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Castellamonte diventa museo diffuso della ceramica 

Il 23 agosto 2025 tornerà la manifestazione storica della Mostra della Ceramica di Castellamonte, giunta alla sua sessantaquattresima edizione. Durerà fino al 14 settembre e sarà curata dal professor Giuseppe Bertero. Il pubblico che, fin dal lontano 1961, ha visitato la mostra della ceramica, si attende ogni anno di poter ammirare il meglio del settore in tutte le sue declinazioni, arte, design, artigianato e la Mostra della Ceramica edizione 2025 non deluderà certo le aspettative dei visitatori, grazie alle numerose proposte dell’arte ceramica, presentate in tutte le sue espressioni, sia nuove, sia classiche, uniche e originali.
Castellamonte vanta una tradizione ceramica antichissima in virtù dei giacimenti di argilla rossa presenti sulle colline limitrofe, che hanno condotto alla realizzazione, in diversi periodi storici, di importanti manufatti in ceramica, dalle stoviglierie povere alle ceramiche delle celebri stufe. La mostra prevede sedici punti espositivi, opere provenienti da 22 Paesi nel mondo, tutti tranne l’Oceania, e una programmazione parallela ricca di eventi, musica, arte  e sapori.

Centro pulsante della mostra sarà  palazzo Botton, dove si trova l’ormai consolidato concorso internazionale “Ceramics in Love”, giunto alla sua settima edizione. Vi sono esposte cento opere selezionate tra le migliori proposte italiane e internazionali  con una presenza sempre maggiore di artisti donne e di artisti asiatici. Verrà proposto l’omaggio alla Spagna, il Paese ospite di quest’anno, con 55 opere di tecnica sublime e di forte impatto visivo.
Palazzo Botton ospita, al piano nobile, la collezione permanente di ceramiche presenti nella Rocca Civica di Terra Rossa, con opere di artisti quali Enrico Baj, Arnaldo Pomodoro, Carlo Zauli, Nino Caruso, Alessio Tasca, Ugo Nespolo, Plinio Martelli, Stefano Merli. Al piano terra saranno esposte le opere selezionate nel concorso internazionale “Ceramics in love”. Saranno 120 gli artisti selezionati appartenenti a 21 nazioni diverse, che esporranno nelle sale.

Sta intanto prendendo forma un nuovo e importante allestimento,  costituito dalla Collezione Civica delle opere storiche, che rappresentano un primo passo verso un permanente processo di musealizzazione.

Tra le arcate del Palazzo Antonelli, sede del Municipio, trovano spazio le stufe di Castellamonte, che sono il simbolo autentico della mostra, e che evidenziano anche un’evoluzione artistica che dal classico giunge fino al contemporaneo. Le sculture monumentali in ceramica di artisti italiani e rumeni sono collocate nella Rotonda Antonelliana, che già ospitò la prima edizione della mostra nel 1961. Qui si collocano l’importante installazione collettiva denominata “Attraversamento Meridiano”, ispirata alla transumanza delle mucche podoliche, realizzata da Raffaele Pentasuglia e da ceramisti provenienti da varie località quali Castellamonte, Savona, Albisola Marina, Albisola Superiore e Celle Ligure.

Al Centro Congressi Martinetti sarà  esposta una selezione della prestigiosa collezione di fischietti, donata alla Città di Castellamonte da Mario Giani, artista in arte Clizia. Si tratta di un complesso di 2500 pezzi. Saranno poi esposti i fischietti del Concorso “Ceramiche Sonore”, giunto alla sua quarta edizione, all’interno dell’evento nazionale “Buongiorno ceramica”.
L’orto Sociale di Camillo è uno spazio nato grazie allo sforzo del settore socio-assistenziale della città e ospita opere capaci di coniugare  ceramica e sociale. Verrà esposta un’opera di Denis Imberti con il suo Collettivo Abracadabra. 15 autori operanti nel gruppo hanno realizzato i disegni, in totale 14, da cui hanno tratto ispirazione  per l’opera scultorea in ceramica dal titolo “Relazioni”.
Anche gli spazi espositivi privati costituiscono un’ampia fucina di arte. Alla Galleria Civica 10, Brenno Pesci espone l’opera intitolata “Regno animale “. Nel Temporary Shop di via Educ 20 le protagoniste sono Katia Gianotti e Maria Teresa Rosà, mentre Marta Jorio ed Elisa Tarantino sono le firmatarie della mostra “Dans ma jungle”. In via Educ 35 e piazza Martiri, l’Expo Collettivo ospita i lavori di Roberto Castellano, Francesca Formia, Luca Gris e Roberto Perino.
Molti gli eventi collaterali, cene a tema, festival, letture, incontri di lettura e laboratori.
Protagonista assoluta dell’edizione 2025 sarà  la Spagna, che, ospite d’onore, con opere uniche, sarà arricchita dalla grande installazione dell’Attraversamento Meridiano “.
Si tratterà tratterà un’edizione particolare, della consapevolezza sociale, testimoniata dal fatto che la consigliera Sonia Cambursano ha portato in Senato 30 scarpe rosse in ceramica, realizzate dagli artisti di Castellamonte contro la violenza sulle donne.

Mara Martellotta

Al Castello di Rivoli la donazione di due sculture di Aki Inomata

 

Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea estende la collezione permanente con due opere dell’artista giapponese Aki Inomata, parte del percorso espositivo della mostra Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura (31 ottobre 2024 – 23 marzo 2025), curata da Francesco Manacorda e Marianna Vecellio per gli spazi della Manica Lunga del Museo.Realizzate nel 2018 e nel 2020, le due sculture in legno di Aki Inomata, How to Carve a Sculpture. Yuzu I e How to Carve a Sculpture. Genie I, esplorano la relazione tra natura e tecnologia, a partire dallo studio del comportamento del castoro eurasiatico. L’ingresso in collezione è stato reso possibile grazie alla donazione dell’imprenditore Hiroyuki Maki, fondatore del programma filantropico anonymous art project.

La forma delle sculture di Inomata ricorda le complesse architetture lignee costruite dal Castor fiber Linnaeus, una particolare specie di castoro diffuso in Eurasia che è solito masticare gli alberi per abbatterli e costruirvi delle dighe. Per la loro realizzazione, l’artista si è affidata allo scultore Takeno Yumi e all’azione di una macchina da taglio automatica (CNC): copie degli alberi rosicchiati dai castori, le sculture esplorano le possibilità umane e artificiali di riproduzione di un oggetto frutto dell’azione animale. Ad accompagnare i due lavori scultorei, documenti e video svelano al pubblico il processo creativo dietro la produzione dell’opera.  Ripensando la definizione di azione scultorea, l’artista suggerisce nuove e inaspettate possibilità di collaborazione e di dialogo con la natura.

Aki Inomata (Tokyo, 1983) vive e lavora a Tokyo. Concentrandosi sull’atto del “creare” come capacità non esclusiva degli esseri umani, Inomata realizza opere d’arte “in collaborazione” con diverse specie, esplorando le relazioni tra animali ed esseri umani e la creazione che ne deriva. Mostre recenti includono Broken Nature, MoMA, New York (2021); AKI INOMATA: Significant Otherness, Towada Art Center, Aomori, Giappone (2019); e Aki Inomata, Why Not Hand Over a “Shelter” to Hermit Crabs?, Musée d’arts de Nantes, Francia (2018). L’artista ha partecipato alla Triennale di Milano (2019) e alla Biennale di Thailandia, Krabi (2018). Le sue opere fanno parte delle collezioni di MoMA, New York; Art Gallery of South Australia, Adelaide SA; e 21st Century Museum of Contemporary Art, Kanazawa, Giappone.

 

Foto: sx: Aki Inomata, How to Carve a Sculpture – Yuzu I, 2018
dx: Aki Inomata, How to Carve a Sculpture – Genie I, 2020
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino, 2025
Donazione di Hiroyuki Maki. Foto Hayato Wakabayash

La pittura incontra l’arte dei fiori viventi

DOMENICA 10 AGOSTO 2025  ORE 21 Atelier ArtDabò, Via Arduino 37 – Ivrea (TO)

Una performance dal vivo in cui l’ikebana (l’arte dei fiori viventi)  dialoga con la pittura di Daniela Borla Dabò 

Dopo una breve introduzione all’ikebana,  verranno realizzate da Neicla Natsumei Campi  delle composizioni dal vivo che dialogheranno con i dipinti di DaBò. Questo consente ai partecipanti di seguire la realizzazione dell’opera che si evolve davanti ai loro occhi, partecipando al processo creativo dell’artista.

Un evento davvero UNICO per la sua realizzazione.  Neicla Natsumei Campi è una maestra di ikebana della scuola  Sogetsu di Tokyo  Natsumei (sorriso dell’estate)  in giapponese 夏明 è il suo nome da maestra. Era bambina quando ha scoperto questa forma d’arte, ma praticarla è rimasto un sogno nel cassetto fino a quando, 10 anni fa,  ha incominciato a frequentare le lezioni della scuola Sogetsu a Roma, dove ha conseguito il suo primo diploma di maestra.

Tiene regolarmente corsi nella sua città, Ivrea, preparando i suoi allievi a diventare a loro volta maestri, se lo desiderano, e condividendo con loro momenti di bellezza e serenità. Organizza seminari di introduzione all’ikebana. Ha tenuto conferenze sull’ikebana, dimostrazioni dal vivo e realizzato mostre in diverse località del Piemonte.

Ha realizzato anche installazioni di ikebana all’aperto col bambù sia ad Ivrea che sul lago d’Orta. Le piace continuare ad imparare e sperimentare e per questo frequenta ad Anversa, in Belgio, la scuola di Ilse Beunen, una delle più grandi maestre di ikebana al mondo. Con lei ha conseguito il secondo livello di diploma. In questo mio percorso ha al suo fianco il marito, un bravissimo vasaio che realizza i vasi per l’ikebana.

È anche il suo aiutante nelle installazioni di bambù, nella raccolta del materiale e in molte altre attività in cui una maestra di ikebana arriva dicendo “secondo te come potrei fare a …” Daniela Borla, conosciuta nel mondo dell’arte come Dabò, è una pittrice, scrittrice e scultrice che vive e opera ad Ivrea dove gestisce il suo Atelier (ArtDabò) insieme al suo compagno di vita e manager Luca, grafico digitale.

La sua carriera artistica è il risultato di una profonda passione e ricerca che ha coltivato fin da giovane, parallelamente agli  studi e all’attività professionale di psicopedagogista e maestra. Ha perfezionato le sue tecniche pittoriche con corsi alla Pinacoteca Albertina di Torino.  Ha fatto parte di diverse associazioni artistiche, le sue opere sono state esposte in numerose mostre collettive e personali sia in Italia che all’estero, tra cui il Carrousel du Louvre e il Festival d’Hiver a Parigi, il World Art Dubai a Dubai, l’Art Expo a New York.

Ha inoltre esposto a Pechino, Nizza, Barcellona, Montecarlo, Roma, Milano, Torino, Genova, Parma, Faenza, etc.

La sua ricerca pittorica si concentra principalmente sull’arte informale, con una particolare predilezione per la rappresentazione dell’opera dell’Uomo attraverso paesaggi urbani. Le città, con i loro cantieri, porti, periferie e edifici fatiscenti, sono la fonte principale della sua ispirazione. Nelle sue opere, l’essere umano è raramente rappresentato direttamente, ma la sua essenza, il suo lavoro, le sue emozioni e le tracce del suo passaggio sono fortemente percepibili.

Le opere di Dabò si distinguono per l’uso audace di colori e linee frazionate, che creano un senso di incompiutezza e di realtà in continua trasformazione. Le prospettive sono spesso inusuali e i colori non sempre corrispondono alla realtà, riflettendo la complessità e la dinamicità del mondo urbano. L’artista invita il fruitore a un’interpretazione libera, suggerendo che le luci, le ombre e il punto di osservazione possano modificare la percezione della realtà.

Oltre alla pittura, Daniela Borla è anche una scrittrice e scultrice.

 

( Nella foto, da sinistra, Daniela Borla Dabò – Neicla Natsumei Campi – Luca Stratta )

La generazione Z dell’arte a Magnano nel Biellese

Una mostra diffusa in otto sedi dal titolo “Stile libero”

Dall’invito rivolto a 25 studenti dell’Accademia di Brera di Milano appartenenti alla generazione Z prende forma “Stile libero”, la mostra diffusa in otto sedi del Comune di Magnano, ideata, organizzata e curata dell’Associazione Fuoriprogramma aps, visitabile da sabato 26 luglio a domenica 28 settembre prossimo. Con questa mostra l’associazione Fuoriprogramma, nata da un’idea di Michela Pomaro e Giovanni Frangi, prosegue il proprio impegno a sostegno dell’arte contemporanea in dialogo con il territorio di Magnano.
Magnano, appunto, è  parte viva del progetto, è  la materia con cui i giovani artisti interagiscono per dare forma a opere inedite, diverse per formato, ricerca e media, distribuite in un percorso che spazia dalla pittura alla scultura, fino al disegno e alla fotografia.
I 25 artisti coinvolti, ancora in una fase germinale della loro ricerca, sono nati tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila e con le loro opere definiscono visioni ancora inesplorate, che si nutrono del confronto con il presente, per immaginare nuove soluzioni per il futuro.

“Stile libero” inizia al Monastero di Bose, per la prima volta utilizzato per una mostra di Fuoriprogramma. Sotto un grande portico ad angolo di fronte a un prato, immediatamente dietro la chiesa di Bose, sono esposti una serie di grandi quadri ad acrilico con dei fiori di gusto pop, realizzati da Camilla Trumellini in un rapporto attivo con l’ambiente circostante.

Il percorso procede a tappe, prima verso la chiesa di Santa Marta, dove sono raccolti gli interventi di diversi artisti, tra cui i collage astratti di Elia Di Nola, interpretazione libera della storia e degli spazi, e i dipinti di Beatrice Pachera, attratta dalle vivaci e vibranti montagne del Marocco. Verso la casa parrocchiale,  in via Castello, trovano posto i disegni naturalistici di Silvia Rocchi, realizzati con una precisione da miniaturista, e i lavori a matita dedicati al cielo e all’acqua di Samuele Brambilla.
“Stile libero” conduce verso la parte più antica del paese, dove si incontra la Cantina del Ricetto, con la serie “Ragazzi che dormono” di Filippo Colombani, che racconta di giovani che si radunano, fanno gruppo, parlano, si riposano come in un “Déjeuner sur l’herbe” del nostro tempo. A seguire, nella piazza Comunale, si incontra la Locanda Borgo Antico, scelta per esporre una serie di lavori di Matteo Bianchi, riflesso del suo sguardo puntato agli orizzonti delle montagne della Val Camonica, parte della sua biografia.
La mostra raggiunge poi la sede della Pro Loco, in via Roma, i cui spazi sono occupati da una serie di incisioni che hanno come soggetto la natura, e il Mulino Ottino, all’inizio di via Campi, che ospita, tra gli altri, i personaggi punk di Tommaso Frattini, dipinti su materiali di recupero. E si conclude al Centro Culturale Sosio, sede della biblioteca locale, dove trovano posto le fotografie in bianco e nero di Lucrezia Mora ispirate ad Helmut Newton, che ritraggono donne dalla bellezza spiccata in tutta la loro femminilità e intimità, e sulle quali interviene scrivendo con un filo di seta rosso.

“Stile libero” raccoglie le esperienze creative di artisti ancora in fase germinale di esplorazione e definizione del proprio linguaggio e del proprio stile, liberi di sperimentare e di sbagliare.  La diversità delle soluzioni espressive proposte rivela le potenzialità di ognuna di esse.
Costituita in un percorso a tappe, l’esposizione include il paese di Magnano, nel Biellese,  come parte viva del progetto con cui gli artisti si sono relazionati in un dialogo aperto e inedito.

26 luglio- 28 settembre 2025

Stile libero. Progetto diffuso nel Comune di Magnano, nel Biellese

Mara  Martellotta

In mostra alla Galleria Sottana “Frida- Marilyn, vite parallele”

Frida Kahlo, pittrice messicana icona del surrealismo, e Marilyn Monroe, star di Hollywood simbolo della femminilità e della bellezza, rappresentano due figure che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte e del cinema e, per questo motivo, hanno suggerito il soggetto per la mostra dal titolo “Frida-Marilyn: Vite parallele”, curata da Vincenzo Sanfo e con testo di Carolina Dema, mostra ospitata presso la galleria Sottana dell’antico Oratorio di San Filippo Neri, in via Maria Vittoria 5. Visitando la mostra è possibile anche, nei mesi di luglio e agosto, con biglietto unico accedere all’Antico Oratorio di San Filippo Neri, un gioiello barocco torinese di solito non accessibile al pubblico.
L’esposizione, attraverso cento fotografie e opere d’arte, esplora somiglianze e differenze tra due donne straordinarie, mettendo in evidenza le loro lotte, le loro passioni e le loro creazioni. Sono state immortalate da grandi fotografi dell’epoca  come Nickolas Muray e Sam Shaw. La mostra offre un viaggio emozionante attraverso le vite  di due donne che hanno saputo rompere gli schemi e lasciare un segno indelebile nella storia. Il percorso inizia con le immagini di entrambe bambine, proseguendo poi con il percorso di crescita e consapevolezza di sé in cui si può apprezzarne il profondo cambiamento, non solo estetico, ma anche emotivo.
Legate da destini apparentemente diversi e lontani, nella mostra si scoprono le profonde similitudini, segnate dagli amori tormentati fino alla profonda volontà di diventare madre, ma che la vita ha negato loro, sino a un profondo impegno politico che le ha viste sempre in prima linea a difendere i propri ideali. Si tratta di due personalità, quelle di Frida e Marilyn, che, pur essendo coeve e vivendo in Paesi diversi, hanno visto incrociarsi le loro vicende, in virtù dell’amicizia e della passione amorosa condivisa con il fotografo Nickolas Muray, che con Frida ebbe una lunga relazione e con Marilyn una relazione tenuta nascosta e segreta fino alla sua morte e rivelata dal ritrovamento da parte della moglie di Muray di una fotografia con una appassionata dedica all’attrice.

In mostra, oltre alle fotografie di Nicholas Muray, si potranno ammirare gli scatti di Guillermo Kahlo, Imogen Cunningham, Lucienne Bloch, Sam Sahw, Ed Feingersh che ci raccontano, attraverso le loro immagini, il pubblico e il privato di Frida e di Marilyn, i loro rapporti con personaggi ingombranti e importanti come Diego Rivera, noto e impenitente donnaiolo per Frida, e Joe di Maggio o Arthur Miller per Marilyn, oltre a John Fitzgerald Kennedy.
Entrambe queste donne erano sottoposte a forme di prigionia. Marilyn , il cui corpo è stato colonizzato dall’industria dei media e da quella cinematografica,  in una delle sue poesie più intimistiche scrive: “Trentacinque anni vissuti con un corpo estraneo / trentacinque anni con i capelli tinti/ trentacinque anni/ con un fantoccio/ Ma io non sono Marilyn / io sono  Norma Jean Baker/ perché la mia anima / vi fa orrore come gli occhi delle rane/ sull’orlo dei fossi?” Frida era imprigionata in un corpo malato,  prima la polio in età infantile, che la rende zoppa, poi, a meno di vent’anni, l’incidente in auto che la costringe mesi a letto, il bacino impalato da un corrimano metallico, busti ortopedici che le coarteranno il busto tutta la vita.
Il più grande atto artistico di Marilyn è stato quello di rinunciare a essere se stessa, a essere persona, per diventare fantoccio dei media,  capitalizzando il suo corpo e la sua bellezza, mentre il più grande atto artistico di Frida  è stato quello di emanciparsi dallo stato di fantoccio del suo corpo diversamente abile, che l’avrebbe resa immobile e celata, ponendolo, invece, al centro dei suoi quadri, dipingendo sugli stessi corsetti ortopedici  e rivelando una bellezza refrattaria alle norme produttive del corpo come lo intendeva il capitalismo.

La mostra presenta anche foto di scena di Marilyn con alcuni compagni di lavoro, quali Laurence Olivier, Jackie Lemmon, Tony Curtis, ma anche Groucho Marx e Cary Grant, cui si affiancano fotografie di personalità vicine a Frida, che sono state rappresentate nelle istantanee in mostra per far comprendere la ricchezza del loro percorso terreno.
Un omaggio a due donne che hanno incarnato la  creatività, la passione e  la determinazione  e che continuano a ispirare generazioni di artisti, registi e appassionati di arte e di cinema.
In mostra oltre alle fotografie dedicate a Frida e Marilyn è possibile vedere un omaggio proprio di alcuni di questi artisti per i quali continuano ad essere delle Muse indiscusse. Fra questi artisti ricordiamo Andy Warhol, che alla morte di Marilyn decise di dedicarle alcuni suoi importanti lavori, oggi ricercatissimi, Mimmo Rotella, Marco Lodola o la cinese Zhang Hongmei che a Frida ha dedicato alcuni lavori  e ritratti, che si affiancano all’unica opera e copia riconosciuta del dipinto “Las Dos Frida”, il dipinto più  grande realizzato da Frida e di cui XU De Qi ha realizzato una copia fedelissima, che sarà uno dei richiami di questa mostra inedita.
La  mostra è ospitata presso la galleria Sottana dell’Antico Oratorio di San Filippo Neri, in via Maria Vittoria 5 da martedì  alla domenica dalle 11 alle 19, con chiusura il lunedì e il 15 agosto.

Per informazioni biglietteriamostrato@gmail.com o 3534780786.
Mara Martellotta

Rigenerazione urbana: “Arte in transito”, 11 nuove opere sui muri di via Sacchi

È stata inaugurata  in via Sacchi la seconda fase del progetto di arte pubblica Arte in Transito, con l’installazione di undici nuovi pannelli murari che arricchiscono il paesaggio urbano lungo il lato ferroviario, tra via Pastrengo e corso Sommeiller. In un tratto di città dove storia e trasformazione convivono, l’arte torna così protagonista per raccontare un presente in evoluzione e anticipare un futuro di rigenerazione.

Il progetto, promosso dal Comitato Spontaneo Rilanciamo via Sacchi, è stato realizzato attraverso una stretta cooperazione tra Accademia di Belle Arti di Torino e Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, che li ha visti coinvolti in tutte le fasi della sua realizzazione, dalla ricognizione del sito con rilievi e misurazione degli spazi espositivi all’elaborazione di una mappa di comunità per la partecipazione della popolazione del quartiere, allo studio di fattibilità, fino all’ideazione e realizzazione dei bozzetti digitali.

I pannelli di “Arte in Transito”, montati sui muri come cartelli pubblicitari stradali, rappresentano temi espressi dalla comunità di Borgo San Secondo nel 2023: la cultura, la memoria, la documentazione e il futuro, l’inclusione sociale. Ideati ed eseguiti da studentesse e studenti internazionali della Scuola di Decorazione e di altre Scuole di Arti Visive dell’Accademia Albertina, dalla loro superficie di circa 3 x 3 metri emergono senso di bellezza e forza del colore. Come già avvenuto nei precedenti progetti di Portici d’Artista, anche in Arte in Transito i protagonisti sono giovani artisti in formazione, alla loro prima esperienza con l’arte nello spazio pubblico.

L’intervento, promosso in collaborazione con il Comitato Rilanciamo Via Sacchi, punta a valorizzare i muri della ferrovia attraverso opere partecipate, con l’obiettivo di stimolare il rilancio della via, contrastare la dismissione commerciale lungo il lato porticato, rafforzare il senso di identità del luogo e incrementare la fruizione sia da parte dei residenti sia dei visitatori, integrando questo tratto urbano nei percorsi cittadini dedicati all’arte pubblica.

Il progetto 2025 è stato realizzato con il patrocinio della Città di Torino, l’autorizzazione della Soprintendenza e del Gruppo FS Italiane, e il finanziamento del Politecnico di Torino – Dipartimento di Architettura e Design (DAD), della Circoscrizione 1 e dell’Assessorato alle Politiche Giovanili della Città di Torino. In particolare la Circoscrizione 1, da sempre attenta alle opportunità di rigenerazione urbana del territorio, ha seguito l’iter progettuale sin dalle fasi iniziali, sostenendolo nel corso di questi anni anche dal punto di vista finanziario.

«Con “Arte in Transito” continuiamo a investire sui giovani talenti e sul potere rigenerativo dell’arte pubblica, elementi fondamentali per ridare vita ai nostri quartieri e costruire una città più inclusiva e partecipata – dichiara l’assessora alle Politiche giovanili e Progetti di rigenerazione urbana Carlotta Salerno -. Il coinvolgimento delle nuove generazioni e del territorio sono motore di trasformazione urbana e sociale e gli ultimi 11 pannelli costituiscono un esempio vincente di collaborazione tra istituzioni che, a vario titolo, si impegnano per valorizzare la città tramite la creatività giovanile. Siamo orgogliosi di vedere in via Sacchi le opere realizzate da studentesse e studenti, che con passione e immaginazione raccontano la storia e le speranze del quartiere di Borgo San Secondo, contribuendo a rafforzare il senso di comunità e identità locale».

«Il progetto sviluppato su via Sacchi oggi compie una tappa importante – afferma Cristina Savio, Presidente della Circoscrizione 1 di Torino -. Per questo traguardo voglio innanzitutto ringraziare per l’impegno e la passione la cittadinanza attiva, a partire dal gruppo “Rilanciamo via Sacchi”. In un’epoca in cui il commercio di prossimità fatica, le reti famigliari si allentano, quelle di amicizia diventano spesso virtuali, è importante avere cura dello spazio pubblico e animarlo con iniziative che creino o rinforzino le reti di relazioni. Come Circoscrizione 1 abbiamo creduto in Portici d’artista prima e Arte in Transito poi, sostenendoli anche economicamente. Mi preme dunque anche ringraziare la coordinatrice Gritti e i coordinatori Martinez e Benedetti, che hanno seguito le iniziative su via Sacchi fin dall’esordio».

Il gruppo di lavoro che ha portato avanti il progetto vede il contributo di diverse professionalità: Rossella Maspoli, Politecnico di Torino DAD, e Monica Saccomandi, Scuola di Decorazione dell’Accademia Albertina, sono state responsabili del concept, masterplan e management del progetto. La parte artistica è stata curata da Monica Saccomandi con il contributo di Carlo Galfione e Daniele Galliano docenti della Scuola di Decorazione dell’Accademia Albertina. Per quanto riguarda le attività di promozione, gestione amministrativa, comunicazione e intermediazione culturale, l’incarico è stato svolto da Rossella Maspoli e Laura Porporato, presidente del Comitato Rilanciamo Via Sacchi, insieme al Comitato stesso. Sempre dal Comitato, è stato anche il contributo portato al progetto da parte del vicepresidente Luigi Ratcliff, insieme a Simonetta Maggi e Virginia Moniaci.

Rossella Maspoli ha evidenziato, in particolare, l’importanza di “azioni di local branding, volte sia a valorizzare i luoghi che a ricostruire la memoria collettiva”. Affermando, inoltre che “le pratiche di arte pubblica hanno ruolo nei processi di miglioramento dello spazio pubblico e di stimolazione a nuove attività”.

Laura Porporato, in rappresentanza del Comitato Rilanciamo Via Sacchi, sottolinea come “Arte in transito sia uno dei progetti avviati dall’Associazione fin dal 2017, per valorizzare una delle vie porticate più importanti della città, grazie anche alle sue architetture e la sua storia, e rigenerarla grazie all’arte, la cultura ed i giovani”.

I bozzetti e l’esecuzione dei pannelli sono stati progettati dagli studenti e studentesse dell’Accademia Albertina, tra i quali Sofia Argentin, Xuechun Cao, Gilda Genghini, Lorenzo Griguoli, Zixu Jiao, Yan Li, Yu Zhen Li, Caiji Lou, Lin Luan, Annamaria Nicolussi-Principe, Alessia Poppa, Meirui Qian, Ismaela Spinelli, Xiangrui Sun, Yiqing Yan, Siyi Ying, Congqing You, Kaiyue Xie, Ruxuan Wang, Manman Zeng, Yan Zhang.
La prima fase del progetto «Arte in Transito» si è conclusa il 17 luglio 2024, con la messa in opera dei primi 11 pannelli di arte pubblica murale. La seconda fase completa nel 2025 la copertura dei muri ciechi per 22 opere in totale e attraverso il nuovo sito web (https://viasacchi.designcontest.polito.it/it/) apre alla comunicazione e alle azioni partecipate per accrescere inclusione e partecipazione.

TORINO CLICK

Palazzo Madama torna al Guangdong Museum di Guangzhou

Il Guangdong Museum di Guangzhou – tra le prime tre istituzioni museali della Repubblica Popolare Cinese, con oltre sette milioni di visitatori annui – ha inaugurato la seconda grande esposizione dell’anno promossa da Palazzo Madama di Torino in Asia.

Dopo il successo della mostra al Museum of Wu di Suzhou, che ha attratto oltre 180.000 visitatori, la nuova esposizione “Crown of Elegance. Court Life and Art of Savoy in the 18th Century” celebraTorino capitale, la sua storica Corona di Delizie e il sistema delle Residenze Reali sabaude, all’interno di un progetto culturale di assoluta eccezionalità.

Accolta con entusiasmo da pubblico e critica, la mostra ha già superato i 25.000 visitatori paganti nei primi cinque giorni di apertura, ed è considerata uno degli eventi espositivi più rilevanti dell’anno in Cina, tanto da concorrere al riconoscimento di “migliore mostra 2025”.

La mostra offre al pubblico  l’opportunità di scoprire la Torino del XVIII secolo, ormai affermata come una delle capitali più raffinate d’Europa, caratterizzata da eleganti vie porticate e da “places royales” che ancora oggi incantano i visitatori quando fulcro della vita di corte erano i Palazzi Reali, scenari di cerimonie solenni, feste, spettacoli e concerti, mentre le foreste che circondavano la città ospitavano il rituale della caccia reale, secondo un modello condiviso dalle grandi corti europee dell’epoca.

Attraverso la sua straordinaria collezione di arti applicate – una delle più importanti d’Europa per ampiezza, qualità e varietà tipologica – Palazzo Madama ha dato infatti vita, in dialogo con il Guangdong Museum, a un’esposizione originale, capace di raccontare con profondità e suggestione quasi due secoli di vita quotidiana, cerimoniale e simbolica della corte dei Savoia. Un percorso che intreccia saperi artigianali, gusto decorativo e codici di rappresentazione del potere, restituendo al pubblico internazionale la raffinatezza di una delle più longeve dinastie europee attraverso oggetti d’uso e di rappresentanza, espressione concreta di una cultura materiale che fonde arte, funzione e identità politica.

Il pubblico cinese può ammirare in mostra oltre 160 opere, tra preziose oreficerie, bronzi, vetri dorati, dipinti, tessuti, maioliche, porcellane, rilegature, mobili e intarsi: un corpus che attraversa le principali arti applicate e restituisce l’identità culturale di una corte e di un’epoca.

Il progetto, sviluppato in una stretta collaborazione tra i curatori del Guangdong Museum e quelli di Palazzo Madama, coordinati nell’occasione da Clelia Arnaldi di Balme e Paola Ruffino insieme alla responsabile dell’internazionalizzazione Angela Benotto, ruota attorno al concetto del “mestiere delle arti”: quel sapere artigianale capace di fondere tecnica e bellezza, funzionalità e valore simbolico. Un patrimonio immateriale incarnato dal lavoro di orafi, vetrai, ebanisti e tessitori, le cui creazioni affondano le radici in tradizioni secolari che nemmeno la rivoluzione industriale è riuscita a cancellare. Proprio da questa visione prende forma il cuore tematico della mostra: il “Saper fare”, ovvero il segreto alla base della creatività e del genio italiano. Quella qualità straordinaria della manifattura che ha generato capolavori capaci di attraversare i secoli e affascinare generazioni, e che ha reso l’artigiano-artista non solo custode di bellezza, ma protagonista di un modello economico e culturale sostenibile, capace di coniugare ricchezza materiale e spirituale, attenzione sociale, giustizia e affermazione del merito attraverso il valore della qualità.

In questo intreccio tra arte e competenza tecnica, la mostra diventa non solo un percorso estetico, ma anche un messaggio universale sulla dignità del lavoro creativo, sulla trasmissione dei saperi e sull’attualità di una cultura produttiva che continua a ispirare il mondo.

Tra i pezzi più significativi, spiccano le opere d’arte cinese realizzate per la corte sabauda, testimonianze concrete del gusto per l’Oriente che pervadeva l’Europa del XVIII secolo e che trovò in Torino una delle sue espressioni più colte.

Per dare conto della complessità di queste relazioni internazionali, la mostra presenta anchecapolavori di rara importanza storica. Tra questi, un eccezionale dono diplomatico: un servizio in porcellana della celebre manifattura di Meissen, inviato nel 1725 da Augusto il Forte, re di Polonia ed elettore di Sassonia, a un sovrano europeo. Il cuore del servizio è l’unica opera documentata diJohann Gregorius Höroldt, massimo pittore della storia della porcellana europea. Le sue scene, inventate di fantasia e non tratte da modelli preesistenti, introducono per la prima volta il “mondo cinese” nella porcellana occidentale, con uno stile minuzioso, brillante e fiabesco che segna una svolta nell’arte della decorazione.

Il dono – composto da circa 300 pezzi suddivisi in dodici casse – giunse a Torino nel novembre del 1725, esattamente trecento anni fa. Una ricorrenza che si affianca al 250° anniversario della morte di Höroldt, rendendo la presenza di queste opere in mostra ancora più simbolica e attuale.

Grazie alla collaborazione con il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, che ha messo a disposizione un ricco repertorio di materiali video e fotografici, la mostra offre al pubblico cinese l’opportunità di scoprire l’intero patrimonio storico-artistico del Piemonte, esaltando la raffinatezza architettonica delle residenze, l’eleganza dei loro interni e l’armonia scenografica di parchi e giardini.

Il percorso espositivo si apre con un portale immersivo, dove uno slideshow ad alta definizionecelebra il logo e l’imponenza estetica delle Residenze Sabaude, proiettando il visitatore in un viaggio visivo e simbolico che parte da Palazzo Madama e Palazzo Reale per estendersi sull’intero territorio piemontese, in un continuum di arte, paesaggio e storia.

Ne nasce un racconto per immagini potente e coinvolgente, che restituisce la bellezza e il valore di un sistema culturale unico al mondo, riconosciuto dall’UNESCO come sito seriale, e oggi considerato uno degli asset identitari più autorevoli per la promozione internazionale del Piemonte e dell’Italia.

La mostra darà origine a una straordinaria serie di iniziative rivolte al pubblico cinese: dagli approfondimenti scientifici che verranno pubblicati al termine dell’esposizione a un ricco programma di attività collaterali, tra cui incontri, conferenze e visite didattiche quotidiane pensate per tutte le fasce d’età. Il progetto prevede anche originali operazioni di marketing e merchandising, tra cui unacrociera tematica, la creazione di dolci al cucchiaio ispirati ai Savoia, bevande e profumi dedicati alla corte torinese, e molte altre.

A completare l’esperienza immersiva offerta in mostra, un ruolo strategico è svolto dalla comunicazione digitale: per tutta la durata dell’esposizione, il Guangdong Museum ha attivato un canale dedicato su WeChat, una delle piattaforme digitali più diffuse e influenti in Cina, con oltre un miliardo di utenti attivi. All’interno di questo spazio esclusivo, verranno pubblicati regolarmentecontenuti multimediali di alta qualità appositamente curati per il pubblico cinese.

Questa azione mirata consente di rafforzare la visibilità del patrimonio piemontese e di intercettare un pubblico vasto e profilato, attento alla cultura e al turismo di qualità, moltiplicando l’impatto comunicativo della mostra anche al di fuori degli spazi espositivi fisici. Un esempio virtuoso di come la cooperazione internazionale possa unire contenuti culturali e strumenti digitali per amplificare la conoscenza e l’attrattività del patrimonio italiano nel mondo.

“La mostra in corso a Guangzhou rappresenta uno dei risultati più rilevanti del percorso di internazionalizzazione avviato in questi anni da Fondazione Torino Musei con l’attuazione del proprio Piano Strategico, che ha previsto la creazione di una funzione interna dedicata allo sviluppo delle relazioni culturali internazionali, con l’obiettivo di strutturare un’attività continuativa e coordinata di promozione all’estero del patrimonio civico torinese e piemontese – sottolinea Massimo Broccio, Presidente della Fondazione Torino Musei – Attraverso questo nuovo assetto, la Fondazione ha saputo attivare una importante rete di relazioni istituzionali e progettuali con musei, enti e operatori culturali di rilievo internazionale, dando vita a mostre itineranti, co-progettazioni espositive, iniziative di formazione e azioni congiunte di comunicazione e posizionamento strategico. L’esposizione prende avvio dalle collezioni di Palazzo Madama, luogo fondativo della città, il cui straordinario valore simbolico e architettonico – con oltre duemila anni di storia – rappresenta il punto di partenza per un racconto più ampio sulla cultura di corte, le arti decorative e il sistema delle Residenze Reali del Piemonte. Va inoltre ricordato che Palazzo Madama ha recentemente siglato un importante accordo quadro con il Nanjing Museum, il secondo museo della Repubblica Popolare Cinese: si tratta del primo accordo ufficiale mai sottoscritto tra un museo statale cinese e un museo italiano. Un’intesa storica che ha già dato avvio a una serie di progetti scientifici congiunti, in cui direttori, conservatori e curatori delle due istituzioni lavorano fianco a fianco per sviluppare interpretazioni comuni e condivise del patrimonio culturale. Questa mostra, dunque, non è solo un’esposizione temporanea, ma uno delle tante azioni concrete di diplomazia culturale che conferma il ruolo di Fondazione Torino Musei come modello di riferimento per l’innovazione, la cooperazione internazionale e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano nel mondo, capace di costruire ponti tra storie, competenze e visioni, nel segno della qualità, del dialogo e della bellezza condivisa.”

“In questi anni Palazzo Madama si è fatto promotore di un progetto culturale di respiro internazionale, nato da un insieme di collaborazioni scientifiche fondate sulla stima reciproca, sul confronto e sulla strutturazione di una ampia riflessione sugli archetipi che, fin dall’epoca antica, hanno attraversato e posto in dialogo le culture. Quella appena inaugurata è una mostra generata da una precisa riflessione tra direzioni e conservatorie museali, strutturata con rigore e nella definizione di visioni condivise in un confronto tra istituzioni che condividono valori e responsabilità.

In occasione del 55° anniversario delle Relazioni diplomatiche tra Italia e Cina, questo progetto si caratterizza quale un esempio virtuoso di diplomazia culturale, capace di rafforzare il ruolo dei musei come luoghi di soft power, pensiero critico e cooperazione internazionale. Un progetto tramite cui Palazzo Madama conferma la propria funzione strategica all’interno del sistema culturale internazionale: custode di un patrimonio materiale e immateriale che si fa costruttore di ponti in un presente che sulla coscienza del passato possa definire i tasselli essenziali di un futuro consapevole”, dichiara Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di Palazzo Madama

“Siamo orgogliosi di contribuire a questa straordinaria operazione culturale internazionale, che consente di far conoscere al pubblico cinese non solo la bellezza delle singole Residenze Reali, ma l’unità e la forza del sistema che le connette, riconosciuto dall’UNESCO come sito seriale” – dichiara Michele Briamonte, Presidente del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude. “Questa sinergia con Fondazione Torino Musei rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra istituzioni culturali piemontesi” – prosegue Chiara Teolato, Direttrice del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude – “capaci di operare insieme per la valorizzazione e la promozione all’estero di un patrimonio condiviso, ricco di storia, arte e paesaggio, e sempre più riconosciuto come una risorsa strategica per il posizionamento culturale e turistico del nostro territorio a livello globale”.

Arte Liberata al castello di Ivrea

Al Castello di Ivrea, è stata inaugurata la mostra Arte liberata, un progetto espositivo curato da Elisabetta Tolosano che fa dialogare tre protagonisti dell’arte contemporanea: Riccardo Cordero, scultore di fama internazionale e figura centrale dell’arte plastica italiana e il duo composto da Elizabeth Aro, artista argentina di rilievo internazionale specializzata in arte tessile, scultura e installazione e Luisa Valentini, voce autorevole della scultura italiana contemporanea, che spazia nell’uso di diversi materiali, in dialogo con “Natura condivisa”. Le opere, allestite negli spazi interni ed esterni del Castello, daranno vita ad un confronto riuscito tra passato e presente, in cui le architetture storiche incontrano con efficacia le creazioni
degli artisti. Arte liberata è un’iniziativa promossa da Kalatà, con il sostegno della Città di Ivrea e la collaborazione della Regione Piemonte. La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 28 settembre e sarà visitabile esclusivamente nell’ambito del percorso di visita al Castello con i seguenti orari: venerdì alle ore 17 – 18; sabato, domenica e festivi alle ore 10.30 – 11.30 – 15 – 16 – 17.
www.kalata.it

Tra arte e moda: la bellezza come atto quotidiano

Nel cuore della sua boutique, in corso Re Umberto 17 a Torino, Laura Maria Tronnolone non propone semplicemente abiti: propone visioni.

Pittrice raffinata e imprenditrice creativa, da più di 35 anni, ha dato vita ad un progetto che fonde due linguaggi spesso tenuti separati – quello della moda e quello dell’arte figurativa – in un’esperienza unica, sensibile e profondamente estetica. Le sue tele vivono tra le pareti del negozio, accanto ai capi selezionati o reinterpretati. L’una non è sfondo dell’altra, si guardano, si parlano, si completano. In questa intervista, Laura ci accompagna dentro il suo mondo fatto di pigmenti, stoffe e significati, restituendo un’idea di bellezza che non è solo visiva, ma anche interiore e quotidiana. Identità artistica

 

1. Come definirebbe la sua identità artistica?

La mia identità artistica affonda le radici in un dialogo costante tra l’interiorità e la materia viva del mondo. È nell’incontro sottile tra introspezione e sostanza che prende forma il mio gesto pittorico, come un respiro che si posa sulla tela. Attraverso la pittura a olio, indago le pieghe più silenziose dell’animo umano, traduco emozioni sospese nel tempo, frammenti impercettibili che sfuggono allo sguardo distratto ma che abitano profondamente l’invisibile. Ogni pennellata è un atto di ascolto, una carezza data al vuoto, alla fragilità, alla memoria che torna sotto forma di luce o di ombra. I miei quadri non gridano, ma sussurrano: raccontano silenzi che parlano più di mille parole, attese che si cristallizzano nei margini, tra ciò che è stato e ciò che ancora non c’è.

 

2. Quali temi o emozioni cerca di esplorare attraverso la pittura?

Attraverso la pittura cerco di esplorare un paesaggio emotivo intimo e stratificato, fatto di sospensioni, malinconie leggere, desideri inespressi e memorie che riaffiorano come nebbie sottili. Mi interessano soprattutto le emozioni incerte, quelle che abitano i confini — tra presenza e assenza, tra luce e ombra, tra ciò che è stato e ciò che forse non sarà mai. La fragilità umana, la vulnerabilità dei sentimenti, la bellezza imperfetta del quotidiano — sono tutti elementi che si intrecciano nel mio lavoro. Ogni tela è un piccolo teatro dell’intimità, un frammento di storia personale che diventa universale proprio perché sincero. Dipingere per me è un modo per abitare le emozioni, non solo rappresentarle — viverle attraverso il tempo lento della creazione.

 

3. Che ruolo hanno per lei la bellezza e l’estetica nel suo lavoro

artistico?

La bellezza, per me, è silenzio e verità. Non inseguo la perfezione, ma cerco l’equilibrio, tra ciò che si mostra e ciò che si intuisce. La vera bellezza è semplicemente la consapevolezza di essere presenti, qui ed ora. L’estetica non è ornamento. Più importante è il corpo che deve dialogare con la luce, in cui è lo spazio  a piegarsi alla sensibilità di uno sguardo. Come nei quadri, ogni forma ha un respiro, ogni vuoto una possibilità. C’è eleganza nell’essenziale, potenza nella misura. Il superfluo distrae; la semplicità, quando è frutto di coscienza e stile, rivela ciò che conta davvero. La bellezza autentica non si impone; arriva leggera come un profumo che rimane sulla pelle anche quando è svanito, perché lo si ricorda.

 

4. Quali influenza hanno plasmato il suo stile pittorico? C’è un artista,

un movimento o un’esperienza decisiva?

La mia pittura nasce dall’incontro tra corpo e silenzio. Mi lascio guidare dal chiaroscuro, da quella luce caravaggesca che incide la carne come un bisturi e scolpisce il gesto in un tempo sospeso. Il rosso è la mia ferita sacra: filo conduttore, vincolo, passione, dolore. Lo uso come una scrittura emotiva, un segno vivo che attraversa i corpi e li lega. Amo il femminile come tensione, non come ornamento. Le mie donne non cercano lo sguardo: esistono, resistono, si stringono, si svestono, si liberano. In questo sento vicina Artemisia Gentileschi, la sua forza muta, la sua capacità di abitare la vulnerabilità.

 

5. Che rapporto ha con il colore, con la materia pittorica?

Il rosso è l’unico colore a cui concedo voce. Su una tela dove tutto tace in bianco e nero, lui grida — sottile, necessario. Non è mai decorazione, ma tensione. Il rosso compare come un atto deliberato, un’urgenza. Racconta ciò che il corpo non dice: il desiderio, la costrizione, l’intimità, la perdita. È dolore, ma anche libertà. In un mondo visivo che rinuncia al superfluo, il rosso è ciò che resta. La presenza che non si può ignorare. Nel mio lavoro, il rosso non colora: rivela. È il luogo dove la tensione estetica incontra la materia emotiva. È gesto pittorico e narrazione interiore. Il mio rosso non è solo un colore: è un linguaggio, un grido sommesso, una verità che non ha paura di mostrarsi.

Il dialogo tra arte e moda

6. Quando ha iniziato a sentire il desiderio di unire arte e moda?

È nato in modo istintivo, quasi necessario. Per me, la moda è sempre stata un’estensione dell’identità visiva, esattamente come la pittura. Entrambe raccontano chi siamo, attraverso forme, colori e abiti. Ho sentito il bisogno di unire queste due dimensioni intime della mia creatività, dando vita a un luogo in cui tessuto, bellezza e gesto artistico potessero dialogare armoniosamente. Così è nata la boutique: non un semplice negozio, ma il prolungamento naturale del mio atelier, uno spazio sensibile in cui ogni capo diventa opera, e ogni scelta estetica, un frammento del mio linguaggio personale.

 

7. Come si contaminano i due linguaggi nel suo progetto?

Non amo la parola “contaminano”. Preferisco pensare che arte e moda si intreccino, si rispecchino. Nella mia art boutique parlano con la stessa voce: attraverso il dettaglio, la manualità, la ricerca del bello. Ogni capo e ogni quadro condividono un’estetica intima, femminile e autentica. È un dialogo, non una fusione.

8. Cosa significa per lei indossare l’arte?
Indossare l’arte, per me, significa scegliere di abitare la bellezza con consapevolezza. Non è questione di apparire, ma di essere. L’arte, come l’abito, non serve a decorare una donna: serve a rivelarla. Quando una donna indossa qualcosa che parla la sua stessa lingua estetica non si traveste, si dichiara. Come diceva Chanel, “la moda passa, lo stile resta” — e lo stile, quando nasce dall’arte, diventa una seconda pelle. È un’estensione dell’anima, una pittura invisibile addosso. Ogni capo è un quadro da portare: cucito con silenzio e memoria.

 

 

9. In che modo le sue opere influenzano la scelta dei capi o dell’allestimento nella boutique?

Le mie opere non decorano semplicemente lo spazio: lo abitano. Sono loro a tracciare il ritmo emotivo della boutique, come stagioni interiori che guidano ogni scelta estetica. I colori delle tele — a volte bruciati come un autunno che non vuole finire, altre volte vividi come una primavera improvvisa — diventano la bussola con cui scelgo i tessuti, le sfumature, i dettagli. I quadri non sono spettatori silenziosi: dialogano con gli abiti, li completano. Ogni angolo della boutique è pensato per raccontare un'emozione precisa, per invitare chi entra a perdersi in un’atmosfera che non si guarda soltanto, ma si sente — sulla pelle, nel respiro, nel battito.

 

10. Ritiene che l’arte possa restituire profondità al mondo della moda? E la moda può rendere l’arte più accessibile?

L’arte e la moda sono due linguaggi della stessa urgenza espressiva. L’arte restituisce profondità alla moda perché le ricorda la sua anima: quella che vibra nei gesti deigrandi couturier. Penso a nomi come Alexander McQueen, Rei Kawakubo, Elsa Schiaparelli: ognuno ha scolpito emozioni nell’abito, trasformando il corpo in una

tela viva. Allo stesso tempo, la moda rende l’arte più vicina. Permette all’arte di uscire dai musei e camminare per strada, di diventare esperienza quotidiana

 

11. Come è nata l’idea di fondere boutique e galleria d’arte?

L’idea è nata in modo quasi inevitabile: sono una pittrice, e dipingere è sempre stato il mio modo di stare al mondo. Ma allo stesso tempo ho sempre amato il vestire come forma di espressione, come estensione quotidiana di ciò che sento e creo. A un certo punto, i due mondi hanno smesso di essere separati. Così è nata la mia art boutique: non come un progetto commerciale, ma come una necessità artistica. Un luogo dove l’arte si indossa e la moda si contempla. Dove chi entra possa non solo acquistare, ma attraversare un’esperienza sensibile.

 

12. Che tipo di esperienza vuole far vivere ai clienti che entrano nel suo

negozio?

Voglio che chi entra nella mia boutique senta subito di essere altrove — non in un semplice spazio commerciale, ma in un luogo dell’anima. Desidero offrire un’esperienza sensoriale e intima, dove ogni abito, ogni quadro, ogni dettaglio racconti qualcosa, risvegli l’anima. Voglio che le persone si fermino, si ascoltino, si lascino attraversare dalle emozioni, dalle vibrazioni. Che si sentano accolte, viste, ispirate. È un invito a vestirsi non solo per apparire, ma per abitarsi.

13. Cosa distingue la sua boutique da uno spazio espositivo tradizionale o da un negozio convenzionale?

La mia boutique non è una galleria tradizionale, né un negozio convenzionale — perché non voglio né la freddezza asettica delle prime, né la frenesia impersonale dei secondi. Qui il tempo rallenta, lo spazio si respira, e ogni cosa è pensata per accogliere. Non ci sono vetrine da attraversare in fretta né opere da guardare in silenzio con le mani dietro la schiena. C’è piuttosto un’atmosfera calda, intima, quasi domestica, dove l’arte e la moda si fondono in un linguaggio emotivo.

 

14. Quanto conta il rapporto diretto con il pubblico in questo progetto?

So che può sembrare una frase fatta, ma per me il rapporto con il pubblico è tutto. Questo progetto esiste proprio per creare connessioni vere, per accorciare le distanze tra chi crea e chi attraversa la creazione. Non mi interessa un pubblico che guarda da lontano o acquista distrattamente: desidero incontri reali, sguardi che si fermano, parole che lasciano tracce. Per me l’arte e la moda sono strumenti di relazione, e ogni visita, ogni scambio, è parte integrante del processo creativo. Senza quel contatto umano, tutto il resto perde senso.

 

15. C’è una narrazione estetica dietro ogni collezione o allestimento?

Sì, sempre. Ogni collezione e allestimento nasce da un’emozione precisa, da una storia interiore che prende forma tra tela e tessuto. Nulla è casuale: ogni dettaglio è parte di una narrazione sensibile, visiva e tattile.

16. Qual è il messaggio più profondo che vuole trasmettere con il

progetto?

L’arte non morirà mai e la moda — quella vera, che nasce dal sentire — continuerà a vivere, a trasformarsi, a resistere. Questo progetto è un atto d’amore verso ciò che dura: l’emozione, la bellezza e l’identità.

 

17. Che ruolo ha la creatività nella sua vita quotidiana?

La creatività è il mio respiro quotidiano, il filo invisibile che dà senso a tutto ciò che faccio. Non è solo un’attitudine o un talento, è ciò che sono, la mia essenza viva che si manifesta in ogni gesto, in ogni scelta. Per esempio quando dipingo, quando scelgo i tessuti o allestisco uno spazio, non sto semplicemente lavorando: sto dando voce a una parte di me che non può tacere. Ogni giorno è un’opportunità per creare, per reinventare, per scoprire nuove sfumature di me stessa e degli altri.

 

18. Secondo lei, oggi c’è bisogno di bellezza? E come si coltiva?

Dire che oggi ci sia “bisogno” di bellezza presupporrebbe che la bellezza sia sparita, e questo sarebbe un errore. La bellezza non è un concetto fisso, matematico, definito

una volta per tutte: è un flusso in continuo mutamento, una katharsis che si trasforma con il tempo, con le emozioni, con le persone. Non dobbiamo inseguire una bellezza immutabile, ma coltivare la capacità di riconoscerla e accoglierla in tutte le sue forme, anche quelle inaspettate o “imperfette”.

 

19. Qual è per lei il vero valore dell’arte visuale “fuori dai musei”?

Il vero valore dell’arte visuale “fuori dai musei” sta nella sua capacità di incontrare le persone nella vita reale, di uscire dall’astrattezza e freddezza delle sale espositive per diventare parte concreta del quotidiano. Quando l’arte si fa accessibile, si fa dialogo, si trasforma in esperienza condivisa, arricchisce chi la vive e chi la crea. Fuori dai musei, l’arte perde la sua aura intoccabile per diventare viva, pulsante, capace di trasformare gli spazi e le emozioni, di parlare a chiunque senza barriere. È lì che l’arte si fa davvero democratica e potente.

20. Come immagina l’evoluzione futura di questo progetto? C’è qualcosa che sogna ancora di realizzare?

Immagino questo progetto come un organismo vivo, in continua evoluzione, capace di aprirsi sempre a nuove forme di espressione e di relazione. Sogno di ampliare gli orizzonti, magari integrando performance, workshop o collaborazioni con altri artisti e couturier, per trasformare la art boutique in un vero laboratorio di emozioni condivise. Vorrei che diventasse un luogo di incontro e di scambio. E sogno anche che questo spazio diventi un esempio, un faro per chi, come me, crede nel magnifico connubio tra arte e moda — un invito a scoprire quanto possa essere potente e trasformativa questa unione.