CULTURA- Pagina 146

In vista della Giornata Unesco della Danza

29 aprile 2020 /Da domenica 26 aprile iniziative online per celebrare questa festa: dal Sacre du Printemps di Lavanderia a Vapore al Gala di EgriBiancoDanza

 

Ogni anno la Lavanderia a Vapore di Collegno, casa europea della danza, dedica alla Giornata Unesco della Danza un progetto collettivo sui temi della memoria e del repertorio contemporaneo, coinvolgendo scuole e gruppi di danza in un percorso formativo e performativo.

A causa dell’emergenza sanitaria, il progetto ideato per il 2020 non potrà svolgersi come immaginato, cioè con un gruppo di 400 danzatori nel parco della Villa La Tesoriera di Torino sulle note della celebre Le Sacre du Printemps di Igor Stravinsky.

Il progetto, immaginato dalla Lavanderia a Vapore a partire da un’idea del celebre coreografo belga Alain Platel, ha visto tutti i partner della RTO della Lavanderia a Vapore di Collegno (Piemonte dal Vivo, Mosaico Danza, Zerogrammi, Coorpi e Didee Arti e Comunicazioni) unire le proprie forze in vista di un evento molto speciale, che in questo momento è in attesa di riprogrammazione, appena le condizioni lo renderanno possibile.

 

Un video – disponibile sulla pagina Facebook di Lavanderia a Vapore e sul canale YouTube di Piemonte dal Vivo a partire da domenica 26 aprile alle ore 12, giorno in cui era previsto l’evento live– racconterà per la prima volta al pubblico le specificità di questo progetto, che ha visto dall’autunno scorso diverse sessioni di lavoro con i tre tutor e con circa 20 gruppi di danza coinvolti.

 

Elena Rolla di Egri Bianco Danza, Viola Scaglione di BTT e Stefano Mazzotta di Zerogrammi sono gli artisti che stanno accompagnando in questo percorso oltre 400 danzatori, provenienti da scuole e gruppi di danza molto eterogenei per età e formazione: insieme andranno a costruire un grande spettacolo di danza, sperimentando e improvvisando sul brano di Igor Stravinsky.

I gruppi che partecipano sono: Arte in Movimento a.s.d., Artédanza a.s.d., Il Gabbiano a.s.d., APID, Artemovimento Centro di Ricerca Coreografica, Asd + Sport 8, Centro Ricerca Danza a.s.d., Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani, Centro Aziza a.s.d., Centro Danza Robilant , Danzarea, Eclectica, Emozione Danza, Fondazione Egri per la Danza, Ginger Company a.s.d., Tango Prosec, LAB22 a.s.d.p.s., Nuovo steps a.s.d., Scuola del Balletto Teatro di Torino, Sowilo.

Nel video, oltre alle immagini delle prove che si sono svolte nei mesi scorsi in Lavanderia e che restituiscono la dimensione collettiva del progetto, viene presentato un intervento di Susanne Franco, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, che in passato ha collaborato con la Lavanderia proprio in relazione al tema “Danzare la memoria, ripensare la storia”. A tutti i gruppi di danza, inoltre, è stato chiesto un contributo – una parola – per definire il progetto in questo tempo “sospeso”: attraverso semplici termini, il video cerca di restituire anche questa dimensione corale, completamente annientata dall’emergenza sanitaria.

 

A seguire, alle ore 21 un’altra sessione online permetterà di partecipare al consueto appuntamento con il Gala di Fondazione Egri, inserito nella stagione IPUNTIDANZA 19/20, originariamente previsto alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino. L’iniziativa è programmata attraverso il canale You Tube Compagnia EgriBiancoDanza, con alcune produzioni video di rilievo (Coorpi e Zerogrammi) e nuove produzioni espressamente concepite per l’occasione (Balletto Teatro di Torino e EgriBiancoDanza).

 

Mercoledì 29 aprile, inoltre, la Lavanderia a Vapore aderisce all’iniziativa “continuiAMO a DANZARE”, promossa dal Centro per la Scena Contemporanea di Bassano del Grappa con il progetto Dance Well, che da un paio d’anni ha al suo attivo un gruppo anche a Collegno. L’appuntamento “virtuale” è sulla pagina Facebook del progetto Dance Well per condividere contributi di artisti e comunità che vogliono celebrare la forza della danza al di là dell’isolamento.

Da alcune settimane, inoltre, gli insegnanti della Lavanderia a Vapore insieme ai dancers hanno deciso di continuare la pratica Dance Well online, con #CitofonareDanceWell, ogni sabato mattina dalle ore 10.30 alle ore 12 (per info: info@parkinsongiovani.com).

 

Dance Well è una pratica artistica rivolta principalmente a persone affette dal Parkinson; il fine è l’arte attraverso l’espressione del proprio corpo, i partecipanti sono “dancer”, e proprio come danzatori – non come “persone con il Parkinson” – affrontano le classi di danza. Le classi sono gratuite e aperte a tutti, familiari, amici, danzatori, anziani, cittadini, studenti, in un vero momento inclusivo, poiché la “classe mista” permette la crescita collettiva, il sostegno reciproco e non emargina nessuno dei partecipanti.  Dal 2018 la Lavanderia a Vapore di Collegno accoglie questa avvincente progettualità con la collaborazione e il supporto dell’Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani e della Fondazione Torino Musei. Contribuisce alla crescita dell’esperienza artistica facendola seguire dalla pratica di filosofia, condotta da Propositi di Filosofia. Un momento dedicato al dialogo, grazie al confronto sui contenuti generati dalla pratica di danza contemporanea.

 

La Giornata Mondiale della Danza, decretata dall’Unesco nel 1982, viene celebrata in tutto il mondo per richiamare l’attenzione sull’arte della Danza, linguaggio universale che unisce i popoli al di là di confini e differenze di qualsiasi natura. Durante la giornata, tradizionalmente celebrata il 29 aprile, si attivano e si moltiplicano eventi e manifestazioni di ogni genere, a dimostrare che la danza ha molti aspetti e declinazioni, sia nell’ambito dello spettacolo sia nella tradizione popolare e sociale.

Il senso della Libertà

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Questo 25 aprile 2020 lo ricorderemo a lungo. La Festa nazionale della Liberazione da settantacinque anni ci ricorda da dove nasce la Repubblica Italiana e soprattutto grazie a chi il nostro paese ha riacquistato, oltre alla dignità, la libertà e la democrazia. Per troppi anni è stata relegata, oltre ad un giorno di festa da scuola e dal lavoro, a cerimonia istituzionale ristretta ai rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni della resistenza, ai partigiani ed i loro famigliari ed a quanti, una minoranza, hanno sempre avuto una forte sensibilità democratica.

Con il passare degli anni e con la naturale e fisiologica scomparsa dei protagonisti di quello straordinario periodo è sorto il problema di tramandare la loro esperienza e valori e di coinvolgere le giovani generazioni. Periodicamente abbiamo assistito a tentativi revisionistici da parte della destra neofascista o ex fascista e da qualche storico di sinistra o presunto tale. Anche quest’anno, perdendo l’occasione di dare un segno di maturità quanto mai necessario in una situazione emergenziale da destra è arrivata la proposta di dedicare il 25 aprile alle vittime del Corona Virus. Proposta tanto irricevibile quanto idiota. L’ipocrisia porta a non avere il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome.

Se si fosse mantenuto lo spirito e la composizione delle forze che hanno animato le formazioni partigiane il 25 aprile sarebbe stata vissuta con una partecipazione e condivisione se non unanime, impossibile, certamente in misura decisamente maggiore. Voglio ricordare che nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e nelle formazioni partigiane c’erano rappresentanti socialisti, comunisti, cattolici democratici, liberali, repubblicani, monarchici ed azionisti. Quindi, mi riferisco specialmente ad una parte della sinistra che ha cercato di appropriarsi della “resistenza”, la Resistenza non era e non è di una parte sola, ad essa hanno partecipato, dando sostegno e copertura, operai, impiegati, contadini, civili, preti e suore e molti rappresentanti delle forze dell’ordine. Per chi fosse interessato c’è una bella pubblicazione del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri sul ruolo dei Carabinieri durante la lotta di Liberazione. Un altro elemento da confutare è quello della territorialità, si è svolta solo al nord dell’Italia. Chi lo sostiene dimentica o fa finta di dimenticare lo sbarco alleato, la “ linea gotica” e l’Italia divisa in due. Problema risolto dalla folta e numerosa, molte migliaia, presenza di meridionali nelle formazioni partigiane. Uno su tutti il comandante del CLN che liberò Torino, Pompeo Colajanni, nome di battaglia “Barbato”, siciliano, ufficiale della cavalleria. Sul ruolo e sulla partecipazione dei meridionali alla lotta di liberazione voglio ricordare il convegno organizzato dal Consiglio Regionale del Piemonte il 16 giugno 2013 al Teatro Carignano a Torino.

Per concludere su di un altro elemento, spesso riproposto, quello degli esigui numeri dei partigiani, rammento che alla lotta di Liberazione hanno contribuito sicuramente le formazioni partigiane, i molti civili, ed, non si possono dimenticare e lo sono stati per troppo tempo, i seicentomila internati militari italiani (IMI) che rifiutarono di combattere per la repubblica di Salò e preferirono i campi di concentramento pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane e privazioni. Tutto questo è la storia passata e recente ma la vera particolarità, che mi ha fatto riflettere, di questo 25 aprile è l’essere tutti “prigionieri” in casa da quasi due mesi. Festeggiare la Liberazione stando chiusi in casa, segregati quasi volontariamente, un ossimoro, per combattere un nemico invisibile e quindi più subdolo, non può che fare riflettere sul senso e sul valore della libertà. E’ proprio vero che una cosa l’apprezzi molto di più quando non ce l’hai, quasi, più o ti viene a mancare. Forse è per questo senso di privazione, di mancanza, che ci sono state un numero straordinario di manifestazioni e di iniziative con una partecipazione e condivisione che ci dà la percezione tangibile di essere liberi pur essendo “prigionieri” e segregati. La libertà e la democrazia sono, insieme alla Costituzione, i più importanti dei grandi “regali” che ci hanno portato la Resistenza e la lotta di liberazione.

Terragni, quando l’architettura italiana era internazionale

Il 18 aprile del 1904 nasceva a Meda, in Brianza, Giuseppe Terragni, universalmente riconosciuto come il principale esponente del Razionalismo Italiano, vale a dire la corrente architettonica sviluppatasi in Italia nella prima metà del secolo scorso in stretto collegamento con il Movimento Moderno internazionale, seguendo i principi del Funzionalismo.

Quella che in Italia viene banalmente considerata come “architettura fascista” era in realtà la risposta ad una tendenza ovunque diffusa che trovava le sue radici teoriche nella romanità del De Architectura di Vitruvio e nel Rinascimento con le teorie di Leon Battista Alberti. Allo stesso tempo rappresentava il desiderio dei giovani architetti di superare il periodo del Neogotico e dell’Art Nouveau che ormai avevano fatto il loro tempo…

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Terragni, quando l’architettura italiana aveva un ruolo internazionale

“La Benedicta – Pasqua di sangue del 1944” online al Polo del ‘900

La Benedicta – Pasqua di sangue del 1944”è il titolo del video-spettacolo in due tempi che Gian Piero Alloisio, collaboratore storico di Giorgio Gaber e Francesco Guccini, ha registrato a casa e che si può vedere sul sito del Polo del ‘900 (https://www.polodel900.it/25-aprile-2020-festa-della-liberazione/).

 Lo spettacolo, realizzato con il sostegno del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte, in collaborazione con il Polo del ‘900, ricostruisce gli avvenimenti che portarono al più grande eccidio di partigiani combattenti della lotta di Liberazione.

La storia è ambientata nel 1959 e racconta del musicista partigiano Angelo Rossi, che nel dopoguerra divenne direttore dell’orchestra di Don Marino Barreto Junior, cantante cubano di grande successo. Angelo Rossi ricorda di quando era il partigiano “Lanfranco” e, alla Cascina Grilla, scrisse la sua prima canzone, nell’aprile del ‘44. Una sera in cui aveva il turno di guardia, il Comandante “Cini” gli diede un testo da musicare. Così nacque una delle poche canzoni partigiane interamente originali nel testo e nella musica: “Dalle belle città” o “Siamo i ribelli”, inno della Benedicta. Il video-spettacolo è diviso in due tempi per facilitarne la fruizione agli studenti e comprende testi scritti da Gian Piero e Giorgio Alloisio, canzoni partigiane e canzoni d’autore, testimonianze di partigiani (Pasquale “Ivan” Cinefra, Giuseppe Merlo) e di ex deportati (Gilberto Salmoni).Riprese e montaggio di Chiara Alloisio. Si ringrazia l’Associazione Memoria della Benedicta. Gian Piero Alloisio parteciperà anche alla grande Maratona Web del 25 aprile con il video della canzoneDalle belle città. La diretta social (#Torino25aprile) potrà essere seguita a partire dalle ore 10.00 sui sitiwww.comune.torino.it,www.cr.piemonte.itwww.lastampa.it.

Marco Travaglini

Torino non è Buenos Aires. Ballario racconta i bassifondi subalpini

L’autore è ancora Giorgio Ballario e il titolo “Torino non è Buenos Aires” già intriga fin dalla copertina, sulla quale compare una bella immagine delle Porte Palatine in notturna…

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Torino non è Buenos Aires. Ballario racconta i bassifondi subalpini

 

Amedeo Modigliani e Jeanne Hébuterne, uniti dall’arte, dalla vita e dalla morte

A Cent’anni dalla scomparsa 

All’alba del 24 gennaio 1920 si spegneva all’ Hôpital de la Charité, in preda al delirio causato dalla meningite tubercolare, Amedeo Modigliani. Aveva 35 anni e la sua breve e intensa esistenza, minata dalla malattia fin dagli anni dall’adolescenza, era stata consumata dal delirio artistico, dall’alcol e dalle droghe.

 

Jacques Lipchitz, scultore lituano, amico di Modigliani, così racconta gli ultimi istanti di vita e la morte dell’artista livornese: “Era stato portato all’ospedale, e il giorno dopo se ne era andato. Ci dissero che mentre lo trasportavano all’ospedale, continuava a ripetere: «Italia, cara Italia!» e che negli ultimi momenti di coscienza lottò disperatamente per tenersi in vita, balbettando versi nel delirio. E poi giunse la tragica notizia del suicidio di Jeanne Hébuterne. Era incinta di quasi nove mesi di un altro figlio di Modigliani, e quando arrivò nella camera mortuaria dell’ospedale si gettò su Modigliani, coprendone il viso di baci. Lottò con gli inservienti che volevano trascinarla via, sapendo quanto fosse pericoloso per lei, che era incinta, toccare le piaghe aperte che coprivano il viso di lui. Era una strana ragazza, esile, con un lungo viso ovale che sembrava quasi bianco più che roseo, e i capelli biondi raccolti in lunghe trecce: mi colpì sempre il suo aspetto molto gotico. Jeanne Hébuterne andò da suo padre, era stata ripudiata, perché viveva con Modigliani e si gettò dal tetto della casa. La famiglia si oppose a che fosse sepolta accanto a Modigliani, ma credo che in seguito siano stati riuniti”.

 

Al dramma della scomparsa di Modigliani era seguito infatti quello del suicidio della sua compagna, la ventunenne Jeanne Hébuterne, che si era gettata dalla finestra insieme al bambino che portava in grembo, lasciando orfana di entrambi i genitori l’altra figlia Jeanne.

A cento anni di distanza da quei giorni la storia della vita e dell’opera di Amedeo Modigliani continua a conservare un fascino profondo. Possiede, infatti, tutti gli ingredienti di un grande affresco romantico: la bellezza e la giovinezza del protagonista che è artista geniale, colto, brillante, demiurgo di figure e di volti di pietra e di colore, uomo sregolato e dalle passioni sfrenate, destinato ad autodistruggersi, lasciando il posto alla grandezza della sua arte. A questi si devono aggiungere la malattia, spesso trascurata, le condizioni di vita nelle quali si alternavano momenti di benessere a lunghi periodi di indigenza, le numerose storie d’amore con donne diverse e l’incontro con la giovanissima Jeanne Hébuterne, sua compagna nella vita e nella morte, la bohème vissuta insieme ad altri sfortunati geni, primi fra tutti il francese Maurice Utrillo, figlio della modella e pittrice Suzanne Valadon e il lituano Chaïm  Soutine.

In questa esistenza intensa, bruciata in un soffio e consumata sul filo del rasoio, Amedeo Modigliani crea un’arte personalissima che si discosta da qualsiasi scuola dell’epoca, un’arte popolata di figure scolpite e, molto più spesso, a causa delle complicazioni che la polvere della pietra causava alle sue vie respiratorie già minate dalla tubercolosi, dipinte, donne e uomini dai colli lunghi che fissano lo spettatore dalla tela con occhi magnetici, sognanti, profondi e bui come tunnel che possono portare in altre dimensioni, in altri mondi.

Il pittore Léopold Survage, ritratto nel 1918 da Modigliani con un occhio vivo e uno accecato, chiese all’amico perché lo avesse raffigurato così e si sentì rispondere “Ti ho dipinto così perché con uno guardi il mondo, mentre con l’altro guardi dentro di te”.

Se ancora oggi, dopo secoli di studi, ricerche, analisi, le donne di Leonardo Da Vinci continuano a distinguersi per il mistero racchiuso in un sorriso, in un’espressione, in un gesto, le figure di Modigliani che, in apparenza possono sembrare cariatidi lontane e irraggiungibili, sono, in realtà intensamente vive e estremamente umane. E’ come se l’artista avesse catturato un po’ della vita del suo modello e l’avesse trasfusa nell’opera. Del resto molti dei suoi modelli affermarono che farsi ritrarre da Modigliani era come “farsi spogliare l’anima”.

 

I ritratti dell’amico Chaïm  Soutine, di Léopold Zborowski, di Beatrice Hastings, di Jeanne Hébuterne, i tanti nudi posseggono un’identità forte, vivono di vita propria, raccontano la storia di un’esistenza, ma, al tempo stesso, alludono a qualcosa di più profondo, evocano un mondo di sentimenti e di emozioni profondi, estremamente personali. E’ come se Modigliani non si fosse accontentato di dipingere volti e corpi, ma avesse chiesto ai protagonisti dei suoi quadri di svelare la parte più intima e nascosta di sé. Se nei ritratti di Van Gogh molto spesso sono i sentimenti universali a essere evocati attraverso il disegno e la pittura, se in “Alle Soglie dell’Eternità” non è un vecchio ad essere immortalato, ma è la Disperazione stessa a posare, in Modigliani il modello si fa completamente dipinto: corpo, pensiero e anima diventano immagine.

Non dimenticherò mai il funerale di Modigliani. Amici, fiori, i marciapiedi affollati di gente che chinava il capo in segno di dolore e di rispetto. Tutti sentivano nell’intimo che Montparnasse aveva perduto qualcosa di prezioso, qualcosa di molto essenziale. Kisling e Moricand, un amico, tentarono di fare la maschera mortuaria di Modigliani. Ma la fecero assai male e vennero a chiedermi aiuto con una quantità di pezzi rotti di gesso cui aderivano frammenti di pelle e capelli. Ricomposi i frammenti e, poiché mancavano molti pezzi, dovetti sostituire le parti mancanti alla meno peggio. Feci tuttavia dodici calchi di gesso, che furono distribuiti tra la famiglia e gli amici di Modigliani. Quando morì, Modigliani era tutt’altro che sconosciuto. Parigi era piena di gente strana e sconcertante, molti dotati di talento e alcuni di genio, ma egli eccelse sempre su tutti. E tra noi la sua fama di pittore si era affermata, benché, come già ho detto, solo nel 1922 egli cominciasse a essere noto su un piano internazionale” così Jacques Lipchitz prosegue nella sua testimonianza, descrivendo le immagini del funerale di Amedeo Modigliani.

L’artista venne sepolto al Cimitero del Père-Lachaise, il luogo dove erano destinati a riposare i personaggi illustri, distante da Montmarte e Montparnasse, i quartieri in cui si era mosso e era tramontato, vinto dalla malattia, il genio di Modì.

E Jeanne? Gli Hèbuterne, disapprovando la sua relazione con l’artista italiano, decisero di tumularla nel cimitero parigino di Bagneux, ma nel 1930 permisero che la salma venisse trasferita nel cimitero del Père Lachaise nella stessa tomba di Modigliani. La ritroviamo evocata da un epitaffio “Compagna devota fino all’estremo sacrifizio”. Ma Jeanne è stata molto di più, è stata modella, musa e, a sua volta pittrice di figure femminili, in particolare della sua, in questo molto simile a Frida Khalo.

Nel dipinto “Suicida”, datato presumibilmente 1920, si dipinse in una stanza, riversa su un letto bianco, con i capelli ramati sciolti, il corpo abbandonato e il ventre gonfio sanguinante per un colpo di pugnale. Un presagio forse di quello che la attendeva o la ferma decisione di non separarsi da Amedeo nemmeno in morte. Ricorre il centesimo anniversario anche della morte di Jeanne Hèbuterne, la donna che alla vita e all’arte preferì un’altra strada.

 

Barbara Castellaro

 

 

Vita

La Poesia / Vita

Serve davvero essere attivi durante questa tragicommedia dotata di qualche momento di suspense?

Quanto è utile che il cuore pulsi in continuazione se mai ne comprendiamo davvero il valore e mai usufruiamo di questa sua offerta sprezzante?

Come può la vita essere decisa da una nota, una falce o un dittatore…

La svolta è veramente una crescita personale oppure un rinfrancarsi dell’anima che sancisce la verità amara che lievemente carpiamo durante un conto alla rovescia, a cui affidiamo il compito di appassire le nostre capacità ad una ad una?

Luca Testa

Il torinese che rattoppa il Santo Sepolcro

In missione, da Venaria Reale a Gerusalemme. Una missione molto speciale, unica, affascinante, da brividi. Restaurare l’interno del Santo Sepolcro, rimettere in sesto il pavimento di duemila anni fa composto da grosse pietre calpestate nei secoli da sovrani, imperatori, papi, crociati, sultani e califfi, nonché da milioni di turisti

Uno straordinario lavoro di rattoppo interrotto dall’emergenza virus ma che presto riprenderà. Almeno così spera l’architetto Stefano Trucco, responsabile del Centro conservazione e restauro della Venaria Reale che guida la spedizione in Terra Santa insieme agli archeologi dell’Università La Sapienza di Roma.

“Se tutto andrà bene, confida Trucco, riprenderemo i lavori a settembre. Purtroppo le conseguenze del virus hanno portato alla chiusura totale della basilica. Noi abbiamo lasciato Israele alla fine di febbraio e ora l’ingresso è vietato anche ai custodi, a padre Pizzaballa e al Custode di Terra Santa padre Patton”. La prestigiosa istituzione venariese si occuperà dello studio preliminare e del restauro del pavimento della Basilica che la tradizione cristiana identifica come il luogo dove Gesù Cristo venne sepolto dopo la crocifissione e dove avvenne la Resurrezione. I lavori di restauro del Santo Sepolcro di Gerusalemme sono fermi da quando il coronavirus ha colpito anche Israele. Stefano Trucco, veneziano ma torinese da decenni per motivi di lavoro, ha il delicato compito di riportare all’antico splendore la chiesa di Costantino il Grande. Per Trucco e la sua equipe si tratta di un’impresa straordinaria: sistemare la pavimentazione interna alla Basilica che racchiude il sepolcro di Cristo dentro l’Edicola. Il pavimento è oggi molto malmesso, con lastroni mancanti e pietre sconnesse che rendono disagevole il percorso. Un intervento eccezionale: ogni pietra, vecchia di secoli, verrà datata e mappata, ed è stato scoperto che ci sono ancora pietre che risalgono al 325, al tempo in cui Costantino fece edificare la prima chiesa sui luoghi della Passione di Gesù. Un lavoro reso ancora più complesso dalla presenza massiccia e continua dei pellegrini che possono visitare la basilica dal mattino fino alle otto di sera. Poi tocca alle tre comunità cristiane, la Custodia di Terrasanta, il Patriarcato armeno e il Patriarcato greco-ortodosso, ripulire il pavimento spargendo petrolio e risistemare l’intero ambiente. Finite le pulizie di rigore entrano in scena gli Indiana Jones di Venaria che però hanno a disposizione soltanto tre-quattro ore perchè a mezzanotte ripartono le funzioni religiose dei cristiani, una comunità alla volta, che proseguono tutta la notte. I lavori saranno finanziati dalle tre principali comunità cristiane presenti all’interno del Santo Sepolcro: i due Patriarcati, greco-ortodosso e armeno e la Custodia di Terrasanta.

Filippo Re

“World Press Photo 2020”: annunciati i vincitori. Prima tappa italiana a Torino

In autunno / Fra i premiati anche il fotografo torinese Fabio Bucciarelli e il cuneese Nicolò Filippo Rosso

Lo scatto cristallizza, con intensa forza emotiva, l’immagine di un ragazzo illuminato dalle luci dei telefoni cellulari che, durante una manifestazione in Sudan, incredibilmente recita ad alta voce una poesia di fronte a una folla entusiasta e plaudente. Titolata “Straight Voice” e realizzata dal fotografo giapponese Yasuyoshi Chiba dell’Agence France-Press è questa la foto vincitrice di “World Press Photo of the Year 2020”, il più grande concorso di fotogiornalismo al mondo, nato ad Amsterdam nel 1955 “per tutelare la libertà di informazione, inchiesta e espressione come diritti inalienabili e promuovere il foto-giornalismo di qualità”.

In anteprima la foto di Chiba potremo ammirarla de visu nella mostra dedicata al prestigioso concorso e che vedrà la sua prima esposizione in Italia proprio a Torino negli spazi dell’Ex Borsa Valori (via San Francesco da Paola, 28) concessi dalla torinese Camera di Commercio all’“Associazione Cime – Culture e Identità Mediterranee” che organizza la tappa sabauda. Periodo previsto, fatti sempre i debiti conti con l’attuale emergenza sanitaria, il prossimo autunno. A partire dal 18 settembre. Complessivamente sono stati 2020 i lavori esaminati dalla giuria internazionale a firma di 4282 fotoreporter, provenienti da 125 Paesi per un totale di 73.996 immagini. E proprio nei giorni scorsi sono stati annunciati i 44 fotografi finalisti provenienti da 24 Paesi, fra cui sei italiani: Alessio Mamo, Daniele Volpe, Lorenzo Tugnoli, Luca Locatelli, Fabio Bucciarelli e Nicolò Filippo Rosso. Da segnalare in modo particolare, accanto alla sopra citata foto del giapponese Chiba, quella del francese Romain Laurendeau, aggiudicatosi il “World Press Photo Story of the Year” con un lavoro sul disagio della gioventù algerina. Tra i sei italiani sul podio anche Fabio Bucciarelli, torinese classe 1980, secondo premio nella sezione “Categoria general news, storie” con un servizio realizzato per “L’Espresso” sulle proteste in Cile, iniziate a ottobre 2019 dopo l’approvazione di una legge sull’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana della capitale e proseguite per denunciare soprattutto le forti disuguaglianze economiche e sociali del paese. Il cuneese Nicolò Filippo Rosso è giunto, invece, terzo nella sezione “Categoria contemporary issues, storie” con un lavoro sugli effetti della crisi politica e socio-economica in Venezuela e sulla migrazione dei venezuelani in Colombia.


A proposito della mostra che, incrociando le dita, si organizzerà a settembre nel capoluogo piemontese, così spiega il presidente di “Cime”, Vito Cramarossa: “Quest’anno, più che mai, il nostro lavoro è messo a dura prova dalla situazione legata alla pandemia, da un punto di vista sia organizzativo sia economico, come d’altronde quello di tutte le aziende creative che lavorano nell’ambito della cultura e degli eventi.  A tal proposito, ci impegneremo per tutelare i visitatori della mostra». Per questa ragione, “ritengo che mai, come in questo momento, la cultura necessiti del sostegno da parte delle istituzioni e dei partner privati.  In Piemonte la Camera di Commercio di Torino ci è stata sempre vicino comprendendo il valore della mostra e ospitandoci nella Ex Borsa Valori, così come il Comune di Torino che ci ha concesso negli anni alcuni spazi per comunicare la mostra e il primo anno ospitandoci al Mastio della Cittadella. Oggi, ancor più di ieri, politiche culturali lungimiranti e una forte sinergia pubblico-privato potranno permetterci di sostenere, programmare e garantire la presenza di una mostra internazionale la cui presenza non è del tutto scontata, ma soprattutto di rilanciare tutto il comparto culturale piemontese”.

g. m.

Foto di:

– Yasuyoshi Chiba
– Romain Laurendeau
– Fabio Bucciarelli
– Nicolò Filippo Rosso

Nuova vita per i Musei e i giardini reali

L’ estate porterà nuovi allestimenti ai Musei Reali. Il mese di maggio (se ancora non sarà possibile la riapertura) servirà a riattivare il  cantiere dei Giardini

Una volta terminati i lavori verranno posizionate nuove grandi fioriere.

Per quanto riguarda i programmi, come anticipa il quotidiano La Stampa, alla riapertura si terranno corsi di acquerello all’aperto  e percorsi sensoriali guidati  da esperti tra piante secolari  e  fiori. Per la fine dell’estate è prevista l’inaugurazione  dei  giardini di levante, quelli che si affacciano  su viale dei Partigiani.

 

(foto: il Torinese)