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Salvatore Tedesco Biosfere – La luce e il vivente: Operaparken Copenaghen

RISONANZE
Primo ciclo di conferenze tra arte e filosofia

a cura di Chiara Bertola e Federico Vercellone

 

da giugno a ottobre 2025

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino

Sala incontri

IL SESTO APPUNTAMENTO

 

GIOVEDI 16 OTTOBRE ORE 18

Salvatore Tedesco

Biosfere – La luce e il vivente: Operaparken Copenaghen

“Operaparken” – una delle più recenti fra le molte innovative soluzioni architettoniche che negli ultimi anni stanno profondamente rinnovando lo spazio urbanistico di Copenaghen – offre una significativa occasione di riflessione sulla luce e sulla relazione tra lo spazio e i viventi, sulla scorta di autori come Vernadskij e Portmann, del dibattito sulla biodiversità e delle poetiche scandinave contemporanee, come esemplarmente illustrato dal concetto di levendes land (la terra dei viventi).

Salvatore Tedesco insegna Estetica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo; è autore di tredici monografie, fra le quali “L’estetica di Baumgarten” (2000), “Il metodo e la storia” (2006), “Forme viventi” (2008), “Morfologia estetica” (2010), “Fuoco pallido. W.G. Sebald: l’arte della trasformazione” (2019), “La poesia e la forma del nostro tempo” (2023), “Artemisia Gentileschi” (2025). Curatore di numerose edizioni di classici filosofici della modernità, da Baumgarten a Shusterman, oltre che di numerosi volumi collettivi (fra i quali “Glossary of Morphology”, con F. Vercellone), nonché di un centinaio di articoli scientifici, è membro dalla fondazione della Società italiana d’Estetica, curatore della collana “Gli anelli di Saturno” presso Meltemi e componente del comitato scientifico di numerose riviste di settore.

Costo: 6€ comprensivo del diritto di prevendita

Acquisto online a questo link: https://www.gamtorino.it/it/evento/salvatore-tedesco/

 

Tra giugno 2025 e marzo 2026 la GAM di Torino organizza un ciclo di incontri, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Torino, curato da Chiara Bertola e Federico Vercellone.

Gli incontri, articolati in singole conferenze, ripercorrono i temi delle Risonanze che attraversano la programmazione espositiva della GAM dall’ottobre il 2023 alla primavera del 2026: luce, colore e tempo; ritmo, struttura e segno; incanto, sogno e inquietudine, e vedono la partecipazione di studiosi e studiose di rilievo internazionale nel campo della filosofia, della storia dell’arte e delle scienze umane, offrendo un’occasione unica di riflessione interdisciplinare, in cui pensiero e visione si intrecciano per generare nuovi livelli di lettura delle opere e dell’esperienza estetica.

Il primo ciclo di incontri da giugno a ottobre 2025 vede alternarsi grandi esperti di arte, estetica e filosofia contemporanea: Horst Bredekamp, Elio Franzini, Victor Stoichita e Anna Maria Coderch, Riccardo Venturi, Claudia Cieri Via e Salvatore Tedesco.

Il secondo ciclo di incontri prenderà avvio a partire da novembre 2025 e si concluderà a febbraio 2026, con la partecipazione di studiosi di prestigio internazionale come Massimo Cacciari, Fabio Belloni, Tonino Griffero, Francois Jullien e Chiara Simonigh.

GAM – GALLERIA CIVICA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA – Via Magenta, 31 – 10128 Torino

Orari di apertura: martedì – domenica: 10:00 – 18:00.
Chiuso il lunedì. La biglietteria chiude un’ora prima.

Maglione, dove i muri “narrano” di arte e pittura

Maglione è un piccolo borgo rurale sulle colline moreniche del basso Canavese, a meno di venti chilometri da  Ivrea e distante  poco più del doppio da Torino

 

 Il nome, si dice, deriverebbe da “malhones” , il cui significato richiama i vigneti che producono le uve del bianco Erbaluce. Le poche centinaia di abitanti di Maglione vivono praticamente sul confine con il vercellese, a pochi passi da Moncrivello e nelle vicinanze di Borgo d’Ale e Cigliano.

Un paese tranquillo, silenzioso dove – da più di trent’anni – si può visitare il  M.A.C.A.M, acronimo che sta per Museo d’arte contemporanea all’aperto di Maglione. Dalla mappa si ricava un percorso di visita “en plein air”, ammirando ben 167 opere di importanti artisti  che, dalla piazza XX° settembre – davanti alla chiesa parrocchiale, dove campeggia una scultura di Giò Pomodoro – accompagnano i visitatori lungo le vie del paese. In questo straordinario museo a cielo aperto s’incontra una proposta di opere d’arte contemporanea di diverse tendenze e di indubbio livello culturale. E tutto senza pagare un biglietto d’ingresso per la visita e senza l’assillo dell’orario di apertura o chiusura, considerato il fatto che le opere sono esposte sui muri delle case e negli spazi pubblici del centro abitato. Ideato nel 1985 dall’ingegno eclettico e talentuoso di Maurizio Corgnati, regista e uomo di grande cultura – noto anche per essere stato l’ex-marito della rossa “pantera di Goro”, la cantante Milva – il Macam è un museo del tutto singolare. Corgnati, ritiratosi nella sua casa di Maglione, dov’era nato il primo agosto del 1917, invitò, anno dopo anno, molti artisti italiani e stranieri affinché dipingessero le loro opere sulle pareti esterne delle case messe disposizione dai proprietari o installassero sculture nelle piazze di Maglione. Nel corso degli anni prese forma una straordinaria mescolanza tra stili e scuole diverse, affiancando la tradizione pittorica alle avanguardie più innovative. Si disegnò un percorso di grande fascino, accostando artisti come Mauro Chessa, Giò Pomodoro, Ugo Nespolo , Armando Testa,  Eugenio Comencini e Francesco Tabusso con altri meno noti, ma non meno interessanti. Tra le sculture spicca anche il monumento al contadino “vittima ignorata di tutte le guerre e di tutte le paci”, costruito da Pietro Gilardi con l’aiuto degli anziani coltivatori di Maglione, utilizzando vecchi  aratri e attrezzi della civiltà rurale. Maurizio Corgnati, che amava definirsi “un buon giocatore di scopa e un grande cuoco” , oltre ad essere amico di Calvino, Fruttero e Lucentini e tanti altri protagonisti del mondo della cultura, riuscì nel suo intento di  far crescere quest’ associazione “senza fine di lucro con operatività indirizzata alla diffusione e promozione dell’arte contemporanea”. Gli artisti accettarono di buon grado la proposta di creare gratuitamente le opere murali ,trovandosi a Maglione sul finire di settembre, nel periodo dei festeggiamenti del patrono, San Maurizio. Un evento battezzato “Paese vecchio, pittura nuova” che , fino a quando Corgnati era in vita, veniva concluso con una grande cena, preparata dallo stesso regista per  “ripagare i pittori e trascorrere qualche ora in buona compagnia”. Del resto, frequentando il piccolo borgo cavanesano, gli artisti compresero fin dall’inizio lo spirito di questa iniziativa,”priva di risvolti commerciali e basata esclusivamente sull’amore per l’arte, ritrovando l’autentico piacere di stare insieme e “produrre” cultura per tutti. Questa tradizione dura ancora oggi, mantenendo vivo il ricordo e la volontà di Maurizio Corgnati che, in conclusione, definiva così la sua “creatura”: “Ecco il perché di questo museo a Maglione: i bambini di un tempo sono cresciuti in mezzo a immagini piene di mucche, pecore, ruscelli, nani, conigli e fate; i bambini futuri di Maglione avranno occhi pieni di queste immagini che stanno sui muri delle loro case“.

Marco Travaglini

 

(foto: emozionincanavese.it)

Il “divino” Guido Reni, tra restauri e giornate di studio

Eccezionale mostra alla Galleria Sabauda, sino al 18 gennaio 2026

Piccola ma preziosa”, definisce Paola D’Agostino, direttrice dei Musei Reali torinesi di fresca nomina – “Sono molto onorata – aveva detto in occasione dell’insediamento – di iniziare il nuovo incarico alla Direzione dei Musei Reali di Torino, che con il loro patrimonio monumentale, le straordinarie collezioni d’arte e di archeologia, la Biblioteca e i Giardini Reali costituiscono uno dei complessi museali di maggior prestigio in Italia e nel mondo. Negli ultimi dieci anni i Musei Reali hanno avuto una crescita straordinaria, grazie alle due direzioni di alto profilo (Enrica Pagella e Mario Turetta, ndr). È un privilegio contribuire al progetto culturale e alla valorizzazione di questi luoghi e della dinastia dei Savoia, che li ha progettati, arricchiti di capolavori e modificati nel tempo” -, la mostra “Il divino Guido Reni. Nelle collezioni sabaude e sugli altari del Piemonte”, visitabile sino al 18 gennaio 2026, in occasione dei 450 anni dalla nascita dell’artista (1575 – 1642), nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda. Curata da Annamaria Bava e Sofia Villano, in un anno pieno di lavoro, con un efficace team di collaboratori e studiosi e restauratori, è un’occasione da non tralasciare – l’ultimo appuntamento torinese con Reni risale al 1989, alla Promotrice -, scavo di pregio verso un artista che negli ultimi anni ha visto raccolti attorno a sé studi e mostre, da Francoforte al Prado, da Bologna a Roma, nella cornice della Galleria Borghese, qui una decina di tele e altrettanti disegni e incisioni, un breve itinerario a documentare per tappe le diverse fasi della carriera, dagli anni giovanili alla maturità piena: un’occasione per riscoprire alcuni tratti, inattesi, di quello che i contemporanei non ebbero ripensamenti a definire “divino”, per incontrare presenze di un’arte che anche nel nostro territorio conserva esempi strabilianti.

Capolavoro di composizione, tratteggio di luci e ombre – Reni non guardava soltanto alla lezione iniziale dei Carracci, Ludovico soprattutto, ma altresì a quella successiva di Caravaggio -, la grande tela dipinta tra il 1605 e 1606, raffigurante l’”Assunzione della Vergine”, gioiello ai molti sconosciuto della Chiesa Parrocchiale di San Verano ad Abbadia Alpina, nei pressi di Pinerolo. Alterazioni di vernici, lacerazioni, abrasioni, una ragnatela di screpolature, una parte centrale dalle dimensioni non indifferenti ridotta a un buco che ha necessitato di un rattoppo vero e proprio e di cuciture per riorganizzare la parte mancante, con un’opera successiva di velinatura e altri passaggi, ogni cosa dovuto al lavoro del restauratore Domenico Pagliero di Savigliano e del suo laboratorio. Inoltre l’applicazione, postdatata, di una cornice settecentesca, riformata nel telaio e molto rispettosa dell’originale. In “condizioni tremende” – ha sottolineato Valeria Moratti della Soprintendenza durante la presentazione della mostra, con un apparato di conoscenza, di particolari, di parole, di dati lavorativi e di risultati che non possono non aver soddisfatto e appassionato la platea – si presentava la tela prima del decisivo intervento, un’opera dalla ricca storia. Un documento, in data 19 aprile 1606, attesta il pagamento effettuato dal prelato Ruggero Tritonio – udinese di nascita, un’importante carriera ecclesiastica che l’avrebbe portato anche in Scozia e Polonia, legato al pontificato di Sisto V e a figure di spicco del mecenatismo romano, il suo arrivo presso la corte dei Savoia tra il 1580 e il 1583, tra gli incarichi divenne abate appunto di quella Chiesa Parrocchiale – al pittore: oggi ne possiamo nuovamente ammirare le brillantezze e le cromie accese, nei mantelli degli apostoli che circondano la tomba vuota della Vergine trasportata su una nuvola e circondata da piccoli angeli, del rosso e del blu, del giallo e del bianco, non tralasciando quello spruzzo violaceo che è un fiore, quasi impercettibile, tenuto nella mano da un astante.

Ancora dal territorio piemontese deriva “San Maurizio riceve la palma del martirio” (1615 – 1618, “in un momento di transizione nel linguaggio del maestro, dal rigore classicista del periodo precedente verso una pittura più morbida e pastosa”), dal Santuario della Madonna dei Laghi, in Avigliana, la possente figura del soldato in primo piano, il braccio destro in bella diagonale a proseguire verso l’angelo che gli porge la testimonianza e sullo sfondo, in vasta lontananza, la battaglia e la legione tebea alla sua guida, sterminata dall’imperatore Massimiano sul finire del terzo secolo. Il dipinto è documentato nel Santuario nel 1624, dovuto al mecenatismo del cardinale Maurizio di Savoia pronto a celebrare uno dei protettori della dinastia ma altresì un (velato?) omaggio a se stesso, che del santo porta il nome. Una sorta di autocelebrazione, anche se posta magari in secondo piano.

Alle pareti, anche le due tele assai simili che narrano un celebre episodio delle “Metamorfosi” di Ovidio. “Apollo che scortica Marsia”, databile intorno al 1620, è in prestito dal Musée des Augustins di Tolosa, ennesimo esempio delle spogliazioni napoleoniche (vi soggiorna dal 1805), in campo la bellezza del corpo e del viso del dio, simbolo altresì di razionalità divina, contrapposta al corpo martoriato e al volto straziato dal dolore, simboli di tracotanza, del satiro colpevole di una sfida musicale in cui non sarebbe mai stato vincitore. Reni riflette sull’alto senso della giustizia divina attraverso quel gesto, terribile in sé, di punizione, “calmo e misurato”, distaccato, lontano da sé, quasi non riguardante un essere distante dalla superbia e dalla bruttura del mondo, accrescendo il tutto di un valore simbolico, “la vittoria dell’intelletto e dell’armonia apollinea sulla brutalità e sull’eccesso, un tema caro alla cultura dell’epoca e in linea con le riflessioni che dovevano svolgersi nell’Accademia romana dei Desiosi, fondata dal Cardinal Maurizio.” Accanto la replica, con piccole digressioni, datata intorno al 1670, e appartenenti alle collezioni sabaude.

Si passeggia tra le bellezze del “San Giovanni Battista” (1635) e del “San Gerolamo” (1640 circa), veri capolavori della piena maturità dell’autore, tra “La morte di Lucrezia”, un tema sempre ricercato nella vasta produzione, e un’incantevole “Lotta tra Amorini e Baccarini” (1613 – 1615) che proviene dal ramo cadetto dei Savoia Carignano ed è trasferito nel Palazzo Reale nel 1831 per volontà di re Carlo Alberto, opera considerata una seconda versione, verosimilmente autografa, della tela di analogo soggetto eseguita da Guido Reni per il marchese Facchinetti, bolognese, e oggi conservata alla Galleria Doria Pamphilj di Roma: opere appartenenti tutte alla Sabauda. Interessante, forse più appartata, l’attività incisoria di Reni, ancora preziosa appartenenza dei nostri musei, i legami con l’editoria documentati dai “Disegni degl’apparati fatti in Bologna per la venuta di N.S. Papa Clemente VIII l’anno MDXCVIII intagliati da Guido Reni”, pubblicati per la prima volta a Bologna nel 1598; inoltre studi di mani e di teste, pieno di fascino quello della “testa di giovane donna”, carboncino e pietra rossa, che ricorda da vicino il viso femminile del frammento di “Bacco e Arianna” conservato a Bologna.

Per chi vorrà, s’annunciano piene d’interesse le giornate del 25 e 26 novembre prossimi quando l’Accademia delle Scienze di Torino, in stretta collaborazione con i Musei Reali, organizzerà il convegno scientifico dal titolo “Guido Reni (1575 – 1642). L’arte di un grande maestro: esplorazioni critiche e restauri”: un appuntamento che guarderà alle recenti ricerche reniane, dalle novità che sono emerse durante la mostra al Prado (2023) alle opere di restauro, non ultima quella eseguita all’interno del Casino dell’Aurora a Roma. Parteciperanno, tra gli altri, David Garcìa Cueto del Museo Nacional del Prado, Raffaella Morselli della Sapienza Università di Roma e Giulia Iseppi dell’Università di Bologna.

Elio Rabbione

Nelle immagini, opere di Guido Reni: “Assunzione della Vergine”, 1605 – 1606, olio su tela, Abbadia Alpina (Pinerolo, Torino), Chiesa Parrocchiale di San Verano; “San Giovanni Battista”, circa 1635, olio su tela, Torino, Musei Reali – Galleria Sabauda; le due tele rappresentanti “Apollo scortica Marsia”, dal Musée des Augustins di Tolosa e dalla Sabauda; “Lotta tra Amorini e Baccarini”, circa 1613 – 1615, olio su tela, Torino, Musei Reali- Galleria Sabauda.

La 13ª edizione di Flashback Art Fair: senza titolo, limiti, confini e tempo

La 13ª edizione di Falshback Art Fair, che ritorna negli spazi di Flashback Habitat, il centro artistico indipendente di corso G.Lanza 75, dal 30 ottobre al 2 novembre prossimo, quest’anno ha scelto di non avere un titolo. La direzione, con Ginevra Pucci, Stefania Poddighe e il direttore artistico di Flashback Habitat Alessandro Bulgini, hanno deciso di non dare un titolo perché vogliono farne un centro di accoglienza e confronto finalizzato ad accogliere la diversità.

Dal suo esordio Flashbak non è mai stata solo una fiera, ma un progetto in divenire, che ogni anno si trasforma per consolidare il proprio legame con il presente in un racconto che restituisce all’arte, anche quella storicizzata, un legame forte e attuale con la contemporaneità e la vita familiare e quotidiana. Non dare un titolo è un atto deliberato di resistenza, equivale a rifiutare qualsiasi narrazione, unica o imposta. Significa creare un Habitat fertile, uno spazio denso, in continuo movimento, dove le diversità si incontrano e si confrontano. In questa zona “franca” dell’arte, l’accoglienza delle differenze, delle molteplici identità e delle voci fuori dal coro diventano principi fondanti. Con questa scelta Flashback non celebra solo la libertà dell’arte, ma afferma con chiarezza la volontà di abbattere le barriere fisiche e temporali per restituire visibilità all’invisibile. L’immagine guida di questa edizione è duplice, dicotomica, refrattaria a ogni tentativo di catalogazione, e porta la firma di Antonello Bulgini, fratello del direttore artistico scomparso prematuramente nel 2011.

“Le immagini guida di quest’anno appartengono a mio fratello Antonello, ‘Iafet’ e ‘Mister Marshmallow’ – dichiara Alessandro Bulgini – non è solo un omaggio affettivo, ma una scelta in perfetta sintonia con lo spirito di Flashback, che è un habitat di relazioni umane oltre che artistiche. ‘Iafet’ nasce da un episodio familiare e rimanda al famoso ritratto di Antonello da Messina, con un segno infantile che diventa parola biblica, trasformando la tela in un enigma stratificato. ‘Mister Marshmallow’ al contrario rivela in modo immediato la sua natura mostruosa, due facce della stessa medaglia che rispecchiano il tema di una edizione senza titolo, rifiuto delle etichette e apertura a molteplici interpretazioni.

Dal 30 ottobre al 2 novembre prossimi, a Flashback Habitat Ecosistema per le culture contemporanee, di 20 mila mq immersi nel verde di Borgo Crimea a Torino, luogo denso di storia e di storie, prestigiose gallerie internazionali daranno vita a un racconto corale all’interno di un percorso che si snoda nella familiarità delle stanze del padiglione B, attraversando epoche e linguaggi senza soluzione di continuità e restituendo al pubblico un paesaggio fertile e in continuo movimento. Un mosaico di visioni attraverso cui Flashback Art Fair ribadisce la sua scelta, quella di lasciare spazio al molteplice, accogliere le differenze e dar voce a ciò che sfugge alle narrazioni dominanti.

Il mito, la metamorfosi eil legame con l’ancestrale emergono nelle “Danzatrici” di Franz Von Stuck (Aleandri Arte Moderna di Roma), visioni ipnotiche di una danza dionisiaca, cosiccome ne “Il cavallo e il cavaliere” di Marino Marin, proveniente dalla galleria romana Antiques Par Force, risulta un archetipo che oltrepassa i secoli fino a lambire l’astrazione. Della stessa galleria il barocco “Giunone e Argo” di Antonio Gherardi, che rievoca la trasformazione del pastore in pavone, mentre i “Lupi” di Domicella Božekowska incarnano la forza primordiale e selvaggia della natura. In questa linea si inserisce la “Madonna con Bambino” quattrocentesca (galleria Flavio Pozzallo), scultura linea che restituisce la potenza del frammento e della materia grezza. I temi dell’identità e del misticismo attraversano i “Tableau vivant” di Luigi Ontani (galleria l’Incontro), che abbattono i confini tra Oriente e Occidente, pittura e fotografia, e si ritrova nei “Dervisci danzanti” di Aldo Mondino (galleria Umberto Benappi), dove il corpo diventa esperienza estatica e rito. Qui l’arte rifiuta la classificazione e si apre alla contaminazione di linguaggi. La riflessione sui materiali dell’arte è al centro del dialogo proposto dalla galleria Dello Scudo, che accosta i disegni di Modigliani e Morandi all’opera di Arcangelo Sassolino, e ancora ne “La donna che legge” di Umberto Boccioni, bozzetto in negativo che esalta la vitalità del segno e della carta. Le pietre sonore di Pinuccio Sciola segnano il confine tra scultura, musica e grafica, aprendo a una dimensione sinestetica della materia. Il “senza titolo” di Mario Schifano (galleria Roberto Ducci) diventa manifesto del rifiuto di ogni definizione, spazio potenziale in cui l’interpretazione rimane sempre aperta. L’episodio pittorico di “Muzio Scevola davanti a Porsenna” di Luigi Miradori, detto il Genovesino (galleria Canesso) rievoca il coraggio e l’integrità come segni di resistenza, mentre la Frascione Gallery ci conduce nel mondo di Bernardo Strozzi, artista accusato di disonorare l’abito religioso con la pittura profana, e proprio per questo figura di rottura e libertà. Non mancano i maestri stranieri come Adriaen Van Overbeke, artista indipendente che testimonia un‘arte capace di sottrarsi all’unicità del genio celebrato per restituire valore alla pluralità dei linguaggi e delle esperienze, e il maestro rinascimentale Albrecht Dürer con una ricca raccolta di incisioni (Il Cartiglio), che offre un esempio della capacità dell’artista di trasformare l’immagine in archetipo universale, un’occasione per riscoprire la forza del segno e l’attualità del suo linguaggio.

In occasione di Flashback Art Fair 2025 prende forma un public program di laboratori, visite guidate, talk e performance. Si segnalano “Butterfky”, rassegna di videoarte a cura di Rebecca Russo, che inaugurerà il 25 settembre, un percorso visivo dedicato alla trasformazione, alla memoria e alla rinascita, dove gli artisti coinvolti riflettono sulla fragilità e la forza interiore dell’essere umano, e “Compassione”, intervento site specific di Mustafà Fazari, che inaugurerà giovedì 16 ottobre e che propone una riflessione intensa sul tema dell’empatia come strumento per costruire connessioni tra individui e comunità. I Flashback Lab saranno aperti a ogni fascia d’età, e il Flashback Storytelling costituirà un ciclo di visite guidate in dislogo con opere, artisti e gallerie.

Mara Martellotta

Alle Gallerie d’Italia la mostra fotografica dedicata al grande Jeff Wall

Intesa Sanpaolo nella sede torinese delle  Gallerie d’Italia apre al pubblico dal 9 ottobre 2025 al primo febbraio 2026 la nuova mostra intitolata “ Jeff Wall Photographs”, dedicata a uno dei più influenti artisti fotografici contemporanei, per la curatela di David Campany, scrittore, critico d’arte e direttore creativo dell’International Center of Photography  di New York.

Jeff Wall, nativo di Vancouver nel 1946, da oltre quaranta anni si muove tra la messa in scena meticolosa e l’osservazione documentaria, realizzando immagini che esplorano ogni aspetto della società contemporanea. Al tempo stesso familiari e inquietanti, le sue fotografie elevano le situazioni di tutti i giorni a scene di sapore quasi onirico, nelle quali è molto forte la componente dell’immaginazione, della fantasia e dell’allucinazione.

Andrea Cappello – Fotografo

Wall affronta le principali questioni sociali e politiche, esplorando i modi complessi inesse plasmano le nostre vite. Le tematiche legate alla natura, alla guerra, al genere, alla razza, alla classe ricorrono niente suoi lavori, che à prima vista risultano spesso enigmatici.

“Portare Jeff Wall con Photographs alle Gallerie d’Italia di Torino conferma l’identità di un luogo aperto alla città per offrire occasioni di incontro e approfondimento con i più Importanti protagonisti dell’arte internazionale – ha dichiarato Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo – ospitiamo le immagini più significative del grande artista canadese che, tra cinema e fotografia, raccontano la complessità del mondo contemporaneo, calamitando l’attenzione del pubblico, grazie anche alle imponenti dimensioni delle opere che ne amplificano la forza suggestiva”.

La mostra alle Gallerie d’Italia di Torino di Intesa Sanpaolo con 27 opere esposte raccoglierà ogni aspetto dell’opera del fotografo canadese, dalle fotografie più importanti degli anni Ottanta fino a quelle più recenti realizzate nel 2023, raccontandone la realizzazione a più livelli. Il percorso espositivo propone una selezione significativa dei famosi lightbox di Wall, mutuati dal linguaggio pubblicitario, oltre a stampe in bianco e nero e a colori. Le sue imponenti immagini, presentate a grandezza naturale, sono tra le opere più celebri dell’arte contemporanea, capaci di esercitare un fascino magnetico  e misterioso sugli spettatori.
La ricerca di Jeff Wall non è orientata al reportage che cattura l’istante e registra l’evento reale: “Non sono un cacciatore di immagini- ha recentemente affermato”. Egli lavora con tempi dilatati avvalendosi anche delle tecnologie digitali, e costruisce elaborati tableau fotografici messi in scena e illuminati con un processo creativo paragonabile a quello della cinematografia. L’effetto è quello di una fotografia “quasi” documentaria, in quanto le rappresentazioni di scene di vita quotidiana deriva sempre da un paziente lavoro di composizione. Jeff Wall non riproduce la realtà, ma la ricostruisce, in quanto una volta conto un soggetto interessante comincia a ricostruirlo a partire da un luogo più adatto, un luogo dove l’azione avrebbe potuto svolgersi. Le sue immagini sono spesso costruite in base a citazioni di capolavori dell’arte come dipinti di Hokusai, Delacroix e Manet, della letteratura e del cinema, neorealismo italiano in primis. In mostra si possono ammirare alcune delle sue opere più iconiche, come “The Thinker”, che rimanda al pensatore di Augusto Rodin, “After ‘invisible man’ by Ralph Ellison”, “The prologue”, che trae spunto dal romanzo dello scrittore statunitense Ellison, “Odradek”, “Táboriská 8 Prague”, “18 july 1994”, ispirato a un racconto di Franz Kafka. Apre il percorso espositivo “The gardens”, opera fotografica realizzata nel 2017 e ambientata nei giardini di via Silvio Pellico, vicino a Torino. La composizione del trittico presenta tre immagini sequenziali di figure che si muovono in un laboratorio di siepi, dove gli stessi personaggi appaiono come doppi, suggerendo il tema dell’espulsione dal Paradiso, con l’ambiguità temporale e narrativa tipica di Wall. Le opere del fotografo fanno parte di importanti collezioni internazionali, ed è stato protagonista di mostre personali nei principali musei del mondo, la Tate Modern di Londra, il MoMa di New York, il San Francisco Museum of Modern Art, il Deutsche Guggenheim di Berlino.

La mostra sarà affiancata da un ricco palinsesto di eventi di approfondimento a ingresso gratuito per il tradizionale “Public program #INSIDE” del mercoledi sera. Ad inaugurare gli appuntamenti, un doppio incontro giovedi 9 febbraio prossimo, alle ore 18, quando il curatore David Campany dialogherà con l’artista, offrendo uno sguardo sul proprio lavoro e sul ruolo della fotografia oggi.

Il museo di Torino, insieme a quelli di Milano, Napoli e Vicenza è parte del progetto museale delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, guidato da Michele Coppola, Educative Director Arte, Cultura e Beni Storici della banca.

Mara Martellotta

Le cose mute e immobili di Felice Casorati

 

Il nuovo episodio di Archivi d’Affetto del Circolo del Design

Sabato 11 ottobre una mattinata dedicata a scoprire il lato inedito di Felice Casorati come progettista e designer e al suo rapporto con le arti applicate

 

 

Sabato 11 ottobre il Circolo del Design presenta la quinta tappa di Archivi d’Affetto, dedicata questa volta al lato poco conosciuto del pittore Felice Casorati: quello di progettista e designer.

L’iniziativa, organizzata in collaborazione con l’Archivio Casoratiil Comune di Pavarolo e la Fondazione della Comunità Chierese, offrirà al pubblico un viaggio tra Torino e Pavarolo per scoprire le “cose mute e immobili” progettate dall’artista, opere che attraversano design, architettura e arti applicate.

 

Archivi d’Affetto è un progetto del Circolo del Design di Torino, curato da Maurizio Cilli e Stefano Mirti, nato nel 2023, che mira a riportare in luce le storie di progettisti e sperimentatori che hanno sviluppato percorsi professionali fuori dagli schemi e di grande valore: traiettorie irregolari di figure impreviste che hanno contribuito a plasmare in maniera profonda l’identità culturale della città.

 

Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963) è stato tra i protagonisti dell’arte italiana del Novecento. Pittore e animatore della scena culturale torinese, accanto alla pittura si è dedicato anche al progetto, firmando scenografie, arredi e spazi architettonici.

 

Nel centenario della sua inaugurazione nel 1925, questo episodio di Archivi d’Affetto celebra il Teatrino privato, oggi perduto, della casa torinese dei mecenati Cesarina e Riccardo Gualino. Realizzato da Casorati insieme al giovane architetto Alberto Sartoris, il Teatrino di Casa Gualino è stato laboratorio d’avanguardia e luogo d’incontro per l’élite culturale torinese, tappa significativa dell’identità artistica della città che simbolicamente tratteggia il clima culturale di quel momento.

 

Approfondendo il ruolo di Casorati come autore di spazi scenici e ambienti d’avanguardia, la mattinata si aprirà al Circolo del Design con un incontro condotto dal curatore di Archivi d’Affetto Maurizio Cilli, che ricostruirà la storia del Teatrino domestico di Cesarina e Riccardo Gualino con immagini, documenti e materiali d’archivio, allargando lo sguardo al sistema sociale e alle relazioni artistiche che l’hanno animato. Uno spazio straordinario, in cui la pittura si fece architettura e le arti visive si fusero con il teatro, capace di unire rigore formale ed essenzialità, ospitando esperienze artistiche di grande valore come la scuola di danza di Bella Hutter.

 

Dopo il talk, una navetta porterà i partecipanti a Pavarolo per visitare la mostra “Felice CASORATI designer PARALLELI Piergiorgio ROBINO Studio Nucleo”allestita nello Studio Museo Felice Casorati e nella Casa Casorati. L’esposizione mette in dialogo i lavori dell’artista con quelli del designer e artista torinese Piergiorgio Robino (Studio Nucleo), creando un ponte tra modernità e contemporaneità.

 

Prenderanno parte all’iniziativa, oltre a Maurizio Cilli, Piergiorgio Robino, designer e artista, Davide Alaimo, architetto, designer e storico delle arti decorative, Giulia e Natalia Casorati di Archivio Casorati, Sara Fortunati, direttrice del Circolo del Design, Laura Martini in Borca, sindaca di Pavarolo, e Stefano Mirti, tra i curatori di Archivi d’Affetto.

 

La giornata diventa così un’occasione per riscoprire Felice Casorati nella sua dimensione meno nota, quella del designer e del creatore di formespazi e oggetti, e per riflettere sulla poliedricità di un artista noto a tutti per i suoi capolavori pittorici.

 

L’accesso è gratuito per i soci del Circolo del Design e i possessori Abbonamento Musei Piemonte e Valle d’Aosta.

Tutti i contributi realizzati per l’episodio “Le cose mute e immobili di Felice Casorati” sono disponibili sulla piattaforma digitale www.archividaffetto.it. Questo capitolo si aggiunge a quattro altre storie che raccontano e reinterpretano esperienze e protagonisti, tracciando una geografia espressiva in grado di illustrare alcuni tratti distintivi della cultura del progetto di Torino e del Piemonte.

 

Di questo episodio fanno parte: una biografia di Felice Casorati e un testo curatoriale a cura di Stefano Mirti e Maurizio Cilli; un contributo di Davide Alaimo che approfondisce l’esperienza progettuale di Casorati; i disegni tecnici del progetto del Teatrino domestico, ricostruiti da Maurizio Cilli; il “Decalogo del perfetto invitato”, un opuscolo illustrato da Gigi Chessa, distribuito all’ingresso del Teatrino come guida al comportamento; una selezione di disegni e fotografie provenienti dall’Archivio Casorati.

Aurélien Boussin alla galleria Domus Lascaris di Torino

Dal 15 ottobre al 5 dicembre il gruppo Building mette in mostra sei opere dello scultore normanno 

Il linguaggio artistico di questo scultore trasmette un’energia immobile nella quietezza del marmo, una forza che vibra tra la perfezione della geometria e l’imprevedibilità della natura. La mostra, che permette di scoprire l’arte di questo autore e che il gruppo Building ha scelto come prossima esposizione alla Domus Lascaris di Torino, invita a scoprire un universo di forme eleganti e pure attraverso sei opere di marmo e pietra.

Le sculture astratte di Boussin si ispirano al mondo naturale e nascondo dall’equilibrio tra rigore e sensibilità, dando vita a creazioni che sembrano materializzare il flusso vitale. La sua poetica prende forma da alcuni volumi simbolici, come il cubo, la sfera e l’uovo. Da questi solidi l’artista esplora gli stati d’animo dell’uomo, mettendoli in rapporto con la perfezione dell’universo e traducendo in opere che trasmettono un profondo senso di serenità o inquietudine. Ne è un esempio l’opera “Toc Vajont”, in cui lo slancio verticale del marmo evita la tragedia del 1963, inducendo lo spettatore a una potente riflessione sulla fragilità e la forza della natura. Questo linguaggio è frutto del particolare linguaggio artistico di Boussin, iniziato con la formazione in restauro di monumenti storici, a Notre Dame de Paris e al Château de Versaille, e poi sbocciato lungo la Loira attraverso l’amore per il marmo, che lo ha condotto fino al cuore delle Alpi Apuane, dove tra Carrara e Pietrasanta ha fondato il suo laboratorio. Le ampie vetrate di Domus Lascaris offriranno ai passanti la possibilità di apprezzare le opere a tutte pe ore del giorno, rivelando normale linee sinuose delle sculture entrino in risonanza con l’architettura modernista del palazzo, in un dialogo costante tra interno ed esterno, tra la visione dell’artista e lo spazio abitativo. Questo è il riflesso della filosofia che anima l’impegno culturale del Gruppo Building.

“La capacità di infondere vita e dinamismo in un materiale eterno come il marmo è ciò che rende interessante il lavoro di Aurélien Boussin – dichiara Luca Boffa, CEO del Gruppo Building – le sue opere celebrano la bellezza e la complessità della natura, una visione che si sposa con la nostra idea di creare spazi in cui architettura e arte contribuiscono al benessere”.

L’esposizione torinese implementa il percorso internazionale di un artista prestigioso, esposto ed apprezzato in contesti come Barcellona, Hong Kong, Roma, Milano, Forte dei Marmi, in Francia, Svizzera, Norvegia, Cina e Romania. Giovedì 16 ottobre, dalle 18, lo spazio Domus Lascaris sarà aperto per un incontro con l’artista, occasione di dialogo tra Boussin e il pubblico, e di presentazione delle sue opere.

Mara Martellotta

“Tormenti, visioni, evasioni” La mostra di Art Brut a Palazzo Lascaris

La mostra “Tormenti, visioni, evasioni”, che si svolgerà dal 10 ottobre fino al 16 gennaio prossimi, e che rientra nei programmi della Settimana della Salute Mentale, dal 6 al 10 ottobre, delle Giornate contro la solitudine del 21 ottobre e della Disabilità, prevista il 3 dicembre prossimo, inaugurerà venerdì 10 ottobre presso Palazzo Lascaris, a Torino.

L’esposizione, a cura di Tea Taramino e Lillo Baglio, propone una selezione di opere pittoriche e piccole sculture di grande impatto visivo che fanno parte della ricca collezione del Centro di Documentazione sulla Psichiatria di Collegno, realizzate da artisti di formazione non accademica che hanno frequentato il Centro Sociale Basaglia tra il 1983 e il 1999 e altri in anni precedenti.

“Accogliere questi lavori a Palazzo Lascaris significa restituire dignità a volti rimasti troppo a lungo in silenzio – ha dichiarato Davide Nicco, Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte – un modo per dare voce a chi poche volte ne ha, trasformando l’arte in occasione di incontro, riflessione e speranza”.

Gli autori esposti saranno Giorgio Barbero, Fedele Canuto, Pietro Augusto Cassina, Enrico Ferretti, Fioralba Nicosia Lippolis, Natale Napoli, Lucia Saltarin, Luigi Sopetti e Alfio Sampugnaro.

Il progetto è realizzato in collaborazione con l’associazione Forme in bilico APS e il Centro di Documentazione sulla Psichiatria, ex Ospedale Psichiatrico di Collegno dell’AslTO3, Asl Città di Torino, MAET / Museo di Antropologia dell’Università degli Studi di Torino, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e Galleria Gliacrobati.

La mostra è aperta al pubblico, con ingresso gratuito, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17 e nelle giornate di apertura straordinaria di Palazzo Lascaris del 7, 14 e 21 dicembre. Chiuso venerdì 2 gennaio 2026.

Visite guidate gratuite tutti i venerdì pomeriggio dalle 14.30 alle 18

Mara Martellotta

Il PAV Parco Arte Vivente presenta “Sagesse des lianes”

Venerdì 31 ottobre, alle ore 18, il PAV ( Parco Arte Vivente) presenterà la “Sagesse des lianes”(La saggezza delle liane), mostra personale dell’artista Binta Diaw, a cura di Marco Scotini. Dopo le personali di Navjot Al Taf, Arahmaiani e Regina José Galindo, il progetto di Diaw, rappresenta un nuovo importante capitolo dell’indagine del PAV sui legami tra natura, corpo femminile e pensiero decoloniale.
Il titolo della mostra prende spunto dalla liana, pianta rampicante capace di adattarsi e resistere, simbolo di alleanze vitali e resilienza collettiva. Attraverso installazioni ambientali, materiali organici e riferimenti storici, l’artista affronta le tematiche della memoria diasporica afrodiscente, della sopravvivenza ecologica e della resistenza femminile. Nata a Milano nel 1995 da genitori senegalesi, Binta Diaw è un’artista visiva italo-senegalese attiva a livello internazionale. Cresciuta tra Italia e Senegal, si è formata presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, e l’École d’Art et de Design di Grenoble, in Francia. La sua pratica si esprime attraverso installazioni, sculture, video, fotografie e performance, ed è profondamente radicata in una riflessione filosofica sui fenomeni sociali che caratterizzano il mondo contemporaneo, come la migrazione, l’identità diasporica, il senso di appartenenza e le questioni di genere. I suoi lavori compongono un linguaggio plastico che mette al centro l’esperienza fisica e sensoriale dello spettatore, invitandolo a confrontarsi con il proprio posizionamento nel mondo di fronte all’opera. Il lavoro di Diaw si nutre di prospettive afrodiasporiche, intersezionali e femministe, proponendosi come un atto critico di fronte alla visione eurocentrica dominante. Attraverso le sue opere l’artista indaga i molteplici strati dell’identità, la propria, in quanto donna nera in un contesto europeizzato, e quella collettiva in un continente segnato da storie e geografie in dialogo e in conflitto. Le sue creazioni danno voce a memorie marginalizzate, promuovendo una visione del presente più consapevole, inclusiva e plurale.
Al centro della mostra due opere fondamentali: ”Dià s p o r a”, del 2021, installazione presentata alla Biennale di Berlino 2022, composta da una struttura sospesa simile a una ragnatela, realizzata con trecce di capelli. L’opera evoca la resistenza silenziosa delle donne schiavizzate, che nascondevano semi e mappe nei capelli, trasformando la materia in archivio vivente e luogo di sopravvivenza clandestina; “Chorus of Soil”, installazione che raffigura la pianta della nave negriera Brooks, realizzata con terra e semi. Le sagome degli schiavi, simboli di oppressione, diventano anche germinazione vegetali, trasformando la nave in giardino di memoria e rinascita. Accanto a queste opere, la mostra presenta lavori come “Paysage corporel” e “Ritual”, in cui il corpo dell’artista diventa paesaggio attraverso gessetti e materiali naturali, e “Juroom Ñaar”, installazione composta da colonne di carbone e trecce annodate, dedicata al sacrificio delle donne nel villaggio senegalese di Nder, che, nel 1819, scelsero il suicidio collettivo per sfuggire alla schiavitù. L’opera è accompagnata da voci in lingua wolof e evocando la tradizione orale dei Griot. Completa il percorso l’opera video ”Essere corpo”, che sintetizza le connessioni tra memoria, corpo e natura, trasformando lo spazio espositivo in un luogo di attraversamento e di relazione con il vivente.
La mostra si configura come un paesaggio corale in cui dimensioni estetiche e politica si intrecciano, offrendo nuove immagini di comunità e appartenenza. Con “Sagesse des lianes”, il PAV conferma il proprio impegno nella costruzione di una nuova ecologia politica, capace di ripensare i rapporti tra arte, natura e società globale.

Mara Martellotta

Fondazione Merz: “Push the Limits 2 – la cultura si sveste e fa apparire la guerra” 

La Fondazione Merz presenta la seconda edizione di “Push the Limits”, un progetto espositivo che, potenziando la ricerca, in questo secondo appuntamento continua a indagare il linguaggio e la creatività contemporanea con artiste appartenenti a diverse generazioni, che fanno del superamento e della trasformazione dei limiti imposti, e supposti, la propria grammatica artistica.

“Push the Limits-la cultura si sveste e fa apparire la guerra” propone incontri di pratiche, linguaggi e ricerche di 19 artiste, protagoniste con opere inedite già realizzate e contestualizzate appositamente per gli spazi della Fondazione. Le artiste sono Heba Y.Amin, Maja Bajević, Mirna Bamieh, Fiona Banner, Rossella Biscotti, Monica Bonvicini, Latifa Echakhch, Yasmine Eid-Sabbagh, Cécile B. Evans, Dominique Gonzalez-Foerster, Mona Hatoum, Emily Jacir, Jasleen Kaur, Katerina Kovaleva,Teresa Margolles, Helina Metaferia, Janis Rafa, Zineb Sedira e Nora Turato.

Il progetto, curato da Claudia Gioia e Beatrice Merz, aperto da lunedì 27 ottobre all’1 febbraio 2026, muove dall’idea dell’arte come rigenerazione e capacità di formulare pensieri e parole, dove le urgenze del presente sembrano spingere verso la ripetizione e la rassegnazione dell’immobilismo. Il titolo ricerca l’attitudine dell’arte di porsi costantemente al limite, per spostare l’asse del pensiero, della percezione e del discorso per immettere nuove soluzioni e letture del nostro tempo. In questa seconda edizione la mostra approfondisce il suo ruolo di fronte alla narrazione ufficiale che prova a normalizzare le conseguenze devastanti dei conflitti, delle distriuzioni e del mutismo della politica.

“Mezzi e fini si avvolgono su di loro e come risultato si ha quello di non capire più quali siano i fini” – spiegano le curatrici. Con l’intenzione di porsi come catalizzatore delle istanze e delle tensioni del nostro tempo, la Fondazione propone un progetto collettivo, la cui sostanza narrativa trae ispirazione dalla maledizione lanciata per voce da William Shakespeare a Riccardo III, per evidenziare come oggi il linguaggio non abbia trovato una nuova formula da sostituire alla maledizione. Forme e modi si sono fatti più sofisticati, ma la sostanza non è mutata.

Tra le artiste presenti nella prima edizione di “Push the Limits”, Barbara Kruger affermava la valenza della relazionalità come qualità costitutiva dell’azione. Questo principio, estendibile a ogni aspetto della vita umana e politica, conduce alla creazione di qualcosa di inedito, che esprime libertà all’origine delle azioni collettive, e che poggia su una plurale interdipendenza. Hanna Arendt vedeva in questo tipo di azione collettiva un principio estetico, che si esprime nell’esecuzione e nella libertà su cui si formano parole e forme nuove in risposta alle crisi del presente.

Gian Giacomo Della Porta