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Quattro artisti, tra classicità e natura, colore e sogno

Negli spazi della Galleria Malinpensa by La Telaccia

Terminerà sabato 6 dicembre, nelle sale della Galleria Malinpensa by la Telaccia, tappa di quel percorso più ampio che è “Raccontare e raccontarsi”, la mostra (a cura di Monia Malinpensa) che vede in esposizione le opere di quattro artisti, Cesare Iezzi, Graziano Rey, Gianalberto Righetti e Fulvia Steardo Fermi. Un passato, quest’ultima, che ha visto approfondimenti all’Accademia d’Arte Albertina di Genova, Steardo mette in primo ordine, sulle sue tele di lino, una eccellente tecnica mista che ama arricchire con l’uso di foglie d’oro – “Red garden” del 2024, una sorta di filiforme e stilizzato ikebana su fondo rosso, un allinearsi di piccoli steli e degli accenni di fievoli fiori: “una forte predisposizione e soddisfazione nel dipinto gliela riserva l’impiego della foglia d’oro 24 kt, che rappresenta per lei il massimo rispetto e omaggio all’arte e alla creatività”, aveva scritto di lei con entusiasmo Vittorio Sgarbi.

 

 

È la raffinatezza coloristica a colpire soprattutto nei lavori della pittrice, c’è un’eleganza non discosta da una bella vivacità che si espande, altresì nei tratti simbolici posti in aree concettuali, nella sensazioni emozionali che ne nascono. Le sono sufficienti piccoli tratti di colore in rapida successione verticale per creare, ancora su un supporto di lino, un delicato affresco di “Bouganville”, i rossi gli azzurri i verdi acidi usati a illuminare i bianchi che intervallano sempre accompagnati da queste strisce dorate che fanno da contraltare alla “semplicità” dell’opera. Sono suggestioni, è musicalità, è da parte di chi guarda un immaginare continuo, al di là del vero e proprio progetto, dello stesso titolo, della poesia innegabilmente presente, dell’intensità che l’artista pone nella sua natura, espressa in differenti modi (ancora una composizione che colpisce, “Green”, del ’22, pressoché un quadrato di colori che sembrano abbracciarsi, vivificati da alcuni deboli fiori rassastri che tentano timidamente una nascita). È un ambito di rivelazioni, di espressioni convincenti, quelle che prendono origine dall’uso preciso e forte della materia, quelle a cui Fulvia Steardo dà vita.

Di natura ci parla anche Gianalberto Righetti – ingegnere e fotografo genovese, dagli anni Novanta espone le sue opere in varie gallerie d’arte contemporanea, opere “di razionalità e logica tipiche di un ingegnere. laddove Righetti “fotografa esponendo per le luci, ottenendo immagini sottoesposte e con colori saturi, grazie anche al frequente uso del filtro polarizzatore” -, sotto altra forma, attraverso la fotografia coniugata sotto sguardi diversi. Attraverso una “foglia” (2020), quasi rinsecchita nei suoi colori autunnali, imprigionata tra due robuste colonne, attraverso l’immagine lattiginosa di un angolo di deserto in Namibia, “Presenza invisibile 8” del 2023, attraverso il tronco contorto e spigoloso di un albero (“Frammenti ricomposti 6”), colto lo scorso anno nella campagna della ligure Bogliasco. Estetismi che non sono superflui esercizi di tecnica, quelli di Righetti, quelli che guardano e coniugano l’essenza e la concretezza allo stesso tempo dell’”albero”, che rimane il protagonista di questo spazio di galleria dedicato all’autore: davanti a ogni opera ci imbattiamo in un risultato profondo, nella trasformazione del “linguaggio visivo in un’esperienza naturalistica” (scrive Malinpensa nella sua presentazione), nel ritrovarci spinti a sentirci far parte, inglobati nel soggetto che abbiamo davanti a noi. Quella di Righetti è poi una natura non statica ma in movimento, parte di un ambiente che vive e che respira, Righetti vivendola dall’interno pare giocarci insieme: “Frammenti Ricomposti 4” nel suo incessante sfuggire verticale, come uno specchio deformato, ne è la prova, come i chiaroscuri, rubati alle Cinqueterre, di “Presenza invisibile 1” (un’opera del 2008), come quelle immagini che sembrano quasi soltanto impressioni e accenni, riprese dai panorami di States del nord americano, come tutto quanto emblematicamente diventa macchia, rossastra o verde, nelle tante ricercate tonalità, tra le campagne di Chaumont, soltanto pochi mesi fa. Opere che sono respiro, immersioni, lirismi, coloriture, “poesie visive”, ragnatela di accordi e di rapporti a mano a mano più stretti e compatti, dove la presenza umana è saggiamente bandita.

Graziano Rey – torinese, classe 1953, membro della “Soffitta macabra di Alessandri, dentro il mondo della pittura e della musica (sua la sigla di “Buona Domenica”, suo il premio “Rino Gaetano” 1991/92 come il premio Viareggio come cantautore: nonché opinionista per numerose puntate del “Maurizio Costanzo Show”) – poggia in maniera assai personale sulle proprie tele “un mondo di colori”, per estrema astrazione, di grande movimento e di forte impatto visivo, simpaticamente strambo e dinamico, variante e ritmato, grumi di colore che sono note posate in vario disordine su un frastagliato e scomposto rigo musicale; gioca in “frammenti di tela” con quelle che paiono coreografie costruite sulla tenuità dei colori, i rosati gli azzurri i grigi, insetti sconosciuti o gemme preziose ; o piccoli mondi in movimento; sogna e ondeggia con deboli profondità attraverso “Frammenti di blu” (2024), ovvero impercettibili sagome che paiono guardare ad accenni umani, piccoli e ormai cresciuti, oggetti che spetta a noi decifrare, in pieno sfondo di un giallo acceso, mentre tutt’intorno è calmo silenzio, un invito a considerare, a trattenersi un attimo, tra quanto può essere realtà e quanto diventa immediatamente sogno.

Dalla classicità parte e s’avventura Cesare Iezzi – nativo di Chieti, premio artistico Giuliano Nozzoli 2024 -, dal mondo greco e rinascimentale, dalla perfezione dell’oggetto, dalla conclamata bellezza dell’esecuzione, colma di partecipazione e di misura, nel chiarore del bianco dell’elemento principe, abbinando di volta in volta gesso, pvc, luce e legno marino, di differenti altezze, attraversando maschere dai nomi inusitati come Medeine (2023, in un perfetto gioco di materiale naturale e di tratti oscuri che paiono deturparle il volto), Anakin, Inanna, Poseidon (2023, quasi un sfinge, mentre i capelli scomposti gli nascondono parte dello sguardo), Euterpe (dall’ampiezza frontale, dallo studiato svolazzo di copricapo e di abito, 2025), Harnauta (forse una cecità che soltanto una luce azzurrognola può disperdere, 2023), Halcestis (lo sguardo rivolto all’alto nella propria immolazione di tragedia, assorto o indagatore, 2022), Sarepide, tra mitologia e letteratura e sogno. Calde espressività e movimento vivificato dalla luce posta all’interno di copricapi dal sapore quattrocentesco e fiammingo, che riportano lo spettatore a un ampio tratto di Storia, entrambi costruttori di quella forte energia che scaturisce dall’opera. Un tempo antico, che piace qui ritrovare (ma lontano dal rétro e dalla nostalgia), dove gli inserti lignei accrescono e fortificano un’età, una ricerca in più, un confronto maggiore con il passato dei vecchi capolavori e dove la lampada inserita, che finisce con l’avvolgere da questo o da quell’altro lato, da un elemento in più che piomba dall’alto e rivela a poco a poco i tratti sottostanti, mostra una bellezza dai tratti femminili, dove ogni piega diventa poesia, tratti sospesi nella memoria, nella spiritualità di ognuno. Tratti perfetti ravvicinati a qualcosa di incompiuto ma egualmente vibrante, sinfonia di guance e di bocche che esprime sentimenti, emozioni, sguardi lontani e imperscrutabili.

Elio Rabbione

Nelle immagini, opere di Fulvia Steardo Fermi (“Metropoli”, 2020), di Gianalberto Righetti (“Frammenti Ricomposti 4”, Chaumont 2025), di Graziano Rey (“Frammenti sul verde”, 2024), di Cesare Iezzi (“Medeine”, 2023)

A Camera un percorso di educazione alla fotografia

NEW DOCUMENTARY PRACTICES – FUTURES 2025

UN PERCORSO DI EDUCAZIONE ALLA FOTOGRAFIA

CON GLI ARTISTI

OLIVER FRANK CHANARIN E LORENZO VITTURI

Dal 2 al 5 dicembre

due workshop con i fotografi

per quattro giorni di incontri, lectures e talk

 NEW DOCUMENTARY PRACTICES – FUTURES 2025 è un percorso di educazione alla fotografia che si terrà a CAMERA Torino dal 2 al 5 dicembre 2025, rivolto a giovani artisti, curatori e appassionati di fotografia e linguaggi visivi.

Il 2 dicembre si inizia con un panel aperto al pubblico alle ore 18 che vedrà il curatore del progetto, Giangavino Pazzola, presentare la sua ricerca sulle Nuove Strategie Documentarie, in dialogo con la fotografa Marina Caneve. Si prosegue, il 3 e il 4 dicembre con i due workshop tenuti da Oliver Frank Chanarin e Lorenzo Vitturi. I fotografi saranno inoltre protagonisti di un talk aperto al pubblico previsto il 4 dicembre alle 18.30.

Il format NEW DOCUMENTARY PRACTICES mira a incrementare le competenze professionali e il network dei partecipanti al workshop e ad allargare la partecipazione attiva delle varie tipologie di pubblici alla fotografia contemporanea attraverso un programma strutturato.

L’attività si inserisce inoltre all’interno del programma pensato per FUTURES – la rete internazionale per la promozione della fotografia contemporanea di cui CAMERA è il punto di riferimento in Italia. Questo filone di ricerca permette all’istituzione torinese di compiere una mappatura dei principali protagonisti e protagoniste della fotografia contemporanea emergente in Europa.

I due workshop ruoteranno intorno agli usi innovativi del linguaggio fotografico, orientato all’ideazione di storie e di immaginari inediti che derivano dalla messa in discussione delle modalità tradizionali di approccio al genere documentario e dall’invenzione di altri criteri per interrogare la realtà. A seconda della propria scelta tra i due workshop, ogni partecipante potrà immergersi così nell’esperienza che più lo ispira.

Nel workshop Ama il peccatore, odia il peccato con Oliver Frank Chanarin, si lavorerà a stretto contatto con l’artista per combinare fotografie, parole e codici informatici. Verranno prese in esame le diverse modalità con le quali la produzione e la circolazione delle immagini sono state radicalmente trasformate nell’era digitale, dando vita al riutilizzo e ricombinazione di immagini autoprodotte, trovate e fotografie d’archivio per creare una nuova opera meccanica collettiva che sarà esposta alla fine del workshop.

Nel workshop Tra fotografia e scultura con Lorenzo Vitturi, invece, gli studenti saranno coinvolti in un processo multidisciplinare che sfida la bidimensionalità della fotografia per abbracciare un’ibridazione di questa con la scultura. Ogni partecipante verrà accompagnato in passeggiate urbane e sarà incoraggiato a sperimentare utilizzando materiali raccolti durante queste esplorazioni. Assemblando questi elementi in forma scultorea, i partecipanti al workshop dovranno poi trasformare forma e senso di questi per integrare il tutto in una propria personale narrazione visiva. I lavori finali rifletteranno tale approccio, combinando risultati visivi con sculture e installazioni effimere.

Il programma si rivolge a giovani autori e autrici appassionati alla fotografia e all’arte – provenienti non solo da percorsi formativi in Accademie di Belle Arti e Scuole di Fotografia italiane e straniere, ma anche in scuole di formazione in Scienze Sociali, Architettura e Discipline Artisticheintenzionati ad esplorare le molteplici opportunità dello storytelling, dalle modalità di progettazione di narrazioni fittizie e reali, dall’uso della fotografia combinato con altri media.

Le posizioni aperte per le iscrizioni dei partecipanti ai workshop sono venticinque al costo ognuno di 300 Euro iva inclusa.

Nel caso giungano candidature in numero superiore alla disponibilità di posti, CAMERA si riserva di valutare l’adeguatezza dei profili e di effettuare, a suo insindacabile giudizio, eventuali selezioni.

Per informazioni: didattica@camera.to

Per scaricare il programma e il modulo di iscrizione: www.camera.to

NEW DOCUMENTARY PRACTICES – FUTURES 2025

Dal 2 al 5 dicembre 2025

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, via delle Rosine 18, Torino

Martedì 2 dicembre

Nuove Strategie Documentarie. Una ricerca

ore 18:00

Giangavino Pazzola presenta, in dialogo con la fotografa Marina Caneve, il progetto di ricerca Nuove Strategie Documentarie che è sostenuto da Strategia Fotografia 2024, un’iniziativa della Direzione Generale per la Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura italiano.

Partner FUTURES Foundation Amsterdam, Fotodok Foundation Utrecht e CAMERA Centro Italiano per la Fotografia.

Mercoledì 3 e giovedì 4 dicembre

Workshop con Oliver Frank Chanarin: ama il peccatore, odia il peccato

Workshop con Lorenzo Vitturi: tra fotografia e scultura

ore 10:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

Giovedì 4 dicembre

Hybrid Visions: The Language of Documentary Practices Today / Visioni ibride: il linguaggio delle pratiche documentarie oggi

ore 18:30

Talk, in inglese, con Oliver Frank Chanarin e Lorenzo Vitturi insieme al direttore artistico di CAMERA François Hébel e il curatore Giangavino Pazzola.

Venerdì 5 dicembre

Finalizzazione dei workshop e sessioni di restituzione

ore 10:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

APPROFONDIMENTI

Workshop con Oliver Frank Chanarin: ama il peccatore, odia il peccato

I partecipanti lavoreranno a stretto contatto con l’artista per combinare fotografie, parole e codici informatici al fine di creare una serie di strane macchine. Il workshop prende le mosse dalla frase biblica “ama il peccatore, odia il peccato”. Attribuita al santo del VI secolo Agostino, questa sequenza di parole può essere invertita – ama il peccato, odia il peccatore – per capovolgerne il significato. In questo workshop ci saranno molti giochi di parole assurdi. L’installazione innovativa di Oliver Frank Chanarin, “Apparatus”, funge da utile introduzione ai temi del workshop. “Apparatus” è costituito da un robot realizzato dall’artista che appende e riattacca un archivio fotografico in continua evoluzione per tutta la durata della mostra. Funzionando secondo un algoritmo imperscrutabile, la macchina seleziona e giustappone immagini da oltre un centinaio di opere incorniciate conservate in pile sul pavimento della galleria. Appropriandosi del linguaggio dell’automazione, la macchina estrae e raccoglie, trattando le singole opere d’arte come oggetti da elaborare, valutare, ordinare, esporre e conservare, trasformando così lo spazio in qualcosa che a volte assomiglia più a una fabbrica che a una galleria. In questo workshop verranno presi in esame i modi in cui la produzione e la circolazione delle immagini sono state radicalmente trasformate nell’era dell’algoritmo. I partecipanti saranno liberi di utilizzare e combinare qualsiasi tipo di fotografia – immagini trovate, immagini d’archivio o immagini proprie – per creare una nuova opera meccanica che sarà esposta insieme alla fine del workshop.

Workshop con Lorenzo Vitturi: tra fotografia e scultura

Lorenzo Vitturi è da sempre interessato al rapporto tra fotografia e scultura, tra ciò che è materiale e ciò che è effimero, e ai diversi modi di tradurre visivamente questa tensione. Come ci relazioniamo con il cosiddetto mondo inanimato? In che modo possiamo creare una narrazione visiva utilizzando oggetti trovati e materiali di scarto? Quali strategie possono essere impiegate per dare nuovi significati a questi materiali, concentrandosi sulle storie e sui valori che essi portano con sé? E quali implicazioni concettuali derivano da questo processo? Queste sono alcune delle domande che l’artista vorrà affrontare durante il workshop. L’obiettivo del workshop è coinvolgere gli studenti in un processo multidisciplinare che metta in relazione la fotografia con la scultura. Per sottolineare l’importanza del processo creativo, i partecipanti saranno incoraggiati a utilizzare principalmente materiali raccolti e riciclati, che dovranno essere trasformati e integrati nella loro narrazione visiva. I lavori finali rifletteranno questo approccio, combinando risultati visivi con sculture e installazioni effimere. L’esplorazione si baserà sul contesto urbano di Torino, con particolare attenzione al quartiere di San Salvario, una zona vivace e multietnica in cui coesistono comunità diverse. Attraverso ricerche sul campo, osservazioni e incontri all’interno di questo territorio, gli studenti esamineranno come i materiali circolano, si accumulano, vengono utilizzati, scartati o riutilizzati nella vita quotidiana. Confrontandosi con le storie stratificate e le trame culturali di San Salvario, saranno incoraggiati a riflettere su come l’ambiente urbano e le sue dinamiche sociali possano influenzare i processi artistici. Il workshop inviterà i partecipanti a considerare come la materia e il territorio si influenzino reciprocamente e come i materiali raccolti in situ possano diventare portatori delle narrazioni racchiuse in questo quartiere unico nel suo genere.

APPROFONDIMENTI

Oliver Frank Chanarin (Londra, 1971) è un artista che lavora principalmente con la fotografia ed è vincitore del prestigioso Image Vevey Photography Grant 2024. La sua pratica artistica, di ampio respiro, è caratterizzata da un’apertura alla sperimentazione e alla collaborazione. Pur nascendo dalla fotografia e da un approccio critico al fotogiornalismo, il suo lavoro culmina in diversi media, tra cui libri, installazioni, robotica e fotografia. Chanarin ha studiato Intelligenza Artificiale all’università e ha ricoperto la carica di professore di fotografia alla Hochschule für bildende Künste (HFBK) di Amburgo (2016-2022). Chanarin è anche membro fondatore del programma di master in fotografia presso la Royal Academy of Art (KABK) nei Paesi Bassi. È uno dei due membri del duo Broomberg & Chanarin, le cui opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private, tra cui Centre Pompidou – Parigi, Tate Modern – Londra, MoMA – New York, Stedelijk – Amsterdam, Jumex – Città del Messico, Victoria and Albert Museum – Londra, The Eye – Amsterdam, Art Gallery of Ontario, Cleveland Museum of Art e Baltimore Museum of Art. Tra i premi ricevuti figurano il Deutsche Börse Photography Prize (2013) per il progetto War Primer 2, l’ICP Infinity Award (2014) per il progetto Holy Bible e l’Arles Photo Text Award (2018).

Lorenzo Vitturi (Venezia, 1980) lavora nel campo della fotografia, della scultura e dell’installazione. Dopo la sua esperienza come scenografo cinematografico, Vitturi costruisce scenografie temporanee e sculture effimere, in studio e in loco, utilizzando sia materiali organici che artificiali. Partendo da specifiche località geografiche e dall’incontro con le comunità locali, il suo lavoro esplora le economie informali e la fusione di culture diverse, concentrandosi sul movimento di oggetti e persone in un mondo globalizzato. Tra le recenti mostre personali ricordiamo EARTH. Foundation, Verona (2024); Fondazione MAST – Foto Industria, Bologna, (2021); Centre Photographique Rouen Normandie (2021), FOAM Museum, Amsterdam, (2019); The Photographers’ Gallery, Londra (2017), Contact Gallery, Toronto (2015) e CNA Centre National de l’Audiovisuel, Lussemburgo (2014). Vitturi ha inoltre partecipato a mostre collettive al MAXXI di Roma, al Centre Georges Pompidou di Parigi, al Palazzo Reale e alla Triennale di Milano, al BOZAR di Bruxelles, al K11 Art Museum di Shanghai e al Barbican Centre di Londra.

Chieri, si cena in convento per aiutare il Moncalvo

Camici bianchi nella chiesa di San Domenico, trasformata in una “sala operatoria”, con analisi istologiche e microclimatiche, tra ponteggi, fari e teli in nylon contro la diffusione di spore. I frati osservano e pregano sperando in una lieta notizia. Sotto le volte trecentesche di una delle più belle chiese del territorio è in pieno svolgimento una corsa contro il tempo per salvare due grandi tele di Guglielmo Caccia (1568-1625), detto il Moncalvo, aggredite da funghi killer che le stanno devastando. Biologi, restauratori e comunità scientifica sono al lavoro da settimane ma non hanno ancora formulato una diagnosi definitiva.
Un laboratorio di restauro è stato allestito dietro l’altare maggiore dove si trovano i dipinti per cercare di contenere muffe e funghi e prevenire nuovi attacchi. Le opere in questione sono due grandi tele seicentesche del Moncalvo, la Resurrezione di Lazzaro e la Moltiplicazione dei pani e dei pesci. Già un anno fa furono segnalate le prime tracce di muffa e da allora il fenomeno è peggiorato. I funghi hanno già compromesso una parte delle superfici pittoriche. Peraltro la muffa killer, in misura meno letale, sarebbe comparsa anche su altri quadri del Moncalvo, al Museo della Diocesi di Torino e nell’astigiano. Per questo sono aumentate le analisi in laboratorio. Qualcosa si sa già sui killer dei quadri. Sono due i colpevoli. Le prime analisi puntano il dito contro un fungo che danneggia la cellulosa e una muffa che deve ancora essere etichettata dai biologi.
Le cause del deterioramento, ancora oggetto di studio, sarebbero da attribuire al microclima, alla ventilazione o ai materiali organici usati nel restauro precedente. Sta di fatto che l’opera di risanamento per riportare le tele alla condizione originale ha un costo molto alto, oltre 60.000 euro. Bisogna agire in fretta per combattere il degrado e a tal fine è partita una raccolta di fondi, con eventi vari, visite guidate e cene in convento, per finanziare il restauro di questi capolavori del Seicento. Per salvare questi due tesori d’arte è stato aperto il Fondo San Domenico presso la Fondazione della Comunità chierese (via Palazzo di Città 10 o in Piazza Mazzini 3 a Chieri) e chiunque può contribuire con una donazione. Pensando al Moncalvo, a 400 anni dalla sua morte, artista molto devoto, che con le sue opere contribuì a diffondere la fede e il messaggio cristiano in tutta la penisola. Giunti a Chieri alla metà del Duecento i frati domenicani iniziarono a costruire la loro chiesa con il convento che nei secoli fu ampliata e rimaneggiata e nel Seicento assunse più o meno l’aspetto attuale. Con il Duomo, la chiesa di San Domenico rappresenta il più significativo esempio d’arte gotica a Chieri. E nel primo Seicento il “Raffaello del Monferrato”, come è stato definito Guglielmo Caccia, lasciò ai religiosi una testimonianza straordinaria della sua arte, quelle due tele che oggi combattono contro un nemico terribile.
Filippo Re
nelle foto, la Resurrezione di Lazzaro, il ponteggio in chiesa e la Moltiplicazione dei pani e dei pesci

Al Forte di Bard omaggio a Fernando Botero

Al Forte di Bard si apre sabato 29 novembre una importante retrospettiva su Fernando Botero, uno degli artisti più amati e riconoscibili del Novecento, con un progetto espositivo che porta in Valle d’Aosta oltre 100 opere tra dipinti, disegni, acquerelli, sculture e materiali inediti provenienti dalla collezione dell’artista.
La rassegna si intitola “Fernando Botero – tecnica monumentale”, ed è stata realizzata in collaborazione con 24 Ore Cultura e Fernando Botero Foundation. Curata da Cecilia Braschi, sarà aperta al pubblico fino al 6 aprile prossimo nelle sale delle Cannoniere del Forte aostano. All’indomani della grande retrospettiva che si è tenuta alcuni mesi fa a Palazzo Bonaparte, a Roma, questa esposizione offre un ampio excursus sulla produzione dell’artista colombiano, a poco più di due anni dalla sua scomparsa (morì il 15 settembre del 2023). La mostra mette in evidenza la straordinaria versatilità tecnica e l’unicità stilistica di Botero, ripercorrendone l’intera carriera a partire dagli anni Quaranta del Novecento fino alle ultime opere realizzate a Monaco tra il 2019 e il 2023. Si tratta di un’occasione preziosa non solo per rivedere i grandi classici del suo immaginario, ma anche per scoprire lavori mai esposti prima: schizzi preparatori, opere giovanili ancora poco note, materiali che permettono di entrare nel laboratorio creativo di un artista che ha reso la monumentalità un tratto fondamentale del proprio stile. Noto per le sue figure dalle forme piene, morbide e generose, Botero si è sempre dichiarato erede degli artisti del Rinascimento, in particolare di Piero della Francesca, ed era convinto che fosse necessario essere instancabili sperimentatori. Per questa ragione, nel corso della sua lunga carriera, sono molte le tecniche che ha utilizzato: dal pastello all’olio, dall’acquerello all’affresco, al disegno carboncino, all’inchiostro obistro, fino alla fusione del bronzo e alla lavorazione del marmo. L’esposizione mette in luce questa poliedricità, tratto inconfondibile della sua poetica. Secondo Botero, il disegno rappresentava la struttura, la pittura la pienezza e la scultura l’espansione e lo spazio. Esiste un fil rouge che lega tutta la sua opera, ed è rappresentato dalla forma e dal volume. Nella scultura si riscontra una fisicità potente, nel disegno una precisione assoluta di linea, nella pittura la presenza di grandi accordi cromatici. Tra le opere in mostra figurano “Autoritratto con Arcangelo” del 2015, in cui Botero si rappresenta nell’arte del dipingere, diverse versioni di “Leda e il cigno”, “Venere” e “Il ratto di Europa”, opere con le quali dialoga con la tradizione iconografica occidentale.

Il percorso espositivo si articola in aree tematiche contraddistinte dalla varietà dei temi trattati: la natura morta, il nudo, le feste popolari, e dallo studio approfondito che ha fatto della storia dell’arte. La sua opera, era convinto, derivante dall’arte etrusca, precolombiana e popolare, e dagli artisti del Trecento e Quattrocento italiano quali Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Paolo Uccello e, tra i suoi contemporanei, anche Pablo Picasso. Non manca infine la dimensione maggiormente improntata all’impegno civile, con lavori come “Terremoto”, del 2000: una scena che evidenzia la capacità di Botero nell’affrontare temi drammatici senza rinunciare alla potenza iconica del suo stile. L’arte, per Botero, è sempre stato un atto d’amore nei confronti della bellezza, della memoria, della vita e dell’uomo.

Forte di Bard – via Vittorio Emanuele II, Bard

Marzo Martellotta

“Raccontare e raccontarsi”, quattro artisti selezionati dalla galleria Malinpensa by La Telaccia

Informazione promozionale

“Raccontare e raccontarsi” è il titolo della mostra allestita dal 25 novembre al 6 dicembre prossimo presso la galleria Malinpensa by La Telaccia, e che vede protagonisti quattro artisti: Cesare Iezzi, Graziano Rey, Gianalberto Righetti e Fulvia Steardo Fermi.

“Quattro artisti in mostra: – dichiara la curatrice e art director Monia Malinpensa – la fotografia di Gianalberto Righetti accarezza alberi che parlano piano.

La pittura di Fulvia Steardo Fermi vibra di foglie oro, una musica di colori che respira.

La scultura di Cesare Iezzi nasce dal gesso e dal legno, illumina il gesto con una luce leggera.

La tecnica pittorica di Graziano Rey è un passo nella stessa danza, armonica e silenziosa. Si tratta di una mostra dove le cromie si intrecciano come radici in ascolto. Ogni mano interpreta il mondo con grazia diversa. Le opere vivono in simbiosi, in un unico respiro che diventa arte”.

Nelle sculture di Cesare Iezzi, i volti umani emergono sospesi in un tempo dilatato, portatori di un senso universale e di una risonanza emotiva profonda. Ogni forma è ricca di valore culturale. La pittura di Graziano Rey può essere tradotta in musica e viceversa, e la danza dei colori penetra nell’animo dello spettatore, e lo porta a vivere sensazioni ed emozioni uniche, conquistandolo. Gianalberto Righetti ha quale protagonista assoluto delle sue opere l’albero. Sorprende per la capacità di coniugare l’armonia formale e la forza comunicativa in un linguaggio molto personale. Fulvia Steardo Fermi esprime un’arte che si nutre di sentimento e di una intensità emotiva rara: il tratto materico, strumento distintivo dell’artista, diventa veicolo di un’espressione potente.

Galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia – corso Inghilterra 51, Torino

Ingresso libero

Orari:10.30-12.30 / 16-19 / chiuso lunedì e festivi

Telefono: 011 5628220 – malinpensagalleriadarte@gmail.com

Mara Martellotta

 

Collezioni di Arte Moderna: conferenza a Torino

 Dal 28 al 30 novembre si terrà alle OGR Torino, al Teatro Carignano e alla Centrale Nuvola Lavazza la 57ª Conferenza Annuale di CIMAM – International Committee for Museums and Collections of Modern Art. L’evento, organizzato da CIMAM, è sostenuto dalla Fondazione Arte CRT e dalla Fondazione CRT, ed è curato dal Comitato dei Contenuti, in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la Fondazione Torino Musei ed il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, con la partecipazione di musei e istituzioni della città. Questa collaborazione tra le principali istituzioni culturali torinesi sottolinea l’impegno della città nel promuovere l’arte contemporanea e il dialogo culturale.

L’edizione 2025 intitolata “Enduring Game: Espandere nuovi modelli di Costruzione museale”, con il motto guida “Of Necessity Virtue” (Di Necessità Virtù), segna il ritorno di CIMAM in Italia dopo quasi cinquant’anni, dal suo ultimo appuntamento italiano a Bologna e Prato nel 1976. L’evento, che coinvolgerà oltre 300 delegate e delegati da circa 90 Paesi, mira a riunire professionisti museali del settore dell’arte moderna e contemporanea in uno spirito di indagine critica e immaginazione collettiva per esplorare il ruolo in evoluzione delle istituzioni d’arte contemporanea in un contesto globale sempre più complesso. Attraverso il Travel Grant Program, giunto alla 20esima edizione, inoltre, è garantita la partecipazione di voci e prospettive diverse provenienti da economie emergenti, che arricchiscono il dibattito e promuovono una maggiore equità all’interno del settore.

Il ritorno in Italia della Conferenza Annuale di CIMAM, ospitata a Torino, è un riconoscimento del ruolo che la città e le sue istituzioni hanno saputo costruire nel panorama internazionale dell’arte contemporanea. La Fondazione CRT è orgogliosa di sostenere questo appuntamento, che valorizza il dialogo tra musei, artisti e professionisti provenienti da tutto il mondo e rafforza il posizionamento di Torino come laboratorio di idee, creatività e innovazione culturale – dichiara la Presidente della Fondazione CRT Anna Maria Poggi -. Il 2025 è un anno particolarmente significativo per la Fondazione CRT: l’arte contemporanea è da sempre al centro della nostra azione, anche grazie all’impegno della Fondazione Arte CRT che da 25 anni contribuisce in modo determinante alla crescita e alla valorizzazione del patrimonio artistico del territorio. L’apertura al pubblico del nuovo progetto espositivo Il Museo Immaginario e le recenti acquisizioni effettuate alla Fiera Internazionale di Artissima – ben 26 opere, rese possibili dal budget più alto degli ultimi anni – testimoniano una visione strategica che mette in dialogo collezione e pubblico. Eventi come la Conferenza Annuale di CIMAM ci ricordano quanto il ‘fare sistema’ tra istituzioni, fondazioni e comunità sia fondamentale per rendere la cultura un motore di meraviglia e di sviluppo condiviso”.

Città in continua evoluzione, Torino incarna il potere trasformativo della cultura nel ridefinire l’identità di una città e, in una certa misura, di un intero Paese. Un tempo sinonimo dell’industria automobilistica italiana, Torino ha subito una profonda rigenerazione post-industriale, trasformando ex fabbriche e magazzini in vivaci spazi culturali che sono ora al centro della vita urbana contemporanea, rendendola un’importante destinazione culturale europea. Un elemento centrale di questo successo è la sinergia con cui le istituzioni artistiche pubbliche e private della città lavorano fianco a fianco, continuando a plasmare il suo panorama culturale attuale. Culla di uno dei movimenti artistici più influenti del XX secolo, l’Arte Povera, è da sempre un luogo di sperimentazione artistica e oggi si offre come scenario ideale per una conversazione globale sul ruolo dei musei e dell’arte contemporanea nella trasformazione sociale.

Ho creduto fortemente, fin dall’inizio, nella candidatura di Torino a città ospite della Conferenza annuale di CIMAM”, spiega Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Presidente dell’omonima Fondazione e dal 2023 alla presidenza della Fondazione Arte CRT. “Città di musei e fondazioni, di artisti, artiste, gallerie, case editrici e imprese culturali, Torino conta su una preziosa eredità storica sulla quale ha fondato la propria vocazione di città-laboratorio della contemporaneità. Grazie all’impegno corale di istituzioni pubbliche e private, grazie alla visione di persone illuminate e a una rete di relazioni internazionali, Torino ha costruito nel tempo un ecosistema dell’arte strutturato e flessibile, che è stato capace di farsi protagonista della vita e della cultura della città nelle sue diverse stagioni. Ha saputo rispondere ai cambiamenti, trasformando le necessità e le difficoltà in invenzioni, sperimentazioni e nuove pratiche. La Conferenza di CIMAM è dunque un capitolo significativo del nostro percorso e, soprattutto, è un’occasione rara e straordinaria per unire voci, esperienze, culture, per scambiare e cambiare le nostre idee sul ruolo dell’arte e delle istituzioni artistiche nel presente e immaginare insieme i nostri futuri”.

Il tema Enduring Game (e il mantra Of Necessity Virtue) di questa 57esima edizione della Conferenza risponde alle sfide urgenti che i musei affrontano a livello globale: le pressioni finanziarie e politiche, le divisioni sociali e la necessità di reinventarsi, interrogandosi al contempo sul modo in cui i musei possano bilanciare resistenza e resilienza, ripensando al contempo la governance, le pratiche curatoriali, le strutture dei team e l’impegno comunitario, al fine di costruire istituzioni radicate nella solidarietà, nella cura e nell’immaginazione.

La Conferenza Annuale 2025 di CIMAM è curata da un Comitato dei Contenuti composto da Chus Martínez (Direttrice dell’Istituto Art Gender Nature di Basilea) che ne sarà presidente, Chiara Bertola (Direttrice della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino), Bernardo Follini (Curatore Senior della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo), Leevi Haapala (Preside dell’Accademia di Belle Arti dell’Università delle Arti di Helsinki), Malgorzata Ludwisiak (Ph.D., Esperta di gestione museale, Curatrice indipendente, Docente universitaria, Varsavia), Francesco Manacorda (Direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), Victoria Noorthoorn (Direttrice del Museo de Arte Moderno di Buenos Aires), Davide Quadrio (Direttore del MAO Museo d’Arte Orientale) e Kamini Sawhney (Responsabile Progetti d’Arte Pubblica, BlrHubba, esperta museale e curatrice indipendente, Bangalore).

La conferenza di quest’anno vuole essere un momento collettivo di pausa e di riflessione, un’opportunità per affrontare questioni difficili e per immaginare nuovi modelli istituzionali in risposta a un panorama sempre più complesso. Analizzando l’attuale clima di antagonismo politico e sociale, cercando di prevedere le future traiettorie per le istituzioni d’arte contemporanea, ci si interrogherà su come i musei potranno ritrovare il proprio equilibrio e riaffermare la loro rilevanza, così come le loro missioni sociali, pedagogiche e culturali, in un mondo frammentato.

Incentrata su un tema chiave che affronta le questioni urgenti del settore, la Conferenza offre un contesto dinamico per la riflessione critica e lo scambio attraverso un ricco programma che include keynote lectures, panel, workshop e visite ai luoghi d’arte della città ospitante. Attraverso tre giornate tematiche che combinano keynote accademiche di spicco come quelle di Françoise VergèsElizabeth Povinelli e Mariana Mazzucato con interventi artistici di performer quali Alessandro SciarroniAbdullah Miniawy e Diana Anselmo, chiamati a interpretare il presente che tutti affrontiamo e a innovare collettivamente strategie e metodologie, il programma è strutturato per superare il dialogo convenzionale e generare strategie concrete sia attraverso l’ascolto che il contributo attivo dei partecipanti.

Le tre keynote speaker principali – Françoise VergèsMariana Mazzucato e Elizabeth Povinelli – condividono un impegno profondo nel ripensare le eredità del colonialismo, della modernità e del potere. Ognuna lavora in modo interdisciplinare (abbracciando storia, teoria politica, filosofia e antropologia) per interrogare le strutture che plasmano il nostro presente culturale, immaginando al contempo alternative per il futuro. Ciò che le unisce è la loro capacità di intrecciare il pensiero speculativo e performativo con una rigorosa conoscenza del passato, aprendo possibilità etiche e politiche per futuri più giusti, plurali e decoloniali.

Come Presidente della Fondazione Torino Musei, che rappresenta le collezioni civiche della città di Torino  dichiara Massimo Broccio, Presidente della Fondazione Torino Musei  sono onorato che il CIMAM 2025 si tenga nella nostra città, dove esiste un eccellente sistema museale, attento all’inclusione e alle innovazioni e con una stretta collaborazione tra le varie istituzioni culturali pubbliche e private che lo compongono. Il comitato organizzativo e curatoriale, del quale fanno parte con nostro grande orgoglio anche i direttori della GAM – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea e del MAO Museo d’Arte Orientale, ha pensato a un format nuovo per questi tre giorni di incontri, in cui gli interventi e i workshops, di altissimo livello, sono innestati e contaminati attraverso il linguaggio performativo artistico, fortemente poetico e ideale. In questo formato sostenibilità museale, collaborazione e trasformazione innovativa diventano paradigmi e temi di dialogo urgente, aprendo a nuove opportune possibilità di evoluzione dei musei contemporanei.”

 

Torino ha un ecosistema di istituzioni pubbliche e private dedicate all’arte contemporanea veramente prezioso – dichiara Francesco Manacorda, Direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea –, accogliere il CIMAM in questo contesto è un’occasione di scambio e di crescita che mette in luce il ruolo che la contemporaneità ha sempre avuto per questa città. Il tema del convegno è quanto mai urgente e le persone coinvolte di qualità stellare. Da questo evento la città ne uscirà rafforzata e con contatti e conversazioni aperte fondamentali a punti strategici chiave quali la sua innovazione e internazionalizzazione”.

Nel 2025, il CIMAM celebra il 20° anniversario del suo Travel Grant Program, che quest’anno sostiene 39 direttori, curatori e ricercatori provenienti da 20 Paesi per partecipare alla Conferenza Annuale. Il programma garantisce inclusività e diversità supportando professionisti provenienti da economie emergenti, consentendo loro di contribuire con le proprie prospettive a questi dibattiti globali e rafforzando il loro sviluppo professionale attraverso il dialogo e lo scambio. Il Travel Grant Program del 2025 è finanziato da Getty Foundation, Saastamoinen Foundation, Teresa A. L. Bulgheroni, Colección Patricia Phelps de Cisneros (CPPC), Mercedes Vilardell, Aimée Labarrere de Servitje, Eloisa Haudenschild, Fernando Zobel de Ayala, Chitra Talwar.

Inaugura al Museo MIIT  la mostra “Trame di vita”

Martedì 25 novembre inaugura, a partire dalle ore 18, al Museo MIIT diretto da Guido Folco, sito in Corso Cairoli 4 a Torino la mostra intitolata “Trame di vita”, in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne. In questa occasione verrà presentato il libro  di Vania Perale “Vorrei rinascere cormorano” della Phasar edizioni.
La mostra, curata dalla galleria  Guido Folco, Italia Arte e il Museo MIIT, ha un carattere internazionale, come nella migliore tradizione del Museo MIIT, nato per effettuare scambi artistico culturali con musei, fondazioni, gallerie pubbliche e private di tutto il mondo.
Tra gli artisti in mostra Milena Buti, Valentino Camiletti, Nadia Canevaro, Secondo Capra , Naty Lorella Chiapparini, Ekaterina Chiorina, Vito Garofalo, Bianca Maria Macario-Gioia, Anna Montanaro, Mariagrazia Omodeo, Maria Elena Ritorto, Anna Rota Milani, Maria Pia Giacomini, Marilena Visini, Chiuto, Susanna D’ore, Antonella Elleri, Francesco Larghi, Mila Margini, Vania Perale, Margherita Realmonte, Francesca Riva, Skyblonde ( Elvira Marzorati) e Maria Sturiale.
Sabato 29 novembre dalle ore 18 verrà presentato, sempre presso il museo MIIT, il libro “Sotto il ponte che non si farà “di Matteo Bottari con le fotografie di Domenico Cogliardo. Gaspare Editore. Interverranno gli autori con i professori Giuseppe Lo Castro e Vittorio Marchis.

Museo MIIT

Corso Cairoli 4

Orari mar-sab15.30-19.30

Info 0118129776

MARA MARTELLOTTA

CAMERA si aggiudica EXPOSED  Torino Foto Festival 2026

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine 18, Torino

www.camera.to

La Fondazione per la Cultura Torino, su impulso della Cabina di Regia della quale fanno parte Regione Piemonte, Città di Torino, Camera di commercio di Torino, Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT in sinergia con Fondazione Arte CRT e Intesa Sanpaolo, ha ufficialmente assegnato a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia l’organizzazione della prossima edizione di EXPOSED – Torino Foto Festival, che si terrà dal 9 aprile al 2 giugno 2026.

 

Il Festival, giunto alla sua terza edizione, entra così in una nuova fase del suo percorso, con la direzione artistica affidata a Walter Guadagnini, figura di riferimento nel panorama internazionale della fotografia contemporanea.

Curatore, storico e critico d’arte, Guadagnini vanta una lunga esperienza nella direzione di festival, che metterà ora a disposizione di EXPOSED 2026, immaginando per Torino un progetto che unisca la qualità curatoriale alla partecipazione diffusa, in un dialogo costante tra luoghi, autori e pubblici.

 

Il tema dell’edizione 2026 è Mettersi a nudo: un invito a guardare dentro di sé e oltre le apparenze, a interrogare la relazione tra identità e rappresentazione, corpo e immagine, visibile e invisibile.

Questo tema – aperto e stratificato – attraverserà le mostre, gli incontri e le iniziative diffuse in città, coinvolgendo artisti e istituzioni nazionali e internazionali.

 

Con Mettersi a nudo vogliamo portare il Festival al centro della città e della vita delle persone, farne una vera festa – racconta Walter GuadagniniDirettore Artistico di EXPOSED – Torino Foto Festival 2026 –. La nudità non è intesa soltanto come svelamento fisico, ma anche come possibilità di spogliarsi delle sovrastrutture, di presentarsi per ciò che si è, guardarsi e guardare l’altro senza filtri. La fotografia è il linguaggio che più di ogni altro sa restituire questi sentimenti: la verità di un corpo, di un paesaggio, di un volto, ma anche la diversità degli sguardi che li osservano, quella dei tanti autori e autrici che saranno presentati a EXPOSED».

 

L’organizzazione di EXPOSED 2026 rappresenta per CAMERA il riconoscimento di un percorso decennale che ha contribuito in modo determinante a fare di Torino una capitale della fotografia, attraverso mostre, programmi educativi e collaborazioni internazionali con istituzioni come il MoMA di New York, il Jeu de Paume di Parigi e Les Rencontres de la Photographie di Arles.

 

Siamo orgogliosi che CAMERA possa mettere a disposizione di EXPOSED la propria esperienza e la propria rete – dichiara Emanuele ChieliPresidente di CAMERA –. Questa assegnazione è il risultato di un lavoro collettivo e della fiducia costruita in questi anni con il territorio e con le istituzioni. Con Walter Guadagnini alla direzione del Festival e con François Hébel, nuovo direttore artistico di CAMERA, che porterà la sua lunga esperienza maturata alla guida dei Rencontres d’Arles, possiamo contare su una squadra di livello internazionale, capace di far crescere ulteriormente la manifestazione e di rafforzare la vocazione di Torino come città della fotografia”.

 

Scianna e Newton: grandi “scatti di moda”

A Saluzzo e a Caraglio sfida “vis à vis”, realizzata sui più inediti set dell’alta moda da due autentici “giganti” dell’arte fotografica novecentesca

Fino al 1° marzo

Saluzzo / Caraglio (Cuneo)

Niente applausi, niente flash, no alla minima traccia di splendente glamour. Solo il vociare e l’aria stranita e divertita, il gioco di un’allegra frotta di “picciotte” e “picciotti” siciliani, zaini in spalla e grembiali scolastici, a seguire e a mimare il “passo da sfilata” (in discesa) della fascinosa giovane che guarda e dispensa loro parchi sorrisi. Curiosa la location e nessuna “passerella” (anche se la camminata e l’impostazione dei movimenti della giovane fanno subito pensare al “catwalking” d’una modella); ci si trova invece a scendere una lunga, per nulla agghindata o attrezzata ad hoc, scalinata di pietra della sicula Caltagirone, antica “Regina dei Monti Erei”. Di fronte abbiamo quella che mi piace ritenere, per la sua composita bellezza, una sorta di immagine-guida della mostra fotografica – “La Moda, la Vita”– ospitata, con la curatela di Denis Curti, all’antica “Fortezza” (e “Residenza Marchinale”) della “Castiglia” di Saluzzo (Cuneo) fino a domenica 1° marzo 2026, di Ferdinando Scianna (Bagheria – Palermo, 1943), primo fotografo italiano a far parte dal 1982 (e introdotto niente meno che da Henri Cartier-Bresson) dell’agenzia fotografica internazionale “Magnum Photos”. E la giovane fanciulla che dà mostra del suo incedere e della sua misurata eleganza, altri non è che Marpessa (nome “mitologico”- dal mito di Idas – che dà il titolo alla stessa immagine); Marpessa Hennink, supermodella olandese di Amsterdam, tanto brava da meritarsi il soprannome di “The Catwalk Contessa” (“La Contessa della Passerella”). Siamo nel 1987, anno che segna l’esordio del fotografo siciliano (dopo un periodo di lavoro in Spagna, per documentare la “Guerra Civile” spagnola) nel “mondo della moda”. E’ in quell’anno che a Scianna, Dolce&Gabbana, allora giovani stilisti emergenti, commissionano le immagini per i cataloghi di due collezioni, dando vita a una delle collaborazioni meglio riuscite nella storia della fotografia. Un compito che l’artista siciliano assolse “in modo originale e spiazzante”.

Scianna, infatti, non rinunciò alla sua natura di “fotoreporter”, né tantomeno al richiamo della sua terra, trascinando la moda dagli studi di posa all’amata realtà della “sua” Sicilia e tra le strade dei “suoi” vocianti paesi. Le sue fotografie di moda, tutte in bianco e nero (“Io guardo in bianco e nero – diceva – penso in bianco e nero. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra”) sono frammenti di storie che “riflettono la sua visione del mondo, restituendo un ideale di bellezza che va oltre la pura descrizione del prodotto”. E fondamentale in questo percorso fu proprio la collaborazione con la “top model” Marpessa, che incarnava la bellezza mediterranea e che lo stesso Scianna scelse come sua “musa”. Al pari forse di quella Monica Bellucci, ritratta, nel ’91, in un mercato rionale di Palermo, attorniata da un bel gruppone di maschietti in un “furbesco” girotondo dagli occhi di certo meno innocenti di quelli dei bimbi della “Marpessa”. Nel suo complesso, il percorso espositivo, che documenta collaborazioni con i più importanti brand e numerose riviste internazionali, comprende oltre 90 fotografie (particolarmente “preziose” quelle dedicate allo stretto legame di amicizia che lo legava al conterraneo grande Leonardo Sciascia), accanto alle 12 provenienti dalla “Fondazione Arte CRT”, in comodato alla “GAM” di Torino, e che raccontano dei lavori realizzati in India, in Francia e in Bolivia, ma soprattutto ci parlano del grandissimo creatore di “reportages”, quale Scianna é stato, e che resteranno per sempre la “matrice stilistica e narrativa” del suo mestiere.

In contemporanea, su progetto sempre, come per la mostra di Scianna, di “Fondazione Artea” e la curatela di Matthias Harder (direttore della “Helmut Newton Foundation” di Berlino) il seicentesco “Filatoio” di Caraglio (Cuneo) ospita Helmut NewtonIntrecci, monografica dal titolo esemplare (vista la destinazione del sito ospitante) dedicata, per l’appunto ad Helmut Newton, altro grande protagonista della fotografia di moda (“mood photography”) del Novecento (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004). Le mostre di Ferdinando Scianna e Helmut Newton, concepite per dialogare tra loro, approfondiscono due approcci distinti (più “teatrale” e “dall’erotismo patinato” quelle del  berlinese) ma entrambe convergenti al “tema della moda” e al “racconto della vita”. Le carriere di entrambi vivono una svolta sul finire degli anni Ottanta, anche a seguito delle trasformazioni in atto nella società del periodo: da un lato l’avvento delle prime apparecchiature digitali e di “Photoshop”, che mettono in discussione il valore testimoniale dell’immagine fotografica, dall’altro la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica, “che ridefiniscono gli equilibri globali e aprono nuove prospettive di incontro tra culture”.

Per info e orari: “Fondazione Artea”, corso Nizza 13, Cuneo; tel. 0171/1670042 o www.fondazioneartea.org

Gianni Milani

Nelle foto: Ferdinando Scianna “Marpessa”, Caltagirone, 1987 e “Monica Bellucci”, Palermo, 1991; Helmut Newton “Mansfield”, British Vogue, London 1967 e “Nadja Auermann”, Blumarine, Monaco 1993

Le mitiche origini di Augusta Taurinorum

Torino, bellezza, magia e mistero   Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum

Nelle alte valli delle Alpi era usanza liberare una mucca prima di fondare una borgata; l’animale andava al pascolo tutto il giorno per poi trovare il punto in cui distendersi a terra e riposarsi. Quello sarebbe stato il luogo in cui i montanari avrebbero iniziato ad edificare il borgo: «la mucca può “sentire” cose che all’uomo sfuggono, se il posto è sicuro o meno e se di lì si irradiano energie benefiche o maligne».

Anche la fondazione di Torino potrebbe rientrare in una di tali credenze. Ma a questa versione, tutto sommato verosimile e riconducibile a qualche usanza rurale, fanno da controparte altre ipotesi, decisamente più complesse e letteralmente “divine”, poiché hanno come protagonisti proprio degli dei, Fetonte ed Eridano.  Avviciniamoci allora a queste due figure. Secondo il mito greco, Fetonte, figlio del Sole, era stato allevato dalla madre Climene senza sapere chi fosse suo padre. Quando, divenuto adolescente, ella gli rivelò di chi era figlio, il giovane volle una prova della sua nascita. Chiese al padre di lasciargli guidare il suo carro e, dopo molte esitazioni, il Sole acconsentì. Fetonte partì e incominciò a seguire la rotta tracciata sulla volta celeste. Ma ben presto fu spaventato dall’altezza alla quale si trovava. La vista degli animali raffiguranti i segni dello zodiaco gli fece paura e per la sua inesperienza abbandonò la rotta. I cavalli si imbizzarrirono e corsero all’impazzata: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea, quindi scesero troppo vicino alla terra, devastando la Libia che si trasformò in deserto. Gli uomini chiesero aiuto a Zeus che intervenne e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde nelle acque del fiume Eridano, identificato con il Po. Le sorelle di Fetonte,, le Eliadi, piansero afflitte e vennero trasformate dagli dei in pioppi biancheggianti. Le loro lacrime divennero ambra. Ma precisamente, dove cadde Fetonte? In Corso Massimo d’Azeglio, proprio al Parco del Valentino dove ora sorge la Fontana dei Dodici Mesi.  In un altro mito, Eridano, fratello di Osiride, divinità egizia, era un valente principe e semidio. Costretto a fuggire dall’Egitto, percorse un lungo viaggio costeggiando la Grecia e dirigendosi verso l’Italia. Dopo aver attraversato il mar Tirreno sbarcò sulle coste e conquistò l’attuale regione della Liguria, che egli chiamò così in onore del figlio Ligurio. Attraversò poi l’Appennino e si imbatté in una pianura attraversata da un fiume che gli fece tornare alla mente il Nilo. Qui fondò una città, che dedicò al dio Api, venerato sotto forma di Toro.


Un giorno Eridano partecipò ad una corsa di quadrighe, purtroppo però, quando già si trovava vicino alla meta, il principe perse il controllo dei cavalli che, fuori da ogni dominio, si avviarono verso il fiume, ed egli vi cadde, annegando.  In sua memoria il fiume venne chiamato come il principe, “Eridano”, che è, come abbiamo detto, anche l’antico nome del fiume Po, in greco Ἠριδανός (“Eridanos”), e in latino “Eridanus”.  Questa vicenda ci riporta alla nostra Torino, simboleggiata dall’immagine del Toro, come testimoniano, semplicemente, e giocosamente, i numerosissimi toret disseminati per la città. Storicamente il simbolo è riconducibile alla presenza sul territorio della tribù dei Taurini, che probabilmente avevano il loro insediamento o nella Valle di Susa, o nei pressi della confluenza tra il Po e la Dora. L’etimologia del loro nome è incerta anche se in aramaico taur assume il valore di “monte”, quindi “abitanti dei monti”. I Taurini si scontrarono prima con Annibale e poi con i Romani, infine il popolo scomparve dalle cronache storiche ma il loro nome sopravvisse, assumendo un’altra sfumatura di significato, risalente a “taurus”, che in latino significa “toro”. È indubbio che anche oggi l’animale sia caro ai Torinesi, sia a coloro che per gioco o per scaramanzia schiacciano con il tallone il bovino dorato che si trova sotto i portici di piazza San Carlo, sia a quelli vestiti color granata che incessantemente lo seguono in TV. C’è ancora un’altra spiegazione del perché Torino sorga proprio in questo preciso luogo geografico, si tratta della teoria delle “Linee Sincroniche”, sviluppata da Oberto Airaudi, che fonda, nel 1975, a Torino, il Centro Horus, il nucleo da cui poi si sviluppa la comunità Damanhur. Le Linee Sincroniche sono un sistema di comunicazione che collega tutti i corpi celesti più importanti. Sulla Terra vi sono diciotto Linee principali, connesse fra loro attraverso Linee minori; le diciotto Linee principali si riuniscono ai poli geografici in un’unica Linea, che si proietta verso l’universo. Attraverso le Linee Sincroniche viaggia tutto ciò che non ha un corpo fisico: pensieri, energie, emozioni, persino le anime. Il Sistema Sincronico si potrebbe definire, in un certo senso, il sistema nervoso dell’universo e di ogni singolo pianeta. Inoltre, grazie alle Linee Sincroniche è possibile veicolare pensieri e idee ovunque nel mondo. Esse possono essere utilizzate come riferimenti per erigere templi e chiese, come dimostra il nodo centrale in Valchiusella, detto “nodo splendente”, dove sorge, appunto, la sede principale della comunità Damanhur. Secondo gli studi di tale teoria Torino nasce sull’incrocio della Linea Sincronica verticale A (Piemonte-Baltico) e la Linea Sincronica orizzontale B (Caucaso).Vi sono poi gli storici, con una loro versione decisamente meno macchinosa, che riferiscono di insediamenti romani istituiti da Giulio Cesare, intorno al 58 a.C., su resti di villaggi preesistenti, forse proprio dei Taurini. Il presidio militare lì costituitosi prese il nome prima di “Iulia Taurinorum”, poi, nel 28 a.C, divenuto un vero e proprio “castrum”, venne chiamato, dal “princeps” romano Augusto, “Julia Augusta Taurinorum”. Il resto, come si suol dire, è storia.
Queste le spiegazioni, scegliete voi quella che più vi aggrada.

Alessia Cagnotto