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La Fondazione Merz Torino ospita “Viaggio in Sicilia” di Planeta

La Fondazione Merz Torino ospiterà domenica 18 maggio, alle ore 19, una serata di dialogo e confronto dedicata al progetto di residenza nomade “Viaggio in Sicilia”, promosso da oltre vent’anni dall’azienda vitivinicola Planeta. Si tratta di un’occasione per presentare il volume della IX edizione Coppe di Stelle nel cerchio del Sole, e raccontare la lunga collaborazione e tra Planeta e Fondazione Merz. L’appuntamento, che fa parte del Salone Off, si inserisce nel calendario degli eventi sul territorio del Salone del Libro di Torino, proponendo una riflessione sul viaggio come esperienza artistica e sul legame tra arte contemporanea, paesaggio e memoria. Il libro raccoglie i molteplici sguardi di artisti e intellettuali che nel 2021 hanno attraversato la Sicilia all’interno della residenza nomade “Viaggio in Sicilia”, restituendo le loro esperienze in una mostra ospitata nel 2022 alla Galleria Regionale della Sicilia presso Palazzo Abatellis. Il volume, pubblicato nel 2023, presentato al pubblico per la prima volta, restituisce le riflessioni nate da questa intensa esperienza di viaggio, insieme ai contributi scientifici realizzati per la mostra. In occasione dell’esposizione, oltre le opere d’arte prodotte appositamente, sono tate restaurate da Planeta alcuni manufatti in stile islamico, conservati nei depositi di Palazzo Abatellis, ed esposti per la prima volta. Con testi di Valentina Bruschi, curatrice; Evelina De Castro, all’epoca direttrice di Palazzo Abatellis e oggi alla guida del Museo Regionale di Arte Moderna e Contemporanea di Palermo; Vito Planeta, responsabile Planeta Cultura; Valeria Sola e Benedetta Fasone, archiviste e storiche dell’arte della Galleria Regionale della Sicilia, il volume intreccia parole e immagini, includendo un visual essay  di Matteo Buonomo; contributi della scrittrice Chiara Barzini e le interviste a vari artisti quali Bea Bonafini, Gili Lavy, Diego Miguel Mirabella ed Emiliano Maggi.

Il dialogo del 18 maggio includerà un approfondimento sul tema dell’orientalismo, centrale nella mostra Coppe di Stelle nel cerchio del Sole, ospitata a Palazzo Abatellis, e sarà guidato da Davide Quadrio, direttore del MAO Museo d’Arte Orientale e curatore della personale dell’artista Yto Barrada, vincitrice della quarta edizione del Merz Prize, nell’ultima giornata di mostra presso gli spazi della Fondazione Merz.

L’incontro offrirà anche uno sguardo sulle molteplici connessioni tra Planeta e Fondazione Merz in Sicilia, sottolineando i legami tra la Fondazione torinese e l’azienda, unite da comuni interessi culturali, come il tema della ricerca dell’ultima edizione del “Viaggio in Sicilia” e la collaborazione con alcuni degli artisti coinvolti. Tra i progetti condivi emergono “Radiceterna”, biblioteca permanente presso l’orto botanico di Palermo, evento collaterale di Manifesa 12, il “Comodato dell’opera Fibonacci di Mario Merz” nella tenuta sull’Etna, installato tra i terrazzamenti in pietra lavica, dove ogni anno viene messo in scena lo Sciaranuova Festival Teatro in Vigna, il coinvolgimento di Gili Lavy, finalista al Mario Merz Prize nel 2017 e protagonista della residenza nel 202, la collaborazione al Progetto ZACentrale ai cantieri culturali della Zisa.

In anteprima verrà anche annunciato il nome dell’artista selezionato per la prossima residenza di “Viaggio in Sicilia”, che porterà alla realizzazione di una nuova opera in vista nel 2026, e il concerto dei finalisti della quinta edizione del Mario Merz Prize sezione musicale, in programma il 28 giugno 2025 presso la Cantina Ulmo a San Buca di Sicilia.

Fondazione Merz – via Limone 24, Torino

Tel: 011 19719437 – info: info@fondazionemerz.org

Mara Martellotta

Un’artista da riscoprire, tra bronzi e materiali intrisi di ricordi

Alla Galleria del Ponte, sino al 9 maggio
Sta nelle ultime pagine, prima della bibliografia, del bel catalogo approntato per la
mostra che guarda all’opera di Clotilde Ceriana Mayneri, artista a tutto tondo
scomparsa un paio d’anni fa. È il riquadro che contiene le risposte alle ventuno
domande degli “artisti spiegati dagli artisti”, dove s’apprende che “il tratto principale
del mio carattere” è il buonumore, che “il mio principale difetto” suona “se posso
rimando”, che “il mio eroe nella storia” è la Montessori, che il colore preferito è
l’azzurro e la stagione la primavera, che “i miei artisti preferiti” sono Pontormo ed
Emily Dickinson, che il libro più amato è “La lunga attesa dell’angelo” della Mazzucco
e che adora “la pasta, in ogni declinazione”. Il dono di natura che vorrei avere?
“Bellissimi denti per sorridere meglio”.
La mostra, curata da Armando Audoli (sino al 9 maggio nelle sale della Galleria del
Ponte), ha un sottotitolo doveroso, “Molti l’hanno guardata, nessuno l’ha vista”, un
atto di risarcimento, la presa di coscienza del visitatore di fronte alla dimensione
poliedrica della Ceriana.
Lasciando da parte la riservatezza dell’artista, ma
raggiungendo un approfondimento, quel riconoscimento che le è dovuto. Nascita nel
marzo del 1940, natali illustri, una famiglia che annovera generali di cavalleria,
deputati e industriali che contribuiscono alla nascita, nell’ultimo anno dell’altro secolo,
della Fabbrica Italiana Automobili Torino – il cambio dei tempi, quanto era lontana e
impensata Stellantis! – e diplomatici, capitani d’industria che danno vita a una banca,
la giovane contessina Clotilde frequenta l’Accademia Albertina avendo come
insegnanti Umberto Baglioni (pupillo di Edoardo Rubino) e Giovanni Chisotti e si
diploma ventitreenne, saggiando tra gli altri anche l’arte di Mario Calandri e
inaugurando un lungo cammino. “La plastica a tutto tondo della scultrice – scrive in
catalogo Audoli – si indirizza verso volumi e forme di maggiore sintesi e dal modellato
più asciutto, con aperture e sfrangiature di ascendenza ‘spazialista’, presenti tanto
nelle terrecotte, smaltate e non, quanto nei bronzi”, al visitatore il compito di
ammirare alcune tappe nel percorso espositivo: per passare, con estrema delicatezza,
quasi in punta di piedi, a quella “biblioteca ideale di epigrafi mai scritte”, poco oltre le
soglie degli anni Ottanta, a costruire estreme leggerezze, intimiste e di non semplici
letture, tra reminiscenze trasportate con gli anni, “attraverso materiali meno aulici”,
racchiusi anche in una personale intimità, che in elenco annoverano “oggetti trovati
sul cammino come rametti e legni naturali, frammenti di canna di bambù, placche di
corteccia di acero, fili di saggina, fili di canapa, fili di rame, corde, viti ottonate,
vecchie provette, lacerti di aquiloni giapponesi, carte umili o preziose, pagine di libri
antichi.”
In una mostra che per la prima volta vuole suggerire uno sguardo completo alla
parabola artistica della Ceriana, si fanno ammirare le “forme” in bronzo, le “Tracce per
Emily” (1986) e la “Figura prona” che sono terrecotte, soprattutto quel “Vaso di
Pandora” (1987), letteralmente esploso, con le sue impercettibili grafie, le pagine
strappate, primaverili o autunnali, che giocano con i materiali più improbabili, la
“Cattedrale gotica” o l’”Arcipelago” o “La fossa delle viole”, bianchi piani di pagine che
nel 2011 hanno raccolto ricordi che non saranno mai scritti.
Sono ricordi tutti colti per intervalli, suggestioni, incontri fortuiti, scelte improvvise,
affermazioni di sensazioni, emozioni che nessun altro capirebbe, sono il filo rosso che
la lega alla sua scrittrice dell’animo, la Dickinson; quasi la ricerca musicale all’interno
del mondo della natura, “ma lo spartito – annotava Andrea Balzola in occasione di una
mostra del ’91 – non è il risultato di un puro artificio, di una progettata astrazione, né,
tantomeno, di un semplice assemblaggio; il materiale colto nel magazzino della natura
o nel deposito privato degli oggetti porta con sé frammenti di racconto che vanno
ascoltati, interpretati, montati e manipolati, insomma ‘riscritti’ su nuove pagine per
nuovi destinatari.” Raffinatezza e invenzione, ricerca continua, il piacere dell’unire
materiali man mano che sono scoperti, una cinquantina di opere tra le più differenti,
distribuite lungo un arco cronologico di mezzo secolo, ogni prova – di qualsiasi
materiale – amata e affinata, disseminando il percorso di opere che all’apparenza
possono sembrar appartenere a “un registro umile” lontane da quante si preferirebbe
elevare a uno più “elevato”. Tutte appartengono all’unico abbraccio delle “creature”.
Scriveva Clotilde Ceriana in occasione di una mostra del 1989, nella Saletta rossa di
corso Valdocco: “Dall’ombra quita dello studio così affollato, così canoro, io ascolto.
Frammenti di tempo, di spazio, di cose.Tempo ne ho tanto, so aspettare, raccogliere,
collezionare. Mi piace pensare che la neve stia turbinando in me. Il mondo, qui dentro,
è pieno di sogni. Il mondo, là fuori, racconta storie di piccole immensità. C’è ancora
molto da cogliere lungo la vita, basta guardare indietro.”
Elio Rabbione
Nelle immagini, di Clotilde Ceriana Mayneri: “Reticolati aperti”, 2011, polimaterico;
“L’istinto sulla ragione”, 2016, polimaterico; “Incontrarsi nel vento e riconoscersi”,
1990, polimaterico.

“Fondato sul lavoro”: al centro il primo articolo della Costituzione

La mostra a cura di Alessandro Bulgini, da un’idea di Francesco Sena, inauguratasi a Flashback Habitat

Da giovedì 3 aprile a domenica 27 luglio prossimi, negli spazi di Falshback Habitat – ecosistema per le culture contemporanee, in corso Giovanni Lanza 75, a Torino, è possibile visitare la mostra intitolata “Fondato sul lavoro”. La rassegna è a cura di Alessandro Bulgini, con testi di Ginevra Pucci, nata da un‘idea di Francesco Sena. Ancora una volta, la proposta culturale di Flashback si addentra in tematiche spesso taciute o ignorate. Il ruolo dell’artista non è quello di restare in disparte o in silenzio, ma di “gridare” e denunciare, attraverso la sua acuta visione del mondo, le ingiustizie e le sopraffazioni sociali. “Fondato sul lavoro” propone 26 opere che attraversano epoche differenti, e vuole essere testimonianza di questioni che oggi si rivelano urgenti. Il lavoro è al centro del patto sociale, principio fondativo della Repubblica e motore d’avanzamento della società. Ma quale lavoro? Per chi e a quale prezzo ? La mostra esplora il tema nella sua complessità, svelandone contraddizioni e mutamenti. In un momento storico fondato su precarietà, disuguaglianze e dall’emergenza globale delle morti sul lavoro, la questione assume una rilevanza ancora più profonda, dando voce a chi resta spesso invisibile.

La Repubblica Italiana non si fonda semplicemente sull’articolo della Costituzione, ma sulla centralità dell’essere umano, in cui il lavoro gioca un ruolo fondamentale. Per questa ragione si è scelto di declinare la parola “fondata” al maschile, per sottolineare quanto sia il lavoro a essere radicato nell’essere umano, nella sua identità. È il momento di tornare a mettere l’essere umano al centro della riflessione.

Il percorso espositivo si snoda tra linguaggi ed epoche differenti, dal IV secolo fino a oggi, intrecciando le realtà artistiche del passato con le urgenze del presente. Un affresco sulla storia del lavoro domestico viene offerto dall’anonimo ceramista attico Gerhard van Steenwijck e il ceramista cinese della Dinastia Yuan. Le opere riflettono una realtà sociale che attraversa i secoli, dove il lavoro domestico era svolto prevalentemente da donne, spesso giovani e provenienti dai ceti sociali più umili. Un lavoro durissimo e spersonalizzante, privo di autonomia e diritti, che costringeva a rimanere invisibili e silenziosi. La mostra intende abbracciare una più ampia riflessione sul lavoro sessuale, rappresentato dalla prostitute nell’opera di Renato Guttuso. Con il suo stile crudo e diretto, l’artista racconta con precisione la condizione sociale della donna, il corpo come oggetto spesso segnato e sfruttato. La prostitute protagonista dell’opera mette in discussione le nostre percezioni e ci costringe a guardare in faccia a una realtà che non possiamo ignorare: l’esistenza del sex work. Si inseriscono nel solco della riflessione politica e sociale Sandro Mele, con “Folklore globale”, e Turi Rapisarda, con “Mille”. La serie fotografica di Rapisarda documenta la migrazione e degli operai meridionali verso il nord Italia durante il boom economico, ispirandosi alla storica “spedizione dei mille” di Garibaldi. L’opera dedicata al coraggio di questi lavoratori, ma che critica il sistema che li ha sfruttati senza garantire pari opportunità. Realizzata nel 1992, la serie rappresenta ritratti a grandezza naturale, simbolo di una lotta silenziosa per un riscatto economico e sociale. Il pittore viareggino di fine Ottocento Lorenzo Viani, racconta il dramma delle moglie dei pescatori, documentando il lavoro e la resistenza di chi aspetta. “Enterramiento de diez trabajadores”, di Santiago Sierra, svela il lato più brutale del lavoro, le condizioni di sfruttamento e mercificazione dell’essere umano. I protagonisti sono 10 lavoratori senegalesi che accettano per una esigua somma di denaro di essere sepolti sotto la sabbia per una intera giornata. Gianluca e Massimiliano De Serio, attraverso il linguaggio cinematografico, raccontano le storie di chi lavora ai margini, accendendo le luci sul caporalato. Il cortometraggio dell’artista croato Igor Grubic ,“How Steel Was Tempered”, segue le vicende di un padre che porta il figlio in una vecchia fabbrica in disuso, dove un tempo lavorava. L’opera esplora non solo l’evoluzione del problema economico e sociale, ma diventa metafora anche di riconciliazione intergenerazionale. Edificio e simbolo del passato industriale, diventa il contesto in cui padre e figlio si ritrovano. Alla fine il figlio comprende il sacrificio del padre, risanato così il loro legame. Cosimo Calabrese con “Zona Ilva”, e Pierfrancesco Lafratta con “Diorama” si confrontano con le conseguenze della crisi d’abbandono in cui imperversa il territorio tarantino: rimane una città sospesa tra sopravvivenza e morte, tra la necessità del lavoro e l’emergenza sanitaria e ambientale in un luogo fagocitato dall’industrializzazione. Nell’opera “Elisa”, Arcangelo Sassolino richiama una figura femminile che può essere interpretata come simbolo di forza, determinazione e vulnerabilità , facendo riferimento a una condizione di fatica e sacrificio associata al lavoro e alla lotta quotidiana. L’opera di Sassolino evoca inoltre un forte senso di resistenza, di sforzo prolungato, di un corpo che persiste e si oppone pur nella inevitabile consapevolezza dei suoi limiti.  Il linguaggio astratto di Giuseppe Santomaso riguarda sempre il lavoro in fabbrica. La sua “Trancia” è uno strumento per forare materiali duri come il metallo, rappresentazione del duro lavoro e sacrificio legato alle attività industriali. Una riflessione sulle conseguenze dell’inquinamento industriale proviene dall’opera “Per l’eternità” di Luca Vitone, che racconta gli effetti, le cicatrici, l’amara eredità dell’impatto che l’eternit ha avuto sulla vita delle persone e sul territorio piemontese. Quella polvere bianca è un nemico invisibile ma presente, cristallizzato nelle voci di chi quella tragedia l’ha vissuta nella paura che suscita la paura del vento, che per analogia diventa paura di respirare.

Attraverso questi sguardi eterogenei ed altre opere e artisti in mostra, “Fondato sul lavoro” non si limita a rappresentare il lavoro, ma lo mette in discussione. Chi lavora oggi ? In quali condizioni ? Qual è il valore reale del lavoro in una sistema in evoluzione ? Attraverso epoche diverse gli artisti hanno narrato la fatica quotidiana, la precarietà, la miseria e i drammi umani legati al lavoro, rendendo visibili quelle realtà spesso trascurate e ignorate. Dare luce a ciò che è nascosto, marginalizzato e dimenticato è uno dei compiti che Flashback si assume con forza, ponendolo al centro attraverso un dialogo tra arte e vita, tra opere e quotidiano. In questo modo l’arte viene percepita anche nel ruolo attivo e vivo capace di parlare di sfide e speranze dell’esistenza umana. L’arte diventa una lente di ingrandimento sulla realtà e un efficace strumento per comprenderla, criticarla e trasformata.

Mara Martellotta

“De Amicitia”: Gianinetti e Bartolomeoli in mostra a Moncalvo

Parafrasando la famosa opera di Cicerone con il dialogo sull’amicizia che ne esamina i valori, basata su affetto, lealtà e condivisione di intenti tra persone meritevoli, il museo civico di Moncalvo intitola la nuova mostra  “De Amicitia”.

Mettendo a confronto le opere di Roberto Gianinetti e Alfredo Bartolomeoli, si evidenzia non solo l’eccellenza artistica ma anche l’aspetto umano di grandi amici che si sono accordati nel presentare contemporaneamente i propri lavori senza che gli uni prevalgano sugli altri.

Tutta la storia dell’arte è permeata dall’amicizia tra artisti; senza scomodare le Confraternite dei Preraffaelliti e dei Nazareni, può bastare l’esempio del rapporto amichevole tra Claude Monet e Pierre Auguste Renoir, di Camille Pissarro e Paul Cezanne, di Andy Warool e Jean Michel Basquiat che hanno spesso lavorato insieme costruttivamente.

 

L’incontro  fortuito, nel 2000 a Urbino, tra Gianinetti  allora ancora studente e Bartolomeoli già noto maestro di incisione, segnò immediatamente una stima reciproca che nel tempo si intensificò in vera amicizia.

Entrambi, nutriti di studio e sperimentazioni di ogni tipo di arte incisoria,  ripristinando  il binomio artista artigiano con l’affidare l’Idea al supporto del “saper operare” della tecnica, sono approdati a eccellenti risultati in particolare attraverso la xilografia, il più antico procedimento di stampa nato in Cina per testi e immagini sacre poi, dopo secoli,  trasformatasi in disciplina autonoma.

Roberto Gianinetti, abbandonata la professione di veterinario, pur esercitata con passione, folgorato dalla bellezza della xilografia giapponese dopo un soggiorno a Tokio, iniziò un personalissimo percorso con libertà di espressione, fervido entusiasmo e rigoroso impegno, distinguendosi per l’originalità dello stile.

Come si è già constatato nella precedente mostra “Avatar-Metaverso” nello stesso museo di Moncalvo, niente in lui è scontato nell’elaborare processi mentali tra realismo e astrattismo, simbolismo e surrealismo, divertissement e profondità di pensiero.

In un percorso di singlossia egli incrocia il linguaggio verbale a quello visivo con  bipolarità della gestualità espressiva dei segni tra non senso e rigore matematico inventando arditi accostamenti di parole o semplici lettere dell’alfabeto, silouettes, labirinti, linee, bottiglie, carte da gioco, figure geometriche.

Il tutto con improbabile spaesamento ma proprio per questo così affascinanti e coinvolgenti.

A sua volta Alfredo Bartolomeoli, dopo infinite sperimentazioni che l’hanno reso famoso in campo internazionale, è giunto ad originali Concetti Spaziali di cui possiamo ammirarne otto  presenti in mostra:

A differenza di tanti emuli che imitano  i tagli e i buchi di Lucio Fontana che nel 1947 diede il nome di Spazialismo al nuovo movimento ( con l’appoggio del gallerista Carlo Cardazzo e Milena Milani, nel “Naviglio” milanese,  che credettero in lui) Bartolomeoli con lo stesso intento di abbattere le barriere bidimensionali dello spazio ne continuò il cammino in modo personale.

Se Fontana, attraverso la terza dimensione dei tagli e i buchi ispirati dalle passeggiate spaziali degli astronauti, si esprimeva con una gestualità pacata con espressione di tranquillità solenne, persino epica in alcune grandi tele, al contrario Bartolomeoli con le xilografie ispirate al paesaggio collinare urbinate,  raggiunge una spazialità improntata al dinamismo.

Ogni sua opera non rimane mai chiusa in se stessa bensì espande il movimento che si propaga senza sosta nell’opera successiva, come poeticamente l’artista sottolinea “al pari di una farfalla che passa di fiore in fiore”.

Si distingue, tra le xilografie astratte su carta di Pescia, famosa per il procedimento a mano, la “Cascata” a dimostrazione che il ricordo del figurativo e della tradizione rimane insito nel cuore di un artista anche se  aniconico e d’avanguardia.

Giuliana Romano Bussola

Allo Spazio Musa a Torino la fragilità e l’assenza si riflettono sulla memoria

 Le sculture astratte di Fabio Zanino dialogano con le pitture visionarie di Diego Pomarico

 

Martedì 1 aprile presso lo spazio Musa, in via della Consolata, inaugura la mostra intitolata “Frammenti di città “. Le sculture astratte di Fabio Zanino dialogano con le visionarie pitture di Diego Pomarico.

La mostra è curata da Lucrezia Nardi. Si tratta di una doppia personale che, fino al 20 aprile prossimo, si pone come un dialogo profondo e stratificato tra due artisti che provengono da ambiti diversi, ma affini, entrambi legati a Laboratorio Ventre, lo spazio di via Cervino 60, che ospita le loro ricerche e che fa parte del circuito Barriera Design District.

La mostra, allestita nelle suggestive cantine settecentesche del Quadrilatero Romano, ha come focus la città. ‘Frammenti di città’ si muove lungo un filo di una comune riflessione, quella sul frammento, inteso non soltanto come elemento fisico o formale, ma come condizione esistenziale, capace di parlare della fragilità umana e della tensione alla ricomposizione. Zanino e Pomarico costruiscono un discorso sull’antropologia della mancanza. Ogni opera è traccia di un processo di perdita e ritrovamento, ogni materiale, ogni detrito si carica del peso della memoria, del tempo e della trasformazione.

Zanino rielabora materiali di scarto trovati nell’ambiente urbano, quali cartelli stradali, detriti, frammenti, che evocano tracce di storia industriale e racconti di migrazione, abbandono, ricostruzione. I suoi interventi scultorei possono essere paragonati a una chirurgia estetica della materia, dove lo scomporre serve per ricomporre, il disfare per definire un nuovo ordine.

Le composizioni di Pomarico appaiono, invece, come città immaginate, luoghi della memoria e del sogno, create per riflettere sulla precarietà degli spazi e delle forme. Sono architetture liquide, sospese tra la figurazione e l’astrazione. Grandi strutture emergono da fondali dove il colore si deposita in velature, gocciolature, saturazione dense e trasparenti.

Un dialogo sul frammento come condizione esistenziale e come invito a osservare le crepe e a trovare inedite possibilità anche nelle imperfezioni.

Le sculture di Zanino e le pitture di Pomarico si interrogano, si rispondono e si completano in un paesaggio condiviso che parla di città invisibili, di geografie interiori, di territori prima smembrati e poi ricuciti.

 

Mara Martellotta

 

 

 

Daniela Borla: “Scrivere poesie e’ un po’ come dipingere”

“Scrivere poesie e’ un po’ come dipingere” dice Daniela Borla l’eclettica artista eporediese conosciuta come Dabo’. Laureata in pedagogia ha insegnato per molti anni e svolto l’attivita’ di psicopedagogista, ma il suo talento comunicativo si e’ alimentato anche di arte e parole ed e’ sfociato in una carriera intensa da pittrice, scultrice e scrittrice. Certe cose ce le hai nel Dna, la capacita’ di mettere su tela, sulla materia e sulla carta i tuoi pensieri e farli diventare opere d’arte non e’ solo un percorso interiore evolutivo, ma soprattutto un seme che nasce insieme a te che nel tempo prende forma crea la personalita’ e definisce la tua vita.

Daniela Borla ha scelto di dipingere l’informale, l’opera dell’uomo : citta’, metropoli, periferie urbane, edifici fatiscenti, “ e’ principalmente l’uso dei colori e delle linee frazionate a creare una certa incompletezza dell’opera, e’ il tempo che passa, gli agenti atmosferici, i vandalismi o le ristrutturazioni a modificarne sempre la realizzazione iniziale”. Non ci sono forme umane dei quadri di Dabo’, ma le loro vite, le loro fatiche , i loro problemi quotidiani e tutto cio’ viene fuori da questi ambienti: l’espressione dell’anima urbana. Le sue tele sono attraversate da linee spezzate, sovrapposizioni di colori audaci e giochi di luce che suggeriscono un senso di movimento e di continua trasformazione. Borla ha dato vita all’atelier ArtDabò, situato nel cuore di Ivrea, uno spazio espositivo che non solo ospita le sue opere, ma rappresenta anche un punto di incontro per artisti e appassionati d’arte. Insieme al suo compagno Luca Stratta, porta avanti un progetto culturale che mira a diffondere il valore dell’arte contemporanea e della sperimentazione.

Nel corso della sua carriera, ha partecipato a numerose mostre, sia in Italia che all’estero, esponendo le sue opere in città come Torino, Milano, Genova, Parigi e Barcellona. Il suo lavoro ha ricevuto apprezzamenti per la capacità di catturare l’essenza della vita attraverso una pittura che si nutre di suggestioni architettoniche e sociali.

Oltre alla pittura, Dabò si dedica anche alla scrittura. Ha pubblicato diversi libri, tra cui “Storie Rubate” e “La Casa delle Bambole di Vetro”, in cui il suo sguardo attento alla realtà si traduce in narrazioni intense e coinvolgenti. La sua poetica si esprime anche in versi con la raccolta “Colonne Vertebrali”, dove parole e immagini si fondono in un’unica voce artistica.

Si puo’ cogliere la bellezza anche nei dettagli, negli ambienti che normalmente non attirano l’attenzione proprio per la loro non-armonia, ci vuole una grande sensibilita’ e la devozione all’arte per saper tirare fuori un luogo “freddo”, come un porto o un cantiere, una emozione e tutto questo Daniela Borla con la sua passione e la sua continua ricerca lo fa benissimo.

Dabo’ spiega “L’arte è per tutti. L’arte è ovunque, è necessario avere gli occhi per vederla. Non appartiene a pochi eletti. Per me, l’arte è una continua fonte di scoperta e curiosità, non solo quella dei Grandi Maestri, ma anche quella che possiamo incontrare ogni giorno per strada”.

MARIA LA BARBERA

Mario Lattes in mostra a Monforte d’Alba

La collezione ed alcune opere presso la Fondazione Bottari Lattes

 

“Echi del ‘900. Le collezioni della Fondazione Bottari Lattes da Amedeo Modigliani a Pinot Gallizio” è il titolo della mostra inauguratasi sabato 29 marzo scorso e aperta fino all’11 maggio prossimo presso la Fondazione Bottari Lattes a Monforte d’Alba.

L’esposizione rappresenta la narrazione dell’universo creativo di Mario Lattes a partire dalla collezione personale dell’artista con oltre quaranta opere. La mostra è curata da Armando Audoli e valorizza il corpus della Fondazione, in quanto, accanto alla raccolta originaria di Mario Lattes, sono presenti i lavori acquisiti dalla moglie, Caterina Bottari Lattes, che ha idealmente proseguito l’attività del marito, arricchendola di nuove opere secondo la propria sensibilità.

Per Mario Lattes il collezionismo non era solo una ricerca estetica, ma un’estensione del proprio percorso ed impegno artistico e intellettuale. L’incisione, il disegno e la pittura, le tecniche che più lo appassionavano, rappresentano il fulcro di questa mostra.

Secondo il curatore Armando Audoli, la collezione di Mario Lattes riflette il suo spirito irregolare e visionario, con la presenza di una serie di opere capaci di accostare con naturalezza artisti eccentrici e simbolisti ai grandi nomi del Novecento europeo e italiano.

Tra i pezzi più significativi in mostra spicca un dipinto del 1963 di Pinot Gallizio, che dialoga con opere di protagonisti dell’informale torinese come Giacomo Soffiantino, Piero Ruggeri e Sergio Saroni. Sono presenti tele di Ennio Morlotti, Albino Galvano, una selezione di incisioni di Mario Calandri, Luigi Bartolini, Jean Pierre Velly e Anderle.

Non mancano opere di artisti di respiro internazionale come Georges Braque, Maurice Utrillo e Amedeo Modigliani, che è presente con il disegno “Figura dell’uomo seduto”, delicato disegno di un fumatore di pipa.

Tra gli altri artisti presenti Osvaldo Licini, Ernst Fuchs, che testimoniano l’interesse di Lattes per il simbolismo e il surrealismo mitteleuropeo. Di Italo Cremona è esposta l’opera “La macchina da cucire”, sono anche presenti opere di Lucio Fontana, Gianfranco Ferroni, Virgilio Guidi, Fausto Melotti, Mario Sironi, Francesco Tabusso, Carlo Terzolo e Renzo Vespignani.

Un corpo di non minor rilevanza di opere riguarda i dodici lavori tra oli su tela, cartone e tecniche miste su carta realizzate da Mario Lattes, al quale venne dedicata una mostra nella famosa galleria Galatea nel1960.

L’iniziativa della mostra “Echi nel ‘900” si inserisce nel programma culturale della Fiera Internazionale dei Vini del Piemonte- Vinum Alba 2025 e vede rinnovare la collaborazione tra l’ente Fiera di Alba e la Fondazione Bottari Lattes che, durante l’apertura della mostra, promuoverà laboratori didattici e visite guidate per le scuole, permettendo ai ragazzi anche la sperimentazione della tecnica dell’incisione.

Orari di apertura

Dal lunedì al venerdì 9.30/13; 14.30-16.30

Sabato, domenica e festivi 10/13; 14/17.

Ingresso gratuito senza prenotazione

 

Mara Martellotta

Le “nuove” stanze di Leonardo ai Musei Reali

Il nuovo allestimento multimediale teso a valorizzare i disegni del più grande ed eclettico “Genio” rinascimentale

“Quel gran genio del mio amico”: su un testo tratto dall’opera di Oliviero Corbetta, (ispirato alla vita ai viaggi e ai misteri del grande Leonardo da Vinci) alternato a momenti di musica dal vivo (eseguiti in collaborazione con il Conservatorio “Giuseppe Verdi”) e ad una performance teatrale a cura di Stefania Rosso, si è mossa piacevolmente, ai “Musei Reali” di Torino, la presentazione dell’allestimento permanente (insieme al restauro degli ambienti aulici e delle Collezioni del “Caffè Reale” realizzati su progetto di Lorenza Santa con Tiziana Sandri) della nuova sezione espositiva “Uno spazio per Leonardo / Leonardo per lo spazio”. Siamo al primo piano della “Galleria Sabauda”, all’interno dell’innovativo “allestimento multimediale” con cui s’è inteso “raccontare e valorizzare – dicono i responsabili – la raccolta dei disegni di Leonardo da Vinci conservata nella ‘Biblioteca reale’, che per ragioni di tutela non può essere esposta con continuità”.

Dunque, nuovi spazi per le opere “subalpine” del “Genio” di Vinci, scienziato, inventore ed eccelso artista. O meglio, come detto, “Uno spazio per Leonardo / Leonardo per lo spazio”, quello spazio fisico che qui troviamo ben riprodotto in ambienti visionari e magici abitati da altrettanto visionarie e magiche sagome volanti, in quel simbolico “volo d’uccelli” (il suo reale “Codice sul volo degli uccelli” arrivò in “Biblioteca Reale” nel 1893) che rappresentò il più fantastico tormento e l’immaginifica passione della sua intera vita; spazio dove troviamo oggi (e crediamo che Leonardo, sempre disponibile ad affrontare e a cavalcare senza risparmio le più strane proposte del “futuro” e del “futuribile” ne sarebbe ben soddisfatto!) apparati informativi e multimediali, tra cui un touch screen” per sfogliare integralmente il suo “Codice sul volo” e, al centro della sala neobarocca decorata a stucchi, uno “scrigno rivestito con materiale specchiante” su cui si riflettono “scritture” e “disegni” del Maestro che ricoprono le pareti.

Promosso dai “Musei Reali” e curato dall’architetto Lorenzo Greppi  – con la collaborazione di Francesca De Gaudio e Alessia Frosini (scenografie), Faustino Montin (museotecnica), Francesca Bellini delle Stelle e Chiara Ronconi (grafica) –

il nuovo spazio “approfondisce gli intrecci di storie tra Leonardo da Vinci, la sua arte visionaria e i Musei Reali” che, nelle raccolte della “Biblioteca Reale”, conservano “tredici autografi” di straordinario valore storico-artistico acquistati da Carlo Alberto di Savoia nel 1840, tra cui il famoso “Autoritratto” a sanguigna (1510 – 1515)Tredici disegni che si collocano lungo l’intero arco cronologico della vita di Leonardo (Anchiano-Vinci, 1452 – Amboise, 1519) e che documentano la varietà dei suoi ambiti operativi, la trama estesa delle sue più audaci esplorazioni e l’ineguagliata capacità di arrivare, attraverso il disegno, all’essenza e alla più profonda verità delle cose.

Meraviglia delle meraviglie! Ad aprire il nuovo allestimento permanente, é il filmato che racconta il viaggio dell’“Autoritratto” e del “Codice sul volo degli uccelli”, riprodotti digitalmente in microchip, a bordo del “Rover Curiosity” lanciato da “Cape Canaveral” il 26 novembre 2011: grazie a un’idea di Silvia Rosa-Brusin, giornalista e conduttrice del “TGR Leonardo” della “RAI”, accolta dalla “NASA”, Leonardo è approdato su Marte il 5 agosto 2012 e sta ancora esplorando il pianeta rosso.

Altra meraviglia! Al centro della cosiddetta “scatola specchiante”, ecco l’installazione multimediale “Leonardo da Vinci: la visione del Genio tra reale e virtuale” che, ideata e progettata dalla torinese Società “Mnemosyne SRL” (nata nel 2010, grazie alla fusione di competenze di un gruppo di manager con esperienza decennale nella produzione di film per il cinema e la televisione, fiction, serialità e format televisivi secondo un modello di flessibilità organizzativa, creatività e innovazione tecnologica) e curata da Cristian Casella e Nicola Sganga, consente al pubblico di addentrarsi e accedere nell’universo leonardesco, grazie a un’esperienza immersiva, per una nuova modalità di racconto del celeberrimo “Autoritratto”.

Il nuovo “Spazio Leonardo” permetterà, inoltre, di presentare a rotazione, in una vetrina “blindata e climatizzata” all’interno dello scrigno, un “disegno originale” della preziosa raccolta della “Biblioteca Reale”.

Ricordiamo anche che di fronte al nuovo spazio espositivo e accanto alla biglietteria del Museo, riapre al pubblico il Bookshop dei “Musei Reali”, affidato a “Silvana Editoriale” e realizzato su progetto di “Loredana Iacopino Architettura”.

 

Gianni Milani

 

Nelle foto: immagini dal nuovo “allestimento multimediale per Leonardo”

Valerio Berruti, “More than kids”

Alla Fondazione Ferrero di Alba, nel Cuneese, un’ampia retrospettiva sulle opere anche dedicate all’infanzia dell’artista albese 

 

Si intitola “More than kids” la personale dedicata alle opere di Valerio Berruti, allestita dal 4 aprile al 4 luglio prossimi presso la Fondazione Ferrero di Alba e curata da Nicolas Ballario e Arturo Galansino.

La mostra, a ingresso gratuito, offre una panoramica del percorso creativo seguito dall’artista 48enne albese.

Saranno esposti affreschi, sculture, videoanimazioni che mettono in luce la grande versatilità di Valerio Berruti. Accanto alle sue iconiche rappresentazioni dell’infanzia, per la prima volta l’artista presenterà un nuovo filone di indagine creativa, concentrato sul paesaggio delle Langhe al quale egli è legato sin dalla più tenera infanzia. Il paesaggio delle Langhe viene disegnato da Berruti con un tratto distintivo e con l’invito rivolto al visitatore perché termini l’opera che ha di fronte semplicemente con l’osservazione.

Valerio Berruti utilizza l’antica tecnica dell’affresco, la scultura, la videoanimazione per creare immagini essenziali ispirate al mondo dell’infanzia, una fase della vita sospesa tra sogno e possibilità.

Alcuni dei lavori in esposizione alla Fondazione Ferrero proseguiranno il loro cammino verso Milano, dove andranno a completare l’allestimento che l’artista presenterà nelle sale di palazzo Reale, questa estate, dal titolo “Not just kids”.

Nel 2022 è stata inaugurata la sua monumentale scultura Alba, in acciaio inox bronzato alta 12 metri e donata dalla famiglia Ferrero alla Città di Alba, posizionata nella centrale piazza Michele Ferrero, dedicata all’imprenditore albese. Nel maggio del 2024 Berruti ha inaugurato

“ Circulating Sketch”, una personale in Cina nel prestigioso Teagan Space di Youyi Bay, nel distretto di Pechino.

Prima dell’inaugurazione della mostra è previsto un incontro tra l’artista e gli insegnanti nel corso del quale verranno presentate le attività educative e i laboratori artistici riservati alle scuole, organizzati nel periodo della retrospettiva alle Fondazione Ferrero.

 

Fondazione Ferrero, Strada di Mezzo 44, Alba

Orari: mercoledì, giovedì e venerdì dalle 15 alle 19, sabato domenica e festività dalle 10 alle 19.

Chiuso dal 18 al 27 aprile.

 

Mara Martellotta

“KIN 金 – Sfumature d’oro nelle arti giapponesi”. Al Castello della Rovere di Vinovo

Dal 29 marzo all’8 giugno prossimi
Nel Buddhismo, l’oro è lo splendore della luce del Buddha, nel teatro
tradizionale giapponese Nō è la luce della dimensione sacrale che distingue
le divinità dagli esseri umani. Con il passaggio all’arte moderna, la
sensibilità nei confronti dell’oro vira dalla luce sacra a quella mondana e
gli artisti iniziano a considerarlo sia come luce che come il più brillante
tra tutti i colori, senza tralasciarne l’effetto lussuoso e decorativo.
Parte da questi presupposti la mostra “KIN 金 – Sfumature d’oro nelle arti
giapponesi”, in programma nelle sale del Castello Della Rovere di
Vinovo, dal 29 marzo all’8 giugno 2025, a cura di Roberta Vergagni e
organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Vinovo.
Ogni anno, dal 1995, i giapponesi scelgono il *kanji* – l’ideogramma – più
rappresentativo dell’anno trascorso, che viene annunciato a dicembre in una
solenne cerimonia presso il Kiyomizudera di Kyoto: ebbene, la votazione
nazionale ha decretato vincitore per l’anno scorso proprio il carattere 金
Kin, a rappresentare gli splendidi successi degli atleti giapponesi ai
Giochi Olimpici e Paralimpici del 2024.
Il percorso espositivo si articola in tre sezioni principali:La prima offre
una panoramica su manufatti realizzati utilizzando diversi supporti, in cui
il protagonista è l’oro in dialogo con alcune importanti tecniche di
produzione artigianale giapponese. La seconda sezione è dedicata a una
selezione
di stampe di incisori moderni e contemporanei, che hanno impreziosito le
loro opere con l’utilizzo dell’oro o che all’oro si sono ispirati, e che
costituiscono la fase moderna e contemporanea delle xilografie *ukiyo-e*. È
esposta anche un’opera di Takashi Murakami, fondatore del movimento
Superflat giapponese, considerato il più famoso artista contemporaneo
nipponico. La terza sezione è dedicata alle opere della maestra calligrafa
Kazuko Hiraoka e della maestra di kintsugi Aiko Zushi. I dipinti
calligrafici di Hiraoka combinano la magia della foglia d’oro con
l’espressività dell’arte giapponese dello shodō. Le ceramiche riparate con
la tecnica del kintsugi dalla maestra Zushi, vivono una nuova vita
all’insegna del bello.
La mostra è stata realizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di
Vinovo, in collaborazione con Associazione I.N.T.K.- Associazione italiana
per la spada giapponese, Associazione Interculturale Italia-Giappone Sakura
di Torino. Con il patrocinio del Consolato Generale del Giappone a Milano.
Sono in programma tre laboratori. Due gratuiti per bambini: sabato 10
maggio, alle 16:30, manga con Haider Bucar; sabato 25 maggio, alle
16:30*, *letture
con kamishibai con Eva Gomiero.
Un workshop di *kintsugi*, sabato 5 aprile, alle 15:30, con la maestra Aiko
Zushi, pensato per avvicinare alla pratica del *kintsugi *le persone che
nutrono un profondo interesse per la cultura giapponese. Attraverso un
seminario con laboratorio pratico, i partecipanti potranno familiarizzare
con la lacca *urushi*, il materiale fondamentale usato in questo tipo di
tecnica, e sperimenteranno l’ultima fase del processo di restauro, ovvero
la finitura con polvere d’oro. Le materie prime e il piatto di ceramica
utilizzati arrivano direttamente dal Giappone.
*Info: *sabato dalle 15 alle 18:30; domenica dalle 10:30 alle 12:30 e dalle
15 alle 18:30. (Ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura).
Biglietti: intero 7 euro; ridotto 5 euro (possessori Abbonamento musei,
over 65, gruppi minimo 10 Persone, adulti partecipanti ai laboratori per
famiglie); gratuito (minori di anni 18, persone disabili certificate,
comitive scolastiche, giornalisti muniti di tesserino).
Castello della Rovere – Via del Castello 2, Vinovo
Mara Martellotta