  magari non volendolo,  quasi  l’erede dell’ oscuro sindaco di Ceresole Reale che desiderava eliminare la parola Reale dal nome del suo comune. O di chi tolse il nome Reale da Venaria o il nome Sabauda da Villafranca. Fu  piccola gente senza storia che non rispetto’ il passato perché troppo carica di faziosità vendicativa , dovuta a vecchi furori giacobini.Il prof. Curto non può certo  confondersi con quelli che vollero censurare la storia. Benedetto Croce, in visita a Torino dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, denunciò  in una lettera a Filippo Burzio, con  grande fermezza, il piccolo tentativo di scalpellare via  il nome dei Savoia dalla toponomastica torinese.
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Le motivazioni addotte da Curto appaiono abbastanza  pretestuose. Sostituire Piemonte alla parola Sabaude, per evitare errori di localizzazione da parte dei turisti, appare  privo di senso. Semmai, se proprio si voleva, si poteva aggiungere Piemonte, senza togliere  il riferimento ai Savoia. Le confusioni territoriali  che teme il professore non  sono giustificate, mentre appare invece molto  chiaro l’intento di cancellare, in modo del tutto ingiustificato,  l’identità storica delle dimore sabaude. Spero che il prof. Curto voglia considerare anche la voce di chi dissente  e che scrive, richiamandosi alle ragioni della storia, sicuramente  più importanti di quelle del turismo, pur di per se’ molto importanti.

 

Scrivere a quaglieni@gmail.com

(Foto Mario Alesina)

L’opera di Botto&Bruno entra nelle collezioni dei Musei Reali

“The ballad of forgotten places” Inaugurazione: giovedì 20 febbraio alle 17

In arte Botto&Bruno. Entrambi torinesi di Mirafiori Sud, Gianfranco Botto e Roberta Bruno hanno frequentato insieme l’Accademia e ormai da anni lavorano in coppia incentrando la loro poliedrica ricerca artistica sull’immagine dello spazio urbano. Su porzioni di città in crisi d’identità. Spazi rubati alla memoria e di memoria.

Consegnati, in modo scriteriato, a solitudine e disagio. Proprio come, per molti aspetti, è capitato e capita al periferico quartiere torinese in cui i due vivono. Di questo parla e lancia segnali importanti l’ultima loro opera “The ballad of forgotten places” (“La ballata dei posti dimenticati”) che, da giovedì 20 febbraio (inaugurazione ore 17), farà parte delle collezioni dei Musei Reali in piazzetta Reale 1, a Torino. Allestita al primo piano della Galleria Sabauda, in quella preziosa Sala degli Stucchi dall’esuberanza decorativa neobarocca, “La ballata” di Botto&Bruno va a collocarsi, in un contrasto artistico-ambientale di fortissimo impatto, come acuta riflessione, come dito puntato e spietato contro l’incuria riservata spesso ai “luoghi marginali” delle città; quelli che invece “hanno bisogno di essere protetti e curati e soprattutto di persone che si attivino a conservarne la memoria”. Il progetto dei due artisti – promosso dalla Fondazione Merz – è il vincitore della terza edizione del Concorso “Italian Council (2018)”, ideato dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, al fine di promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo, ed è materialmente concepito come una struttura praticabile di grandi dimensioni al cui interno, dalle pareti al pavimento, si dispiega l’immagine sfatta e trascurata di un paesaggio suburbano denso di ossidazioni, macchie e reperti, “trasformato in una sorta di dagherrotipo dall’azione del tempo”. Al centro dello spazio, sopra un basamento, si vede un libro d’artista di trecento pagine che raccoglie una serie di fotografie scattate dalla coppia in vent’anni di lavoro e modificate pittoricamente con la stessa tecnica delle immagini a parete, che testimoniano luoghi scomparsi, alterati e dimenticati.

“L’idea di una casa che seppur fragile, diroccata, scelga di proteggere la memoria di questi luoghi perduti – spiegano Botto&Bruno – ci sembra l’unica via per poter costruire le basi per un nuovo e più costruttivo approccio per affrontare le problematiche sull’ambiente”. Rovine. Una casa che una volta c’era e ora è presente con i resti pericolanti che di essa tristemente raccontano la storia. Storia antica, rimossa dalla memoria collettiva, che come in un gioco di “scatole cinesi”, il Museo ha oggi il compito di proteggere in una sorta di abbraccio benevolo in grado di riattivare, conservare e trasmettere, attraverso essa, la memoria dei tanti luoghi fragili e dimenticati.

La collocazione di “The ballad of forgotten places” ai Musei Reali rappresenta la tappa conclusiva di un viaggio che, prima di approdare a Torino, ha già raggiunto Atene (National Museum of Contemporary Art), per poi spostarsi a Lisbona (Carpintarias de São Lázaro) e a Nizza (Le109: Pôle De Cultures Contemporaine).

 

g. m.

 

 

 

 

Frida, scatti fotografici come grandiosi atti d’amore

Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. “Frida Kahlo: through the lens of Nickolas Muray”. Fino al 3 maggio

E’ proprio vero. Le prime immagini che ci vengono in mente – quelle iconiche da sempre registrate nell’immaginario collettivo – quando si pensa a Frida Kahlo (Coyoacàn, 1907 – 1954) sono quelle nate dagli scatti realizzati per colei ché stata la più celebre pittrice messicana del secolo scorso, dal fotografo ungherese, naturalizzato americano, Nickolas Muray.

Ed eccola Frida, in “Frida Kahlo on white bench”, “Frida Kahlo sul bancone bianco”: sfondo verde con fiori bianchi, occhi neri e labbra rosse e carnose, sguardo fiero e sopracciglia così folte da sembrare disegnate apposta per il suo volto, una coroncina di fiori sui capelli raccolti da una treccia e un’ampia gonna (com’era solita portare, ispirata al costume delle donne “matriarche” di Tehuantepec) con scialle nero a coprirle le spalle. E’ questa l’immagine per eccellenza, datata 1939, e immagine – guida della rassegna (mostra-evento, portata per la prima volta in Europa) con cui Next Exhibition e ONO Arte Contemporanea presentano, fino al prossimo 3 maggio, negli spazi della Palazzina di Caccia di Stupinigi, la collezione completa degli scatti più segreti – sessanta complessivamente – realizzati su Frida dall’amico e amante Nickolas Muray (Seghedino, 1892– New York, 1965), fotografo delle dive hollywoodiane – da Greta Garbo a Liz Taylor a Esther Williams e a Marilyn Monroe – nonché pioniere nel campo della fotografia pubblicitaria a colori fin dai primi anni della sua carriera. L’incontro fra i due avviene in Messico, nel’31, attraverso il comune amico e artista Miguel Covarrubias. Lei è maritata al famoso pittore e suo maestro Diego Rivera. Ma il loro è un matrimonio “ballerino”, traballante anziché no, molto “libero” come si direbbe oggi. Lei, anticonformista, nemica di pregiudizi e comuni convenzioni, carismatica, indipendente e determinata, artista dai tratti naif impreziositi da giocose cifre surrealistiche mai prese (checché ne dicesse André Breton) in totalizzante considerazione, resta subito affascinata da quel fotografo di bell’aspetto e gran bravura, neppur quarantenne e già famoso nel mondo stellare d’oltre Oceano, self made man emigrato negli States a 21 anni “con 25 dollari e 50 parole di inglese in tasca”.

Fra i due è subito colpo di fulmine. Immediato ed esclusivo. “Nick, ti amo come si ama un angelo”, gli scrive lei, subito dopo il primo incontro, in una lettera che si chiude con l’impronta di un bacio stampato con squillante rossetto rosso. La loro storia d’amore continuerà per dieci anni, trasformandosi poi in una fortissima amicizia e complicità spirituale che dureranno fino alla morte di Frida, nel 1954. Bastava uno sguardo per intendersi al volo. E Nickolas riusciva a fermare quegli sguardi, quei gesti, quegli intrecci di corpo mani e anima in immagini per altri assolutamente impensabili. E per lui autentici immediati atti d’amore. Oltreché opere di eccelsa levatura tecnica e stilistica. Foto realizzate dal 1937 a Tizapan, in Messico, fino a quelle del 1948 scattate a Pedregal e a Coyoacan piuttosto che a New York: in studio (suggestiva quella in cui Frida siede a fianco di un suo celebre dipinto del ‘41, autoritratto a mani incrociate con quattro dei suoi emblematici pappagalli, osservata da Nickolas con silenziosa attenzione, attento a non turbare l’incanto del momento) o in posa “con la blusa di satin blu” o sui tetti dei grattacieli di New York. Sigaretta in mano. Forte. Aria di sfida. Altera come gli enormi palazzoni che le stanno alle spalle.

Quest’era Frida Kahlo: prim’attrice di una vita profondamente travagliata, ma coraggiosa al di là d’ogni limite, testimoniata in mostra a Stupinigi anche da un’installazione multimediale simulante i rumori e i colori dell’incidente di cui rimase vittima a soli 18 anni sull’autobus che la riportava da scuola a casa e che la martoriò nel corpo (32 interventi chirurgici) per l’intera esistenza, fino all’amputazione della gamba destra nel 1953, un anno prima della scomparsa. E a raccontare visivamente l’artista sono ancora in rassegna, accanto alle foto di Muray, le riproduzioni degli ambienti a lei cari, come il celebre letto d’arte e di sofferenza (su cui, grazie ad uno specchio a soffitto compose i suoi primi terapeutici autoritratti), i gioielli e gli abiti larghi, ricamati e variopinti testimonianti la sua incrollabile adesione a un’identità messicana mai venuta meno nel tempo.

Gianni Milani

“Frida Kahlo: through the lens of Nickolas Muray”
Palazzina di Caccia di Stupinigi, piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi (Torino); per info 380/1028313 o info@nextexhibition.it
Fino al 3 maggio
Orari: dal mart. al ven. 10/17,30 – sab. e dom. 10/18,30

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Nelle foto

– “Frida on White Bench”, Nickolas Muray Photo Archive
– “Frida Blue Dress hig rez”, Nickolas Muray Photo Archive
– Frida e  Nickolas in studio, Nickolas Muray Photo Archive
– “Frida NY roottop”, Nickolas Muray Photo Archive

“Andrea Mantegna. Rivivere l’antico, costruire il moderno”, boom di visite

La mostra, in corso a Palazzo Madama dal 12 dicembre 2019, ha già registrato 54.100 visitatori in 9 settimane di apertura

Organizzata e promossa da Fondazione Torino MuseiIntesa Sanpaolo e Civita Mostre e Musei, è a cura di Sandrina BanderaHoward Burns e Vincenzo Farinella. Oltre 130 opere, riunite grazie a prestigiosi prestiti internazionali da alcune delle più grandi collezioni del mondo, illustrano il percorso artistico di uno dei più importanti artisti del Rinascimento italiano.

Chi non avesse ancora avuto l’opportunità di visitare l’esposizione, ha tempo fino al 4 maggio 2020.

Si ricorda che la mostra il giovedì e il sabato è aperta fino alle ore 21.00 (ultimo ingresso alle ore 19.30). Inoltre, per evitare le code, è possibile prenotare e acquistare i biglietti on line su www.ticketone.it   o attraverso il call center al numero 0110881178 (da lunedì a venerdì 9.00 – 18.00 / sabato 9.00 – 13.00).

L’isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità in libreria. A cura di Laura Goria

 

Silvia Bisconti “Diario di una viaggiatrice eccentrica” -La nave di Teseo-   euro 18,00

Difficile inquadrare in un genere preciso questo libro che è un mare magnum di più cose: diario di viaggio, taccuino in cui sono annotati pensieri e suggestioni, foto, consigli per viaggiare con leggera essenzialità…e tanto altro. Nel ricco curriculum dell’autrice ci sono gli studi di moda a Milano, un decennio come braccio destro di Romeo Gigli, poi mente creativa di Maliparmi e l’esperienza come personal designer per una sceicca araba. Ma il punto di svolta è il 2013 quando fonda l’azienda Raptus & Rose. Un innovativo concetto di Moda Liberata: forme morbide e tessuti pregiati che arrivano da lontano e hanno il sapore dell’Oriente. Silvia Bisconti da anni gira il mondo in lungo e in largo alla ricerca di bellezza a 360 ° e stoffe uniche e particolari da drappeggiare in vestiti che potete scoprire sul suo sito @raptusandrose, ordinare via Internet o acquistare nel suo Atelier sul Fiume a Belluno. Un vestire che ha del rivoluzionario perché realizza la libertà di essere se stesse. Colori carezzevoli, morbidezza e comodità. In questo libro troverete i suoi viaggi e le sue valigie perfette per ogni latitudine, rigorosamente riempite in base alla legge del tre (che lascio a voi scoprire). 7 capitoli sciorinati in circa 300 pagine lievi e divertenti, all’insegna del motto “La bellezza ci salverà”. In cui lei miscela vestiti, alberghi con l’anima, luoghi adorati …in primis l’India, amori letterari, cibi e odori, sfilate e lavoro…raccontati da parole e foto fatte con l’iPhone.

 

 

 

Sigrid Nunez “L’amico fedele” -Garzanti_ euro 17,60

Sigrid Nunez è una delle più importanti autrici contemporanee, molti romanzi al suo attivo e collaborazioni prestigiose con testate come “The New York Times” e “The Wall Street Journal”, e con questo libro ha vinto il prestigioso National Book Award. E’ un romanzo sull’immenso valore della letteratura, perché, come sosteneva Karen Blixen, anche la più dilaniante sofferenza diventa sopportabile se inserita in una storia…insomma, le parole come balsamo. E la protagonista cerca di elaborare un lutto proprio sciorinando pagine che scorrono tra citazioni letterarie, riflessioni personali, ricordi e pensieri. A morire è il suo insegnante di scrittura, quello che tanti anni prima le aveva dischiuso l’inesauribile universo dei libri. Lei era stata l’allieva più promettente e nello scorrere degli anni la loro amicizia si era nutrita di complicità e confidenze, amore, affetto, lettura e scrittura: tutto sullo sfondo della scena letteraria newyorkese. Lui, la sua complicata vita di seduttore seriale e le sue 3 mogli, fino al giorno in cui si suicida buttandosi dal Golden Gate Bridge. Il suo mentore le lascia in eredità un gigantesco alano di nome Apollo che diventa l’inseparabile compagno: entrambi sono orfani del professore e finiscono per condividere il dolore. Tra una passeggiata nel parco e la vita nel minuscolo appartamento, la protagonista ripensa all’amico, ai momenti che non torneranno, al mondo intellettuale della grande mela (un ritratto spietato e ironico) al perché del suicidio e finisce per   rendersi conto che Apollo è l’unico a cui confidare pensieri ed emozioni.

 

 

Mariangela Traficante   “Luoghi e libri”  – Morellini Editore- euro 17,90

Questo libro è una fonte preziosa di spunti letterari per viaggiare in modo diverso in Italia ed Europa. Impostate la road map su scrittori che amate e poi seguite le pagine trasformandovi in “turisti letterari”, ovvero un modo diverso di percorrere il mondo. Si parte dal bicerin con gli scrittori a Torino, si percorre l’italico stivale sulle orme degli autori più amati in 14 regioni; poi si vola in 13 tappe, dall’Inghilterra all’Islanda, si attraversa tutta l’Europa e si plana in Turchia. In ogni capitolo troverete non solo le grandi città dove da sempre la letteratura si respira ad ogni angolo (come Parigi, Londra o Praga) ma scoverete anche informazioni su paesini ed angoli misconosciuti che però hanno grandi storie da raccontare. Ogni capitolo è una messe di indirizzi, riferimenti web, indicazioni precise e dettagliate, citazioni, calendari di eventi letterari e, tra le tante altre cose, anche vari consigli di lettura. Qui non trovate le solite mete turistiche delle guide tradizionali; ma sono suggeriti luoghi in cui andare alla ricerca dello spirito più profondo degli scrittori che amate. Non l’hotel di grido, ma il ben più emozionante b&b nella dimora di Agatha Christie, la camera dell’albergo di Parigi in cui morì Oscar Wilde…o ancora il tavolo del bar di Lisbona in cui era solito sedersi Fernando Pessoa. Tutto condito da incursioni anche nell’arte, nella musica e nel cinema (con ricostruzioni di scene e romanzi, come per esempio i “Buddenbrook” a Lubecca) per offrirvi itinerari a 360° gradi e memorabili. Buona lettura e buon viaggio sulle orme di…..(di chi decidetelo voi).

 

 

Un viaggio a piedi nudi

Domenica 16 febbraio 2020 – ore 15.30 e ore 17.30 Teatro Vittoria, via Gramsci 4 – Torino

RACCONTAMI UNA NOTA – Favole musicali per famiglie

 

Due sorelle che scoprono con gioia e a suon di musica il mondo, a piedi nudi: domenica 16 febbraio 2020, al Teatro Vittoria (ore 15.30 e ore 17.30) per la rassegna “Raccontami una nota” dell’Unione Musicale, va in scena Un viaggio a piedi nudi, uno spettacolo di teatro musicale con le attrici Debora Mancini e Lara Quaglia e i musicisti Daniele Longo al pianoforte e Mario Marzi ai sassofoni.

Lo spettacolo prosegue lunedì 17 febbraio con due repliche riservate al pubblico delle scuole (Teatro Vittoria, ore 9.30 e ore 11).

 

Il viaggio di Emma e Matilde comincia presto, come racconta la più grande delle due sorelle: «Nella pancia della mamma Emma non tirava calci: ballava! Quando è nata, io portavo già le scarpe, quelle vere, quelle che indossano i grandi, per andare lontano…». A piedi nudi Emma e Matilde lasciano il luogo sicuro degli affetti, la loro casa, per affrontare il cammino che conduce alla conoscenza di sé, del mondo… in musica. E così una notte il letto diventa una nave, il lenzuolo una vela e via, si leva l’ancora e – senza scarpe – si salpa, con la musica in poppa! Perché è proprio la musica, alla base della vita, a dettare i ritmi del loro cammino, a cominciare dal primo battito del cuore, dal primo vagito, dal primo respiro, per proseguire con i ritmi e le melodie delle danze, che raccontano le storie antiche e la memoria di tanti popoli. Musiche che provengono dai più svariati repertori popolari e dal genio di grandi compositori del passato e del mondo di oggi, come Johann Sebastian Bach, György Ligeti, Béla Bartók, Aram Khačaturjan, Chick Corea, Daniele Longo e Mario Marzi.

 

Il percorso delle due protagoniste ha radici profonde: parte dal coraggio dei più piccoli che, senza scudi e senza scarpe, corrono alla scoperta del mondo, giocano per allenarsi al vivere adulto; un viaggio dentro le emozioni che attraverso la musica, le parole e la danza rivelano la loro natura più semplice, immediata e pura. Alla fine del viaggio Emma e Matilde si troveranno unite e forti nel loro essere sorelle, a piedi nudi. Afferma Debora Mancini: «Ci siamo domandati come fare a unire la danza – quella che viene dal contatto con la terra, con i ritmi ancestrali, col rapporto corpo-natura – con la musica e con i bambini. La risposta era nel cuore: con un viaggio. Il viaggio come metafora della vita, della scoperta di sé, simile a una danza su una partitura di emozioni e passioni, attraverso una storia intima di sorellanza».

 

Leggi qui l’intervista completa ai protagonisti dello spettacolo (RealtàDeboraMancini).

 

La rassegna di spettacoli di teatro musicale per famiglie Raccontami una nota si conclude (per questa stagione) nel mese di marzo con Pierino e il lupo, intramontabile fiaba musicale di Sergej Prokof’ev (Teatro Vittoria, 8 marzo 2020).

 

BIGLIETTI

numerati interi, euro 10

bambini (fino a 12 anni compiuti), euro 5

in vendita presso la biglietteria dell’Unione Musicale e online su www.unionemusicale.it

 

INFORMAZIONI, VENDITA E PRENOTAZIONI:

Unione Musicale – martedì e mercoledì 13-17 – venerdì 10.30-14.30

tel. 011 566 98 11 – info@unionemusicale.it

www.unionemusicale.it/bambini

 

 

I PROTAGONISTI

Dal 1998 Debora Mancini e Daniele Longo realizzano, tra le altre cose, reading musicali, spettacoli e concerti in duo e in collaborazione con diversi artisti (pittrici, disegnatrici, scenografe e scenografi, scrittori, fotografi, stiliste, tecnici, danzatori, grafiche, designer, fioristi, musiciste e musicisti di varia estrazione, partecipando a rassegne, festival ed eventi in tutta Italia e all’estero.

Realtà Debora Mancini nasce nel 2012 per desiderio di Debora Mancini, attrice, Daniele Longo, musicista e Giorgia Mancini, musicista, dopo quasi due decenni di ricerca, studio, spettacoli, concerti, incontri e collaborazioni. Il progetto artistico condiviso è dedicato alla produzione, cura e organizzazione di eventi teatrali, musicali e culturali, partendo dalla considerazione che la ricerca di commistioni con altre forme d’arte è uno dei fondamenti della poetica dell’associazione, così come la diffusione di arte, letteratura e musica con i mezzi della parola, della musica eseguita dal vivo.

Tra i progetti realizzati ricordiamo Le avventure di Martina Tremenda in musica, dedicato al personaggio del libro, edito da Scienza Express, ispirato all’astrofisica Samantha Cristoforetti; Martina Tremenda nello spazio, spettacolo teatrale commissionato da INAF- Istituto Nazionale di AstroFisica; Donna. Dei diritti e dei doveri, rassegna di spettacoli dedicata alle donne; Con tutti i sensi – Emozioni per tutto l’anno, rassegna di spettacoli dedicata alle famiglie e ai bambini al Teatro Menotti di Milano; Girotondo di storie edizioni 2017-2018 e 2018-2019, rassegna di spettacoli dedicata alle famiglie e ai bambini per la Biblioteca Italo Calvino e il Comune di Senago (MI); concerti e lezioni-concerto con AIGAM e Nati Per la Musica; letture e spettacoli per i progetti promossi da Nati Per Leggere; Buon compleanno Calvino con reading musicali e letture integrali in musica; III edizione di pH_performing Heritage 2013 presentata dal distretto Culturale Evoluto di Monza e Brianza.

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UN VIAGGIO A PIEDI NUDI

Musiche di Bach, Ligeti, Bartók, Kačaturjan, Corea, Longo, Marzi

e repertori popolari di varia origine

Audio e luci di Andrea Pozzoli

Regia di Aurelia Pini

 

Daniele Longo / pianoforte, cajon, piccole percussioni

Mario Marzi / sassofoni, piccole percussioni

Debora Mancini / attrice

Lara Quaglia / attrice circense

 

produzione RealtàDeboraMancini

 

Consigliato per un pubblico dai 4 anni

 

A San Valentino, un occhio di riguardo per tutte le coppie nei Musei torinesi

Venerdì 14 febbraio, si entra in due e ne paghi uno… di biglietto!

Nei Musei torinesi, sarà avanti tutta per le coppie, comunque esse siano formate, per il giorno dedicato alla Festa di San Valentino, venerdì 14 febbraio prossimo.

La formula si ripete a copione un po’ per tutti, ma non mancano iniziative tematiche particolari attentamente studiate per l’occasione. Intanto, per l’appunto, fil rouge comune: si entra in due con un biglietto solo. Così sarà per il Museo Nazionale del Risorgimento (via Accademia delle Scienze, 5) dove, con un unico biglietto valido per due persone, venerdì 14 febbraio si potrà accedere e visitare le meraviglie storiche ed artistiche custodite nel più antico e importante Museo dedicato al Risorgimento italiano, dalle 10 alle 18, ultimo ingresso alle 17. “Naturalmente – dicono al Museo – l’iniziativa non coinvolge solo gli innamorati, ma chiunque si recherà al Museo in coppia: fidanzati, amici, genitori e figli, nonni e nipoti…”. Alle ore 16.00 verrà inoltre organizzata la visita guidata tematica “Uomini e donne, amori e eroiche imprese” in cui la storia del Risorgimento sarà raccontata attraverso le passioni dei protagonisti che, uniti nella vita e nell’attività politica, hanno segnato le vicende storiche dell’Indipendenza e dell’Unificazione italiana. Il biglietto di ingresso costerà 10 euro ogni due persone. Quanti sceglieranno anche la visita guidata pagheranno 14 euro, sempre in due. Per info: tel. 011/5621147 o www.museorisorgimentotorino.it

“Reali Mon Amour” è invece lo slogan, per un San Valentino speciale all’insegna della cultura e del buon cibo, adottato dai Musei Reali, in Piazzetta Reale 1 a Torino. Intanto anche qui chi entrerà in coppia in uno dei prestigiosi siti inseriti nel Polo Museale costituitosi nel 2016 (Palazzo Reale, Giardini Reali, Biblioteca e Armeria Reale, Galleria Sabauda, Museo Archeologico, Palazzo Chiablese e Cappella della Sacra Sindone), per la giornata di San Valentino pagherà un solo ingresso anziché due. Ma non solo, alle 17 e alle 18, è anche in programma uno speciale percorso guidato agli Appartamenti Nuziali del secondo piano di Palazzo Reale, accompagnato ad uno sfizioso aperitivo, in Caffetteria, nella Corte d’Onore. Costo Euro 5, a persona; prenotazione al numero 011/19560449. E ancora, sempre al Caffè Reale, sarà possibile cenare le sere del 14 e 15 febbraio al prezzo di Euro 40 a coppia. Per chi si presenterà con il biglietto dei Musei Reali emesso in giornata, prezzo speciale scontato di Euro 32. Prenotazione al numero 335/8140537.

E infine “A San Valentino innamorati dell’Arte”: è questo l’invito lanciato anche quest’anno dalla Fondazione Torino Musei, che per il 14 febbraio s’allinea con le precedenti proposte, offrendo un biglietto per due per visitare le collezioni permanenti alla GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (via Magenta, 31; tel. 011/4429518), a Palazzo Madama (piazza Castello, tel. 0114433501) e al MAO-Museo d’Arte Orientale (via San Domenico, 11; tel. 011/4436932). Dall’offerta sono però escluse le mostre temporanee con biglietteria separata.

Da ricordare inoltre che fino al 16 febbraio sarà possibile fruire della “promozione speciale” di San Valentino acquistando due tessere relative all’Abbonamento Musei Piemonte Valle d’Aosta al costo di Euro 45 ciascuna invece di Euro 52. La carta permette di accedere gratuitamente e ogni volta che lo si desideri ad oltre 250 musei, residenze reali, castelli, giardini, fortezze, collezioni permanenti e mostre temporanee del Piemonte e della Valle d’Aosta aderenti al circuito (Info Piemonte – Abbonamento Musei, via Garibaldi 2, Torino; tel. 800329329).                            g.m.

 

Nelle foto
– Musei Reali Torino
– Museo Nazionale del Risorgimento Italiano
– Erulo Eroli: “Garibaldino ferito”, olio su tela, 1880 – Sala 22 Museo del Risorgimento
– Visita guidata in Palazzo Madama