



Al Forte di Bard si apre sabato 29 novembre una importante retrospettiva su Fernando Botero, uno degli artisti più amati e riconoscibili del Novecento, con un progetto espositivo che porta in Valle d’Aosta oltre 100 opere tra dipinti, disegni, acquerelli, sculture e materiali inediti provenienti dalla collezione dell’artista.
La rassegna si intitola “Fernando Botero – tecnica monumentale”, ed è stata realizzata in collaborazione con 24 Ore Cultura e Fernando Botero Foundation. Curata da Cecilia Braschi, sarà aperta al pubblico fino al 6 aprile prossimo nelle sale delle Cannoniere del Forte aostano. All’indomani della grande retrospettiva che si è tenuta alcuni mesi fa a Palazzo Bonaparte, a Roma, questa esposizione offre un ampio excursus sulla produzione dell’artista colombiano, a poco più di due anni dalla sua scomparsa (morì il 15 settembre del 2023). La mostra mette in evidenza la straordinaria versatilità tecnica e l’unicità stilistica di Botero, ripercorrendone l’intera carriera a partire dagli anni Quaranta del Novecento fino alle ultime opere realizzate a Monaco tra il 2019 e il 2023. Si tratta di un’occasione preziosa non solo per rivedere i grandi classici del suo immaginario, ma anche per scoprire lavori mai esposti prima: schizzi preparatori, opere giovanili ancora poco note, materiali che permettono di entrare nel laboratorio creativo di un artista che ha reso la monumentalità un tratto fondamentale del proprio stile. Noto per le sue figure dalle forme piene, morbide e generose, Botero si è sempre dichiarato erede degli artisti del Rinascimento, in particolare di Piero della Francesca, ed era convinto che fosse necessario essere instancabili sperimentatori. Per questa ragione, nel corso della sua lunga carriera, sono molte le tecniche che ha utilizzato: dal pastello all’olio, dall’acquerello all’affresco, al disegno carboncino, all’inchiostro obistro, fino alla fusione del bronzo e alla lavorazione del marmo. L’esposizione mette in luce questa poliedricità, tratto inconfondibile della sua poetica. Secondo Botero, il disegno rappresentava la struttura, la pittura la pienezza e la scultura l’espansione e lo spazio. Esiste un fil rouge che lega tutta la sua opera, ed è rappresentato dalla forma e dal volume. Nella scultura si riscontra una fisicità potente, nel disegno una precisione assoluta di linea, nella pittura la presenza di grandi accordi cromatici. Tra le opere in mostra figurano “Autoritratto con Arcangelo” del 2015, in cui Botero si rappresenta nell’arte del dipingere, diverse versioni di “Leda e il cigno”, “Venere” e “Il ratto di Europa”, opere con le quali dialoga con la tradizione iconografica occidentale.
Il percorso espositivo si articola in aree tematiche contraddistinte dalla varietà dei temi trattati: la natura morta, il nudo, le feste popolari, e dallo studio approfondito che ha fatto della storia dell’arte. La sua opera, era convinto, derivante dall’arte etrusca, precolombiana e popolare, e dagli artisti del Trecento e Quattrocento italiano quali Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Paolo Uccello e, tra i suoi contemporanei, anche Pablo Picasso. Non manca infine la dimensione maggiormente improntata all’impegno civile, con lavori come “Terremoto”, del 2000: una scena che evidenzia la capacità di Botero nell’affrontare temi drammatici senza rinunciare alla potenza iconica del suo stile. L’arte, per Botero, è sempre stato un atto d’amore nei confronti della bellezza, della memoria, della vita e dell’uomo.
Forte di Bard – via Vittorio Emanuele II, Bard
Marzo Martellotta
Informazione promozionale
“Quattro artisti in mostra: – dichiara la curatrice e art director Monia Malinpensa – la fotografia di Gianalberto Righetti accarezza alberi che parlano piano.

La pittura di Fulvia Steardo Fermi vibra di foglie oro, una musica di colori che respira.
La scultura di Cesare Iezzi nasce dal gesso e dal legno, illumina il gesto con una luce leggera.
La tecnica pittorica di Graziano Rey è un passo nella stessa danza, armonica e silenziosa. Si tratta di una mostra dove le cromie si intrecciano come radici in ascolto. Ogni mano interpreta il mondo con grazia diversa. Le opere vivono in simbiosi, in un unico respiro che diventa arte”.
Nelle sculture di Cesare Iezzi, i volti umani emergono sospesi in un tempo dilatato, portatori di un senso universale e di una risonanza emotiva profonda. Ogni forma è ricca di valore culturale. La pittura di Graziano Rey può essere tradotta in musica e viceversa, e la danza dei colori penetra nell’animo dello spettatore, e lo porta a vivere sensazioni ed emozioni uniche, conquistandolo. Gianalberto Righetti ha quale protagonista assoluto delle sue opere l’albero. Sorprende per la capacità di coniugare l’armonia formale e la forza comunicativa in un linguaggio molto personale. Fulvia Steardo Fermi esprime un’arte che si nutre di sentimento e di una intensità emotiva rara: il tratto materico, strumento distintivo dell’artista, diventa veicolo di un’espressione potente.
Galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia – corso Inghilterra 51, Torino
Ingresso libero
Orari:10.30-12.30 / 16-19 / chiuso lunedì e festivi
Telefono: 011 5628220 – malinpensagalleriadarte@gmail.com
Mara Martellotta

Dal 28 al 30 novembre si terrà alle OGR Torino, al Teatro Carignano e alla Centrale Nuvola Lavazza la 57ª Conferenza Annuale di CIMAM – International Committee for Museums and Collections of Modern Art. L’evento, organizzato da CIMAM, è sostenuto dalla Fondazione Arte CRT e dalla Fondazione CRT, ed è curato dal Comitato dei Contenuti, in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la Fondazione Torino Musei ed il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, con la partecipazione di musei e istituzioni della città. Questa collaborazione tra le principali istituzioni culturali torinesi sottolinea l’impegno della città nel promuovere l’arte contemporanea e il dialogo culturale.
L’edizione 2025 intitolata “Enduring Game: Espandere nuovi modelli di Costruzione museale”, con il motto guida “Of Necessity Virtue” (Di Necessità Virtù), segna il ritorno di CIMAM in Italia dopo quasi cinquant’anni, dal suo ultimo appuntamento italiano a Bologna e Prato nel 1976. L’evento, che coinvolgerà oltre 300 delegate e delegati da circa 90 Paesi, mira a riunire professionisti museali del settore dell’arte moderna e contemporanea in uno spirito di indagine critica e immaginazione collettiva per esplorare il ruolo in evoluzione delle istituzioni d’arte contemporanea in un contesto globale sempre più complesso. Attraverso il Travel Grant Program, giunto alla 20esima edizione, inoltre, è garantita la partecipazione di voci e prospettive diverse provenienti da economie emergenti, che arricchiscono il dibattito e promuovono una maggiore equità all’interno del settore.
“Il ritorno in Italia della Conferenza Annuale di CIMAM, ospitata a Torino, è un riconoscimento del ruolo che la città e le sue istituzioni hanno saputo costruire nel panorama internazionale dell’arte contemporanea. La Fondazione CRT è orgogliosa di sostenere questo appuntamento, che valorizza il dialogo tra musei, artisti e professionisti provenienti da tutto il mondo e rafforza il posizionamento di Torino come laboratorio di idee, creatività e innovazione culturale – dichiara la Presidente della Fondazione CRT Anna Maria Poggi -. Il 2025 è un anno particolarmente significativo per la Fondazione CRT: l’arte contemporanea è da sempre al centro della nostra azione, anche grazie all’impegno della Fondazione Arte CRT che da 25 anni contribuisce in modo determinante alla crescita e alla valorizzazione del patrimonio artistico del territorio. L’apertura al pubblico del nuovo progetto espositivo Il Museo Immaginario e le recenti acquisizioni effettuate alla Fiera Internazionale di Artissima – ben 26 opere, rese possibili dal budget più alto degli ultimi anni – testimoniano una visione strategica che mette in dialogo collezione e pubblico. Eventi come la Conferenza Annuale di CIMAM ci ricordano quanto il ‘fare sistema’ tra istituzioni, fondazioni e comunità sia fondamentale per rendere la cultura un motore di meraviglia e di sviluppo condiviso”.
Città in continua evoluzione, Torino incarna il potere trasformativo della cultura nel ridefinire l’identità di una città e, in una certa misura, di un intero Paese. Un tempo sinonimo dell’industria automobilistica italiana, Torino ha subito una profonda rigenerazione post-industriale, trasformando ex fabbriche e magazzini in vivaci spazi culturali che sono ora al centro della vita urbana contemporanea, rendendola un’importante destinazione culturale europea. Un elemento centrale di questo successo è la sinergia con cui le istituzioni artistiche pubbliche e private della città lavorano fianco a fianco, continuando a plasmare il suo panorama culturale attuale. Culla di uno dei movimenti artistici più influenti del XX secolo, l’Arte Povera, è da sempre un luogo di sperimentazione artistica e oggi si offre come scenario ideale per una conversazione globale sul ruolo dei musei e dell’arte contemporanea nella trasformazione sociale.
“Ho creduto fortemente, fin dall’inizio, nella candidatura di Torino a città ospite della Conferenza annuale di CIMAM”, spiega Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Presidente dell’omonima Fondazione e dal 2023 alla presidenza della Fondazione Arte CRT. “Città di musei e fondazioni, di artisti, artiste, gallerie, case editrici e imprese culturali, Torino conta su una preziosa eredità storica sulla quale ha fondato la propria vocazione di città-laboratorio della contemporaneità. Grazie all’impegno corale di istituzioni pubbliche e private, grazie alla visione di persone illuminate e a una rete di relazioni internazionali, Torino ha costruito nel tempo un ecosistema dell’arte strutturato e flessibile, che è stato capace di farsi protagonista della vita e della cultura della città nelle sue diverse stagioni. Ha saputo rispondere ai cambiamenti, trasformando le necessità e le difficoltà in invenzioni, sperimentazioni e nuove pratiche. La Conferenza di CIMAM è dunque un capitolo significativo del nostro percorso e, soprattutto, è un’occasione rara e straordinaria per unire voci, esperienze, culture, per scambiare e cambiare le nostre idee sul ruolo dell’arte e delle istituzioni artistiche nel presente e immaginare insieme i nostri futuri”.
Il tema Enduring Game (e il mantra Of Necessity Virtue) di questa 57esima edizione della Conferenza risponde alle sfide urgenti che i musei affrontano a livello globale: le pressioni finanziarie e politiche, le divisioni sociali e la necessità di reinventarsi, interrogandosi al contempo sul modo in cui i musei possano bilanciare resistenza e resilienza, ripensando al contempo la governance, le pratiche curatoriali, le strutture dei team e l’impegno comunitario, al fine di costruire istituzioni radicate nella solidarietà, nella cura e nell’immaginazione.
La Conferenza Annuale 2025 di CIMAM è curata da un Comitato dei Contenuti composto da Chus Martínez (Direttrice dell’Istituto Art Gender Nature di Basilea) che ne sarà presidente, Chiara Bertola (Direttrice della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino), Bernardo Follini (Curatore Senior della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo), Leevi Haapala (Preside dell’Accademia di Belle Arti dell’Università delle Arti di Helsinki), Malgorzata Ludwisiak (Ph.D., Esperta di gestione museale, Curatrice indipendente, Docente universitaria, Varsavia), Francesco Manacorda (Direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), Victoria Noorthoorn (Direttrice del Museo de Arte Moderno di Buenos Aires), Davide Quadrio (Direttore del MAO Museo d’Arte Orientale) e Kamini Sawhney (Responsabile Progetti d’Arte Pubblica, BlrHubba, esperta museale e curatrice indipendente, Bangalore).
La conferenza di quest’anno vuole essere un momento collettivo di pausa e di riflessione, un’opportunità per affrontare questioni difficili e per immaginare nuovi modelli istituzionali in risposta a un panorama sempre più complesso. Analizzando l’attuale clima di antagonismo politico e sociale, cercando di prevedere le future traiettorie per le istituzioni d’arte contemporanea, ci si interrogherà su come i musei potranno ritrovare il proprio equilibrio e riaffermare la loro rilevanza, così come le loro missioni sociali, pedagogiche e culturali, in un mondo frammentato.
Incentrata su un tema chiave che affronta le questioni urgenti del settore, la Conferenza offre un contesto dinamico per la riflessione critica e lo scambio attraverso un ricco programma che include keynote lectures, panel, workshop e visite ai luoghi d’arte della città ospitante. Attraverso tre giornate tematiche che combinano keynote accademiche di spicco come quelle di Françoise Vergès, Elizabeth Povinelli e Mariana Mazzucato con interventi artistici di performer quali Alessandro Sciarroni, Abdullah Miniawy e Diana Anselmo, chiamati a interpretare il presente che tutti affrontiamo e a innovare collettivamente strategie e metodologie, il programma è strutturato per superare il dialogo convenzionale e generare strategie concrete sia attraverso l’ascolto che il contributo attivo dei partecipanti.
Le tre keynote speaker principali – Françoise Vergès, Mariana Mazzucato e Elizabeth Povinelli – condividono un impegno profondo nel ripensare le eredità del colonialismo, della modernità e del potere. Ognuna lavora in modo interdisciplinare (abbracciando storia, teoria politica, filosofia e antropologia) per interrogare le strutture che plasmano il nostro presente culturale, immaginando al contempo alternative per il futuro. Ciò che le unisce è la loro capacità di intrecciare il pensiero speculativo e performativo con una rigorosa conoscenza del passato, aprendo possibilità etiche e politiche per futuri più giusti, plurali e decoloniali.
“Come Presidente della Fondazione Torino Musei, che rappresenta le collezioni civiche della città di Torino – dichiara Massimo Broccio, Presidente della Fondazione Torino Musei – sono onorato che il CIMAM 2025 si tenga nella nostra città, dove esiste un eccellente sistema museale, attento all’inclusione e alle innovazioni e con una stretta collaborazione tra le varie istituzioni culturali pubbliche e private che lo compongono. Il comitato organizzativo e curatoriale, del quale fanno parte con nostro grande orgoglio anche i direttori della GAM – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea e del MAO Museo d’Arte Orientale, ha pensato a un format nuovo per questi tre giorni di incontri, in cui gli interventi e i workshops, di altissimo livello, sono innestati e contaminati attraverso il linguaggio performativo artistico, fortemente poetico e ideale. In questo formato sostenibilità museale, collaborazione e trasformazione innovativa diventano paradigmi e temi di dialogo urgente, aprendo a nuove opportune possibilità di evoluzione dei musei contemporanei.”
“Torino ha un ecosistema di istituzioni pubbliche e private dedicate all’arte contemporanea veramente prezioso – dichiara Francesco Manacorda, Direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea –, accogliere il CIMAM in questo contesto è un’occasione di scambio e di crescita che mette in luce il ruolo che la contemporaneità ha sempre avuto per questa città. Il tema del convegno è quanto mai urgente e le persone coinvolte di qualità stellare. Da questo evento la città ne uscirà rafforzata e con contatti e conversazioni aperte fondamentali a punti strategici chiave quali la sua innovazione e internazionalizzazione”.
Nel 2025, il CIMAM celebra il 20° anniversario del suo Travel Grant Program, che quest’anno sostiene 39 direttori, curatori e ricercatori provenienti da 20 Paesi per partecipare alla Conferenza Annuale. Il programma garantisce inclusività e diversità supportando professionisti provenienti da economie emergenti, consentendo loro di contribuire con le proprie prospettive a questi dibattiti globali e rafforzando il loro sviluppo professionale attraverso il dialogo e lo scambio. Il Travel Grant Program del 2025 è finanziato da Getty Foundation, Saastamoinen Foundation, Teresa A. L. Bulgheroni, Colección Patricia Phelps de Cisneros (CPPC), Mercedes Vilardell, Aimée Labarrere de Servitje, Eloisa Haudenschild, Fernando Zobel de Ayala, Chitra Talwar.
Martedì 25 novembre inaugura, a partire dalle ore 18, al Museo MIIT diretto da Guido Folco, sito in Corso Cairoli 4 a Torino la mostra intitolata “Trame di vita”, in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne. In questa occasione verrà presentato il libro di Vania Perale “Vorrei rinascere cormorano” della Phasar edizioni.
La mostra, curata dalla galleria Guido Folco, Italia Arte e il Museo MIIT, ha un carattere internazionale, come nella migliore tradizione del Museo MIIT, nato per effettuare scambi artistico culturali con musei, fondazioni, gallerie pubbliche e private di tutto il mondo.
Tra gli artisti in mostra Milena Buti, Valentino Camiletti, Nadia Canevaro, Secondo Capra , Naty Lorella Chiapparini, Ekaterina Chiorina, Vito Garofalo, Bianca Maria Macario-Gioia, Anna Montanaro, Mariagrazia Omodeo, Maria Elena Ritorto, Anna Rota Milani, Maria Pia Giacomini, Marilena Visini, Chiuto, Susanna D’ore, Antonella Elleri, Francesco Larghi, Mila Margini, Vania Perale, Margherita Realmonte, Francesca Riva, Skyblonde ( Elvira Marzorati) e Maria Sturiale.
Sabato 29 novembre dalle ore 18 verrà presentato, sempre presso il museo MIIT, il libro “Sotto il ponte che non si farà “di Matteo Bottari con le fotografie di Domenico Cogliardo. Gaspare Editore. Interverranno gli autori con i professori Giuseppe Lo Castro e Vittorio Marchis.
Museo MIIT
Corso Cairoli 4
Orari mar-sab15.30-19.30
Info 0118129776
MARA MARTELLOTTA
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A Saluzzo e a Caraglio sfida “vis à vis”, realizzata sui più inediti set dell’alta moda da due autentici “giganti” dell’arte fotografica novecentesca
Fino al 1° marzo
Saluzzo / Caraglio (Cuneo)

Niente applausi, niente flash, no alla minima traccia di splendente glamour. Solo il vociare e l’aria stranita e divertita, il gioco di un’allegra frotta di “picciotte” e “picciotti” siciliani, zaini in spalla e grembiali scolastici, a seguire e a mimare il “passo da sfilata” (in discesa) della fascinosa giovane che guarda e dispensa loro parchi sorrisi. Curiosa la location e nessuna “passerella” (anche se la camminata e l’impostazione dei movimenti della giovane fanno subito pensare al “catwalking” d’una modella); ci si trova invece a scendere una lunga, per nulla agghindata o attrezzata ad hoc, scalinata di pietra della sicula Caltagirone, antica “Regina dei Monti Erei”. Di fronte abbiamo quella che mi piace ritenere, per la sua composita bellezza, una sorta di immagine-guida della mostra fotografica – “La Moda, la Vita”– ospitata, con la curatela di Denis Curti, all’antica “Fortezza” (e “Residenza Marchinale”) della “Castiglia” di Saluzzo (Cuneo) fino a domenica 1° marzo 2026, di Ferdinando Scianna (Bagheria – Palermo, 1943), primo fotografo italiano a far parte dal 1982 (e introdotto niente meno che da Henri Cartier-Bresson) dell’agenzia fotografica internazionale “Magnum Photos”. E la giovane fanciulla che dà mostra del suo incedere e della sua misurata eleganza, altri non è che Marpessa (nome “mitologico”- dal mito di Idas – che dà il titolo alla stessa immagine); Marpessa Hennink, supermodella olandese di Amsterdam, tanto brava da meritarsi il soprannome di “The Catwalk Contessa” (“La Contessa della Passerella”). Siamo nel 1987, anno che segna l’esordio del fotografo siciliano (dopo un periodo di lavoro in Spagna, per documentare la “Guerra Civile” spagnola) nel “mondo della moda”. E’ in quell’anno che a Scianna, Dolce&Gabbana, allora giovani stilisti emergenti, commissionano le immagini per i cataloghi di due collezioni, dando vita a una delle collaborazioni meglio riuscite nella storia della fotografia. Un compito che l’artista siciliano assolse “in modo originale e spiazzante”.

Scianna, infatti, non rinunciò alla sua natura di “fotoreporter”, né tantomeno al richiamo della sua terra, trascinando la moda dagli studi di posa all’amata realtà della “sua” Sicilia e tra le strade dei “suoi” vocianti paesi. Le sue fotografie di moda, tutte in bianco e nero (“Io guardo in bianco e nero – diceva – penso in bianco e nero. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra”) sono frammenti di storie che “riflettono la sua visione del mondo, restituendo un ideale di bellezza che va oltre la pura descrizione del prodotto”. E fondamentale in questo percorso fu proprio la collaborazione con la “top model” Marpessa, che incarnava la bellezza mediterranea e che lo stesso Scianna scelse come sua “musa”. Al pari forse di quella Monica Bellucci, ritratta, nel ’91, in un mercato rionale di Palermo, attorniata da un bel gruppone di maschietti in un “furbesco” girotondo dagli occhi di certo meno innocenti di quelli dei bimbi della “Marpessa”. Nel suo complesso, il percorso espositivo, che documenta collaborazioni con i più importanti brand e numerose riviste internazionali, comprende oltre 90 fotografie (particolarmente “preziose” quelle dedicate allo stretto legame di amicizia che lo legava al conterraneo grande Leonardo Sciascia), accanto alle 12 provenienti dalla “Fondazione Arte CRT”, in comodato alla “GAM” di Torino, e che raccontano dei lavori realizzati in India, in Francia e in Bolivia, ma soprattutto ci parlano del grandissimo creatore di “reportages”, quale Scianna é stato, e che resteranno per sempre la “matrice stilistica e narrativa” del suo mestiere.
In contemporanea, su progetto sempre, come per la mostra di Scianna, di “Fondazione Artea” e la curatela di Matthias Harder (direttore della “Helmut Newton Foundation” di Berlino) il seicentesco “Filatoio” di Caraglio (Cuneo) ospita “Helmut Newton. Intrecci”, monografica dal titolo esemplare (vista la destinazione del sito ospitante) dedicata, per l’appunto ad Helmut Newton, altro grande protagonista della fotografia di moda (“mood photography”) del Novecento (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004). Le mostre di Ferdinando Scianna e Helmut Newton, concepite per dialogare tra loro, approfondiscono due approcci distinti (più “teatrale” e “dall’erotismo patinato” quelle del berlinese) ma entrambe convergenti al “tema della moda” e al “racconto della vita”. Le carriere di entrambi vivono una svolta sul finire degli anni Ottanta, anche a seguito delle trasformazioni in atto nella società del periodo: da un lato l’avvento delle prime apparecchiature digitali e di “Photoshop”, che mettono in discussione il valore testimoniale dell’immagine fotografica, dall’altro la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica, “che ridefiniscono gli equilibri globali e aprono nuove prospettive di incontro tra culture”.
Per info e orari: “Fondazione Artea”, corso Nizza 13, Cuneo; tel. 0171/1670042 o www.fondazioneartea.org
Gianni Milani
Nelle foto: Ferdinando Scianna “Marpessa”, Caltagirone, 1987 e “Monica Bellucci”, Palermo, 1991; Helmut Newton “Mansfield”, British Vogue, London 1967 e “Nadja Auermann”, Blumarine, Monaco 1993
Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta TaurinorumNelle alte valli delle Alpi era usanza liberare una mucca prima di fondare una borgata; l’animale andava al pascolo tutto il giorno per poi trovare il punto in cui distendersi a terra e riposarsi. Quello sarebbe stato il luogo in cui i montanari avrebbero iniziato ad edificare il borgo: «la mucca può “sentire” cose che all’uomo sfuggono, se il posto è sicuro o meno e se di lì si irradiano energie benefiche o maligne».
Anche la fondazione di Torino potrebbe rientrare in una di tali credenze. Ma a questa versione, tutto sommato verosimile e riconducibile a qualche usanza rurale, fanno da controparte altre ipotesi, decisamente più complesse e letteralmente “divine”, poiché hanno come protagonisti proprio degli dei, Fetonte ed Eridano. Avviciniamoci allora a queste due figure. Secondo il mito greco, Fetonte, figlio del Sole, era stato allevato dalla madre Climene senza sapere chi fosse suo padre. Quando, divenuto adolescente, ella gli rivelò di chi era figlio, il giovane volle una prova della sua nascita. Chiese al padre di lasciargli guidare il suo carro e, dopo molte esitazioni, il Sole acconsentì. Fetonte partì e incominciò a seguire la rotta tracciata sulla volta celeste. Ma ben presto fu spaventato dall’altezza alla quale si trovava. La vista degli animali raffiguranti i segni dello zodiaco gli fece paura e per la sua inesperienza abbandonò la rotta. I cavalli si imbizzarrirono e corsero all’impazzata: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea, quindi scesero troppo vicino alla terra, devastando la Libia che si trasformò in deserto. Gli uomini chiesero aiuto a Zeus che intervenne e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde nelle acque del fiume Eridano, identificato con il Po. Le sorelle di Fetonte,, le Eliadi, piansero afflitte e vennero trasformate dagli dei in pioppi biancheggianti. Le loro lacrime divennero ambra. Ma precisamente, dove cadde Fetonte? In Corso Massimo d’Azeglio, proprio al Parco del Valentino dove ora sorge la Fontana dei Dodici Mesi. In un altro mito, Eridano, fratello di Osiride, divinità egizia, era un valente principe e semidio. Costretto a fuggire dall’Egitto, percorse un lungo viaggio costeggiando la Grecia e dirigendosi verso l’Italia. Dopo aver attraversato il mar Tirreno sbarcò sulle coste e conquistò l’attuale regione della Liguria, che egli chiamò così in onore del figlio Ligurio. Attraversò poi l’Appennino e si imbatté in una pianura attraversata da un fiume che gli fece tornare alla mente il Nilo. Qui fondò una città, che dedicò al dio Api, venerato sotto forma di Toro.

Un giorno Eridano partecipò ad una corsa di quadrighe, purtroppo però, quando già si trovava vicino alla meta, il principe perse il controllo dei cavalli che, fuori da ogni dominio, si avviarono verso il fiume, ed egli vi cadde, annegando. In sua memoria il fiume venne chiamato come il principe, “Eridano”, che è, come abbiamo detto, anche l’antico nome del fiume Po, in greco Ἠριδανός (“Eridanos”), e in latino “Eridanus”. Questa vicenda ci riporta alla nostra Torino, simboleggiata dall’immagine del Toro, come testimoniano, semplicemente, e giocosamente, i numerosissimi toret disseminati per la città. Storicamente il simbolo è riconducibile alla presenza sul territorio della tribù dei Taurini, che probabilmente avevano il loro insediamento o nella Valle di Susa, o nei pressi della confluenza tra il Po e la Dora. L’etimologia del loro nome è incerta anche se in aramaico taur assume il valore di “monte”, quindi “abitanti dei monti”. I Taurini si scontrarono prima con Annibale e poi con i Romani, infine il popolo scomparve dalle cronache storiche ma il loro nome sopravvisse, assumendo un’altra sfumatura di significato, risalente a “taurus”, che in latino significa “toro”. È indubbio che anche oggi l’animale sia caro ai Torinesi, sia a coloro che per gioco o per scaramanzia schiacciano con il tallone il bovino dorato che si trova sotto i portici di piazza San Carlo, sia a quelli vestiti color granata che incessantemente lo seguono in TV. C’è ancora un’altra spiegazione del perché Torino sorga proprio in questo preciso luogo geografico, si tratta della teoria delle “Linee Sincroniche”, sviluppata da Oberto Airaudi, che fonda, nel 1975, a Torino, il Centro Horus, il nucleo da cui poi si sviluppa la comunità Damanhur. Le Linee Sincroniche sono un sistema di comunicazione che collega tutti i corpi celesti più importanti. Sulla Terra vi sono diciotto Linee principali, connesse fra loro attraverso Linee minori; le diciotto Linee principali si riuniscono ai poli geografici in un’unica Linea, che si proietta verso l’universo. Attraverso le Linee Sincroniche viaggia tutto ciò che non ha un corpo fisico: pensieri, energie, emozioni, persino le anime. Il Sistema Sincronico si potrebbe definire, in un certo senso, il sistema nervoso dell’universo e di ogni singolo pianeta. Inoltre, grazie alle Linee Sincroniche è possibile veicolare pensieri e idee ovunque nel mondo. Esse possono essere utilizzate come riferimenti per erigere templi e chiese, come dimostra il nodo centrale in Valchiusella, detto “nodo splendente”, dove sorge, appunto, la sede principale della comunità Damanhur. Secondo gli studi di tale teoria Torino nasce sull’incrocio della Linea Sincronica verticale A (Piemonte-Baltico) e la Linea Sincronica orizzontale B (Caucaso).Vi sono poi gli storici, con una loro versione decisamente meno macchinosa, che riferiscono di insediamenti romani istituiti da Giulio Cesare, intorno al 58 a.C., su resti di villaggi preesistenti, forse proprio dei Taurini. Il presidio militare lì costituitosi prese il nome prima di “Iulia Taurinorum”, poi, nel 28 a.C, divenuto un vero e proprio “castrum”, venne chiamato, dal “princeps” romano Augusto, “Julia Augusta Taurinorum”. Il resto, come si suol dire, è storia.
Queste le spiegazioni, scegliete voi quella che più vi aggrada.
Alessia Cagnotto
Pragelato ospita la mostra Floating Mountains, dialogo tra arte e paesaggio alpino, che inaugurerà il 29 novembre prossimo e promossa dall’Associazione di Promozione Sociale Neks, realizzata grazie al contributo della Fondazione CRT, che da anni sostiene progetti capaci di coniugare innovazione artistica e valorizzazione del territorio.
L’iniziativa si avvale del sostegno del Consiglio regionale del Piemonte e dell’Assessorato alle Politiche Sociali e Assessorato alla Cultura, con il patrocinio del Comune di Pragelato.
La mostra d’arte contemporanea, curata da Michele Bramante e Cristina Giudice, sotto la direzione di Paolo Facelli, vedrà la partecipazione di quattro artisti internazionali portatori di linguaggi e sensibilità differenti, che dialogheranno con il paesaggio alpino e la comunità locale.
Si tratta del primo progetto artistico di Neks in ambito montano, un debutto che segna l’inizio di un percorso dedicato alla montagna quale spazio di ricerca artistica e innovazione culturale della montagna, capace di superare la stagionalità turistica legata alla neve e di aprirsi a esperienze accessibili durante tutto l’anno.
Il titolo dell’esposizione “Floating Mountains” richiama l’idea di una montagna che perde la sua immagine tradizionale di elemento fisso e immutabile per diventare simbolo di trasformazione. Nella percezione collettiva la montagna è sempre stata simbolo di solidità, stabilità e permanenza. Oggi, però, le alterazioni climatiche in corso, i cambiamenti nell’economia della neve e le nuove forme di abitare e visitare i territori alpini ne stanno modificando profondamente l’identità. La montagna “fluttuante” rappresenta così una condizione in divenire, un paesaggio in via di ridefinizione, capace di invitare a riflettere sul rapporto tra essere umano, ambiente e cultura. In questo contesto l’arte diventa strumento di lettura e di dialogo con un territorio che non è più solo scenario naturale, ma soggetto attivo, dotato di un suo valore etico e di una capacità di relazione.
“Floating mountains” si configura come una mostra diffusa con opere collocate negli spazi aperti e urbani del Comune di Pragelato, pensate per integrarsi con il paesaggio e dialogare con la comunità locale. La montagna viene trasformata in un laboratorio vivo di cultura, sostenibilità e innovazione, dove l’arte diventa un linguaggio condiviso capace di generare nuove forme di partecipazione e di relazione con l’ambiente.
Il progetto, parallelamente alla mostra, punta a rafforzare il legame tra arte e comunità, promuovendo accessi di partecipazione attiva e di inclusione sociale. Obiettivo è trasformare l’esperienza artistica in un’occasione di incontro, scambio e crescita condivisa, capace di coinvolgere generazioni diverse e di valorizzare la dimensione educativa e relazionale dell’arte. Verrà realizzato un laboratorio didattico-artistico destinato alla scuola primaria, ideato e condotto dalla dottoressa Martina Berra, con uscite sul territorio e attività pratiche pensate per stimolare la curiosità dei bambini e bambine e per costruire racconti visivi intrecciati alla storia e alla natura locali.
I quattro artisti protagonisti di Floating Mountains sono Johannes Pfeiffer, Luisa Valentini, Gabriele Garbolino e Carlo D’Oria.
Johannes Pfeiffer, nativo di Ulm nel Sud della Germania, e con studi a Berlino e alle Accademie di Belle Arti di Roma e Carrara, dal 1985 si dedica alla land art e alle installazioni ambientali, con interventi in Europa, Asia, Sud America, tra cui Pechino, Praga, Palma de Maiorca e il deserto di Acatama. Le sue opere, concepite come esperienze site-specific, instaurano un dialogo diretto con lo spazio e le forze naturali che lo attraversano.
Luisa Valentini, docente all’Accademia di Belle Arti fino al 2022, dal 2024 è direttrice artistica del Museo Piscina Arte Aperta e le sue opere sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero. Vanta collaborazioni internazionali quali quella con il Cirque du Soleil e negli ultimi anni è stata molto impegnata sul fronte dell’arte sacra.
Le sue opere coniugano spiritualità e materia, equilibrio e tensione formale.
Gabriele Garbolino, diplomato in Scultura all’Accademia Albertina di Torino sotto la guida di Riccardo Cordero, ha realizzato sculture in materiali quali bronzo, marmo e alluminio, presenti in collezioni museali in Italia e all’estero. La sua ricerca è una riflessione sul corpo e sulla forma come sintesi tra esperienza fisica estensione interiore.
Carlo d’Oria, nato a Torino, esplora nelle sue opere la fragilità della condizione umana e la relazione tra individuo e collettività. Le sue sculture, simboliche e essenziali, sono presenti in importanti collezioni come quella del castello di Rivara, Castello Reale di Racconigi e il Parco d’Arte Quarelli. Il suo linguaggio plastico traduce in forma la memoria del paesaggio e il segno della presenza umana.
L’inaugurazione della mostra avverrà sabato 29 novembre alle 15.30 presso l’ATL di piazza Lantelme di Pragelato.
Mara Martellotta



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