ARTE- Pagina 57

Balconi e bovindo torinesi, meraviglie affacciate sulla città

Visite con lo sguardo all’insù.

Non mi stancherò mai di celebrare le bellezze di questa città romantica, di raccontare le meraviglie che la caratterizzano e che ne fanno un luogo geneticamente unico.

Palazzi eminenti, strade eleganti e signorili, ma anche particolari distintivi e gioielli preziosi rendonoTorino un luogo straordinario, impossibile da imitare.

Da romana felicemente adottata e calorosamente accolta, apprezzo ogni giorno luoghi e scorci di cui  non posso fare più a meno e che cerco regolarmente nelle mie lunghe e piacevoli camminate; mi riferisco soprattutto a certi dettagli e a deliziosi particolari che trasformano ogni passeggiata in una immersione nel fascino e nell’incanto, alludo a tutte quelle opere d’arte meno imponenti, ma allo stesso tempo formidabili e grandiose, che possono essere ammiratequando ci troviamo col naso rivolto all’insù, con lo sguardo rivolto verso l’alto. Tra i capolavori situati in posizione elevata, apprezzabili durante gite urbane nei diversi quartieri di Torino, ci sono sicuramente i bellissimi e artistici balconi e bovindo (adattamento dall’inglese  bowwindows: balconi chiusi o verande). La visione di questi frammenti di arte, perlopiù espressione del periodo liberty ma anche in stile gotico e talvolta squisitamente moderni,richiede una pausa, necessita un passo indietro perapprezzarne il valore estetico e, senza dubbio,innamorarsene . Non è semplice fare una selezione tra itanti poggioli che guardano la città, sono numerosi e ognuno è caratterizzato da dettagli unici e spesso da una simbologia precisa. Tra quelli che mi è capitato di ammirare, un po’ per casualità o grazie ad una ricerca mirata in seguito a letture o segnalazioni di amici, ci sono i piccoli terrazzi della Palazzina Conte a Via Piffetti 12 nel quartiere Cit Turin, il balcone del Pipistrello di Via Madama Cristina 19, il bovindo di Casa Florio a via Pietro Micca e quello di Casa Fenoglio-Lafleur a via Principi di Acaja 11, i due draghi che sorreggono l’affaccio dell’omonimo palazzo e sempre su Corso Francia al numero 6 l’angolare chiuso dai vetri blu del Villino Raby.

Un altro edificio valorizzato da balconi e piccole terrazzedeliziose che valgono una visita è la Palazzina Plevnadetta anche  “bastimento a vaporesita a piazza Sabotino,al Borgo San Paolo. Questo palazzo è stato protagonista e testimone di aneddoti, storie cittadine e curiosità raccontate da diversi scrittori e giornalisti. A piazza Vittorio Veneto angolo via Po, invece, si trova un balcone con una statua moderna che ha attirato la mia attenzione e che ho scoperto essere molto famosa qui a Torino;  si tratta di “Metamorfosi”, una scultura di Paolo Grassino che a prima vista  può destare inquietudine per la sua sagomaparticolare ovvero un uomo incappucciato con dei lunghi rami al posto del volto. Facendo una ricerca ho scoperto, però,  che il significato di questa opera d’arte è positivo, si vuole, infatti, mandare un messaggio propizio sul ritorno alla natura espresso dagli elementi scultorei che rimandano ad un albero che fuoriescono dal copricapo.

Rimanendo nel contemporaneo   sono molto interessanti e gradevoli alla vista, soprattutto in un’ottica green, i terrazzi verdi del condominio di via Chiabrera 25, un esperimento di bioarchitettura ecosostenibile, una sorta di bosco abitabile, un polmone verde progettato dall’architetto Luciano Pia.

Ancora una volta Torino  riserva sorprese meravigliose, assicura, tra arte d’antan e modernità, un panorama urbano e architettonico di infinita bellezza, eleganza e creatività di cui essere orgogliosi.

MARIA LA BARBERA

‘In-finita-Natura – Earth, our home” Personale di Karina Chechik

SABATO 30 SETTEMBRE 2023
@ OPEN ADA, Torre Pellice

Da sabato 30/9/2023 a domenica 22/10/2023

‘IN- FINITA NATURA – Earth, our home”.
Personale dell’artista argentina Karina Chechik (Buenos Aires, 1966)

 
Personale di fotografie, dipinti, installazioni
A cura di Massimo Ghirardini
Testo critico di Monica Nucera Mantelli

Open ADA, via Repubblica 6, Torre Pellice (TO)

Aperta nei fine settimana, sabato e domenica, ore 15 -18. Ingresso libero.

Opening: Sabato 30 settembre ore 16.

Ore 17 Talk su Natura, Estetica, Riuso, Botanica con Ippolito Ostellino,Anna Cantino, Paolo Varese. In collaborazione con La Natura torna ad Arte.

Ore 18.30 in onore dell’Artista:  Esibizione di Tango dei Maestri Alessandro Guerri e Anna Boglione.

Ore 20 presso il Cortile delle Arti del Caffe Arnaud, vicinissimo a Open ADA, Baires Tango Tribute in collaborazione con Etnotango LCMM.

La mostra è patrocinata dal Comune di Torre Pellice (To)

“IN-FINITA NATURA. EARTH, OUR HOME”

Presentazione critica di Monica Nucera Mantelli

Dalle opere di questa nuova mostra dell’argentina Karina Chechik emerge il bisogno dell’ essere umano di restare connesso alla rete degli esseri viventi che coabitano nel pianeta. Ed è proprio questo rapporto tra Natura e Arte, tra forme materiali e interpretative, tra tangibile e intangibile – anche queste da leggere come valori e non solo come “bisogni” – che si regola il termometro della nostra qualità di vita.

Per tali motivi Chechik ha scelto di indagare il tema della Natura attraverso l’Arte. Questa artista ha compreso come gli individui e le comunità rispondono favorevolmente al bisogno di dare forma alle proprie visioni del mondo, dell’esistente e delle proprie esperienze più connesse agli Elementi come acqua, aria, terra, fuoco.

Ispirandosi anche alla visione sistemica del fisico Fritijof Capra, (autore de IL TAO DELLA FISICA, LE RETI DELLA VITA, etc.),  Karina Chechik (Buenos Aires, 1966) dedica da molti anni la sua vocazione creativa alla reiterazione e re-interpretazioni dei paesaggi naturali, e in particolare degli alberi, che nella sua opera rimangono quasi sempre verdi.

Un rimando costante al ciclo ininterrotto della vita stessa, che nasce, muore e rinasce. D’altronde, sul simbolismo della natura basterebbe andarsi a leggere il saggio di James Frazer “Il Ramo D’Oro” sui misteri antichi, in cui si narra di come nelle varie tradizioni, alcuni simboli vegetali siano pegno di resurrezione e di immortalità, come ad esempio la Palma o la Rosa di Gerico.

Ma nella sua articolata produzione di arte visiva attinente al tema naturalistico (boschi, fiumi, alberi, laghi e foreste), la terra e il cielo della Chechik non sono solo i poli tra i quali si produce ogni manifestazione, ma comprendono anche il mondo intermedio nel quale il concetto di “casa fisica” – da qui il titolo della mostra “IN-FINITA NATURA. EARTH, OUR HOME” – equivale al centro spirituale di raccolta di vita e di morte iniziatica.

Trattare i temi attinenti a un Simbolo – come è la CASA (Home, non House, volutamente) – non è mai un affare semplice. Si sono cimentati nell’impresa antropologi, letterati, semiologi, fior fiore di intellettuali e naturalmente artisti di ogni categoria. Qui non entreremo nello specifico, ma esploreremo la fenomenologia del suo esprimersi così a lungo su questa argomentazione. Le ambientazioni e i soggetti agresti di Chechik sono ricchissimi di campi di luce eterica. Un microcosmo impalpabile dove si può viaggiare ed effettuare – in modalità protetta – la comunicazione con le altre dimensioni degli Esseri Senzienti, e con i loro Livelli/ Stati superiori e inferiori.

Uno scenario che coinvolge costantemente il fruitore sul piano emotivo, sottoponendolo a costanti sbalzi percettivi sul piano narrativo, contornando lo sguardo come con note musicali di un ideale pentagramma. E’ qui che l’ opera di Karina raggiunge il Sublime, uno stato che può essere raggiunto solo da una grande anima, che è tale solo se pervasa dall’ispirazione divina.
Sublime è quel pàthos dello spirito che, per ispirazione divina, permette all’artista di protendersi verso l’alto e di sciogliersi dai suoi legami terreni. Se la fonte del sublime è l’ispirazione divina, la via primaria per raggiungerlo è l’imitazione di ciò che si solleva nelle vicinanze del divino: gli alberi, appunto.

Tale condivisione profonda, crea e ri-crea nell’intimo umano percepito, l’afflato verso una versione migliore del proprio esistere, più in armonia con il Tutto: l’aura di benessere che i lavori di Chechik trasmettono, ci ricorda la sotterranea metafora insita ne “Le Vie dei Canti” di Bruce Chatwin, ovvero una litania esortativa verso il valore delle “radici” e il ritrovarsi.

L’ essere originari di una landa (non Desolata, come quella descritta da T.S.Elliot), ma di un piccolo universo fatto di umide radure, orizzonti assolati, silenti antri campestri, piante ventose ed arbusti accoglienti, ci fa sentire, tramite le sue opere, parte di un luogo che non è solo uno spazio terreno. E’ un luogo di appartenenza che diventa poi parte della nostra identità (si veda a riguardo la trattazione sull’Ecologia Affettiva che qui non approfondiremo) e su cui porre le basi di una ri-nascita.

Chechik dunque sposta l’accento della sua sceneggiatura sulle risultanze di suggestioni foto-pittoriche ed iconografiche attinenti alla rinascita della nostra esistenza e al nostro “belonging” = Be + Longing, ossia, essere a lungo desiderosi di essere connessi al mondo della Natura. Un plasma connettivo dove le proprietà essenziali di un organismo o sistema vivente sono proprietà del tutto che nessuna parte possiede, ma che nasce e si completa dalle interazioni e dalle relazioni fra le parti.

KARINA CHECHIK
Karina Chechik (Buenos Aires, 1966). Si è laureata in Pittura presso la Accademia Nazionale di Belle Arti Prilidiano Pueyrredon di Buenos Aires (1989). Nel 1995 si è trasferita a Miami, dove ha vissuto fino al 2007, ed è stata membro attivo della comunità artistica di Miami, come artista in residenza presso l’ArtCenter South Florida.
Chechik ha esposto in musei, gallerie, università, centri d’arte e fiere d’arte internazionali negli Stati Uniti, in America Latina e in Europa.
Recentemente Chechik ha lavorato a due importanti progetti: Un’installazione di grande formato per la mostra Amazing  Nature, commissionata dal KunstCentret Silkeborg Bad, Danimarca, da marzo fino alla fine del 2023, in cui 35 artisti  provenienti da tutto il mondo esprimono le loro idee sul futuro del pianeta. Partecipa inoltre alla mostra “By Degrees, Art and our Changing Ecology” presso l’Huntington Beach Art Center, California.

Nell’ottobre 2022 Chechik ha realizzato il progetto “Luci Migranti”, una mostra personale a Casa Argentina a Roma e  azioni simultanee nelle città di Roma e Buenos Aires.

-Nel 2021 Chechik ha presentato la serie #HereComesHope, con una mostra personale in Sardegna.

-Nel 2020 Chechik ha tenuto una personale virtuale “La consonancia de los Límites” presso la Biblioteca Centrale dell’
Universita Católica Argentina.

Nel 2019 la Ivy Plus Libraries Confederation* ha selezionato il suo sito web  per l’inclusione nel suo Latin American and Caribbean Contemporary Art Web Archive. Nota * La Ivy Plus Libraries Confederation è una partnership tra tredici importanti biblioteche accademiche di ricerca degli Stati Uniti – Brown University, University of Chicago, Columbia University, Cornell University, Dartmouth College, Duke University, Harvard University, Johns Hopkins University, Massachusetts Institute of Technology, University of
Pennsylvania, Princeton University, Stanford University e Yale University – che collettivamente forniscono l’accesso a una ricca e unica documentazione del pensiero e della creatività umana attraverso la condivisione delle risorse e la  collaborazione.

-Nel 2018 Karina Chechik ha creato una grande installazione e una mostra site specific: “Il Labirinto Verticale”, un  omaggio a Jorge Luis Borges e Franco Maria Ricci, curata da Rodrigo Alonso al Marq, Museo di Architettura e Design,
Buenos Aires. Ha realizzato anche un’altra mostra personale: “Terra promessa” all’ICANA, Istituto di Cultura Argentina e
Nordamericana, Buenos Aires.

Nel 2015 ha tenuto una mostra antologica a Palazzo Pretorio di Certaldo, Toscana: TERRA, Geografie di Viaggio.

-Ha realizzato ” Architetture di Luce”, mostra itinerante che è stata esposta al Patricia & Phillip Frost Art Museum di  Miami (2014), all’Istituto Nazionale di Studi Romani di Roma, al Museo Ebraico di Buenos Aires (2012), al Museo del Design Galliano Habitat, Torino e al Museo Cattedrale di La Plata, Argentina (2011).

-Nel 2003 è stata invitata da Ediciones Polígrafa a produrre a Barcellona una serie di litografie che sono state esposte nelle principali fiere d’arte come Art Basel, Art Basel Miami, ARCO Madrid e Art Cologne.

Tra le mostre personali e collettive più significative ricordiamo: Dome Gallery, New York (1990); Fondazione  Internazionale Jorge Luis Borges, Buenos Aires (1998); Bernice Steinbaum Gallery, Miami e Jewish Museum of Miami Beach (2002); Antonio de Barnola Gallery, Barcellona (2005); Silkeborg Bad Art Centre, Danimarca (2006); San Lorenzo
Art Gallery, Milano (2007, 2010); UBS Wealth Management gallery, Lugano, Svizzera (2008); MACO Art Fair, Messico

(2008); Biennale del Piemonte, Torino (2012), Fondazione Michetti Italia (2013); Young Masters Art Prize Londra (2012

/2013); Departures/ Arrivals show, Oolite Arts center, Miami (1999-2014); Untitled Art fair, Miami (2016); Espacio Cruz Bajo Madrid (2017); Plataforma Argentina at Pinta Art Fair, Miami (2017), Art Nexus Foundation Bogotà (2018) e Buenos Aires Photo art fair (2020).

Le sue opere si trovano in importanti collezioni pubbliche e private di tutto il mondo.

Chechik è professore di pittura e storia dell’arte presso il Museo Nazionale delle Arti Decorative di Buenos Aires. Ha
inoltre tenuto conferenze presso importanti musei, università e istituzioni pubbliche in Argentina, Stati Uniti e Italia.

Vive tra Torino (ITA) e Buenos Aires (AR).

Ultimi giorni per i “Bizantini” a Palazzo Madama

Ultima settimana per visitare la mostra

BIZANTINI

LUOGHI, SIMBOLI E COMUNITÀ DI UN IMPERO MILLENARIO

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica

Sala Senato

Piazza Castello – Torino

 

fino al 28 agosto 2023

 

 

Cartella stampa al link: https://bit.ly/PM_Bizantini

Lunedì 28 agosto 2023 chiude la mostra, allestita nella Sala Senato di Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino dal 10 maggio, Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario, a cura di Federico Marazzi con il contributo del MANN –  Museo Archeologico Nazionale di Napoli, di Palazzo Madama e del Ministero Ellenico della Cultura e dello Sport e la collaborazione nell’organizzazione generale di Villaggio Globale International.

Oltre 350 opere – sculture, mosaici, affreschi, vasellami, sigilli e monete, straordinari manufatti in ceramica, smalti, oggetti d’argento, preziose gemme e oreficerie, pregevoli elementi architettonici – danno conto delle strutture, dei sistemi organizzativi, dei commerci e dei rituali di una complessa realtà politica, testimoniando nel contempo le eccellenze delle manifatture bizantine, gli incroci di cultura, gli stilemi e i simboli dell’Impero d’Oriente attraverso i secoli. È la creatività artistica del mondo antico che transita verso il Medioevo, con un linguaggio rinnovato dalla fede cristiana e con gli innesti del mondo orientale, in particolare della cultura iranica e araba.

Per una Bisanzio, legata al territorio piemontese, che vedrà nel Principato d’Acaia, fin dalle origini proiettato verso l’Oriente greco e bizantino, l’origine della dinastia dei Savoia-Acaia ma anche una strettissima connessione con la dinastia dei Paleologi.

Chi non avesse ancora avuto l’opportunità di visitare la mostra, che ha registrato, dal 10 maggio al 20 agosto 2023 , 32.375 visitatori in 90 giorni di apertura – con una media giornaliera di circa 360 persone – può farlo in quest’ultima settimana.

 

 

INFO UTILI:

 

SEDE ESPOSITIVA E DATE                                 Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica,

piazza Castello, Torino

Dal 10 maggio al 28 agosto 2023

ORARI                                                                  Lunedì e da mercoledì a domenica: 10.00 – 18.00. Martedì chiuso
Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura

BIGLIETTI                                                              Intero € 12,00 | Ridotto € 10,00

                                                                               Gratuito Abbonamento Musei e Torino+Piemonte card

Mostra + museo: Intero € 16 | Ridotto € 14

INFORMAZIONI                                                  palazzomadama@fondazionetorinomusei.it   – t. 011 4433501                     www.palazzomadamatorino.it

PRENOTAZIONI                                                  011 5211788 o via mail a ftm@arteintorino.com

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“Mele e pere” di Erik Kessels in mostra al Museo della Frutta

Solo a Torino esiste il Museo della Frutta! Una straordinaria collezione pomologica costituita da centinaia di varietà di mele, pere, pesche, albicocche, susine e uve.

Tutti frutti artificiali modellati alla fine dell’Ottocento, così vivamente dal vero da scambiarli per naturali,  dalle mani del geniale artigiano e scienziato Francesco Garnier Valletti, al quale è intitolato il Museo di via Pietro Giuria, 15.

Le mele e le pere da sempre hanno affascinato anche il designer olandese Erik Kessels, tra i personaggi più originali ed irriverenti dell’arte, della grafica e della comunicazione e già curatore del libro “Apples and Pears” che il giornalista altoatesino Hermann Frass pubblicò nel 1968. Un volume interamente stampato su Applepaper ottenuto da polpa e scarti dei frutti per documentare le varietà di quelli destinati alla produzione dei liquori. Erik Kessels ha così progettato, appropriandosi della forza spontanea di immagini amatoriali e familiari, un curioso ed originale mosaico visivo, mettendo in relazione le sue fotografie con la preziosa e splendida collezione di frutta artificiale di Garnier Valletti.

Un autore non autore il Kessels, definito uno “stregone visivo” da Time Magazine e “un antropologo moderno” da Vogue Italia, che preferisce da sempre l’uso di materiale di scarto o di fotografie scattate da altri e soprattutto trovate nei mercatini dell’antiquariato di mezzo mondo; quindi un fotografo senza macchina né obiettivo. È come se volesse comunicare al mondo: abbiamo già troppe immagini, invece di crearne altre, lavoriamo su quelle che esistono già.

Ed aggiunge: “c’è troppa serietà, io cerco la tristezza e la gioia, il divertimento”. La mostra, un’iniziativa dell’Università degli Studi di Torino ed il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, in collaborazione con Fionda, è quindi tutta da visitare, ed è aperta al pubblico sino al 9 settembre, mentre sino al 19 luglio è visitabile gratuitamente insieme al Museo della Frutta, al Museo di Anatomia Umana “Luigi Rolando” ed al Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” che si trovano tutti e tre nello stesso edificio.

Igino  Macagno

Nove “mostri sacri” della “Magnum Photos” ospiti al Forte di Bard

“The Misfits by Magnum Photographers”

Il dietro le quinte del celebre film “Gli Spostati” di John Huston

Dal 17 giugno al 17 settembre

Bard (Aosta)

  1. Con la regia del mitico John Huston si gira (principalmente in Nevada, a Reno) e a Los Angeles (negli Studi della “United Artists”), “The Misfits– Gli Spostati”, un “superbo anti-western” (come lo definì l’importante rivista cinematografica “TimeOut”) e ancora oggi un sorprendente “cult movie”, interpretato da attori del calibro di Marilyn Monroe, Clark Gable e Montgomery Clift. Un cast eccezionale, che venne scelto di proposito per dar vita alla prima sceneggiatura cinematografica di Arthur Miller, all’epoca marito (quasi ex) della celebre diva. E proprio l’eccezionalità degli interpreti, con Marilyn e Clark Gabel  per la prima e ultima volta insieme sullo schermo, suscitò l’interesse dell’Agenzia fotografica “Magnum Photos”(fra le più importanti al mondo, fondata nel ’47, a Parigi, da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert) che nell’ambito della strategia promozionale del film, ebbe accesso esclusivo alla produzione, inviando sul set del film nove tra i suoi fotografi più talentuosi. Nove icone della fotografia mondiale del Novecento: l’americana Eve Arnold – prima donna ad entrare nel ’51 alla “Magnum”- insieme all’austriaca Inge Morath (anche lei inviata sul set), l’ungherese naturalizzato statunitense Cornell Capa (fratello del più celebre Robert), Henri Cartier-Bresson(l’“occhio del secolo”), Bruce Davidson, il fotografo “dell’ironia” Elliott Erwitt, il viennese Ernst Haas, Erich Hartmann(fotografo tedesco noto per le sue fantasiose multimateriche sperimentazioni) e l’americano Dennis Stock (celebri i suoi scatti dedicati a James Dean, così come quelli ispirati dalle proteste giovanili contro l’apartheid e la guerra in Vietnam nella California di fine anni ’60) . Ognuno di loro cristallizzò, secondo le proprie caratteristiche tecniche e concettuali, gli attori in scena, le luci e il paesaggio, fissando per sempre, con immagini di inestimabile valore, i momenti delle riprese e l’atmosfera sul set. “The Misfits” diventò così il film più documentato dell’epoca. Oggi, quelle fotografie (più di sessanta) possiamo ammirarle in bella mostra, da sabato 17 giugno a lunedì 17 luglio, al valdostano Forte di Bard, fatto riedificare sulle rovine di una fortezza medievale nel 1830 dai Savoia, aperto ai visitatori solo dal 2006 e oggi fra i Poli museali di eccellenza della Vallée.
USA. Nevada. Marilyn MONROE

“Le immagini – dicono gli organizzatori – rappresentano la testimonianza di un’esperienza unica, restituendo i singoli attori nei momenti di ansia e di entusiasmo, di tensione, di debolezza e di speranza, che accompagnano inevitabilmente la realizzazione di un film”. E di questo in particolare, su cui Arthur Miller decise di giocare il suo jolly, la sua prima – e ultima – sceneggiatura interamente pensata per il cinema e rendendola particolarmente aderente alla sua vita privata. “The Misfits” nasce, infatti, in seguito al divorzio di Miller dalla prima moglie Mary, e al quasi epilogo del suo secondo matrimonio (che finirà nel ’62) con l’allora stella indiscussa di Hollywood, Marilyn Monroe, sposata nel ‘56. Fatti di vita privata, il cui peso emotivo si fece sentire non poco sulla realizzazione della pellicola, in parte oscurata proprio dalla sorte dei suoi protagonisti e dal gossip che coinvolse l’intero set. Tant’è che le riprese, anziché durare circa cinquanta giorni, come previsto, si protrassero per ben quattro mesi, ostacolate soprattutto dalle precarie condizioni psicofisiche di Marilyn, dipendente dai sonniferi e provata dall’imminente fine del matrimonio con Miller. Problemi limitati, pare, e gestiti magistralmente da John Huston, ma che in qualche modo crearono ostacoli non da poco alla buona confezione del film, la cui fama – è stato detto – venne anche intralciata dal triste destino che toccò il cast: Clark Gable morì (a 59 anni) dodici giorni dopo la fine delle riprese a causa di un attacco cardiaco e la stessa Marilyn morì appena un anno dopo, scrivendo la parola fine a una delle carriere più importanti e folgoranti di Hollywood. Tragicità che bussavano alla porta e sicuramente intuite, a ben vedere, in quel fotografico “dietro le quinte”, che spesso abbandonava la sola voce della tecnica, per cogliere soprattutto voli impauriti di anime.

Gianni Milani

“The Misfits by Magnum Photographers”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Ao); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Dal 17 giugno al 17 luglio

Orari: mart. – ven. 10/18; sab. – dom. e festivi 10/19. Lun. chiuso

Nelle foto:

–       Eve Arnold: “Marilyn Monroe on the set of ‘The Misfits’”, Credits Magnum Photos

–       Elliott Erwitt: “Marilyn Monroe, Clark Gable, Montgomery Clift, Eli Wallach and Arthur Miller on the set of ‘The Misfits’”, Credits Magnum Photos

–       Eve Arnold “Marilyn Monroe going over her lines for a difficult scene she is about to play with Clark Gable in ‘The Misfits’”, Credis Magnum Photos

La street art a Torino

Torino è la capitale del Liberty, una magnifica rappresentante di capolavori in stile Barocco, la sua conformazione a “scacchiera” di origine romana contiene e accoglie capolavori di Juvarra, Guarini, Castellamonte, splendori come il Palazzo Reale, Palazzo Madama ma anche opere dallo stile eclettico più recenti come la Mole Antonelliana, simbolo della città e uno tra i più emblematici d’Italia

Torino tuttavia non è solo un glorioso passato, non ha ispirato esclusivamente artisti lontani nel tempo, è un centro moderno, vivace, colorato, detentore di un patrimonio artistico culturale attuale e contemporaneo.

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La città della Gran Madre è un brillante esempio di Arte Urbana, dopo gli anni 2000 questa espressione artistica infatti, spesso praticata per motivi personali, come critica, manifestazione di dissenso o di rivendicazione sociale, è decollata riqualificando molti aree cittadine, valorizzando superfici grigie e anonime, dando inoltre la possibilità a molti artisti di avere uno spazio espositivo vastissimo, una vetrina enorme dove le immagini parlano, a volte urlano.

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Tra le più famose rappresentazioni di questa giovane arte c’è il Murale Thyssenkrupp – Corso Valdocco – che ricorda la tragedia del 2007: un orologio digitale con la data e l’ora della strage, fiamme, i nomi delle vittime. A Via Farini, al Palazzo Nuovo un collettivo di artisti ne ha realizzato uno immenso e verticale che raffigura attraverso corpi e simboli il malessere attuale della società,

un ex magazzino industriale – in Corso Tortona 52 – trasformato in un Centro Culturale: dallo stato di abbandono all’energia, le bellissime opere di Millo a Barriera di Milano si collocano all’interno dell’iniziativa B.Art “Habitat” , un concept unico che ha come filo conduttore il rapporto tra uomo tessuto urbano.

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La Street Art è una straordinaria espressione artistica capace di regalare emozioni forti, comunicare scontento sociale, regalare vitalità, dipingere le città creando musei a cielo aperto disponibili e visibili da tutti, opere da contemplare senza fretta, manifestazioni di talento puro, di passione, creatività.

Su Inkmap.it, un progetto dell’Associazione Il Cerchio E Le Gocce, troviamo una mappa-percorso che ci indica i murales presenti in città, un suggestivo e interessante viaggio all’interno di una arte adolescente, ma fortemente impattante comunicativa, un linguaggio ecumenico ed intenso che ci racconta storie, entusiasmi e malcontenti.

 

Maria La Barbera

 

(Foto Museo Torino)

 

 

 

 

 

 

 

In mostra a Torino: Venezia nel Settecento, la decadenza e il mito

Nelle sale della Fondazione Accorsi – Ometto, sino al 3 settembre

C’è un bellissimo disegno a penna su carta gialla, con tocchi di biacca, esposto in mostra, è attribuito a Francesco Guardi, verso la metà del XVIII secolo, rappresenta un leone alla prima apparenza stanco, lontano dalla gloria antica ma ancora poggiante la zampa destra su di un elmo, in segno di dominio. Potrebbe essere l’immagine della mostra “Venezia nel Settecento. Una città cosmopolita e il suo mito”, a cura di Laura Facchin, Massimiliano Ferrario e Luca Mana, che rimarrà al Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto di via Po sino al prossimo 3 settembre: la visione di una città lagunare pressoché infossata, decennio dopo decennio, in questo Settecento che va sfumando, nell’ultimo periodo della sua storia, una città che è stata posta (e si è posta) ai margini della politica e della grande economia e che cerca di marginare il collasso puntando “sull’aura del suo plurisecolare primato nelle arti visive e musicali e su un’efficace strategia di immagine che ne fanno una delle mete più ambite e predilette del ‘Grand Tour’ internazionale”.

Lo storico Andrea Merlotti, ripercorrendo i cento anni in un interessante saggio posto all’interno del catalogo che accompagna la mostra, annovera quale ultimo successo della Serenissima la vittoria sui Turchi a Corfù (1716), immortalata dalle note della “Juditha Triumphans”, l’unico oratorio di Antonio Vivaldi giunto sino a noi: “Solo due anni dopo, la pace di Passarowitz – nella Serbia attuale – avrebbe marcato una nuova fase nella storia della Repubblica, in cui ‘difesa’ e ‘neutralità’ sarebbero divenute le parole chiave dell’azione politica del governo della Serenissima.” Una di quelle potenze “statiche” freddamente soddisfatte dei loro territori e della situazione socio-politica conquistata, ferme nello status quo, ben lontane da quelle “dinamiche” che ancora giudicavano di dover affrontare ulteriori modifiche agli equilibri raggiunti.

Tuttavia Venezia continuava ad accrescere la propria vita culturale, a rimarcare il proprio primato nelle arti e nello svago (si pensi solo che la Venezia del Settecento possedeva ben diciassette teatri, oltre a sale da concerto, locali pubblici e privati definiti “ridotti”, dove ha modo di esibirsi l’orchestra tutta femminile diretta da Antonio Vivaldi), laddove era un preciso punto di riferimento per aristocratici e avventurieri, per i tanti fuoriusciti politici che nella laguna continuavano a riparare. Una vita culturale che sfoggia grandi esempi nella pittura e nella scultura, che primeggia ancora nelle arti decorative, dall’ebanisteria ai tessuti, dai vetri di Murano ai merletti di Burano, ogni prodotto campione di raffinata elaborazione. Un patrimonio concepito non soltanto per la città ma esportato nell’intera Europa: il trasferimento nel 1746 del Canaletto a Londra e le sue tante amicizie inglesi, la felice frequentazione di Dresda da parte del Bellotto, le commissioni e i viaggi di Giambattista Tiepolo a Würzburg (1750) e Madrid (1762) stanno a testimoniare quanto le corti straniere ancora continuassero a far propria la cultura veneziana, nella venerazione dei grandi nomi. Con il 1797, con il trattato di Campoformio, in cui Napoleone cede la città e buona parte dei territori di terraferma all’Austria, si segnerà la fine definitiva della grandezza veneziana, della cultura, del fascino e dello splendore che l’hanno accompagnata per secoli.

La mostra dell’Accorsi è il prima della fine, nove aree tematiche svolte negli spazi espositivi del Museo e all’interno delle sale dedicate alla collezione permanente, in un eccellente simbiosi, ogni opera derivata da collezioni private, da fondazioni e da musei, come il Francesco Borgogna di Vercelli. Dai simboli alle allegorie disseminati lungo tutto il secolo alle sale dedicate ai grandi maestri dell’arte, gli artefici delle grandi decorazioni e della ritrattistica, della sontuosità delle corti e dei luoghi di culto, da Sebastiano Ricci (“Testa di carattere”, primo trentennio del Settecento), Rosalba Carriera, Pietro Longhi con “Mosè salvato dalle acque” (1735 circa), Giambattista Tiepolo e Francesco Guardi. Poi le immagini della città lagunare, la grande piazza e la darsena, le chiese e gli angoli più nascosti, Rialto e la chiesa della Salute, una serie di vedute realizzate dai grandi Canaletto e Luca Carlevarjis e Michele Marieschi (“Veduta del Campo dei Frari”, 1738-40 o “San Giorgio Maggiore”, dove il terzo decennio del secolo mostra ancora le imponenti navi della flotta pronte a prendere il largo).

Trovano posto anche i grandi eventi annuali, come la festa dell’Ascensione, con lo Sposalizio del Mare, o, ancora in una tela attribuita a Gabriele Bella, la rappresentazione del “Ridotto pubblico”, tra ricchezza di abbigliamenti e un panorama di maschere, dietro cui religiosi e nobili e borghesi nascondevano le sembianze e il loro definito stato sociale. Da una collezione privata parigina arriva “La macchia di cioccolata”, del lombardo Bartolomeo Lazzari, un attimo di vita, un felice siparietto entro cui uno sconosciuto cicisbeo aiuta una gentildonna a rimettere in sesto l’abito toccato dal prezioso liquido. Forse uno dei momenti più gustosi dell’intera mostra.

I mandolini raccolti nelle vetrine ci lasciano immaginare i tanti intrattenimenti musicali che allietavano le serate non soltanto del patriziato, gli elementi d’arredo mostrano il lavoro dei minusieri veneziani, non ultimi i mobili laccati, e le “chinoiserie” che invadevano gli ambienti. Una eleganza che si riversava sulle tavole, preziosa argenteria e porcellane vantate per le pregiate paste dure, per le quali veniva impiegata materia prima locale, ovvero il caolino del Tretto, nel Vicentino. In ultimo uno sguardo alla Venezia ebraica, risalente al X secolo, e alle nuove vedute di Giuseppe Bison con cui si entra nell’Ottocento. Ma il mito rimane e il “Palazzo Ducale” di Giorgio De Chirico è chiamato a chiudere la mostra: ma non cercate più i precisi particolari e le intagliature cromatiche che hanno fatto grande quella antica pittura. Gli anni Cinquanta del secolo appena trascorso sono tutta un’altra un’epoca.

Elio Rabbione

Antonio Molinari (Venezia, 1655 – 1704), “La traslazione del corpo di San Marco”, dopo il 1695, olio su tela, Vercelli, Fondazione Museo Francesco Borgogna; Bartolomeo Nazzari (Clusone, 1699 – Milano, 1758), “La macchia di cioccolata”, metà del XVIII secolo, Parigi, coll. privata, Courtesy Cabinet Turquin; Manifattura veneziana, “Coppia di commode per corredo da sposa”, metà del XVIII secolo, legno intagliano e laccato, Torino, Museo Accorsi-Ometto; Francesco Guardi (Venezia, 1712 – 1793) e bottega, “Le Fondamenta Nuove di Venezia con la Laguna e l’isola di San Michele”, circa 1758, Torino, Museo Accorsi-Ometto; Giorgio De Chirico (Volo, Grecia, 1888 – Roma, 1978), “Venezia, Palazzo Ducale”, 1955, olio su cartone applicato su tela, Coll. privata, Courtesy Galleria Bottegantica, Milano.

Al Mao Evicshen ospite del terzo appuntamento del public program di Buddha10 Reloaded

EVICSHEN

Performance nell’ambito della mostra Buddha10 Reloaded

Martedì 22 agosto ore 19

MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

 

 

Nome di battaglia della sound artist Victoria Shen, Evicshen crea una musica che si stacca dalle convenzioni musicali armoniche e ritmiche a favore di trame estreme e toni gestuali.

La pratica di Shen si basa sulla fisicità del suono e sulla sua relazione con il corpo umano tramite l’uso di sintetizzatori modulari analogici, dischi in vinile/resina e strumenti elettronici autocostruiti, come le Needle Nails, delle unghie in acrilico con puntine per giradischi incorporate che le consentono di riprodurre fino a 5 tracce di un disco contemporaneamente.

L’approccio DIY di Shen va oltre i soli strumenti, coinvolgendo anche le sue pubblicazioni musicali.

Il suo LP di debutto, Hair Birth, ha una copertina in rame che si trasforma in un altoparlante attraverso il quale è possibile riprodurre il disco. Ogni pezzo non solo supporto musicale riproducibile, ma anche oggetto d’arte unico.

Il calendario completo degli eventi sul sito.

Tariffe: 15 € intero acquistabile presso la biglietteria del Museo dal martedì alla domenica dalle 10 alle 16.

16,50 € intero (con prevendita 1,50 €) su Ticketone.

10 € ridotto studenti, acquistabile solo in biglietteria.

Castellamonte, torna la mostra della ceramica

Da sabato 19 agosto

 

L’Amministrazione Comunale, insieme al curatore Giuseppe Bertero, già responsabile delle precedenti mostre, ha stabilito di dedicare la sessantaduesima edizione della Mostra della Ceramica alla Città di Faenza, a tutti i nostri amici faentini e a quelli dell’intera l’Emilia e Romagna colpiti dalla recente, devastante e tragica alluvione. Un atto dovuto come concreto segno di solidarietà.

La Città di Castellamonte, il Canavese, la Città Metropolitana di Torino e la Regione Piemonte attendono ogni anno, con grande curiosità e interesse questa Mostra della Ceramica, una manifestazione unica nel suo genere, caratterizzata da molteplici ed articolate esposizioni distribuite su tutto il territorio. Esposizioni che spaziano dalle famose stufe in ceramica, passando dalla scultura e dal design per arrivare all’artigianato tradizionale.

Fra le molte iniziative si torna a proporre il progetto “ritorno alla rotonda antonelliana” che nelle passate edizioni ha riscosso un grandissimo successo durante tutto il periodo dell’esposizione ma anche ben oltre il termine della mostra. In questo spazio suggestivo è prevista l’esposizione di grandi e medie opere realizzate dagli artisti di Castellamonte, Faenza, della “Baia della Ceramica” (Savona, Albissola Marina, Albisola Superiore e Celle Ligure), Lucca, Roma, Montelupo Fiorentino e dalla Francia. Un’occasione prestigiosa per gettare uno “sguardo” aggiornato sulla contemporaneità della scultura in ceramica.

Fra le arcate del Palazzo Antonelli, sede del Comune, saranno esposte le famose stufe di Castellamonte sia quelle della tradizione che quelle contemporanee di squisita fattura e sempre più famose nel mondo, che si confermano uno dei simboli della Città.

Al piano terra del prestigioso Palazzo Botton, recentemente restaurato, la mostra si apre con una particolare dedica a “Castellamonte: terra, arte, vita”. Per l’arte un particolare omaggio è rivolto ad un artista molto noto ed ammirato, Angelo Pusterla, le cui opere riprendono il tema della terracotta nel suo naturale colore appena ravvivato da patinature trasparenti.

Su questo stesso piano è allestita la mostra delle opere selezionate per il concorso internazionale “ceramics in love 2023”. Il concorso, che giunge quest’anno alla sua quinta edizione, raccoglie un insieme di opere di grandissimo interesse estetico, 130 il numero delle opere provenienti dall’Italia e da ben 22 diverse nazioni del mondo.

Fin dalle sue origini il concorso si è posto l’obiettivo di accogliere e consentire ad un nutrito numero di artisti italiani e stranieri di poter mostrare la loro creatività sulla ribalta del prestigioso palcoscenico della Mostra di Castellamonte.

Al piano nobile del Palazzo Botton, è allestita la mostra dell’artista faentino Mirco Denicolò con le sue particolarissime “ceramiche” frutto del suo soggiorno a Castellamonte. Le opere sono commentate da 16 disegni. Nella medesima sala anche le opere degli studenti del Liceo Artistico Statale “Felice “Faccio” realizzate durante uno stage condotto dallo stesso Mirco Denicolò insieme ai docenti della sezione design della ceramica nell’anno scolastico 2019/2020.

Sul medesimo piano si trova la mostra omaggio al Marocco, alla sua splendida e sfavillante ceramica. Un omaggio caldeggiato dall’Amministrazione della Città, con il patrocinio dell’Ambasciata del Marocco a Roma dal suo Ambasciatore S.E. Youssef BALLA. Un omaggio rivolto alla numerosa comunità marocchina presente sul territorio castellamontese e canavesano.

Ancora al piano nobile:

Nell’ambito della collaborazione nata fra le Tre terre Canavesane e la città di Matera, l’installazione di Damiana Spoto e Raffaele Pentasuglia  “Attraversamento meridiano”.

Un’opera dal carattere fortemente identitario della Basilicata, pensata per evocare il concetto di ponte. Una terra attraversata ogni anno da grandi carovane di mucche podoliche che collegano territori molto diversicome i calanchi o l’altopiano della Murgia che richiamano paesaggi nordafricani. Le stampe dei tessuti racconteranno di questo territorio e dei suoi cambiamenti insieme ai bovini grandi e bianchi che lo attraversano. Sculture in terraglia terracotta patinata e teli in fibra di latte stampati.

La scuola di Castellamonte dall’infanzia al liceo artistico sarà presente con i lavori in ceramica realizzati dai bambini e dagli studenti delle diverse classi con la terra rossa che tanto identifica il nostro territorio.

Al secondo piano del Centro Congressi Piero Martinetti, sarà ospitata la Collezione permanente delle “ceramiche sonore”, ovvero i fischietti in terracotta provenienti da tutte le parti del mondo raccolti dal grande ceramista Mario Giani noto a tutti come CLIZIA e da lui donati alla città. Nella medesima Collezione sono esposti altresì i fischietti del primo concorso “Ceramiche Sonore”2022.

Nella stessa sede espositiva faranno bella mostra i fischietti in terracotta del recente concorso “Ceramiche sonore” 2023, con opere provenienti da tutta Italia e anche dalla Polonia, 50 gli artisti con ottanta opere.

Al primo piano è esposto l’ampio e articolato progetto di restyling della rotonda antonelliana realizzato dagli studenti della Facoltà di architettura di Torino, già allievi del Liceo Artistico Statale “Renato Cottini”. Un progetto volto al futuro per una maggior fruibilità dello spazio visto soprattutto come luogo d’incontro, ma anche per sostare all’ombra degli alberi e ammirare opere d’arte.

Al piano terra del Centro Congressi Martinetti, come buona consuetudine, il CNA propone le sue ceramiche da “indossare”.

Per questa 62aEdizione della Mostra il manifesto è stato creato da Guglielmo Marthyn con immagini molto colorate e fluttuanti nello spazio.

Anche per l’edizione di quest’anno sono confermati i punti espositivi privati che da sempre accompagnano il percorso ufficiale della mostra.

La storica Fornace Pagliero 1814 vede tra le sue mura la presenza della mostra Kéramos della Galleria Gulli di Savona, una personale dell’artista Nino Ventura e un’esposizione delle opere dell’Associazione Artisti della Ceramica in Castellamonte.

Al Cantiere delle Arti si potranno ammirare le ceramiche artistiche di Sandra Baruzzi, Guglielmo Marthyne Davide Quagliolo, raccolte nelle collezioni “Sussurro della Terra” e “Sinfonie”.

La Casa della Musica ospita invece una personale di Brenno Pesci, dal titolo “Musicanti”.

Saranno ovviamente aperte e visitabili le aziende e le botteghe dei ceramisti castellamontesi, quali la ditta “La Castellamonte” di Roberto Perino, le “Ceramiche Castellamonte” di Elisa Giampietro, le “Ceramiche Camerlo”, di Corrado Camerlo e le “Ceramiche Grandinetti”, di Maurizio Grandinetti, luoghi dove si potranno approfondire le tecniche di realizzazione dei manufatti in ceramica e acquistare oggetti e opere dalle più svariate fattezze.

LA 62MOSTRA DELLA CERAMICA DI CASTELLAMONTE SARÀ INAUGURATA SABATO 19 AGOSTO ALLE ORE 17 IN PIAZZA MARTIRI DELLA LIBERTÀ.

Orari della mostra dal martedì al venerdì ore 16, 00 – 20,00; sabato e domenica dalle ore 10,00 alle 20,00. Ingresso libero.

MANIFESTAZIONI COLLATERALI ALLA MOSTRA 2023

Come per la precedente edizione, nei giorni prefestivi e festivi, è prevista una navetta per un sopralluogo ai suggestivi “castelletti”, da dove si ricava la famosa argilla rossa di Castellamonte.

Ad arricchire la rassegna ceramica vi saranno molteplici iniziative di intrattenimento, che l’Amministrazione e le associazioni locali offriranno ai visitatori e ai loro concittadini per far vivere al meglio l’evento mostra e per valorizzare tutto il territorio.

L’arte come una “Jam Session”

Al “Flashback Habitat” di Torino le arti visive dialogano con la musica in un armonico intreccio di voci

Fino al 1° ottobre

Variazioni improvvisate ma perfettamente gestite. Libere nel gioco virtuoso delle note e nell’assoluta arbitrarietà di segno e colore. Una vera e propria Jam Session, totalmente dedicata alla creatività e alla “ricerca metropolitana”. Di qui il titolo, “Torino Jam Session. Energiche e liberatorie ibridazioni nell’arte”, dato alla mostra con cui prende avvio l’estate 2023 di “Flashback Habitat. Ecosistema per le Culture Contemporanee”, il nuovo hub culturale aperto nel novembre scorso in corso Giovanni Lanza a Torino, in occasione di “Flashback Art Fair”, la Fiera diretta da Ginevra Pucci e Stefania Poddighe. Nata da una bizzarra ma brillante idea di Alessandro Bulgini, artista e direttore artistico di “Flashbak Habitat”, la rassegna, in agenda fino a domenica 1° ottobre, si pone ai visitatori come una sorta di “display espositivo” in cui far confluire il più variegato gioco di nuove, e perfino improbabili, sperimentazioni attraverso la musica e le arti visive. Le cifre: 70 opere, per 15 differenti Jam Session, “risuonanti” in 15 sale, che allo stesso tempo sono “luogo di partenza e luogo di arrivo della composizione”. Come nasce l’idea della mostra ce lo spiega lo stesso Bulgini: “Nel 1989 avevo un ‘blues bar’ a Livorno, ‘Vernice Fresca’, un luogo dove arti visive e musica si mescolavano. In una di quelle sere vennero a mangiare da noi due importanti musicisti afroamericani della grande ‘jazz band’ di Lionel Hampton che si trovava in città per due spettacoli. Mentre mangiavano pensai di provocarli chiedendo al mio amico Richard di suonare al piano uno ‘standard’ per vedere le loro reazioni. La reazione non tardò ad arrivare, entrambi lasciarono le forchette e imbracciarono tromba e sax. A fine serata ubriachi di ‘Vecchia Romagna’, ringraziando Dio per quanto avvenuto, chiesero di poter tornare il giorno dopo e così fu, e con loro gli altri trenta componenti della band più altrettanti musicisti livornesi. Ne nacque una serata indimenticabile nonostante fosse improvvisata”.

Da ripetere, in versione “Flashback Habitat”. Ed eccoci all’oggi, al secondo piano dell’hub di corso Giovanni Lanza , con “terzetti” e “quartetti” di opere di artisti visivi combinati in intriganti atmosfere scandite dal ritmo della batteria di Donato Stolfi. In un suggestivo percorso “misto”, che ci porta dai “Dervisci” di Aldo Mondino alle tele dal “forte ritmo musicale” di Giorgio Griffa. Dai plurimaterici lavori di Marco Gastini ai paesaggi alieni di Pierluigi Pusole e alle fotografie di Monica Carocci, per non dimenticare i “taciti ritratti” della tedesca, torinese d’adozione, Elke Warth e gli scatti “etici” di Turi Rapisarda, ideatore nell’‘80 del torinese “Gruppo Fotografia Psicogeografica”. E via ancora con le creative composizioni di Bartolomeo Migliore,Victor Kastelic (origini americane da Salt Lake City), Luigi Gariglio, Enzo Obiso con il suo “Fish Eye”, Pierluigi Meneghello, Alessandro Rivoir e Bruno Zanichelli. Per finire nello spazio esterno della struttura. Dove, nell’ambito del progetto “Vivarium” (parco artistico in divenire), troviamo una nuova opera a firma di Fabio Cascardi, una surreale installazione in acciaio e vernice antirombo dal titolo “Sedie nello spazio”: nulla di strano per l’artista torinese, la cui costante è proprio il riutilizzo e la conversione di oggetti e di materiali di recupero.

In questo caso sedie riattate e prolungate in altezza in un “gioco” d’arte in cui immaginazione e creatività fanno sentire alla grande i loro diktat. Il tutto, mentre fuori dagli spazi di “Flashback Habitat”, nella Barriera di Milano in piazza Bottesini, mercoledì 21 giugno scorso, s’è avviata la nona edizione (creatura sempre di Alessandro Bulgini) di “Opera viva, il Manifesto”, che quest’anno porterà il titolo originale di “Opera viva, Luigi l’addetto alle affissioni”, con manifesti che si ritroveranno (per sbaglio di Luigi?) tutti capovolti, testa all’ingiù. Primo appuntamento con Sergio Cascavilla e il suo “L’arte povera E’ INGombraNTE OBsoleTA”.

Gianni Milani

“Torino Jam Session. Energiche e liberatorie ibridazioni nell’arte”

“Flashback Habitat. Ecosistema per le Culture Contemporanee”,corso Giovanni Lanza 75, Torino; tel. 393/6455301 o www.flashback.to.it

Fino al 1° ottobre

Orari estivi: ven. sab. e dom. 11/20

Nelle foto:

–       Aldo Mondino: “Dervisci”, olio su linoleum, 1999

–       Fabio Cascardi: “Sedie nello spazio”, acciaio e vernice antirombo, 1995

–       Sergio Cascavilla: “L’arte povera E’ INGombraNTE OBsoleTA”