In pochi ricordano l’impresa di un montanaro che sfidò le onde della Manica per amore della libertà, risultando il primo uomo al mondo ad attraversare a nuoto quel tratto di mare di 34 chilometri che separa la Gran Bretagna dall’Europa continentale e collega il mare del Nord all’oceano Atlantico
Non passa giorno senza che la Tv trasmetta le immagini delle varie odissee dei migranti che, sfuggendo da guerre e povertà, cercano di valicare i confini europei dal canale di Sicilia alle isole greche fino al passaggio della Manica, da Calais a Dover, in un drammatico viaggio della speranza o della disperazione. In pochi ricordano però l’impresa di un montanaro che sfidò le onde della Manica per amore della libertà, risultando il primo uomo al mondo ad attraversare a nuoto quel tratto di mare di 34 chilometri che separa la Gran Bretagna dall’Europa continentale e collega il mare del Nord all’oceano Atlantico. Si chiamava Giovan Maria Salati ed era nato nel 1796 in Valle Vigezzo, a Malesco, oggi comune di 1.474 anime nel VCO, al confine nord del Piemonte, nel Parco Nazionale della Val Grande.
Figlio di Domenico e Anna Maria Salati, a sedici anni – dopo aver lavorato, come molti suoi compaesani, fin dalla più tenera età, come
spazzacamino, si arruolò nell’armata italiana che faceva parte della Grande Armée di Napoleone Bonaparte, in cerca di fortuna. Iniziò, così, la sua avventura, agli ordini del generale di divisione Domenico Pino. Negli anni successivi, imbarcatosi sulla “Belle Poule”, fregata della flotta francese, come fuciliere di marina, combatté a Waterloo dove, ferito, venne fatto prigioniero e recluso a Dover, su un vecchio pontone inglese (una sorta di enorme chiatta galleggiante). Il 16 agosto 1817, il ventunenne fuciliere di marina decise che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di prigionia: durante la notte si gettò in acqua dirigendosi, a nuoto, verso la costa della Francia, lasciandosi alle spalle le “bianche scogliere di Dover”. Il giorno dopo arrivò sulle spiagge francesi da uomo libero che, per primo, aveva attraversato la Manica. Così, beffando gli inglesi, un montanaro piemontese che aveva imparato a nuotare nei pomeriggi estivi nelle acque gelide dei torrenti alpini, aveva compiuto un’impresa che gli valse un primato, motivata da uno straordinario e quasi imperioso gesto di libertà. Senza saperlo, Giovan Maria Salati dava, così, una precisa identità alla figura del fondista e del maratoneta del nuoto. Il resto della sua vita la passò in Francia. Trovato lavoro a Parigi presso alcuni parenti che avevano fatto fortuna come fumisti, da semplice spazzacamino, diventò lui stesso fumista impresario. Nel 1850 si trasferì a Soissons e, successivamente, al seguito del figlio prete, dimorò in varie parrocchie per poi morire, ultra ottantenne, in quella di Saint-Brice-sous-Forêt, non distante da Parigi. La storia di questo leggendario vigezzino, soldato di Napoleone e nuotatore per spirito di libertà, è stata raccontata nel libro “Giovan Maria Salati. Una beffa che fruttò il primato”. Si tratta di un bel volume, ricco di illustrazioni, scritto dopo lunghe e minuziose ricerche dal conterraneo del Salati, Benito Mazzi. Il comune di Malesco, ricordandone la figura, gli ha dedicato una mostra permanente, ospitata presso ilo storico lavatoio, vicino alla Chiesa,con pannelli illustrati recanti la storia del Salati.
Marco Travaglini
Il Tribunale di Torino ha ammesso il ricorso di una ventina di cittadini contro l’Italicum e lo ha inviato alla Corte costituzionale
STORIE DI CITTA’ /
Torino negli anni ’70 era ancora una città in sviluppo. Uno sviluppo caotico, oserei dire selvaggio, ma pur sempre sviluppo. Il massimo della popolazione raggiunta con oltre 900.000 aventi diritto. Fino alla metà degli anni governava la città il centro sinistra di allora (Democristiani e socialisti) e si succedevano crisi di giunta, scimmiottando il governo nazionale. Nel febbraio 1975 i comunisti di barriera di Milano, in accordo con la Federazione provinciale organizzarono un “cordone sanitario” tra la vecchia e nuova Falchera per impedire l’occupazione delle case in fase di ultimazione. Erano contrari alla lotta tra poveri perchè gli occupanti avrebbero portato via l’alloggio ai legittimi assegnatari. Partecipai al picchettaggio, ancorché minorenne, anche nelle gelide notti con la totale disapprovazione di mio padre che mi ripeteva: prima ti laurei e poi fai la rivoluzione. Viceversa c’era chi organizzava le occupazioni. Lotta Comunista, Lotta continua e tutti i gruppettari (da noi chiamati così in modo dispregiativo), dicevano: disarticoliamo il sistema…Dopo una settimana fummo letteralmente travolti dagli occupanti che presero possesso degli alloggi senza luce ed allacci fognari . Con la totale assenza delle forze dell’ordine. Si è compiuta la guerra tra poveri, ed il nostro intervento, almeno in quella circostanza, fu inutile. la Storia si può ripetere? Probabilmente no, visto che cambiano le condizioni, soprattutto dopo 40 anni. Ma ci possono essere similitudini con conclusioni analoghe. Locare è una lodevole iniziativa dei comuni “figlia di un accordo” e relativa legge tra le organizzazioni degli inquilini e dei proprietari datata 2002, attuato anche al Comune di Torino. Rinnovato nel 2013. Prevede un contributo sull’affitto ai proprietari per evitare morosità incolpevoli. Più sono lunghi gli anni contrattuali più è consistente il contributo. Ottima la partenza che ha determinato un incontro tra inquilini e proprietari. Nel corso del tempo si sono allungati i tempi di erogazione pubblica dei contributi. La crisi ha notevolmente aumentato gli sfratti per morosità, ed il comune per evitare tensioni sociali ha chiesto al Tribunale di rinviare l’intervento degli ufficiali giudiziari. Dilatando i tempi anche delle esecuzioni. Con il pronto intervento dei nostri novelli “rivoluzionari” ora di matrice anarcoide, con l’obiettivo del caos sociale. Rispetto a 4 o 5 anni, attualmente si può arrivare fino a 15-18 mesi. Ipotizzando un affitto medio di 500 euro si arriva ad un danno di 7500 -10000 euro per il locatore. Generalmente un ex lavoratore dipendente, ora in pensione che si è comprato, con i sacrifici di una vita due alloggi, uno dove abitarci e l’altro per integrare il reddito della pensione. Sicuramente non un benestante o addirittura ricco. Ecco il ritorno della guerra tra poveri, in altre forme e modi. Sicuramente mancano le risorse necessarie per l’edilizia popolare, ma qualcosa il Comune può fare. Ad esempio utilizzare gli alloggi non affittati dalle coop edilizie, velocemente selezionando i possibili aventi diritto. Operazione possibile con una adeguata convenzione con le coop stesse. Burocrazia permettendo. Sicuramente qualcosa deve fare, il comune di Torino. Dimenticavo….nel giugno del 1975 inaugurando la stagione del governo della sinistra che (per brevi interruzioni) ha contraddistinto la nostra città Novelli racconta che la sera della sua elezione dovette finire velocemente cena perchè il Municipio era stato occupato dai senza casa. Decise di istituire un apposito assessorato alla casa. Non so che cosa dovrà fare il futuro Sindaco, ma qualcosa dovrà fare.
LA VERSIONE DI GIUSI /