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Cuneo dedica una “mostra immersiva” all’opera di Charles M. Schulz, il più grande cartoonist del XX secolo
Fino al 1° aprile 2024
Cuneo
“Se poesia vuol dire capacità di portare tenerezza, pietà, cattiveria a momenti di estrema trasparenza, come se vi passasse attraverso una luce e non si sapesse più di che pasta sian fatte le cose, allora Schulz è un poeta”: così scriveva Umberto Eco nell’introduzione alla prima raccolta in italiano dei celebri “Peanuts” (“Arachidi”), fra i fumetti più popolari di tutti i tempi, creature immortali di Charles Monroe Schulz(Minneapolis, 1922 – Santa Rosa 2000), “autore della più lunga storia illustrata mai raccontata nella storia dell’umanità”. “Le 17.897 strisce e tavole pubblicate dal 2 ottobre del 1950 al 13 febbraio del 2000 sono una tenera, a tratti feroce seduta di autoanalisi: la terapia di un fumettista rimasto fanciullo che si confronta con il mondo, gli affetti le relazioni con gli altri e gli slanci di fantasia”: il tutto abbondantemente condito da toccanti suggestioni di ingenua “poesia” messa su carta in forma di parole e disegni.
Federico Fiecconi, giornalista, esperto dell’“immaginario disegnato” (inviato speciale a “Cartoonia e dintorni” per diverse testate, all’attivo oltre 300 reportage, pubblicazioni e interviste) con queste sue affermazioni si pone in linea con le parole di Eco e, ancora una volta dimostra, la piena “venerazione” portata avanti per tutta la vita per quel “genio gentile” di Schulz che ebbe modo di intervistare per la prima volta, nei primi anni ’80, nel suo studio in “One Snoopy Place”, a Santa Rosa, nella California del Nord. Ed é proprio a lui, al romano Fiecconi (autentica garanzia!) che si deve la curatela della rassegna “Charles M. Schulz, una vita con i ‘Peanuts’. Mostra immersiva nell’opera del più grande ‘cartoonist’ del XX secolo”, ospitata, fino a lunedì 1° aprile 2024, presso lo “Spazio Innov@zione” di via Roma 17, a Cuneo. Promossa da “CRC Innova” e Associazione Culturale “Cuadri” (in accordo con il “Charles M. Schulz Museum” di Santa Rosa), l’esposizione permette ai visitatori di entrare in dialogo con la vita di Schulz (Schulz vedi Charlie Brown) e di immergersi nel mondo ideato dal mitico fumettista: storia, timeline e curiosità vengono raccontate attraverso oggetti, videowall e applicazioni interattive. Uno spazio apposito è anche dedicato ai più piccoli “in chiave ludica e interattiva”, interagendo attraverso frasi celebri e disegni. “La storia di un timido ragazzo di provincia – spiega Andrea Borri, presidente di ‘Cuadri’ – che supera un difficile apprendistato e arriva ad essere il fumettista più pubblicato al mondo può essere di grande ispirazione per le nuove generazioni … Proprio in quest’ottica, i contenuti dell’esposizione sono stati interamente realizzati in inglese ed in italiano, rendendo l’opera di Schulz comprensibile al pubblico più vasto”. Pubblicata quotidianamente per quasi 50 anni, la striscia dei “Peanuts” (il termine venne scelto perché indicava a teatro i posti più economici riservati solitamente ai bambini, ma non piaceva per nulla a Schulz che ebbe a definire la scelta “ridicola e senza senso o dignità”) è apparsa fino alla morte dell’autore su 1600 quotidianiin ben 75 Paesi. E ancora oggi, le repliche (nel suo testamento, Schulz richiese espressamente che non si disegnassero nuove strisce basate sulle sue creature) sono distribuite e pubblicate ogni giorno sui quotidiani di decine di Paesi del mondo: in Italia, dal “Post”. Della popolarità e dell’influenza della “striscia” – nonché dei suoi personaggi più celebri, soprattutto Charlie Brown, Snoopy e Linus – si parlerà, nell’ambito della mostra cuneese in un incontro, programmato per sabato 21 ottobre, ore 18, presso lo “Spazio Incontri” della “Fondazione CRC” (via Roma, 15) , fra Claudio Massari – per trentadue anni agente per l’Italia con la sua “BIC Licensing” dei diritti commerciali dei “Peanuts” – e il curatore della mostra, Federico Fiecconi, di cui già si è detto.
Il 13 febbraio 2000, venne pubblicata l’ultima “striscia” dei “Peanuts”. Esattamente il giorno dopo la morte del suo creatore, Charles Schulz, che affidava a Snoopy il compito di congedarsi dal suo pubblico con queste parole: “Cari Amici, ho avuto la fortuna di disegnare Charlie Brown e i suoi amici per quasi cinquant’anni. E’ stata la realizzazione del mio desiderio d’infanzia. Sfortunatamente, la mia situazione non mi permette più di disegnare una striscia ogni giorno. La mia famiglia non vuole che nessun altro continui a disegnare i Peanuts al posto mio e per questo devo annunciare il mio ritiro. Sono grato ai miei editori per la fedeltà che mi hanno dimostrato in tutti questi anni e ai fan dei miei fumetti per l’affetto e il sostegno che mi hanno dato. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy … come potrò mai dimenticarli…”.
Gianni Milani
“Charles M. Schulz, una vita con i ‘Peanuts’”
Spazio Innov@zione, via Roma 17, Cuneo; tel. 0171/452711 o www.crcinnova.it
Fino al 1° aprile 2024
Orari:dal mart. al ven. 15,30/20; sab. e dom. 9/13 e 15/20
Photo credit: “Charles M. Schulz Museum” e Loris Salussola
Da sabato 16 dicembre a domenica 21 gennaio 2024
Bard (Aosta)
Un mare vivo, infinito. Di color bianco. Nel mezzo, a fatica, il bianco s’interrompe con uno “spruzzo” appena percettibile di grigio – nero. Sono i “Pascoli di montagna” realizzati nel 2019 dal fotografo “di gran vaglia” Silvano Ruffini, origini emiliane (Castelnovo ne’ Monti in provincia di Reggio Emilia, 1954), ma ormai da tempo valdostano d’adozione. Il soggetto spacca al millesimo la realtà, quella di un gregge pascolante a perdita d’occhio di pecore domestiche, da poco tosate, che nel suo bel mezzo lascia un piccolo varco, quel tanto che basta per far apparire la testolina incerta e curiosa e un po’ impaurita di una capretta (che sembra pensare e dire ma io che ci faccio qui, sarà pericoloso?) dalle corna corte e sottili che a quel bianco senza fine regalano un pizzico di chiaroscuro dal grigio al marrone al nero, teso a scuoterci dall’incantesimo di un’immagine che ci tieni lì, fermi a osservare e a goderci belle emozioni. Lo scatto appartiene al gruppo di fotografie, varie serie fotografiche, realizzate da Ruffini e raccolte (per la prima volta nello stesso luogo), da sabato 16 dicembre a domenica 21 gennaio 2024, nelle “Scuderie” del valdostano “Forte di Bard”. Fotografie in bianco e nero (ad enfatizzare le emozioni), pur se l’artista non si esime dal cimentarsi in tavolozze di colori accesi resi con grande carica visiva e talento da vendere espresso, a mo’ di esempio, in quei magnifici palloni aerostatici (?), “Color of Air” (2017), a fatica trattenuti sul campo innevato e gonfi di vento in una vibrante danza di gialli verdi blu e grigi che ne esalta le forme e l’incontrastata volontà di librarsi in volo. La mostra si articola in cinque sezioni – tematiche, con l’obiettivo di far scoprire al pubblico le diverse tappe dell’ormai quarantennale viaggio artistico di Ruffini, di certo fra i fotografi più creativi dell’attuale panorama artistico italiano. E non solo. Un iter che racconta l’amore per le sue montagne (per anni l’artista ha vissuto a Charvensod e oggi ad Aosta) e per la campagna, senza disdegnare i centri urbani e soprattutto e sempre le strade e le persone. Donne e uomini, suoi prim’attori.
Donne e uomini volutamente o casualmente incontrati, fermati in un “click” che vale un infinitesimo di secondo e che racconta, nell’immediatezza, mai un istante di più, di gioie dolori fatiche sofferenze amori rabbie o ingiustizie capaci di fiaccare corpi e anime. Si veda in proposito la serie dei suoi “Ritratti” in bianco e nero, su cui tanto ha giocato la “post-produzione” in digitale: quei volti, minuti paesaggi di rughe infinite (ognuna è racconto di spazi vitali capaci di scuotere pancia, anima e cuore), le barbe bianche frugate con certosina minuzia, i cappellacci sgualciti e in piena rovina portati da una vita, sopra grandi occhiali che nascondono occhi neri come il carbone. Sono soggetti in cui “il fotografo – è stato scritto – si cancella completamente a favore dell’immagine”, attraverso cifre stilistiche inconfondibili e del tutto singolari. Dice in proposito lo stesso Ruffini: “Mi piace essere riconosciuto ed essere riconoscibile da uno ‘stile’ che ho cercato nel tempo … Non ho miti a cui ispirarmi, il mio mito è la ‘fotografia’, non solo quella dei grandi maestri ma anche quella molto più modesta da cui traspare solo l’amore per questa splendida arte!”.
Gianni Milani
“Percorsi. Fotografie di Silvano Ruffini”
Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it
Fino a domenica 21 gennaio 2024
Orari: dal mart. al ven. 10/18, sab. dom. e festivi 10/19. Lunedì chiuso
Nelle foto:
– Silvano Ruffini: “Pascoli di montagna”, 2019
– Silvano Ruffini: “Color of Air”, 2017
– Silvano Ruffini: “Distort”, 2014
Al rush finale la rassegna promossa da “BI-Box Art Space”
Sabato 16 dicembre, ore 10,30
Biella
Chiude alla grande l’edizione 2023 di “ContemporaneA Giovani”, la rassegna di “ContemporaneA. Parole e storie di donne” – progetto di “BI-Box Art Space”, associazione di promozione socio-culturale nata a Biella nel 2011 – dedicata ai più piccoli, dai cinque ai tredici anni. Ospite d’eccezione, sabato 16 dicembre (ore 10,30) presso la “Biblioteca Ragazzi Rosalia Aglietta Anderi”, in piazza La Marmora 5, a Biella, sarà Beatrice Masini (giornalista, scrittrice e traduttrice milanese) in dialogo con la “storica” bibliotecaria biellese Patrizia Bellardone. Incontro particolarmente significativo e atteso “se si considera – dicono i responsabili – che già nell’estate del 2020, poco dopo l’avvio del progetto ‘ContemporaneA’, Masini fu recensita all’interno della rubrica social ‘A ruota libera’ e poi intervistata un anno più tardi nell’ambito dei ‘rendez-vous online’ intitolati ‘Caffè con le ragazze’”.
L’appuntamento di sabato 16 dicembre si svilupperà a partire dai libri “La cena del cuore. Tredici parole per Emily Dickinson” e “Quello che ci muove. Una storia di Pina Bausch”, entrambi editi dalla palermitana “rueBallu”, in cui l’autrice spiegherà perché conoscere queste due donne del passato (la prima fra le principali esponenti della poesia americana dell’Ottocento e la seconda coreografa e ballerina tedesca del secolo scorso inventrice del cosiddetto “Tanztheater” o “Teatrodanza”) sia così importante ancora oggi.
La partecipazione è gratuita ed è consigliata a partire dai 10 anni in su.
Autrice di opere per l’infanzia e stimata traduttrice, Masini è nota anche per aver tradotto diversi libri (dal terzo al settimo) della “saga di“Harry Potter” di J. K. Rowling ed è attualmente direttrice di divisione “Bompiani”, dopo essere stata “editor responsabile” della “Rizzoli”. Tra i riconoscimenti ottenuti, “Premio Pippi” (per “Signore e signorine”), “Premio Elsa Morante” (per “La spada e il cuore”) e, in cinque occasioni, “Premio Andersen – Il mondo dell’infanzia come miglior autore”. Nel 2010 il suo “Bambini nel bosco” (Fanucci) è stato finalista al “Premio Strega”, prima opera per ragazzi ad aver mai concorso nella storia del prestigioso Premio. Le sue opere sono tradotte in quindici Paesi.
L’iniziativa “ContemporaneA Giovani” ha visto svolgersi, da ottobre ad oggi, sette appuntamenti, tra laboratori creativi e incontri con gli autori, che si sono tenuti in vari punti della città, quali la galleria “BI-BOx Art Space”, la “Libreria Giovannacci” e la “Biblioteca Rosalia Aglietta Anderi”. La musica è stata al centro del primo incontro, con ospite Maddalena Vaglio Tanet, già finalista al “Premio Strega Ragazze e Ragazzi” nel 2021 per il miglior esordio, mentre con Ruggero Poi è stato affrontato il tema della comunità. I “lab creativi” sono stati guidati dalle artiste Alessandra Maio e Michela Cavagna e a fine novembre si è tenuto un doppio appuntamento con la scrittrice ligure Sara Rattaro.
Gli incontri riprenderanno a inizio anno e presto saranno annunciati i nuovi ospiti.
“ContemporaneA Giovani” è un progetto di “BI-BOx Art Space”, realizzato in collaborazione con la “Libreria Giovannacci”, a cura di Elisa Giovannacci, Irene Finiguerra e Stefania Biamonti.
g. m.
Nelle foto:
– Immagine di repertorio “ContemporaneA Giovani”, 2023
– Beatrice Masini, Ph. Isabelle Boccon Gibod
In esposizione a “Villa Cerruti”, Casa-Museo del “Castello di Rivoli”
Fino al 18 agosto 2024
Rivoli (Torino)
Un prestito-scambio, a tempo determinato. Un Monet per un Modigliani. Stretta di mano fra il “Museum Barberini” di Potsdam e la “Staatsgalerie Stuttgart” di Stoccarda con il nostro “Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea”. L’intelligente accordo avviene all’interno di un nuovo programma di “scambi culturali” (“Opere in viaggio”) ideati dal “Castello” rivolese e avviati il 25 novembre scorso con l’esposizione nella “Sala Rettangolare” della “Villa Cerruti” (dal 2019 nuovo “Polo Museale” del Museo di piazza Mafalda di Savoia) della celebre “La Falaise et la Porte d’Aval”, olio su tela (65 x 81 cm.) realizzata da Claude Monet, fra i più grandi protagonisti della rivoluzione impressionista francese. Opera di grande suggestione e indiscutibile valore storico, appartenuta in primis al cantante lirico parigino Jean-Baptiste Faure, “La Falaise” monetiana passò solo nel 2010, dopo vari transiti in alcune importanti gallerie e collezioni, al “Museo Barberini”. Ma di “prestito – scambio” s’è parlato. Così per il Monet (appartenente al “Barberini”, sede della Collezione di Hasso Plattner) a noi arrivato, e in visione al pubblico fino al 18 agosto del prossimo anno, i due importanti Musei tedeschi, di cui sopra, hanno richiesto il prestito del dipinto di Amedeo Modigliani, “Jeune femme à la robe jaune”, 1918, olio su tela, 92 x 60 cm., in occasione della mostra “Modigliani: Modern Gazes”, che si terrà fino al 17 marzo 2024 alla “Staatsgalerie Stuttgart” e dal 26 aprile al 18 agosto 2024 al “Museum Barberini” di Potsdam. La presenza a “Villa Cerruti” di una delle più importanti opere di Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926), artista mai acquistato dal grande imprenditore e collezionista Francesco Federico Cerruti (Genova, 1922 – Torino, 2015) “integra – sottolinea Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli” – l’interesse dimostrato dal collezionista per il movimento impressionista, che negli anni si è manifestato con l’acquisizione di opere di Alfred Sisley, Pierre-Auguste Renoir, Paul Cézanne e dell’italiano Federico Zandomeneghi”. Realizzata nel 1885 (in un periodo in cui l’artista viaggiò intensamente visitando, cavalletto e colori a tracolla, le coste settentrionali della Francia e, in particolare, la località di Étretat, in Normandia, famosa per le sue spettacolari scogliere e il caratteristico arco in pietra naturale della Porte d’Aval) “La Falaise e la Porte d’Aval” rivela appieno la cifra stilistica, di impronta fedelmente impressionista, di Monet fatta sempre e rigorosamente di rapide pennellate e piccoli tocchi di colore, assolutamente lontana dalla rappresentazione dettagliata del reale e totalmente coinvolta, invece a “cogliere i mobili riflessi della luce del sole sull’acqua” trasformando “la solidità di una scogliera in una massa fluida di impressioni vibranti”. Eccezionale spettacolo della natura, cui l’artista s’avvicinò timidamente, ben conoscendo il prodigio pittorico compiuto, negli stessi luoghi, dal “realista” Gustave Courbet ne “La Falaise
d’ Étretat après l’orage” (1870). A testimoniarlo le parole scritte da Monet alla futura moglie, Alice Hoschedé: “Voglio dipingere un grande quadro delle scogliere di Étretat, anche se è piuttosto audace da parte mia farlo dopo Courbet, che lo ha fatto in modo così mirabile; ma cercherò di farlo in modo diverso”. E così fu. Con risultati non meno validi e del tutto diversi per narrazione e punti di osservazione da quelli di Courbet. In un profluvio di piena libertà espressiva, nella scioltezza della pennellata e in quell’onirica resa luministica in cui amava confondere e disperdere i tratti più peculiari del paesaggio: caratteristiche che si compiranno appieno nelle sue ultime opere, realizzate nei primi decenni del ‘900 e dedicate alle “ninfee” o al “ponte giapponese” del suo giardino, nella casa di Giverny in Normandia, dove si trasferì nel 1883. Ad Étretat, Monet conobbe anche lo scrittore, padre del “naturalismo” francese, Guy de Maupassant, che ne ritrasse un folgorante ritratto: “Ho seguito spesso Monet alla ricerca di ‘impressioni’, ma in verità, egli non era ormai più un pittore, ma un cacciatore … L’ho visto cogliere così una cascata scintillante di luce sulla scogliera bianca e fissarla con un profluvio di toni gialli che rendevano in modo strano l’effetto sorprendente e fugace di quel riverbero inafferrabile e accecante. Un’altra volta prese a piene mani un temporale abbattutosi sul mare e lo gettò sulla tela. Ed era davvero la pioggia che aveva dipinto, nient’altro che la pioggia che penetrava le onde, le rocce e il cielo appena individuabili sotto quel diluvio”. Diluvio di luce. E di fugaci pennellate, sfuggite agli occhi, per ascoltare le voci del cuore.
Gianni Milani
“Opere in viaggio. Un dipinto di Claude Monet alla Collezione Cerruti”
Castello di Rivoli – Villa Cerruti, Vicolo dei Fiori 5, Rivoli (Torino); tel. 011/9565222 o www.castellodirivoli.org/sedi/villa-cerruti/
Fino al 18 agosto 2024
Orari: sab. e dom. 11,45/19
Nelle foto: Claude Monet “La Falaise et la Porte d’Aval”, olio su tela, 1885, Museum Barberini, Potsdam; Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice Castello di Rivoli; “La Falaise et la Porte d’Aval” esposta in “Villa Cerruti”, Ph. Andrea Guermani
Lo storico “Palazzo Bellini” di Oleggio, nel Novarese, diventa importante “spazio espositivo”, grazie ai progetti di Laura e Luigi Giordano
“BIANCO”, la prima mostra realizzata. Fino al 31 luglio 2024
Oleggio (Novara)
C’è un nuovo, importante “paradiso” dedicato all’Arte Contemporanea in Piemonte. Si trova ad Oleggio. Lì, a poco più di un centinaio di chilometri da Torino e a metà strada fra Novara e le rive del Lago Maggiore, in pieno centro storico cittadino, ci si imbatte nel neoclassico (reso tale nel Settecento dall’architetto Stefano Ignazio Melchioni) “Palazzo Bellini”, origini quattrocentesche. Alt, fermiamoci! Siamo arrivati a destinazione. E’ infatti, nelle sale del Palazzo, tornato al suo antico splendore – con gli stucchi, gli eleganti bassorilievi e i soffitti in legno – grazie ad un accurato restauro commissionato all’architetto Lorenzo Bini – Studio Binocle (in stretta collaborazione con la “Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio” per le province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli) che dal 25 novembre scorso ha aperto le porte “SPA – Spazio Per Arte”, un progetto per la città dedicato all’approfondimento e alla diffusione dei valori e della storia dell’arte contemporanea.
Il tutto, grazie all’entusiasmo (e alla volontà di dare, a modo loro, ulteriore lustro alla città) messo in pista da Laura e Luigi Giordano, imprenditori e proprietari del “Bellini” dal 2020 e da oltre trent’anni dediti ad un’ importante attività di collezionismo d’arte contemporanea che, a oggi, comprende oltre 200 opere di diverse generazioni di artisti, nonché di altrettanto diversi medium e generi espressivi e stilistici. “Abbiamo immaginato ‘SPA | Spazio Per Arte’ – afferma Luigi Giordano – come uno spazio aperto alla città e a tutti i visitatori che vorranno scoprirlo affinché, attraverso l’arte contemporanea, diventi anche ‘SPAzio per l’anima’ e uno ‘SPAzio per sé stessi’”. E prosegue: “ Ho scoperto l’arte contemporanea per curiosità ed è diventata una parte fondamentale di me stesso che mi ha guidato non solo nella ricerca della bellezza, della poesia, della filosofia, ma anche nel lavoro e nella vita. Per me aprire questo spazio significa invitare le persone ad avvicinarsi a qualcosa che non vediamo o che non sentiamo, ma che è dentro di noi, la ricerca di conoscenze profonde che ci aiutano a vivere meglio e a sfruttare tutti i nostri sensi nel modo migliore”. Tanto impegno e tanta passione per Laura e Luigi che hanno voluto dare il via al progetto in maniera molto concreta con l’avvio di una suggestiva collettiva visibile fino al 31 luglio del prossimo anno, curata da Risha Paterlini (già responsabile dell’archivio della “Collezione Giordano”) e dall’emblematico titolo “BIANCO”.
“‘BIANCO’” – afferma Laura Crola Giordano – è infatti il colore che ci permette di osservare, senza distrazione, le bellezze del Palazzo. ‘Bianco’ è il colore del latte ed è senza dubbio il colore più amato dalla nostra famiglia. E così ‘BIANCO’ è il titolo della prima mostra che abbiamo deciso di dedicare al padre di Luigi, Amedeo, trasferitosi dalla Costiera amalfitana ad Oleggio a soli 22 anni, dove non solo incontra l’amore e costruisce la sua famiglia, ma fonda la sua azienda fino a farla diventare in Piemonte la prima produttrice di mozzarella di solo latte italiano”. 25, fra dipinti, sculture, opere fotografiche e di video arte, i pezzi esposti. D’obbligo una selezione dei nomi rappresentati: dall’artista sudafricano Robin Rhode, eterno “funambolo in equilibrio, nelle sue opere, fra stasi e movimento” al tedesco (dallo scambievole operare fra “Land” e “Minimal Art”) Wolfgang Laib, fino alla libanese Mona Hatoum passata dalla performance al video per poi, verso la fine degli anni ’80, fermarsi alla scultura ed all’installazione. Opera da attenta meditazione la tecnica mista “Cette obscure clarté qui tombe des étoiles” (tratta da “Le Cid” di Pierre Corneille) a firma del tedesco Anselm Kiefer, maldestramente tacciato per le sue “Occupazioni” (serie giovanili di azioni artistiche) di neo-nazismo da alcuni critici, ben accetto invece da altri come artista che, anzi, “mette il dito nella piaga in quello che è stato l’incubo della Germania nazista”.
E il percorso continua con le artiste multivisive Anne Imhof e l’americana Trisha Baga, affiancate dalla genovese Vanessa Beecroft con i suoi “quadri viventi” e dal giovane varesotto videomaker Diego Marcon. Misterica e inquietante, infine, la bianca “Taliban Beard Test” dell’irlandese Padraig Timoney, tanto eclettico nel linguaggio di segni e colori che “le sue personali – è stato sottolineato – sembrano a volte collettive di artisti diversi”.
Gianni Milani
“BIANCO”
Palazzo Bellini, piazza Martiri della Libertà 10, Oleggio (Novara). Info: www.spazioperarte.it
Fino al 31 luglio 2024
Orari: ogni primo sab. del mese 9/13
Nelle foto di Mattia Micheli: Luigi Giordano; Robin Rhode “Promenade”, tecnica mista, 2008; Anselm Kiefer “Cette obscure clarité qui tombe des ètoiles”, tecnica mista, 1991-’92; Podraig Timoney “Taliban Beard Test”, Gesso, 1997
Giovedì 14 dicembre 2023, ore 18.30, Gymasium di CAMERA
(Via delle Rosine 18 – Torino)
A CAMERA – Centro Italiano per la fotografia di Torino continua il ciclo de I Giovedì in CAMERA con un appuntamento dedicato alla fotografia contemporanea e ai legami con il territorio, due aspetti che la Fondazione cura e sviluppa attraverso mostre nella sua Project Room, incontri e attività educative. Giovedì 14 novembre, alle ore 18.30 nel Gymnasium di CAMERA, si svolgerà l’incontro con il collettivo artistico Vaste Programme composto da Leonardo Magrelli (1989) – attualmente in mostra, insieme ad altri tre giovani artisti, nella Project Room di CAMERA nella collettiva Nuova Generazione. Sguardi contemporanei sugli Archivi Alinari – e Giulia Vigna (1992).
L’incontro sarà l’occasione per conoscere il nuovo progetto di Vaste Programme dal titolo Come si fa la marmellata, a cura di ARTECO (Beatrice Zanelli) e JEST (Francesca Cirilli), che è anche una mostra attualmente visitabile presso la Pinacoteca G.A. Levis di Chiomonte in provincia di Torino.
Durante i primi mesi del 2023, il collettivo è stato invitato per una residenza di ricerca e produzione artistica al fine di realizzare un progetto inedito, in dialogo con i luoghi e il patrimonio storico-artistico conservato alla Pinacoteca G.A. Levis. Presenza e memoria, tempo e disfacimento, ribaltamenti di senso e di approccio sono i temi principali della ricerca che Vaste Programme ha sviluppato a partire dagli spazi abbandonati delle due dimore del pittore piemontese a Chiomonte e Racconigi.
Una riflessione metaforica, visiva e narrativa, sullo scorrere del tempo, che tutto consuma e altera – commentano le curatrici Beatrice Zanelli e Francesca Cirilli. Con Come si fa la marmellata i Vaste Programme invitano, con la leggerezza e la profondità che gli sono proprie, a ribaltare il nostro approccio al mondo e al tempo o, almeno, a provarci. Senza negare l’evidenza, cercano soluzioni creative e ludiche per affrontare lo scorrere del tempo e condizioni ecologiche, sociali e culturali sempre più complicate e avverse. Se il tempo e i rovi infestano e invadono le case, si possono almeno raccogliere le more per fare la marmellata…
Nel progetto si intrecciano immagini delle abitazioni di Giuseppe Augusto Levis in stato di abbandono – in parte realizzate con la tecnica di stampa sperimentale dell’antotipia che sfrutta la fotosensibilità di alcuni vegetali, in questo caso le more stesse – e un racconto in cui emergono storie personali e universali tratte da interviste agli ospiti di due Residenze Sanitarie Assistenziali, Casa Amica di Chiomonte e Residenza Angelo Spada di Racconigi. Proprio sulle tracce della vegetazione che inarrestabile riconquista i suoi spazi, il collettivo ha basato il suo progetto, andando a cercare le voci che avrebbero potuto rispondere, attraverso la loro esperienza di vita, alla semplice domanda: come si fa la marmellata?
Il progetto è risultato vincitore dell’avviso pubblico “Strategia Fotografia 2022” promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e si inserisce in un programma di residenze d’artista sviluppato dalla Pinacoteca G.A. Levis di Chiomonte. L’obiettivo è ospitare artiste e artisti contemporanei, coinvolgendoli nella rilettura delle opere del paesaggista Giuseppe Augusto Levis – attivo durante i primi vent’anni del Novecento – e in un confronto con il territorio della Val di Susa, la sua natura, le sue tradizioni e le sue comunità, al fine di incrementare le collezioni civiche con un nucleo di opere d’arte contemporanea.
La mostra è accompagnata dalla pubblicazione How to Make Jam edita dalla casa editrice fotografica Witty Books.
Intervengono:
Leonardo Magrelli e Giulia Vigna – Vaste Programme
Beatrice Zanelli – curatrice, ARTECO e Pinacoteca G.A. Levis
Francesca Cirilli – fotografa e curatrice, JEST
Giangavino Pazzola – curatore, responsabile progetti di ricerca a CAMERA
È consigliato prenotare per l’incontro sul sito di CAMERA.
Il biglietto d’ingresso per l’incontro ha un costo di 3 Euro
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“Ostinato rigore” alla galleria Fogliato, sino al 13 gennaio 2024
Non è di certo tra quelli che “gettino la spugna”, Xavier de Maistre, per dirla con un’espressione con cui il critico Paolo Levi, presentando l’opera dell’artista, la raffinatezza delle sue incisioni, scriveva della scelta di molti suoi colleghi a rinunciare, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, ad un giusto proseguimento, causa “il tracollo del mercato, causato in parte dall’inflazione produttiva collegata ai nuovi processi di riproduzione fotografica”. C’era, è vero, anche la diseducazione del pubblico ad apprezzare la grandezza dell’incisione tradizionale, c’era la scelta di quegli stessi artisti a indirizzare il proprio lavoro verso l’olio, la tecnica mista o l’acquerello. Si andava perdendo una tradizione, si andava verso la rinuncia alla ricerca e all’amore verso una forma artistica che aveva visto nei secoli i nomi di Dürer e Piranesi, di Delacroix e Daumier, di Bonnard e Picasso.
Xavier de Maistre ha continuato a seguire negli anni il proprio “ostinato rigore” – questo il titolo della mostra che lo vede ospite negli spazi della galleria Fogliato (via Mazzini 9, tel. 011 887733) sino al 13 gennaio 2024 -, una cinquantina di acqueforti, un rigoroso bianco e nero alleggerito da spruzzate di colore in alcune parti (la penna di una ghiandaia, un’acciuga fluttuante nell’acqua, una farfalla e uno stemma), un variopinto panorama di dimore (per tutte, l’eccezionalità del castello francese di Puiseux e di quello di Sayn, in Germania), alberi ed animali (la ferocia del lupo, i camosci tra i fiocchi di neve, quel capolavoro che è l’istrice, nei suoi chiaroscuri, nella punteggiatura ricamata degli aculei, di questo ventaglio filiforme che si stacca dalla piccola massa del corpo per richiamare maggiormente l’attenzione di chi guarda, sbalordito), uccelli in primo luogo, la beccaccia e il beccaccino, la civetta dallo sguardo acutissimo, l’upupa con il suo becco fuoriuscente dal cerchio che la delimita, il lungo filamento piumato della pavoncella e la cinciarella, le pernici bianche e il martin pescatore con la sua preda chiusa nel becco, la lotta dell’astore e del fagiano. Alberi, anche dicevamo: i tratti della vecchia quercia, la distesa quasi parcellizzata del bosco, il cedro posato sulla collina torinese o la neve adagiata sulla magnolia, la magia degli intrecci – il sovrapporsi di rami piccoli e grandi, un altro ricamo in bianco e nero – dei nidi ospitati.
Tirature che ondeggiano tra i trenta e i cinquanta esemplari, opere più o meno recenti, la narrazione del tempo impiegato, la forzata fatica e la ferma pazienza che è maestra di ogni incisione, il ricordo degli insegnamenti accademici di Mario Calandri e Francesco Franco, la scelta di un eremitaggio che de Maistre coltiva nella casa dei suoi avi, quell’abbraccio di colonnato che porta al suo studio, un ordine e un caos allo stesso tempo, un ordine di materiali e di strumenti e un caos di idee, di progetti, di prove, di sguardi posati sulla campagna che circonda la villa di Borgo Cornalese, fitta di memorie, dove ancora ti pare di incrociare la prigionia, gli arresti domiciliari del suo omonimo da cui nacque i 42 capitoli del “Voyage autour de ma chambre” o gli scritti post-rivoluzionari di Joseph, da cui l’artista discende, filosofo e politico, giurista e ambasciatore di Vittorio Emanuele I a San Pietroburgo ad inizio Ottocento. È un mondo virtuosistico, poetico, estremamente suggestivo, antico quello dell’artista, ma attuale, vivo e vivace, sognato e realissimo, personale e dedito all’appassionato che sappia comprendere appieno la grazia che nasce da quei fogli. Un mondo di costruzioni eleganti e di omaggi alla natura, un habitat di razionalità dettata dalle morsure dell’acido nitrico che danno vita agli “effetti cromatici e volumetrici”. Scriveva ancora Levi: “De Maistre sembra voglia soprattutto raffigurare l’anello che non tiene, ovvero l’inafferrabile leggerezza dell’indicibile, dove i segni innumerevoli applicati alla lastra si coniugano come un alfabeto misteriosamente esplicito nel loro insieme, ma impossibile da tradurre in significati correnti”.
La mostra “L’acquaforte: OSTINATO RIGORE” è visitabile dal martedì al sabato (orario 10,30 – 12,30 / 16 – 19) con apertura anche nelle domeniche 17 e 24 dicembre.
Elio Rabbione
Nelle immagini, alcune delle opere di Xavier de Maistre: “Capriolo”, acquaforte, fto carta 220×320 mm; “Cedro sulla collina di Torino”, acquaforte, fto carta 380×380 mm; “Ritratto di civetta”, acquaforte, fto carta 265×265 mm; “Villa Rossi”, Venaria”, acquaforte, fto 690×490 mm.
Al museo MIIT museo internazionale Italia arte due doppie inaugurazioni di mostre giovedì 23 nov3mbre alle 18 e giovedì 30 novembre
Al museo MIIT, Museo Internazionale Italia Arte, si sono tenute due doppie inaugurazioni giovedì 23 novembre alle 18:00 e giovedì 30 novembre sempre alla medesima ora. Il 23 novembre scorso è stata inaugurata la mostra “Torino contemporanea” curata in occasione del mese dell’arte contemporanea. In mostra le personali di Leo Giampaolo, Kuris Akis, Anna Rota Milani e una selezione di artisti stranieri e italiani contemporanei che dialogano con linguaggi e stili diversi, ma molto suggestivi e efficaci, sviluppando ognuno con le proprie idee una personale visione dell’arte contemporanea attraverso ricerche e sperimentazioni creative.
La personale di Leo Giampaolo, dal titolo “Fiori perduti”, si concentra sulla sua visione pop della vita e della memoria attraverso una scelta di opere profonde nel significato, ma estremamente godibili nei vibranti cromatismi accesi. Il significato autentico dei suoi lavori si esprime nei dettagli e nei simboli che abitano le opere di Leo Giampaolo che, come scrive, “rappresentano fiori già dispersi nel cielo, poi preservati in una prigionia platonica come esemplari florilegi dei nostri valori perduti che, disfacendosi, vanno a combinarsi in un infinito senza ordine”.
La personale di Kuris Akis si muove all’interno dell’idea di esprimere i motivi del cuore e dell’anima dell’artista, trasmettendoli all’osservatore con una diretta e potente espressione. La società con tutte le sue ingiustizie, la spiritualità e l’afflato verso il Divino e l’Eterno, la denuncia dei mali del mondo sono solo alcuni temi sviluppati da Kuris Akis, attraverso una pittura concettuale fortemente simbolica che attinge dal mito e dal contemporaneo con una forza iconografica di alta suggestione. I suoi personaggi fantastici e le sue figure ancestrali sono semplicemente l’incarnazione, come per gli antichi, delle nostre paure e dei nostri tormenti della parte più oscura di noi che però, nell’arte di Kuris Akis, lascia spazio all’ironia e alla speranza che esorcizzano l’oscuro.
La personale di Anna Rota Milani è incentrata su una serie di opere dedicate alle città vuote, metafisiche e dinamiche rappresentazioni metaforiche della solitudine dell’uomo e della sua perenne ricerca di identità. La città diventa un palcoscenico silente dello scorrere inesorabile del tempo, uno spazio mentale in cui l’essere nasce, lavora ed esiste immerso nel vortice del tempo. La città vuota assume i contorni delle “Città invisibili” di Italo Calvino, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita. Osservate sotto una lente di ingrandimento che mette a fuoco la crisi della vita urbana, quasi un sogno, come lo definì lo scrittore, che nasce dal cuore delle città invivibili. Le città di Anna Rota Milani sono però anche ricordo e memoria di viaggi e scoperte, proprio come il racconto di un viaggiatore ritorna il topos letterario del Marco Polo calviniano e di tanta parte della letteratura di ogni tempo, e l’artista ne evidenzia con una pennellata rapida e il segno deciso, la tendenza al monocromo, l’essenzialità delle linee prospettiche e degli spazi.
La mostra prosegue con la collettiva degli artisti italiani e internazionali che presenta le opere di diversi artisti: Aase-Hilde Brekke, impegnata nella ricerca spirituale e buddhista, Francesca Coccurello, Silvia de Franceschi, Maria Laura Olivieri, Mauro Russo e Vincenza Spiridione sono artisti seguiti dalla galleria Gregorio VII di Roma, con cui il MIIT collabora da tempo. Francesca Coccurello esprime, nelle opere che raffigurano radici contorte, non soltanto il suo amore per gli elementi naturali, per la continua metamorfosi ma anche il concetto intrinseco delle origini dell’uomo, in particolare le condizioni delle donne africane e non solo, simbolo di resistenza e fatica dignitosa del vivere. Silvia de Franceschi dipinge en plein air i paesaggi che le suscitano emozione, fortemente dinamici e contrastati nelle pennellate, sempre terse, pure nel colore e capaci di esprimere un’idea di bellezza e speranza, simboliche e rarefatte fino al punto di suggerire solamente il soggetto lasciando allo spirito più che all’occhio il gusto di goderne appieno la luce. Maria Laura Olivieri conduce una ricerca basata sullo studio della figura e sul dinamismo del segno della pennellata, che diventano strumenti di intima indagine psicologica. Rappresenta l’aspetto nascosto di ognuno, quello che esprime la vera essenza dell’essere pur essendo spesso celato e complesso. Mauro Russo e la sua pittura impressionista raccontano paesaggi e vedute naturali con vivacità espressiva e rapidità di sintesi gestuale sempre ritmata da accostamenti di colori puri, capaci di conferire alle opere verità e vitalità. L’effetto ottico crea profondità e prospettiva, contrasti pulsanti di energia e di luce. Vincenza Spiridione esprime la sua arte con una visione tra il figurativo e l’astratto, sempre concettuale e simbolica nella definizione del tema. La Spiridione, pittrice e scultrice, osserva il mondo e ne sintetizza l’essenza plasmando la materia dall’argilla al gesso, dalla pietra al bronzo, fino al plexiglass, al polistirolo, al poliuretano, creando sculture dal messaggio informale ma sempre riconoscibile nella figurazione. In pittura dà vita a forme e colori modulati che raccontano storie, figure e momenti, denunciando i mali del nostro mondo.
Oltre a questi artisti, in mostra figurano le opere di Claudio Bellini, che si esprime con oggetti in resina, di design e arredamento, dalle scacchiere alle piramidi che racchiudono piccoli universi vegetali come composizioni di fiori di erbe, oppure oggetti della memoria che scandiscono il tempo, come gli orologi immersi nella resina e bloccati per sempre a testimoniare un momento, dai simboli alchemici agli oggetti di moda come i farfallini, che possono donare un tocco di originalità a ogni vestito. La sua arte è orientata al quotidiano, all’utilizzo gioioso e giocoso del manufatto che acquista così una valenza profonda di arte, eleganza e bellezza. È istintiva e gestuale la pittura di Federica Bertino, che non persegue tematiche specifiche, se non la sua sete di libertà e giustizia, che le permette di raccontare le sue e le altrui emozioni con una pittura veemente, gestuale, fantastica e onirica al tempo stesso.
Patrizia Caffaratti dona ad ogni soggetto l’essenza della sua anima con dinamismo e felicità. Secondo Capra realizza opere in vari materiali anche di recupero e la sua arte è orientata al mondo naturale e ai suoi archetipi culturali, come l’albero.
Sergio Cavallerin presenta alcune caratteristiche estroflessioni su tela, sintetiche e concettuali. Dalla fotografia al fumetto, dai polimeri all’arte dell’illustrazione, dall’arte dinamica alla pop art, indagando l’universo artistico a 360 gradi. Cavallerin gioca con l’arte con una rigorosa visione stilistica e un coerente percorso espressivo.
Giorgio Cestari è maestro maturo e risolto nella sua espressione del mondo sempre condotta con veemente gestualità pittorica e potenza cromatica. I suoi dipinti dalla tecnica tradizionale, ma sempre nuova nella composizione originale inaspettata, trasmettono una vibrante emozione nella luce e nel loro segno istintivo. La natura, la visione dal vero, la freschezza dell’istante colto con maestria e sensibilità,diventano la cifra stilistica inconfondibile dell’artista, attento a cogliere il momento e lo spazio che definiscono una storia.
Ettore Della Savina ha al suo attivo centinaia di mostre e presenze ai massimi livelli istituzionali e la sua arte è una pietra miliare della cultura non soltanto torinese. Antesignano di tecniche pittoriche e elaborazioni sperimentali, Della Savina esprime la genialità che ha segnato tutta la seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri, trattando tecniche e stili diversi, dalla pittura tradizionale alle ricerche sulla videoarte.
Un altro artista in mostra è Giuseppe Firera, che presenta un pastello su carta pastelmat, astratto e definito nelle forme e nei volumi, dando vita a una pittura dal sapore spazialista e optical, suggestivo e coinvolgente nella sua impostazione tecnica e cromatica. Il monocromo, bianco e nero, fa risaltare il contrasto, elemento simbolico delle catene. Il titolo dell’opera è “Chains”, in cui le catene costringono e liberano al contempo l’essenza di ognuno.
L’artista Enzo Forgione, vincitore del premio Trieste 2023, presenta i suoi lavori dedicati alle orchidee, fiori come elementi simbolici, tra iperrealismo e astrazione dall’elegante armonia cromatica, calibrati nelle trasparenze tonali e nelle composizioni complesse. Degni di nota sono i lavori geometrici dell’artista Jessica Gabbai Poliakoff, veri e propri alfabeti contemporanei dai cromatismi accesi e definiti. Si tratta di un’artista eclettica che si occupa di ceramica, design, moda, dal linguaggio contemporaneo basato sullo studio delle forme e dei colori.
Vito Garofalo e le sue anime dai mille volti e dalle mille sfaccettature tutte da scoprire, sta percorrendo una strada pittorica a artistica incentrata sul sentire intimo delle emozioni.
Un’artista tradizionale è Maria Pia Giacomini, che presenta una selezione di opere dal sapore fauve, molto valida nel saper trasmettere emozioni colte al momento attraverso una pittura en plein air.
Proseguono l’esposizione i lavori di Fonachi, sempre elegante e raffinata nella sintesi segnica dei suoi paesaggi immaginati. A Santina Portelli è dedicato un omaggio per ricordarne l’energia vitale, artistica e umana attraverso le sue pitture inconfondibili per atmosfere e poesie. Maria Elena Ritorto è presente con due lavori dal forte impatto coloristico e tonale, a metà tra il figurativo e l’astratto, realizzati con una pittura materica e incisiva.
Massimo Ricchiuto è maestro indiscusso dell’arte contemporanea non soltanto nel panorama italiano e non solo, presenta una composizione complessa e materica, ricca di accesi cromatismi e di profondi contrasti. Utilizza resine, stucchi, pigmenti, assemblaggi di materiali diversi, che abitano le sue tele trasmettendo all’osservatore l’essenza dell’anima dell’artista in un rimando di forte impatto emotivo e psicologico. Nei suoi lavori il colore, il segno, I tagli di luce che si creano in modo naturale con i giochi dei chiaroscuri diventano metafore delle mille sfaccettature dell’esistenza e dello spirito.
Anche Cesare Savani ama raccontare il mondo attraverso l’arte, questa polimaterica, realizzata con oggetti e elementi naturali di supporto e di recupero, pittosculture intense nei colori e nella complessità della composizione. L’artista lascia al pubblico il compito e il piacere di dare un eventuale significato alle opere, ma ne suggerisce uno più profondo, come nell’opera intitolata “Genetika”, giocata sulla contestuale fusione e dissoluzione delle forme. Marco Wilme esprime una ricerca artistica indipendente, onirica e psicologica al tempo stesso, simbolica e metafisica nell’indefinita strutturazione dello spazio. Nell’astrazione delle immagini Marco Wilme ritrova l’energia creativa che si esprime nelle sfumature dell’olio, nelle velature attente e profonde, in un’intima ricerca di una luce personale, capace di diventare espressione universale.
L’arte di Marco Wilme palpita e vive delle sue emozioni.
Museo MIIT Corso Cairoli 4
Torino contemporanea
Mostre personali di Anna Rota Milani, Kuris-Akis e Leo Giampaolo
Mara Martellotta