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Il Biellese nelle opere di Basso al Grattacielo Piemonte

L’artista biellese presenta la sua esposizione fino al 19 gennaio prossimo negli spazi di Sala Trasparenza a Torino. Il Vicepresidente della Regione Piemonte Elena Chiorino: “ L’evento raccoglie lo spirito del Natale e i valori del territorio”.

Il Natale e il Capodanno 2024/2025 si festeggiano con l’arte al Grattacielo della Regione Piemonte: fino al 19 gennaio 2025, infatti, la Sala Trasparenza ospiterà l’esposizione “Riflessi Biellesi” di Daniele Basso.

Un’iniziativa in cui le opere dell’artista racconteranno il Biellese in un percorso simbolico a tappe, non esaustivo, ma forte di alcuni dei tratti più distintivi di un territorio ricco di eccellenze e pronto per essere scoperto a livello nazionale e internazionale.

La mostra è un’occasione per far conoscere un patrimonio di cultura, tradizione e imprenditorialità. Ospitarla nel periodo del Santo Natale significa tenere vivo il sentimento delle tradizioni e riscoprire il significato profondo delle nostre radici. Le opere di Daniele Basso raffigurano il rapporto con i valori cristiani, ma anche la capacità di produrre, di innovare e di creare il saper fare d’eccellenza. Questi eventi sono fondamentali non solo per promuovere l’arte, ma anche per stimolare l’orgoglio delle comunità locali e rafforzare i principi della nostra identità” dichiara il Vicepresidente e Assessore a Lavoro e Istruzione della Regione Piemonte, Elena Chiorino.

Un’opportunità straordinaria per raccontare il Biellese attraverso un lavoro che dura da anni – prosegue Daniele Basso – Ringrazio non solo Elena Chiorino per l’invito, ma tutto il suo staff e l’Ufficio Patrimonio di Regione Piemonte che l’hanno reso possibile. E soprattutto ringrazio i diversi attori del territorio che nel tempo mi hanno commissionato parte delle opere oggi in esposizione, permettendomi di indagare significati e valori del Biellese e di interpretarli liberamente in simboli capaci di portarli in una dimensione universale, in cui tutti noi possiamo riconoscerci”.

Riflessi Biellesi è un allestimento altamente simbolico – sottolinea l’artista – che partendo da temi di attualità come spiritualità e famiglia, montagna e accoglienza, artigianalità e imprenditoria d’eccellenza, sostenibilità e progettualità futura, racconta un territorio attraverso l’arte contemporanea ed i propri simboli. Una storia intrisa dei valori identitari della cultura italiana… cristianità, etica, morale, coscienza, lavoro, saper fare… per riflettere anche sul carattere costruttivo del Biellese, e più in generale del Piemonte. Territori dallo spirito progettuale orientato al benessere, che tra “Spiritualità” e “Saper Fare Bene”, esprimono la propria attitudine all’eccellenza. In un momento di veloce evoluzione globale, l’allestimento è la testimonianza della capacità di reiventarsi nel solco del proprio passato, ma con valori saldi e lo sguardo rivolto al futuro”.

Al Museo Miit “Gabriele Maquignaz- una vita per l’arte”

Da domenica 15 dicembre prossimo verrà esposta a Torino una selezione attenta e rigorosa di una prestigiosa collezione internazionale che unisce un centinaio di lavori del Maestro Gabriele Maquignaz, dal titolo “Una vita per l’arte-il Big Bang”, presentata nelle sale del Museo Miit di Torino. La raccolta, appartenente a un noto collezionista estero, e acquisita nel corso degli anni, comprende le opere del Maestro relative a tutta la sua ricerca sviluppata nel corso dell’ultimo ventennio, in un unicum per originalità e intensità espressiva che dagli esordi degli anni 2000 ha caratterizzato la sua produzione tra genialità artistica e spiritualità.

In particolare la mostra si concentrerà sulla serie dei Big Bang dell’artista, la più recente sperimentazione di Maquignaz, presentando una parte significativa della collezione da cui provengono. Sarà visitabile dal 15 al 21 dicembre 2024 e dall’11 gennaio al 15 febbraio 2025.

“Dalle sue ormai famosissime Porte dell’Aldilà – dichiara il direttore del Miit Guido Folco – scaturite da un taglio codificato e ragionato della tela, per permettere all’artista l’attraversamento dalla dimensione umana a quella divina, autentici e iconici passaggi dell’anima creativa da una fisicità terrena a una immaterialità sacrale, si giunge ora al ‘Big Bang’, uno sparo mistico e spirituale che ci interroga in merito alle eterne questioni morali e ancestrali dell’Uomo: la sua provenienza, la propria energia, il suo destino, la drammatica lotta tra la vita e la morte. Creando il Big Bang, sparando sulla tela e facendo esplodere il colore, Maquignaz prosegue il suo percorso sperimentale e concettuale unico e profondamente legato all’utopia della salvezza. Dopo aver attraversato le Porte della conoscenza del bene e del male, dell’esistenza nell’arte, l’artista opera ora in un’altra dimensione, quella da lui raggiunta, squarciando il velo che divide l’uomo artista dallo spirito creatore”.

Nella serie sei Big Bang, il Maestro ritrova e ricrea l’origine del tutto, ne codifica ancora una volta, com’era già avvenuto nel “Codice Maquignaz”, così ben illustrato nella splendida pubblicazione Skirà, l’evoluzione e la storia, con una coerenza concettuale e ideologica unica, stimolante e innovativa nel mondo del contemporaneo. Per questo, forse, non è azzardato dire, con le parole del noto scienziato Stephen Hawking “nella relatività non esiste un tempo unico assoluto, ma che ogni singolo individuo ha una proprio soggettiva misura del tempo, che dipende da dove si trova e come si sta muovendo”. Maquignaz sta esplorando modi nuovi dell’arte, e lo fa con la forza dell’idea, in un concetto perennemente in evoluzione tra la materia e lo spirito, quindi universale ed eterno che anticipa, completa e dà origine a tutto quanto finora espresso.

La mostra presenterà una ventina di Big Bang, tra cui alcune di grandi dimensioni, estremamente potenti nella resa cromatica e seguita, e sarà l’occasione per presentare il nuovo catalogo edito da Italia Arte, che dà il titolo all’esposizione “Gabriele Maquignaz – una vita per l’arte”.

Gabriele Maquignaz è un aartistadella Imago Art Gallery di Lugano.

Date: dal 15 al 21 dicembre 2024 e dall’11 gennaio al 15 febbraio 2025

Orari: da martedì a sabato 15.30/19.30

 

Mara Martellotta

“Retinal Rivalry”. Quando l’immagine filmica si fa “scultura”

Alle “OGR – Ex Officine Grandi Riparazioni” di Torino, tutte le potenzialità visive del cinema stereoscopico con le opere di Cyprien Gaillard

Fino al 2 febbraio 2025

Ci aveva visto lungo, nei primi decenni del Novecento, il grande (fra le figure più influenti della storia del cinema internazionale) Sergej Ejsenstein (regista sovietico, sceneggiatore, instancabile sperimentatore delle possibilità espressive del “montaggio” e autore della mitica “Corazzata Potëmkin, incubo cinematografico, anni dopo – ricordate? – del nostro Fantozzi), allorché ebbe a profetizzare il potenziale della stereoscopia come “cinema del futuro”, sottolineando la sua capacità di estendersi nello spazio reale e di ‘risucchiare’ gli spettatori, inghiottendoli e penetrandoli” in modi che il cinema tradizionale non poteva permettersi. Delle sue tesi ne è lucida riprova la mostra del francese (Parigi, 1980) Cyprien Gaillard, emblematica fin dal titolo di “Retinal Rivalry”, ospitata alle “OGR – Binario 1” di corso Castefidardo, fino domenica 2 febbraio 2025, a cura di Samuele Piazza. Anteprima italiana, la nuova opera video di Gaillard approda a Torino, dopo la presentazione alla “Fondazione Beyeler” di Basilea (nell’ambito della mostra collettiva “Summer Exhibition”) e continua l’esplorazione del potenziale del cinema stereografico, iniziata con Nightlife”, nel 2015, seguendo attraverso studi attenti e pratiche esercitazioni le tecniche specifiche di quel “linguaggio stereoscopico”, nato alle origini degli anni ‘20 con i primi film 3D (sfruttanti il cosiddetto “sistema anaglifo”) passando (e superandoli) attraverso gli anni ’50, durante i quali il cinema tridimensionale trova la sua più ampia diffusione, con la tecnica della “luce polarizzata”.

Alla base di “Retinal Rivalry”, è palese una palpabile “sensibilità cinematografica trasgressiva” e una forte “logica animistica”: cifre mentali e culturali, proprie di Gaillard, capaci di trasformare le “immagini cinematografiche” in “sculture” pensate e realizzate su misura per le “OGR”, “offrendoci un mondo intriso delle contraddizioni che negoziano lo spazio pubblico”. Lo stesso titolo, è stato scritto,  “riflette il concetto di ‘rivalità retinica’, un fenomeno ottico che si verifica quando agli occhi si presentano contemporaneamente due immagini contrastanti. Invece di fonderli in un’unica immagine, la nostra percezione li alterna, cercando una conciliazione impossibile”. Esercizio di non facile fruizione. Cui spesso si deve l’utilizzo del mezzo stereoscopico come “mero spettacolo” o come “effetto accessorio” utilizzato per puri interessi commerciali. Niente di tutto ciò che è invece per Gaillard impegnato a utilizzare in termini esponenziali i più suggestivi “caratteri” della stereoscopia, le sue “qualità scultoree, spettrali e psichedeliche”.

Quanto l’artista porta a Torino è una sorta di viaggio, a un tempo concreto e spirituale (e l’ossimoro calza a pennello), attraverso – si annota –  “l’ambiente edificato della Germania, passando dall’‘Oktoberfest’ alle rovine romane scoperte in un parcheggio degli anni ‘70 sotto la cattedrale di Colonia; da un ‘Burger King’ all’interno di un’ex sottostazione elettrica sede di raduni nazisti a Norimberga all’infrastruttura turistica che attraversa il romantico paesaggio di Bastei, rinomato per i suoi panorami e immortalato dal pittore Caspar David Friedrich; da una statua del compositore rinascimentale franco-fiammingo Orlande de Lassus, che ora funge da memoriale improvvisato dedicato a Michael Jackson a Monaco, fino a un ‘netsuke’ giapponese (piccola statua in avorio o in legno) raffigurante un commerciante olandese del XVII secolo”. Quello che Gaillard ci propone è un viaggio nitido, ma insidioso, ricco di inciampi visivi e mnemonici, capaci di spingerci verso alterate percezioni del mondo che pare starci addosso. In scenari esistenziali da sempre nostri, ma rivissuti ex novo in un gioco fantasioso che ci fa attori e spettatori di luoghi iper-reali inizialmente inquietanti, dove “tutto è troppo in vista”, pur se “tutto troppo nascosto”.

Ad accompagnare le immagini e il loro senso di straniamento è un lavoro meticoloso sulla “colonna sonora” arrangiata da Gaillard, rielaborata a partire da una varietà di fonti, tra cui musica giavanese, registrazioni sul campo dagli archivi dell’“UNESCO” e un piccolo organo trovato per le strade di Weimar per commemorare Johann Sebastian Bach, “suonato da una gamba rotta”.

Gianni Milani

“Cyprien Gaillard. Retinal Rivarly”

OGR-Binario 1, corso Castefidardo 22, Torino; tel. 011/0247108 o www.ogrtorino.it

Fino al 2 febbraio 2025

Orari: da lun. a giov. 8/24; ven. e sab. 8/02; dom. 10/22

 

Nelle foto: Cyprien Gaillard “Retinal Rivarly”, 2024; 3D motion picture, DCI DCP, dual 4K projection at 120fps, 2 Channel Audio, 29:03 min.

Al Museo Accorsi Ometto la mostra dedicata al pittore del surrealismo Giorgio De Chirico

 

 

In occasione del centenario del Surrealismo, movimento nato nel 1924, segnato nell’ottobre di quell’anno dal Manifesto di Andrè Breton, la Fondazione Accorsi Ometto dedica una mostra, aperta fino al 2 marzo, a Giorgio De Chirico, ritenuto dallo stesso Breton precursore del Surrealismo. Prendendo in esame uno specifico arco temporale che va dal 1921 al 1928, la mostra, curata da Vittoria Noel – Johnson, una delle maggiori conoscitrici di De Chirico, è la prima esposizione a porre l’attenzione sugli eventi intorno al 1924, anno cruciale per la fondazione del movimento francese, nell’ambito del quale il pittore italiano assunse un ruolo fondamentale. L’esposizione intende dimostrare l’importanza del ruolo di De Chirico nella nascita del movimento surrealista, nonché analizzare il suo complicato rapporto con il fondatore del movimento André Breton, con il poeta francese Paul Éluard e sua moglie Gala, che poi sposò Salvador Dalì. Infatti Breton riconobbe a De Chirico il ruolo di precursore del movimento, ma in un tempo successivo, in una dichiarazione pubblica del 1926, lo definì artisticamente morto già nel 1918. Per la prima volta in mostra il carteggio tra De Chirico e Breton, prestito della Bibliotheque Littéraire Jacques Doucet di Parigi, inclusa la lettera del 1924, in cui De Chirico propose di realizzare per Breton la prima replica di un’opera del periodo metafisico, quella delle “Muse inquietanti” del 1918.

Breton scoprì la pittura metafisica di De Chirico a Parigi, nel 1916, tramite il poeta e critico Guillaume Apollinaire, e iniziò a corrispondere con l’artista alla fine del 1921, coinvolgendo poi il braccio destro del Surrealismo Paul Éluard e sua moglie Gala. Tra il 1921 e il 1925 De Chirico scrisse loro circa 25 lettere e cartoline. Mentre De Chirico e Éluard si conobbero a Roma durante l’inverno del 1923, Breton e De Chirico si incontrarono per la prima volta a Parigi verso la fine dell’ottobre 1924. In quell’anno si avviò un’intensa frequentazione, documentata dalla celebre foto di gruppo scattata da Man Ray presso il Bureau de Recherche Surréaliste, scattata pochi giorni dopo la pubblicazione del manifesto. Il rapporto tra De Chirico e il gruppo dei Surrealisti, seguito da una serie di collaborazioni e amicizia, si inasprì a partire dal 1925 con la dichiarazione di Breton. Per i Surrealisti l’improvviso cambiamento di De Chirico, avvenuto nel 1919 in favore del classicismo e dei grandi maestri, era inspiegabile e inferiore al geniale splendore della sua prima pittura metafisica degli anni Dieci, una critica parzialmente spiegata da un conflitto d’interessi: i Surrealisti erano proprietari delle opere di De Chirico del primo periodo metafisico (1910-1918). In realtà la sofisticazione tecnica, intellettuale e artistica di De Chirico, realizzate durante tale periodo, dimostrano l’esatto contrario di quanto articolato da Breton.

Sono oltre 70 le opere in mostra, tra cui una cinquantina di dipinti e opere su carta di Giorgio De Chirico, affiancato da una ventina di ritratti di artisti, poeti e scrittori surrealisti fotografati da Man Ray e Lee Miller, tutte provenienti da collezioni private e di istituzione come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il MART di Rovereto e Trento, l’Unicredit Art Collection di Milano, la Casa Boschi Di Stefano di Milano, la Casa Museo Rodolfo Siviero di Firenze, il Museo Carlo Bilotti, l’Aranciera di Villa Borghese di Roma, l’Istituto Matteucci di Viareggio, la Biblioteca Hertziana, l’Istituto Max Planck di Roma e il Lee Miller Archives dell’East Sussex, in Gran Bretagna. Il visitatore si troverà di fronte a opere compiute durante la permanenza del pittore in Italia, tra Roma e Firenze, databili tra il 1921 e il 1925, seguite dal suo secondo soggiorno parigino (1925-1928). Nonostante le polemiche crescenti da parte dei Surrealisti, il pubblico avrà la possibilità di scoprire come De Chirico continuò a realizzare una serie di soggetti innovativi come “Mobili in una stanza”, “Cavalli in riva al mare”, “Gladiatori”, “Archeologia e trofei” e i magnifici “Combattimento di gladiatori” (Fin de combat) e “Cheveaux devant la mer”.

L’accostamento di De Chirico al Classicismo lo si evince dalla formidabile opera “Lucrezia” del 1921, dall’”Autoritratto con la madre” del 1922 e “Autoritratto” del 1925, prima opera dell’artista acquistata dallo Stato Italiano, dai quali traspare evidente la sua conoscenza e il rispetto profondo per la pittura del Quattrocento. Nell’opera metafisica degli anni Dieci riscontriamo un elemento di continuità che ci porta a definirlo come “metafisica continua”, illustrata dalla “Natura morta con cocomero e corazza” del 1922, ”L’aragosta”, una natura morta con aragosta e calco, “La mia camera nell’Olimpo” del 1927, dove in una atmosfera fantastica ed enigmatica compaiono oggetti accostati in maniera casuale. Ricordiamo un esempio del primo periodo metafisico con l’opera “Facitori di trofei”(1926-1928), in cui convivono elementi del passato e del presente, figure antiche, frammenti di colonne, fiamme stilizzate, profili di cavalli, il timpano di un edificio classico fusi insieme da due personaggi-manichino intenti a costruire un iconico totem trofeo. Emergono anche opere come “Tempio in una stanza”, “La famiglia del pittore”, entrambi del 1926, o “Thèbes” del 1928, che si affiancano a soggetti degli anni Dieci come gli “Interni ferraresi” e “Manichini”.

Nonostante le polemiche con i Surrealisti, l’avvicinamento di De Chirico al Classicismo non impedì a Breton di commissionare a De Chirico alcune opere che fossero repliche del primo periodo metafisico, oppure a Paul e Gala Éluard di acquistarne altre con soggetto e stile più tradizionali, come “Natura morta con selvaggina” del 1923, e “Ulisse. Autoritratto” del 1924, entrambi esposti in mostra. Una sala del museo è dedicata alla eredità dell’artista all’influenza che egli ebbe su personaggi come Dora Maar, Magritte, Picabia, Dalì, Cocteau, Éluard e altri.

Il prossimo anno, secondo un’anticipazione del Direttore del Museo Accorsi Ometto Luca Mana, una mostra dovrebbe essere dedicata allo spazialismo e a Carol Rama.

Mara Martellotta

Museo Accorsi Ometto

Via Po 55

Tel 011837688 int 3

Da venerdì 8 novembre 2024 al 2 marzo 2025

 

 

Canaletto, van Wittel e Bellotto: il gran teatro delle città

Si è aperta il 30  novembre nel complesso monumentale di San Francesco a Cuneo, in via Santa Maria, la mostra intitolata “Canaletto, van Wittel, Bellotto. Il gran teatro delle città. Capolavori dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica” a cura di Paola Nicita e Yuri Primarosa. Rimarrà aperta fino al 30 marzo 2025.

La mostra consolida per il terzo anno la collaborazione tra Fondazione CRC, da sempre attiva nel sostegno e nella promozione di attività culturali finalizzate ad accrescere il ruolo e la riconoscibilità del territorio cuneese come centro di produzione artistica, e Intesa SanPaolo che, con il progetto Cultura, esprime il proprio impegno per la promozione dell’arte nel nostro Paese, dando seguito con quanto realizzato congiuntamente con le esposizioni “I colori della fede a Venezia, Tiziano, Tintoretto e Veronese” del 2022 e “Lorenzo Lotto e Pellegrino Tibaldi. Capolavori della Santa Casa di Loreto” nel 2023, complessivamente visitate da oltre 54 mila persone.

La mostra, curata da Paola Nicita e Yuri Primarosa, delle Gallerie Nazionali di Arte Antica fa parte del progetto del museo dal titolo “Le gallerie nazionali nel mondo” e offre uno spaccato inedito sulla rappresentazione sugli scenari urbani di Roma e Venezia nel Settecento attraverso le opere di tre maestri indiscussi della Veduta, Giovanni Antonio Canaletto, Gaspar Van Wittel e Bernardo Bellotto, cui si aggiunge il pittore piacentino Giovanni Paolo Pannini.

Il progetto espositivo, appositamente ideato per lo spazio Cuneese, riunisce dodici capolavori provenienti dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, che esplorano e reinventano l’immagine della città nell’epoca del Grand Tour e degli ambienti culturali illuminati, a cavallo tra Seicento e Settecento, quando la prima tappa di ogni itinerario culturale attraverso l’Italia era Roma e la meta finale coincideva con Venezia. La grandiosità di Roma e il fascino lagunare di Venezia sono protagonisti delle scene catturate dai maestri in mostra, che ne immortalano momenti di festa, cerimonie, eventi mondani, allo scopo di restituire un ricordo vivido e duraturo ai viaggiatori che li avevano vissuti.

L’arte di Canaletto, van Wittel e Bellotto mette in scena la città antica accanto a quella moderna, spaziando dalla pittura di teatro al capriccio archeologico fino ad arrivare alla veduta topografica. Nel viaggio attraverso la penisola è la passione per l’antico ad accendere l’estro dei pittori, capaci di trasformare la città nel palcoscenico di un magnifico teatro all’aperto, catturato con sguardo fotografico e coinvolgimento poetico. I dipinti dei quattro vedutisti in mostra rivelano ritratti di città, fatti di architetture solenni e di scorci urbani popolari, dalla Roma antiquaria, tra mito e natura, alla moderna Roma dei Papi scenografica e contraddittoria, dalla città di Venezia, orgogliosa e cosmopolita, alle atmosfere austere di Dresda. Aprono il percorso espositivo le cinque vedute romane dell’olandese Gaspar Van Wittel, attivo tra Seicento e Settecento e non per la sua tecnica scrupolosa e per l’utilizzo sapiente della scienza ottica. Dopo la formazione in patria presso la bottega di un pittore di paesaggi e vedute, van Wittel si trasferisce a Roma nel 1675, per diventare ben presto il pittore della Roma moderna. Realizza grandi composizioni a volo d’uccello, animate da personaggi in movimento e invase da un’atmosfera vitale, rievocate in mostra da opere quali “Veduta di Roma dalla piazza del Quirinale “ (1684) e “Veduta del Tevere a Castel Sant’Angelo” (1683). I suoi metodi visivi e la resa realistica del paesaggio urbano contribuiranno a trasformare il genere della Veduta, aprendo la strada a generazioni di artisti.

Roma è anche protagonista delle due opere in mostra del piacentino Giovanni Paolo Pannini (1691-1765), tra i maggiori interpreti del capriccio architettonico, in cui architetture esistenti e fittizie si trasformano in vedute ‘ideate’. Un dipinto come “Capriccio con la statua equeste di Marco Aurelio” rivela la raffinata padronanza prospettica di Pannini e la sua abilità nel combinare elementi reali e immaginari in un equilibrio scenografico. Un altro esempio significativo è “Ruderi con terme”, in cui le rovine di antiche terme si integrano con un paesaggio idealizzato, comunicando un senso di nostalgia per il mondo classico.

Il percorso espositivo attraverso i capolavori delle Gallerie Nazionali di Arte Antica prosegue con le vedute veneziane di Giovanni Antonio Canaletto che della sua città di origine ha saputo cogliere l’essenza grazie all’uso magistrale della luce e dei colori. I quattro dipinti in mostra che portano la sua firma sono “Veduta di Venezia con piazza San Marco e le Procuratie” e Veduta di Venezia con la piazzetta rivelano la sua maniera di rappresentare le città, come scenari dinamici che riflettono la bellezza e la complessità della vita urbana, ampliando le possibilità formali del vedutismo settecentesco. Canaletto restituisce un’immagine di Venezia carica di dettagli e caratterizzata da una grande nitidezza descrittiva, unita a una forte sensibilità luminosa e atmosferica.

A concludere la mostra è l’opera dell’allievo e nipote di Canaletto, il Bellotto, di cui ha raccolto l’eredità estendendola oltre i confini della penisola italiana.

Le sue vedute, ritratti realistici dei centri urbani che scopre durante i suoi soggiorni, si differenziano da quelli dei suoi predecessori e contemporanei per un uso più freddo dei colori e di un chiaroscuro severo e malinconico. È soprattutto durante i suoi viaggi tra Italia, Germania e Polonia che Bellotto sviluppa uno stile personale e distintivo come dimostra “La piazza del mercato della Città Nuova di Dresda”, capolavoro della sua maturità, immagine di una città europea non solo come teatro di bellezza, ma anche come spazio vivo e complesso.

“Sulla traccia del successo registrato qui a Cuneo gli anni scorsi – spiega il Presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro- la mostra presentata oggi e realizzata insieme con la Fondazione CRC conferma come l’arte possa contribuire a consolidare la presenza di Intesa Sanpaolo nel Cuneese, uno dei suoi territori di elezione e rinsaldare il legame con gli azionisti stabili come le Fondazioni”.

Mara Martellotta

Surface Tension per le facciate della Corte Est delle OGR

Le OGR Torino

presentano la prima installazione di Surface Tension, nuova serie di commissioni per per le facciate della Corte Est delle OGR Torino

REBECCA MOCCIA. COLD AS YOU ARE a cura di Iacopo Prinetti un’opera video commissionata dalle OGR Torino in occasione di Luci d’Artista 08.12.2024 – 02.02.2025 | Corte Est

ACCENSIONE

8 dicembre 2024, ore 18.30

Rebecca Moccia, Cold As You Are. Intallation view at OGR Torino, 2024. Ph. Matteo Zin for OGR Torino. Courtesy OGR Torino

OGR Torino | Corso Castelfidardo 22, Torino

www.ogrtorino.it

L’8 dicembre alle 18.30 inaugura Surface Tension, il nuovo progetto delle OGR Torino: la serie di commissioni d’artista che con installazioni luminose trasformerà le facciate della Corte Est delle OGR in una grande tela di proiezione per opere site-specific.

Il primo progetto della serie è una nuova opera dell’artista Rebecca Moccia, Cold As You Are, a cura di Iacopo Prinetti, commissionata dalle OGR e prodotta in occasione della 27^ edizione di Luci d’Artista, come new entry progetto, sezione Costellazione, con cui dal 1998 la Città di Torino illumina l’inverno torinese con installazioni d’arte contemporanea. La video installazione site-specific, realizzata con il supporto tecnico di Epson, raccoglie scene intime e pubbliche, riprese dall’artista con una termocamera, combinate in una sequenza di diversi elementi e narrazioni.

L’accensione della nuova opera avverrà alla presenza del Presidente delle OGR Torino Davide Canavesio, dell’artista Rebecca Moccia e del curatore di Luci d’Artista Antonio Grulli.

L’opera utilizza lo strumento della termocamera, in cui un’ottica fotografica insieme a un sistema a raggi infrarossi converte la rilevazione di informazioni termiche in una gamma cromatica dove ciascuna gradazione di colore corrisponde alla temperatura di un dato oggetto o essere vivente. Sviluppata in ambito militare come molte tecnologie che permeano il nostro quotidiano, la termovisione porta con sé un immaginario legato a pandemie e guerre contemporanee, dove è utilizzata per identificare obiettivi distanti, in una modalità di visione-controllo incapace di cogliere la specificità dei singoli soggetti rendendoli meri bersagli.

In Cold As You Are, Rebecca Moccia ha utilizzato questo strumento per filmare un diario sociale in cui situazioni casalinghe, di festa e di lavoro si combinano con eventi pubblici, proteste e paesaggi urbani. Il cortocircuito materiale e sensoriale tra la prossimità delle immagini proiettate, il paesaggio sonoro che le accompagna, e il ricordo di scenari di controllo e conflitto, è pensato dall’artista per indagare la pervasiva e invisibile infrastruttura neoliberale in relazione alle soggettività su cui agisce con forme di governance intima, una ricerca che l’artista porta avanti sin dal progetto Ministry of Loneliness (2021-2024). Al contempo, la mancanza di definizione causata dal mezzo stesso combinata a inquadrature soggettive e ravvicinate, favorisce un racconto in cui pubblico e privato, personale e politico si fondono, mettendo in secondo piano la visione ottica per privilegiare una percezione legata allo scambio e alla condivisione di spazio, ambienti ed emozioni.

Come in AGGRO DR1FT (2024), film del regista Harmony Korine, i limiti della termocamera come strumento di documentazione visiva deviano l’attenzione su ciò che non è manifesto o che non segue una linearità percettiva per concentrarsi sul livello affettivo e sentimentale dei personaggi. Allo stesso modo, in Cold As You Are, l’immagine diventa sensorialità e stimolo aptico, che supera il visuale per ricollegarsi a esperienze personali e condivise, attivando così uno slittamento percettivo e concettuale che investe la nostra fiducia rispetto all’immagine stessa e la sua funzione.

In Moccia come in Korine, la termocamera è utilizzata quindi per creare profondità in contrasto al suo impiego in ambito militare e di controllo dove la visione si riduce, sia attraverso la gamma cromatica – solitamente in bianco (vivo – caldo) e nero (non vivo – freddo) – sia attraverso la posizione in cui si colloca chi detiene il mezzo rispetto ai suoi obiettivi. In Cold As You Are l’immagine termica si oppone così alla dinamica che riduce i corpi umani e non umani a numeri in un sistema, per concentrarsi su scambi quotidiani che dettano un racconto empatico, e non più freddo e distaccato, svelando al contempo la progressiva indistinzione tra la vita che viviamo e i conflitti che pensiamo di combattere.

A Barolo tavola artistica dedicata a Paolo Desana

A Barolo è stata collocata una tavola artistica dedicata al senatore Paolo Desana, padre della Doc.  tavole artistiche sono state dedicate a Luigi Einaudi, Giacomo Morra, il padre del tartufo bianco d’Alba, Juliette Colbert, l’inventrice del Barolo. Lunedì saranno installate le altre due tavole dedicate a Adriano Olivetti e Michelangelo Abbado.

Nella foto di copertina Andrea Desana, figlio di Paolo, di fronte alla tavola dedicata al padre.

Arte e sacro, la chiesa di San Dalmazzo a Torino

In centro citta’ un gioiello molto antico

Dopo un lungo periodo di chiusura, e’ di nuovo possibile visitare la chiesa di San Dalmazzo, situata tra via Garibaldi, una volta via Dora Grossa, e via delle Orfane.

Costruita nel lontano 1271 e destinata all’assistenza dei pellegrini e alla cura degli infermi, nel tempo la sua struttura subi’ un consistente deterioramento e fu cosi’ che nel 1573, periodo in cui fu affidata ai frati Barnabiti, si decise per una riedificazione. Qualche anno dopo per volere del cardinale Gerolamo della Rovere fu nuovamente restaurata e decorata, anche grazie alle numerose donazioni dei Savoia mentre alla fine dell’800 furono ripresi ulteriormente i lavori che la riportarono al suo stile originario. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu bombardata riportando seri danni al tetto e agli infissi, il suo ultimo restauro risale al 1959.

L’esterno e’ l’unica parte rimasta in stile Barocco con i suoi pilastri di ordine corinzio, i finestroni da cui entra la luce e un timpano semicircolare che avvolge un prezioso affresco. La chiesa, di medie dimensioni, trova la sua bellezza, oltre che nei suoi sorprendenti interni in stile neogotico che catturano subito l’occhio del visitatore, ma anche nella superficie proporzionata che la rende accogliente e affascinante.

Al suo interno lo sfondo e’ quello tipico dello stile gotico caratterizzato dallo slancio verticale, da vetrate colorate, da stucchi, dipinti neo-bizantini di Enrico Reffo e dorature. L’elemento che attira legittimamente l’attenzione e’ la fonte battesimale originale ereditata dalla vecchia chiesa di San Dalmazzo Martire. La struttura e’ a tre navate decorate da edicole, il bellissimo pulpito incorniciato da mosaici e il ciborio a baldacchino.

Spesso la chiesa di San Dalmazzo si fa scenario di concerti di musica, dal gospel alla musica da camera, il prossimo appuntamento? Domenica 15 Dicembre 2024 ore 17:00 TORINO CHAMBER MUSIC FESTIVAL, vibrazioni all’interno di un contesto suggestivo e incantevole.

Per informazioni sugli eventi

www.diocesi.torino.it

Maria La Barbera

Roberto Demarchi: “Hamas e Netanyahu sono i nuovi Erode”

La mostra del maestro Roberto Demarchi, inaugurata giovedì 5 dicembre 2024 alle ore 18, nella sede dell’atelier del pittore in corso Rosselli 11, reca il titolo “Montagna e avvento”.

Roberto Demarchi, pittore astratto , dichiara, a poche ore dell’inaugurazione di questa sua nuova mostra : “ I Vangeli ci narrano che, poco più di Duemila anni or sono, una piccola famiglia di ebrei, per sfuggire alla ferocia che il Potere scatena quando ha paura, lasciò nottetempo Betlemme per trovare rifugio in Egitto. Percorsero quella che allora si chiamava la via Maris ( che tra l’altro passava per Gaza). Subito dopo ci fu la strage degli Innocenti, innumerevoli bambini al di sotto dei due anni furono trucidati perché Erode temeva che tra di loro si celasse colui che, male interpretando le Sacre Scritture, avrebbe potuto prendere il suo posto. I Vangeli, se letti lontano da una esasperazione fideistica, parlano di verità che sopravvivono al Kronos, al microtempo. Ci dicono che l’uomo, con tutta la sua paura e con tutto il suo coraggio di vivere, è sempre lo stesso. I luoghi sono sempre gli stessi, Gaza ieri, Gaza oggi. I trucidatori sono sempre gli stessi, Erode ieri, Hamas e Netanyahu oggi”.

La mostra del Maestro Roberto Demarchi, intitolata “Montagna e Avvento” vuole essere un percorso ispirato all’Avvento e alla montagna ritratta da Cézanne, il tutto reinterpretato con il linguaggio astratto e suggestivo del maestro.

Mara Martellotta

“Questa è pittura”… perdersi nella totale libertà del colore

Il “Forte di Bard” presenta una grande retrospettiva dedicata ad Emilio Vedova fra i nomi più prestigiosi dell’ Arte Informale

Fino al 2 giugno 2025

Bard (Aosta)

Il colore, soprattutto. Il colore su tutto. A imprigionare forme, a dettare le regole irregolari di una dialettica fra gesto, segno e materia che coinvolge lo stesso pittore, diventando prova di forza, corsa a tutto campo, senza limiti né confini fra l’artista stesso e l’opera, concepita come bersaglio (pur sempre calibrato nella sapienza del complessivo rapporto compositivo) di violente emozioni e di impreviste improbabili fantasie. Il colore. La materia. Magma incandescente che avvolge lo stesso pittore. Che si fa colore. Si fa materia. Nel corpo e nell’anima. C’è tutto questo, la potenza del gesto e del segno della pittura di Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006), al centro della retrospettiva “Questa è pittura” allestita nelle “Sale delle Cannoniere” al valdostano “Forte di Bard”fino a lunedì 2 giugno del prossimo anno.

Promossa dall’“Associazione Forte di Bard”, in collaborazione con “24 Ore Cultura” e “Fondazione Emilio e Annabianca Vedova” (istituita dall’artista con la moglie nel 1998 e attiva dal 2006), la mostra è curata da Gabriella Belli e  “vuole presentare – precisa la stessa Belli – l’opera di Vedova nella sua valenza pittorica, sfuggendo da ogni tentazione di lettura dettagliatamente storica o socio-politica, per indirizzare lo sguardo verso l’eccellenza della sua pittura, che sempre stupisce per la folgorazione del colore e la vitalità della sua materia, espressione tra le più alte dell’Informale europeo”.

Emilio Vedova, per molti “il fratello italiano di Jackson Pollock”, è stato uno degli artisti d’avanguardia più influenti del ‘900. Libero, dissidente, curioso e ribelle (fervente antifascista, partigiano a Roma e sulle colline piemontesi, nonché fra i firmatari nel ‘46 del manifesto “Oltre Guernica” e fra i fondatori del “Fronte Nuovo delle Arti”) ha tradotto nelle sue opere il suo impegno civile. Un intreccio per certi aspetti indissolubile che restituisce il profilo di un artista di altissimo talento e nello stesso tempo dotato di una rara capacità d’essere dentro il “farsi della storia”.

In mostra (che approda in Vallée a quasi cinquant’anni dall’esposizione “Emilio Vedova. Grafica e Didattica” presentata nel ’75 alla “Tour Fromage”, sotto la curatela di Zeno Birolli e dello stesso Vedova) troviamo esposti, 31 grandi dipinti e 22 opere su carta dell’artista veneziano, in maggioranza provenienti dalla “Fondazione Emilio e Annabianca Vedova”. L’odierna retrospettiva “vuole aggiungere – replica Gabriella Belli – un tassello alla conoscenza dell’artista, attraverso un itinerario di approfondimento del suo lavoro diviso in otto tappe, che corrispondono a momenti in cui lo sforzo creativo si dibatte attorno a questioni esistenziali”. La sequenza non è strettamente cronologica, ma va invece a rimarcare, attraverso le sue opere, quei “periodi/episodi” della vita artistica di Vedova strettamente dedicata al mestiere e alla ricerca pittorica, lasciando in ombra il suo pur sempre forte impegno civile e “la sua ben nota, carismatica voce di protesta davanti alle tragedie della storia e agli eventi di cronaca quotidiana”“Questa è pittura”, solo e intimamente pittura, recita bene, dunque, il titolo della rassegna, partendo dagli esordi dell’avventura artistica del pittore : “La nascita di un pittore. I Maestri”, la lezione trasmessa a Vedova dai grandi pittori di quel passato veneziano, alla sua quotidiana portata di mano e di vista, scritto dai vari TintorettoVeronese e Tiepolo, ammirati per poi sfuggirli (ma mai dimenticarli) abbracciando (“Cercare una via”) l’emergente “geometria astratta” di cui troviamo significativi esempi in mostra. Nella terza tappa “Astrazione per sempre”, già si fa luce il passaggio dalle strette “velleità geometriche” al desiderio di una pittura per vocazione “gravida di gesto e materia”, che s’alimenta nell’invenzione dei suoi “Plurimi” (quarta tappa), nuove forme dipinte, legni carichi di materia pittorica e assemblate con cerniere, “inquietanti costruzioni tridimensionali” che “deflagrando dalla parete, invadono lo spazio”. E l’iter prosegue nel continuo “lasciar libero il  segno” fino alle opere più strettamente connesse al suo personale “tragico esistenziale” sublimato in quella esemplare “Vertigine Piranesi” (settima tappa) che pare rievocare le “Carceri” (invenzione di luoghi “insieme inferi e architettonici”) del suo conterraneo, fra gli iniziatori dell’immaginario gotico, Giambattista Piranesi“Circolare infinito” è il titolo dato, infine, all’ottava tappa, con i tre grandi “Tondi”, disallineati al centro della Sala, che gridano tutta “l’irriverenza inquieta e geniale di un artista che ha sempre sfidato sé stesso”. E il mondo intero.

Gianni Milani

“Questa è pittura”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 2 giugno

Orari: mart. e ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19; lunedì chiuso

 

Nelle foto: Emilio Vedova “Al lavoro su ‘Non Dove’”, 1988 (Ph. Aurelio Amendola): “Poemetto della sera”, olio su tela, 1946; “Plurimo – A”, acrilici, pastello su elementi di legno, 1962; “Ciclo”, tecnica mista su tela, 1962