“KATAZOME”
Dal 1° al 23 dicembre
Chieri (Torino)
Dicesi “Katazome”, un processo di tintura tessile giapponese unico nel suo genere e storicamente significativo, che oggi si rinnova attraverso il lavoro di artisti contemporanei in tutto il mondo. Tradizionalmente usata per la tintura dei “kimono”, la tecnica “katazome” richiede l’applicazione di una pasta di riso resistente al colore sopra “stencils” di carta intagliati a mano (“katagami”) prima di tingere il tessuto, così da ottenere un motivo ornamentale ben definito. “Sia il ‘katazome’ che il ‘katagami’ sono tecniche tramandate nei secoli da generazioni di artigiani, la cui domanda è oggi minore rispetto al passato, ma artisti da varie parti del mondo continuano a scoprire nuovi modi di usare questa tecnica”. A parlare è l’artista giapponese, naturalizzata americana, Seiko Atsuta Purdue, docente al Dipartimento di “Arte e Storia dell’Arte” presso la “Western Washington University (USA)”, ospite, dal prossimo venerdì 1° dicembre fino a sabato 23 dicembre, del “Museo del Tessile” di Chieri, con la mostra “KATAZOME. Arte tessile giapponese da Washington a Chieri”. Prima sua mostra in Italia, Purdue esporrà a Chieri tre “pannelli d’artista”lavorati per l’appunto con questa antica tecnica originaria del Sol Levante per la stampa su tessuto. Tecnica di grande interesse, al di là dei suggestivi risultati ottenuti, proprio per la sua caratteristica di saper tradurre in chiave attuale antichi “saperi” tramandati nei secoli.

La mostra è frutto della collaborazione avviata tra “Fondazione Chierese per il Tessile” eSeiko Atsuta Purdue, con il sostegno della “Western Washington University” e grazie all’impegno della Famiglia Sicchiero di Chieri. Progettata nei minimi particolari dall’artista nipponica , è organizzata e allestita da Linda Smeins, già docente presso la medesima Università americana, in collaborazione con la presidente del chierese “Museo del Tessile” e docente all’Accademia Albertina di Torino, Melanie Zefferino. In rassegna, sarà anche in visione un “telo” di Giulia Perin, artista in residenza stabile al “Museo del Tessile” e quattro opere delle artiste statunitensi Cheryl Lawrence e Karen Illman Miller. Vi saranno inoltre otto lavoridei giovani allievi di Purdue realizzati presso l’ateneo americano: Sara Trinneer, Keely B. Sandoz, Iris Christensen, Ryan Fisher, Linsey Ha e Jude Klemmeck.
Da ricordare anche che, il prossimo anno è prevista la residenza di Seiko Atsuta Purdue al “Museo” di Chieri dove, adiuvata da Giulia Perin, terrà un workshop a numero riservato a studenti e insegnanti di discipline artistiche, desiderosi di sperimentare la tecnica “katazome”. In quell’occasione si replicheranno pure alcuni disegni scelti dall’“Archivio Storico” della Fondazione con “katagami” appositamente realizzati. Nell’apprendere l’antica tecnica di tintura giapponese, impiegando pasta di riso e coloranti naturali, alcuni dei quali ricavati proprio dall’“Orto Botanico” del “Tessile”, disegni storici reinterpretati in chiave contemporanea andranno a decorare manufatti confezionati ex novo oppure rinnovati con l’antica tecnica del “katazome” attuando un “upcycling” secondo criteri di “moda circolare e sostenibile”. L’iniziativa persegue, dunque, anche alcuni obiettivi chiave dell’“Agenda ONU 2030” per lo sviluppo sostenibile, in linea con il “Documento di Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile (SRvS)” del Piemonte.
“KATAZOME. Arte tessile giapponese da Washington e Chieri” è l’evento conclusivo del triennio 2021-2023, per il quale la “Fondazione Chierese per il Tessile” ha ricevuto da “Regione Piemonte” il sostegno riservato agli enti culturali di rilevanza.
“Un triennio – commenta la presidente Melanie Zefferino – che ha rappresentato ‘un’alba dai molti colori’ dopo il ‘buio’ della pandemia”. E prosegue: “ Con questa mostra, si vuole chiudere in bellezza un periodo impegnativo ma felicitante offrendo uno scorcio inedito sulle arti tessili e promuovere un dialogo fra culture e generazioni diverse che vada al di là dell’antica ‘Via della Seta’”.
g. m.
“KATAZOME. Arte tessile giapponese da Washington a Chieri”
Museo del Tessile (Sala della Porta del Tessile), via Santa Clara 10, Chieri Torino); tel. 329/4780542 o www.fmtessilchieri.org
Dal 1° al 23 dicembre
Orari: mart. 10/12, merc. 15,30/17,30 e sab. 14/18
Nelle foto:
– Seiko Atsuta Purdue al lavoro in studio
– “Katazome”, dettaglio


Invisibili o sottovalutate o non poco ostacolate. E’ quanto, per secoli, anche nel mondo dell’arte è capitato alle donne, considerate nell’immaginario comune tutt’al più come “muse ispiratrici” o “protagoniste” di opere immortali. Di rado come possibili artefici, loro stesse, di pagine d’arte degne di attenzione o, comunque, di rispettosa considerazione. Come sempre e in ogni caso, il prezzo da pagare per essere nate “donne”. Così anche se, nel 77 d. C., Plinio il Vecchio nella sua enciclopedica “Naturalis Historia”, già parla di eccellenti artiste greche come Aristarete e soprattutto Iaia (II – I secolo a. C.), bisogna comunque giungere fino ai secoli XVI e XVII, all’arte rinascimentale, per avere un primo e limitato riconoscimento a figure femminili che, a fatica, riescono a irrompere e a farsi largo in un ambiente fino ad allora dominato da soli uomini.
allora i “ritratti” degli anni Trenta, in pieno stile “Art Decò” della pittrice polacca Tamara de Lempicka, le delicate e forti (ad un tempo) immagini femminili della ceca, naturalizzata italiana, Felicita Frai, allieva di Funi e De Chirico, per proseguire con le opere della pittrice e filantropa Sofia di Bricherasio, della torinese Evelina Alciati (allieva di Giacomo Grosso) e della veneziana Emma Ciardi, presente con il bozzetto di un’opera esposta alla “Biennale” di Venezia. In parete, ancora, fra le futuriste: Benedetta (Beny) Cappa Marinetti, moglie di Filippo Tommaso, ideologo del movimento, Annaviva ceramista albisolese e Alexandra Exter, affiancate dalla scultrice Regina che per prima coraggiosamente lavora con plexiglass colorati. Dopo una fase di multiforme ritorno al “figurativo” di ispirazione soprattutto “casoratiana” (si vedano in particolare Daphne Casorati, Paola Levi Montalcini, Lalla Romano, fino all’espressionista Raphael Mafai) in prossimità degli anni Cinquanta molte sono le artiste che occhieggiano all’arte “astratta” (Giosetta Fioroni, fra le non poche in mostra) o alla ricerca “optical” e d’avanguardia. In rassegna anche esempi interessanti legati all’uso di “materiali inediti”: Maria Lai (che mescola scrittura e cucito) e Carol Rama (che usa gomme di bicicletta per composizioni astratte). Si chiude con le ceramiche della savonese “spazialista” Milena Milani e con le bizzarre rappresentanti della “body art” e le inquietanti “performer”. Fra tutte , la serba Marina Abramović, la “nonna della performance art”.
C’è autunno e autunno. O, per meglio dire, c’è un “Autunno” punto e basta, e ci sono “Autunni” del tutto particolari. Molto meno esaltanti. L’uno cavalca la terra, con i suoi magnifici rossi, gialli, grigi plumbei e verdi sottotono. Gli altri s’infrangono invece sull’anima come distruttive frane esistenziali, diaboliche e soffocate nella solitudine di amarezze difficili da interpretare e, ancor più, da reggere. Questo vuole, fin da subito, rammentarci il titolo, “L’Autunno. Gli Autunni”, della mostra che vede, fino al prossimo 17 dicembre, ben 45 artisti appartenenti all’ormai nota Associazione “Amici di Palazzo Lomellini” esporre nelle ampie Sale del quattrocentesco “Palazzo” di piazza Sant’Agostino. Un centinaio abbondante sono le opere esposte, realizzate nelle più svariate tecniche, e messe insieme, come sempre con certosino defaticante impegno e lodevole “occhio” critico, da Elio Rabbione. E proprio lui ci spiega le intenzionalità di una rassegna che certo vuole contemplare “la stagionalità, quindi i boschi ingialliti, le ombre più marcate e i raggi del sole che a fatica riescono a intrufolarsi nel folto”, ma pure “le sembianze più nascoste di una ‘discesa’ o di una rinuncia … di uno scavo, a tratti anche sgradito, nell’area dei ricordi, nel voltarsi indietro a cercare una speranza, a guardare fuori dalla finestra a rintracciare un po’ di luce, di un’età non più brillante e dei volti segnati dal tempo … Non molti hanno accettato questa scommessa, ma qualcuno c’è stato”. Modesto Rabbione. Perché in tanti hanno, invece, risposto alla chiamata. E allora Autunno, intenso Autunno, è la cupola di rosso acceso cui Giorgio Cestari fa chiudere lo sguardo al cielo precipitando con forza inarrestabile sul sentiero boschivo che è “Passeggiata” del
vecchio contadino accompagnato dal suo fido cane ed è Autunno di delicate, nitide ma possenti “nature morte” che ci raccontano di “Frutti” e fiori stagionali nei poetici acquerelli di Lia Laterza e di Adelma Mapelli (fondatrice del “Museo dell’Acquerello” a Montà d’Alba) che ci porta all’interno di una solida “Vigna”, pronta sotto un cielo “che mi sa che piove” alla prossima vendemmia. Di grande suggestione anche il richiamo pavesiano (“Ma per me la collina …” da “La casa in collina” del ’49) di Anna Maria Palumbo, dove i bianchi i rossi e i verdi del paesaggio fanno da ampio sipario all’architettura appena accennata di quei paesaggi collinari così cari al Cesare poeta e scrittore di Santo Stefano Belbo. Ricordi. Struggenti come quelli della giovinetta, uncinetti alla mano, che con nostalgia guarda lo spesso grigiore fuori dalla finestra, “Ricordando l’estate”, recente olio su tela di Daniela Cavaliere, allieva di Giancarlo Gasparin. Eccellente allieva, che del Maestro porta i tratti e lo spirito, così come Lidia Delloste i cui acquerelli (molto interessante “Meriggio” su carta Arches) delicatamente richiamano le cifre stilistiche di Sandro Lobalzo. E l’iter prosegue nell’articolarsi dei paesaggi un tantino inquietanti di Natàlia Alemanno, di Dario Cornero e di Paolo Pirrone, nei grovigli di boschi sapientemente “guidati” dalla mano e dal cuore di Graziella Alessiato,
così come nell’accesa narrativa espressionistica di Andreina Bertolini, di Marco Bottaro e di Giancarlo Costantino, affiancata alla minuta descrizione grafica di Bortolo Bortolaso, agli enigmatici ritratti di Fiorella Bortolaso e Valentina Garlotto, accompagnate alle sinuose memorie di vago sapore futurista di Anna Branciari. Tendono invece ad un’informale astrazione delle forme gli acrilici di Maria Brosio, le xilografie di Ezio Curletto e gli appena accennati acquerelli di Cristina De Maria come le tecniche miste di Giancarlo Laurenti, le “Betulle” di Bruno Molinaro e i “cieli” di Luisella Rolle, cui fanno da controcanto il certosino realismo di Lucia Busacca e la sottile visione divisionista di Vincenzo Del Duca. Realtà fiabesche, gli acrilici di Alessandro Fioraso e i quadri di “memoria” di Simonetta Secci. Curiosi, infine, nella necessaria selezione delle tantissime opere, i corposi “mercati” di Giacomo Samperi. Due gli scultori: Giancarlo Laurenti con i suoi “Animali fantastici” in legno alluvionale e le più classiche sculture (calchi originali della fusione in bronzo) del cuneese Maurizio Rinaudo.
In catalogo troviamo, fra le altre, una mirabile citazione dalla “poetessa dei Navigli”, Alda Merini. Citazione dedicata alla Mamma celeste: “Quando il cielo baciò la terra nacque Maria che vuol dire la semplice, la buona, la colma di Grazia. Maria è il respiro dell’anima, è l’ultimo soffio dell’uomo”. Parole semplici, che arrivano per strade a noi sconosciute a toccarti il cuore e che ben si prestano a “raccontare” la suggestiva mostra “Votivo” (o “statue devozionali”) dedicata, fino al 3 dicembre prossimo, dalla “Fondazione Giorgio Amendola” di via Tollegno alle dodici “Madonne” realizzate nell’arco di un anno dalla torinese (allieva di Italo Cremona) pittrice-scultrice-ceramista, Vera Quaranta. Estrose nella geniale minuzia dei particolari. Leggere, filiformi ma fiere e potenti nell’esibizione esteriore della “voce” e dei corpi, affidati nella loro matericità alla “consacrazione del fuoco”, cui si deve quel “bianco prevalente” e perfetto che va “oltre le naturali cromie”. Dodici in tutto. Come i mesi “o meglio – suggerisce Pino Mantovani, curatore della rassegna – come le lunazioni”. Sono ceramiche che per la dovizia degli “accessori”, ognuno con una propria identità e funzione, sono state ispirate all’artista torinese dall’interesse in lei suscitato da una bella e ricca monografia sulle antiche “Madonne lucane” pubblicata dalla stessa “Fondazione” di via Tollegno nel novembre del 2006. Terre di grande devozione religiosa, legate in particolare al culto delle Vergine Maria, i piccoli borghi lucani sono ancora oggi – con la presenza di innumerevoli Santuari “mariani”, di tradizioni di profonda fede legata ai pellegrinaggi, così come alle tante processioni che vedono portare in trono la Madre del Cristo Risorto – testimonianze concrete di una religiosità popolare che si perde nella notte dei tempi. E che mai ha dimenticato Prospero Cerabona, presidente della “Fondazione” (che è anche “Associazione lucana in Piemonte”), mentre mi racconta delle “ceramiche” esposte, con l’affettuosa sensibilità di un uomo che ha galoppato lungo gli anni senza mai perdere la passione e l’amore per la sua potentina Sant’Arcangelo, nelle valli dell’Agri. Ecco: le “Madonne” di Vera Quaranta di lì traggono
ispirazione. Tema centrale, ricorda in catalogo Pino Mantovani, “la donna, verticale e potente come una colonna, unitaria e plasticamente caratterizzata in ogni sua parte, che si completa con una testa di classica bellezza, ‘mobile’ nel senso di autonoma dal resto del corpo … monumentale pur nelle ridotte dimensioni, piena di grazia severa, espressa, oltre che nel portamento, nel dialogo con il figlio portato sul ventre, al fianco, perfino in spalla, come naturale proliferazione dal tronco di una gemma, di un ramo, di una foglia, di un fiore, di un frutto”. Maternità nell’assoluta pienezza del termine. Che non esclude la pochezza dell’umano, pur nella marcata attrazione (elementi distintivi) di certi simboli ornamentali, tanto cari all’artista. Sue le parole: “Mi ha sempre affascinato l’uso criptico dei simboli nella civiltà arcaica”. Da osservare, allora, con attenta curiosità: la “Madonna con Bambino n. 8”, con l’inserimento fotografico di un particolare della “Natività” del Ghirlandaio e applicazioni di incisioni del marito pittore Giuseppe Grosso. Non meno interessante, per restare in tema, la “Madonna delle Grazie” liberamente ispirata alla “Madonna” lignea del “Convento di San Francesco d’Assisi” di Pietrapertosa in Basilicata , arricchita con bigiotteria di stampo Liberty, accanto alla “Madonna con Bambino” con decorazioni in oro
zecchino, il cui richiamo va alla “Madonna” del “Chiostro del Monastero” di Poblet in Catalunya. E ancora: orecchini di antica fattura e forma, parti meccaniche di un vecchio orologio e ali fatte d’argento. Ricerca, creatività, bizzarrie gustose e inaspettate, ma ben ferme sul corpo di una matrice artistica di profonda e attrattiva solidità.

