Conviene partire dal suicidio finale del centrodestra subalpino. "Tanto si perde": non è lucida rassegnazione quanto un imperativo morale e una dottrina strategica

Tanto si perde. Anatomia dello psicodramma, dalla crisi del Lungo al suicidio del centrodestra

AVVISTAMENTI / di EffeVi

Poi ci sono i revenants e i grillini che leccano il gelato. Mentre i provvidi leghisti, che hanno appena eletto un giovane di occhio svelto come Riccardo Molinari, lasciano che a Torino scorra il sangue e si concentrano per vincere, da soli, nella città-simbolo di Novara

chiampafassino

Per capire qualcosa della incerta partita in corso a Torino, intanto conviene partire da lì, dal suicidio finale del centrodestra subalpino. “Tanto si perde”: non è lucida rassegnazione, quanto un imperativo morale, una dottrina strategica, uno specchio del principe per gli ultimi berlusconiani.

Intanto, va ricordato, non necessariamente si perde: ancora a dicembre tutti i sondaggi davano Fassino in testa, i grillini secondi a un’incollatura dal centrodestra, purché unito: ovvero, ballottaggio con esiti finali consegnati al riporto tra Torinesi non fassiniani, che restano maggioranza .

FASSINO BABBO NATALEPiero Fassino è un uomo che non si spaventa facilmente: giganteggia sulla mediocrità del PD locale e, con la sua squadra di inossidabili ex-Pci anni ’80 (incarnata plasticamente dall’onnipresente Giancarlo Quagliotti, storico ufficiale di collegamento tra il partito e mondi importanti come la Fiat e il gruppo Gavio), sta tenendo faticosamente sulle sue spalle un sistema al limite dell’implosione. Il modello dell’età aurea di Chiamparino ha il fiato corto: un modello, potremmo dire, “cosmetico”, fondato sul governo del consenso attraverso i circenses, sull’utilizzo sapiente dell’orgoglio provinciale dei Torinesi e sulla robusta penetrazione della politica nella società: oggi il sindaco di Torino, tra la macchina comunale, le 32 società partecipate e gli 86 enti e fondazioni controllate, è di gran lunga il principale datore di lavoro nell’area metropolitana; di qui discendono anche i rapporti necessariamente incestuosi intorno ad appalti e servizi pubblici, con una serie di infortuni e scandaletti che hanno fatto scrivere abbondantemente, appunto, di un “sistema Torino”gazebo forza italia

Un sistema che, con l’asciugarsi dei trasferimenti per grandi eventi, è oggi al collasso. Neanche la più brillante campagna di comunicazione potrebbe coprire ulteriormente i primati negativi di Torino: caduta del PIL, prima città in Italia per debito finanziario, seconda per sfratti, al primo posto nel Nord per disoccupazione giovanile, quarta in Italia per reati in generale, con una qualità della vita in discesa per criminalità, scarsa coesione sociale, depauperamento della forza lavoro.

mole rosa 2015La prossima fine del sistema Torino è avvertita in maniera molto chiara, visto che pezzi dell’establishment si stanno rapidamente distanziando o addirittura riposizionando, rendendo Fassino-Atlante (noto come “il Lungo”) sempre più ansioso di raccattare tutto il possibile per tentare di salvarsi senza ballottaggio.

E qui torna utile l’ultimo aiutino del centrodestra residuale, quello del “tanto si perde” – e perciò tanto vale aiutare l’amico Piero, ché con lui si ragiona. Certo, appare molto lontana l’età aurea della “concordia” come sistema di governo: i tempi delle Olimpiadi, in cui Enzo Ghigo per la Regione e Sergio Chiamparino dal capoluogo erano i dioscuri di un sistema che aveva anticipato il “partito della Nazione”, con la gestione in comune delle robuste commesse pubbliche, attraverso una rigida divisione delle sfere di influenza nell’economia e nella società piemontese. E dovranno riflettere gli adepti della dottrina, molto diffusa nell’ex-PdL, di leale opposizione di sua maestà, che per bon ton hanno evitato di ostacolare le manovre del PD sulle fondazioni bancarie, piuttosto che le varianti urbanistiche a scopo di cosmetica di bilancio. Allo stesso modo, dovranno reinventarsi professionalmente quegli esponenti politici che avevano fatto del “tanto si perde” un vero business, che comportava di solito andare a sbraitare in televisione o in piazza e poi salire in ufficio e trattare laicamente di nomine e appalti, a condizione di abbaiare molto e di non mordere mai.

napoli osvaldoLa tesi del complotto pro-Fassino ha preso quota quando i “tantosiperdisti” hanno provato a candidare contro Fassino proprio l’uomo che ne è il comprimario, ovvero il simpatico 71enne ex-deputato, ex-sindaco di un paese di valle, e mai attivo politicamente in città, come Osvaldo Napoli, tuttora presidente di una controllata di Anci. Va ricordato infatti che per questo incarico l’ex deputato Napoli riceve un compenso stabilito motu proprio – e in contrasto con il parere del CdA di Anci – dallo stesso Fassino.

Se poi aggiungiamo che esponenti storici di questo centrodestra “collaborativo”, come Michele Vietti ed Enzo Ghigo, sono passati dall’appoggio discreto al sostegno pubblico, con tanto di interviste e di candidature di amici e collaboratori nelle liste a sostegno di Fassino, diventa difficile non vedere il consolidarsi di un “partito della nazione” sotto la Mole.

Non a caso i provvidi leghisti, che hanno appena eletto un giovane di occhio svelto come Riccardo Molinari, lasciano che a Torino scorra il sangue e si concentrano per vincere, da soli, nella città-simbolo di Novara , contando di fare comunque un buon risultato (da soli o in coalizione con liste civiche) per il semplice fatto di essere i soli fuori dal gioco, guardando a destra.

rosso robertoOssia, non esattamente i soli: perché di fatto a destra si posiziona la curiosa candidatura del revenant Roberto Rosso: l’uomo che nel 2001 portò Forza Italia al 32%, arrivando vicino a sloggiare Chiamparino da Palazzo Civico, torna oggi alla guida di una strana combinazione di Udc e liste di appoggio che si collocano al centro, ma utilizzano slogan che farebbero impallidire Le Pen padre. Un’operazione che ricorda un po’ le rivolte contadine medievali: raccoglie gli esclusi, presenta rivendicazioni forti, e spera poi di essere ricevuto dal principe per ottenere concessioni ; non è infatti difficile vedere dietro Rosso l’ombra di Vito Bonsignore, che vuole a ogni costo sedere al tavolo di quelli che hanno fornito a Fassino l’aiuto indispensabile a salvarsi.

Resta da capire chi sia, in realtà, la vera novità della campagna, la candidata “sindaca” (come amanoappendino dire da quelle parti) Chiara Appendino del M5S. Già il compiacente trattamento che le riserva quotidianamente La Stampa fa pensare a Longanesi: lei la rivoluzione non la farà di sicuro, perché se non la conosciamo, conosciamo bene la famiglia e il mondo da cui proviene. Un mondo Unione Industriale e Fiat, biennio in Economia e Commercio con stage e tesi su “valutazione parco calciatori” presso la Juventus F.C. S.p.A., non proprio una multinazionale dove parentele e relazioni personali non pesino. La buona Chiara potrà esibire cappelli peruviani e targhette “no oil”, ma insomma, Torino è una città di provincia e non è difficile capire che per estrazione, censo e stile di vita, una volta scesa dal palcoscenico, la persona presenta un profilo differente da quello classico del grillino scappato di casa.

unita novelli jottiSarà per questo che un eventuale vittoria dei grillini a Palazzo Civico non spaventa più di tanto certo establishment: certo, c’è da temere un’infornata di consiglieri “analfabeti” e di assessori incompetenti (ma poi nulla che non si sia già visto). Ma la buona “sindaca”, in fondo, viene da quella Torino che, senza troppo clamore, comanda sempre e comunque; saprà tenere le redini, l’amministrazione è un fatto tecnico, avete visto a Parma. E quanto ne segue. I più vecchi ricorderanno il terrore del 1975, quando arrivò a Palazzo Civico un Diego Novelli con una maggioranza Pci dura e ferrigna. Si pensava a Cuba o al Cile di Allende: epurazioni, espropri, persecuzioni politiche e poliziesche, la gogna per i preti e i buoni borghesi. In pochi mesi si vide che erano timori infondati, che persino con i comunisti (figuriamoci con i radical-chic anni ’70 o 2.0) chi comanda davvero può ragionare. E che anzi con i comunisti è più facile intendersi perché hanno lo zelo del neofita: l’espressione, ferocemente torinese, fu: “hanno berliccato il gelato”. Per dire: sono pronti ad accomodarsi a tavola.

Ecco, l’impressione è che la candidata del M5S a Torino sia il grillismo dal volto umano, nata in un mondo dove il gelato è sempre in tavola. Forse, anche più interessante dello stesso vecchio Piero, tanto Lungo quanto logorato.