ARTE- Pagina 26

“SilenzioSuono / SoundSilence”. Unica in Italia, una ricca collezione di dischi d’artista

Apre un nuovo capitolo espositivo per la “Videoteca – GAM” di Torino

Fino al 1° settembre

Una mostra decisamente singolare e di grande intelligenza nell’atto ideativo e in quello espositivo. Per certi versi in grado di indurre la memoria a carambole temporali di alta suggestione e potente forza emotiva. Fino a domenica 1° settembre, la “Videoteca – GAM” presenta al pubblico, questa volta coinvolto insieme dall’ accattivante intreccio di arti visive e sonoro-musicali, “SilenzioSuono /SoundSilence”, il nuovo capitolo collezionistico del “Museo” di via Magenta: 471 dischi d’artista, una collezione  il cui nucleo principale fu raccolto negli anni da Giorgio Maffei (Torino, 1948 – 2016), grande studioso e collezionista di libri e “vinili” d’artista, a cui la GAM ne ha aggiunti di ulteriori, in una logica di accrescimento futuro della raccolta.

Sotto la sapiente curatela di Elena Volpato, la rassegna propone alle pareti le copertine originali dei dischi, molte disegnate dagli stessi artisti mentre al centro della “project room”, quale punto di osservazione, s’è creato un salottino ad hoc con poltroncine disegnate dal milanese Federico Pepe e con materiali “vicini al sapore pop” del “vinile”, quel “magico portale – è stato scritto – mai eguagliato dalle ‘cassette’, dai ‘cd’ o dallo ‘streaming’”. A disposizione del pubblico si trovano dei “tablet” per ascoltare “tracce audio musicali o ‘performance’ o letture di poesie o di ogni possibile sperimentazione”. Scrive Elena Volpato, a proposito del titolo apparentemente contradditorio: “Mi piaceva l’idea di dare la stessa importanza al ‘Suono’ e al ‘Silenzio’ … ’Suono’ e ‘Silenzio’ si tengono insieme, non c’è l’uno senza l’altro, due facce della stessa medaglia che non possono essere scisse”.

Così l’iter espositivo ci pone faccia a faccia e orecchio a orecchio con le più importanti sperimentazioni artistiche di ambito sonoro e poetico, a partire dalle “prime ricerche sonore futuriste” con performance di declamazione dinamica ed esecuzioni musicali (e chi mai l’avrebbe detto o pensato?) del padre stesso del “Futurismo” Filippo Tommaso Marinetti e di quel Luigi Russolo (redattore nel ’33 del “Manifesto dei rumori” nonché inventore di nuovi strumenti musicali dal nome significativo di “Intonarumori”). Il “Dadaismo” è rappresentato da opere che vanno da Tristan Tzara a Hugo Ball a Raoul Hausmann con i loro “fono-poemi” composti di sillabe in puro “rapporto asemantico”. Bizzarrie, ricerche, sperimentazioni d’avanguardia che dai colori e immagini su tela passano ai colori non meno bizzarri di note e “rumori”. Sono presenti ancora le opere di Arthur Petronio (figlio del celebre “trasformista” Leopoldo Fregoli) che, sotto l’influenza di Wassily Kandinsky, elaborò nel 1919 la teoria della “verbophonie” e le “ricerche informali” di Karel Appel Jean Dubuffet, condotte con suoni tratti dagli “elementi della natura”. Presente in mostra anche la raccolta de “Le Lettrisme”, disco con i componimenti “onomatopeici” di Isidore Isou e Maurice Lemaître del 1958. Lo stesso anno in cui nasceva la rivista “Cinquème Saison” diretta da Herni Chopin, presente con molte altre opere in collezione, fra cui (“opere miliari”) le “ricerche sul silenzio” di Yves Klein e John Cage. L’intera “produzione Fluxus” è presente con opere che vanno da Joseph Beuys, a Philip Corner, a Yoko Ono e altri.

In parete, una lunga puntuale storia: dalla “Performance Poetry” della “Beat Generation” (inclusa con tutti i poeti del progetto rivoluzionario “Dial-a-Poem”) alle “Neovanguardie concettuali” ai mitici “Anni Ottanta” presenti in particolare con molta parte della produzione di Laurie Anderson. Degli “Anni Novanta”, sono Christian Marclay e Katharina Fritsch le due figure principali nella raccolta. Per finire con opere “iconiche” degli “Anni 2000” (da Henrik Hakansson a Carsten Nicolai a Martin Creed) e con le prime 13 uscite della “Xong collection – Artist Records”, costola di “Xing”, dedicata ad artisti “che intendono il campo sonico come una delle piattaforme in cui espandere i loro mondi e la loro immaginazione, utilizzando lo ‘spazio del disco’ per focalizzare e amplificare la propria poetica”.

Dato importante: da oggi in poi la “Collezione” intende crescere nel tempo. Con quali criteri? Elena Volpato“Privilegiando le opere degli artisti visivi che si metteranno alla prova con la sperimentazione sonora”.

Gianni Milani

“SilenzioSuono / SoundSilence”

“Videoteca – Gam”, via Magenta 31, Torino; Tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

Fino al 1° settembre

Orari: mart. – dom. 10/18. Lunedì chiuso

Nelle foto: Immagini allestimento (ph. Perottino). Yoko Ono “Fly”, Apple Records, 1971 e John Cage “Neuhaus Cage”, Alga Marghen, 2002

Il castello di Agliè, una residenza sabauda nel Canavese

Bellezza, arte, poesia e un po’ di cinema

Eretto nel XII secolo dalla famiglia dei conti San Martino nell’omonimo borgo, uno dei più famosi del canavese, fino al 1600 il Castello di Agliè mantenne l’aspetto di un forte con tanto di muraglia difensiva e fossato.

I primi interventi per renderlo dimora furono fatti a fine secolo dal Conte Filippo che affidò il progetto all’architetto Amedeo di Castellamonte: venne rivisitata la facciata interna, creata la cappella e le due gallerie. Nel 1764 fu venduto al re Carlo Emanuele III dando inizio così alla prima epoca sabauda e divenendo una delle residenze estive reali. Vengono ricavati nuovi appartamenti, edificata la chiesa parrocchiale della Madonna della Neve, collegata al castello così che i membri della famiglia potessero raggiungerla senza essere visti, ampliato il giardino in stile italiano, costruita la fontana dei Fiumi, Dora Baltea e Po, con le belle sculture dei fratelli Collino. Durante il governo di Napoleone venne ceduto perdendo così il tono regale e sontuoso e venendo utilizzato invece come ricovero per i poveri.

Carlo Felice a inizio del 1800 lo rivolle fortemente e gli ridiede un aspetto sfarzoso grazie anche all’intervento dell’architetto Michele Borda che introdusse gli arredi in stile Carlo X, costruì un teatro gioiello e inserì una bella collezione di opere d’arte. Nello stesso periodo vennero introdotti diversi reperti relativi a vari scavi archeologici che Maria Cristina di Borbone, moglie di Carlo Felice, aveva seguito personalmente nel Lazio.

Nel 1939 il castello fu venduto allo Stato con la gestione della Soprintendenza ai Monumenti e dei Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte che ancora oggi si occupano del suo mantenimento e della sua salvaguardia. Dal 1997 è parte del Patrimonio Unesco e del circuito dei Castelli del Canavese.

Grazie alla sua bellezza ed eleganza i visitatori sono in costante aumento, la varietà di stili architettonici che si sono susseguiti storicamente e i diversi spazi interni ed esterni da visitare: i saloni, la biblioteca, il teatro, la cappella, i giardini pieni di alberi secolari e serre, attraggono turisti e curiosi da tutta Europa.

Al Castello di Agliè furono dedicati alcuni versi dal poeta Guido Gozzano che durante le sue vacanze di bambino giocava sul piazzale antistante ed è stato un meraviglioso sfondo cinematografico dove sono state ambientate alcune fiction come Elisa di Rivombrosa e Maria José, un luogo dunque dove la magia dell’arte, le storie legate alle famiglie reali, la grandiosità architettonica e la bellezza nella natura si intrecciano conferendogli lo status di meraviglia non solo piemontese ma del mondo intero.

Maria La Barbera

“Le Mille e una notte. Personaggi, profumi, colori, delizie di un Oriente mitico”

Si è inaugurata ieri, sabato 24 agosto, presso la ex Chiesa di Santa Croce in Piazza Conte Rosso ad Avigliana (To) la mostra collettiva “Le Mille e una notte – Personaggi, profumi, colori, delizie di un Oriente mitico”

Trentacinque artisti (Franca BARALIS, Gesebel BARONE, Tiziana BERROLA, Ines Daniela BERTOLINO, Susanna BIANCHI, Cetty BONIELLO, Ivo BONINO, Nadia BRUNORI, Luisella COTTINO, Mara COZZOLINO, Giuliana CUSINO, Monica DE MARTIN, Piero DELLA BETTA,

Lorenzo DI LAURO, Francesco DI MARTINO, Sara DUDINO, Maria José ETZI, Francesca FINELLO, Silvana GAVAZZA, Sonia GIROTTO, Elisabetta GRANDI, Beppe GROMI, Pippo LEOCATA, Gianmatteo LOPOPOLO, Davide MAZZETTO, Marina MONZEGLIO, Mahtab Fereshte MOOSAVI, Patrizia MORETTI, Patrizia PIGA, Guido ROGGERI, Valeria TOMASI, Mara TONSO,
Anna TOSI,
Nino VENTURA, Serena ZANARDO) espongono oltre 70 opere dipinti, acquerelli, ceramiche, fotografie professionali (stampa fine art) sculture in vetro e opere realizzate con grafica digitale e intelligenza artificiale.

La mostra, organizzata dall’Associazione culturale “Arte per Voi” di Avigliana (To) a cura di Giuliana Cusino e Luigi Castagna e con la collaborazione della dott.ssa Donatella Avanzo, sarà visitabile il sabato e la domenica pomeriggio dalle 15:00 alle 19:00 fino a domenica 6 ottobre

Sito web: https://artepervoi.it/


Il magico libro

Le Mille e Una Notte” non sono un libro, sono piuttosto un mondo, un enigma infinito.

Sono una raccolta complessa e magmatica di racconti, le cui intricatissime vicende restano ancora da esplorare e da scrivere.

L’assemblaggio delle storie all’interno del racconto cornice, di origine indo-persiana, costituisce la griglia di tutta l’opera. La bella Shahrazàd – che si dice avesse letto e raccolto mille libri di storie delle genti antiche, delle gesta dei re e dei loro poeti – fa della narrazione lo strumento per distogliere il re Shahriyàr dal funesto progetto di unirsi ogni sera a una vergine e di ucciderla il giorno successivo per vendicarsi del tradimento della moglie e di tutte le donne. Non solo egli stesso e suo fratello Shahzamàn sono vittime dell’infedeltà delle rispettive spose, lo sono persino all’avvicinarsi di un essere sovrannaturale, quel genio “alto, dalla testa grossa, dal largo petto” che incute loro terrore facendo “ribollire” il mare. La prima notte di nozze, con la complicità della sorella Dunyazàd, Shaharazàd riesce, praticando abilmente l’arte dell’interruzione del racconto, ad affascinare e a incuriosire il re al punto da fargli sospendere l’esecuzione. Il racconto acquisisce così potere salvifico per innumerevoli notti, fino a quando, per un potente rovesciamento, la rabbia e il risentimento lasciano la mente e il cuore del re per far posto all’affetto e al rispetto per Shaharazàd, che nel frattempo gli ha dato tre figli.

Grazie all’arte affabulatoria di Shaharazàd, al suo saper incatenare una storia all’altra e nel sapersi interrompere al momento giusto, scopriamo il segreto del ritmo, della narrazione in prosa, ciò che tiene vivo il desiderio di ascoltare il seguito.

La Mille duesima notte

La sposa preferita

Da alcune settimane, anche Hasib Karim aveva due mogli. Erano gelose e litigavano di continuo. Dalla mattina alla sera, si udivano le loro grida nel cortile della casa. Nonostante minacciasse di ripudiarle, Hasib Karim non riusciva mai a calmarle.

Un giorno, le sue due spose gli chiesero quale preferisse.

Rifletterò sulla vostra domanda e vi risponderò fra qualche giorno”, disse loro.

L’indomani, si recò nella via dei gioiellieri.

Guardò le vetrine, entrò in vari negozi, contrattò a lungo e se ne tornò a casa con due begli anelli. Attese di essere da solo con la prima moglie per offrirle uno dei gioielli.

Costei si impegnò, come le chiedeva il marito, a non parlarne con la rivale.

Hasib Karim procedette nello stesso modo con la seconda sposa, che promise anche lei di serbare il silenzio.

Lasciati passare alcuni giorni, Hasib Karim le riunì.

La mia preferita, disse loro, è colei alla quale ho offerto segretamente un anello”.

Soddisfatte della risposta del marito, le due spose si ritirarono avendo ciascuna la certezza di essere la favorita.

Donatella Avanzo

archeologa e storica dell’arte

Artissima 24: “Daydreaming – sognare ad occhi aperti”, dall’1 al 3 novembre al Lingotto

 

 

La prossima edizione di Artissima 24 si terrà dall’1 al 3 novembree avrà per titolo “The Era of Daydreaming”, che significa “sognare a occhi aperti”.

“Sognare a occhi aperti ha un potenziale creativo immenso  – spiega il direttore artistico Luigi Fassi – ed è quello di cui si servono primariamente gli artisti per infrangere le barriere di ciò che è noto e prevedibile, oltre a tracciare nuovi sentieri nell’esplorazione del nostro tempo”.

La 31esima Fiera internazionale d’arte contemporanea, Artissima2024, aprirà i battenti all’Oval Lingotto venerdì 1 novembre e fino a domenica 3 sarà l’unica fiera in Italia dedicata esclusivamente alla creatività dei giorni nostri.

Il format della fiera è quello ormai consolidato, con la presenza di quattro sezioni, Main Section, New Entries, Monologue/Dialogue, Art Spaces & Editions, e le tre sezioni curate, Present Future, Back to the Future, Disegni. Per la selezione delle gallerie che parteciperanno alla Main Section, che è quella dedicata alle realtà più affermate in campo internazionale, è stato confermato il team composto da Paola Capata (galleria Monitor di Roma, Lisbona e Pereto), Philippe Charpentier (galleria di Parigi e Bogotà), Raffaella Cortese (galleria Raffaella Cortese di Milano), Guido Costa (galleria Guido Costa Projects di Torino), Antoine Levi (galleria Ciaccia Levi di Parigi e Milano), Nikolaus Oberhuber(della galleria Kow di Berlino) ed Elsa Ravazzolo Bottner(galleria a Gentil Carioca di Rio de Janeiro e San Paolo). Viene invece rinnovato il team curatoriale per le altre tre sezioni. I progetti monografici dei talenti emergenti sono riuniti nella sezione Present Future, e saranno seguiti da Leon Kruijswijk, curatore del KW Institute for Contemporary Art di Berlino, e Joel Valabrega, curatrice di performance and moving image al Mudamdi Lussemburgo. Alla curatela del Back to the Future, sezione dedicata ai progetti monografici dei pionieri dell’arte contemporanea, sono stati chiamati alla curatela Heike Munder, scrittrice e curatrice indipendente a Zurigo, e Jacopo Crivelli Visconti, curatore indipendente a San Paolo. La sezione Disegni, che rappresenta un unicum nel panorama delle fiere italiane, sarà curato da Irene Zucca Alessandrelli.

MARA MARTELLOTTA

Lavori in corso: la Gam chiude per riallestimento

Grande fermento alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, dove a inizio estate sono già partiti, a museo aperto, i lavori di riallestimento degli spazi espositivi delle collezioni al primo e secondo piano del museo, per la grande inaugurazione della Prima risonanza prevista il 15 ottobre.

Per riqualificare gli spazi di accoglienza al pubblico e in particolare ilfoyer, che ritroveremo rivisto e rinnovato secondo l’idea di apertura e ariosità che caratterizzò lo spirito originale alla costruzione del museo, la GAM sarà chiusa al pubblico dal 9 settembre al 14 ottobre 2024.

L’ultimo giorno per visitare la mostra Italo Cremona. Tutto il resto è profonda notte sarà domenica 8 settembre. L’esposizione chiuderà quindi con una settimana di anticipo rispetto alla data comunicata.

Fino all’8 settembre è gratuita la visita alle mostre Jacopo Benassi. Autoritratto criminale e SilenzioSuonoSoundSilence (chiusura mostre 1 settembre).

Le mostre temporanee Italo Cremona. Tutto il resto è profonda nottee Expanded. I paesaggi dell’arte sono visitabili con tariffe secondo regolamento.

Durante la chiusura del museo i servizi al pubblico della Biblioteca d’Arte e dell’Archivio fotografico non subiranno variazioni e saranno garantiti con le consuete modalità.

Barola al Palazzo Paleologo di Trino

Si inaugurerà il 22 Agosto, ore 18,  a Trino presso il Palazzo Paleologo la mostra di Pio Carlo Barola. Barola si è diplomato in Pittura all’Accademia Albertina di Belle Arti a Torino sotto la guida del maestro Piero Martina e in Incisione con Francesco Franco e Vincenzo Gatti. Ha insegnato “Discipline Pittoriche” presso il Liceo Artistico “Luigi Canina” di Casale Monferrato e in seguito “Disegno Grafico Pubblicitario” e Discipline Pittoriche” al Liceo Artistico “Angelo Morbelli” dell’Istituto Superiore Statale “Leardi”. Verranno esposte trenta opere pittoriche e 20 opere grafiche realizzate soprattutto in linoleografia tra gli anni ’80 e ’90. Il critico Aldo Spinardi così scriveva nel 1978: “Anche i paesaggi di Pio Carlo Barola sembrano costituiti da onde successive e così i laghi, le colline, i cieli che si chiudono all’orizzonte. Ma non è facile scoprire paesaggi senza il suo fiore preferito, la rosa, senza gli spiritelli verdi che sembrano voler abbandonare la terra per salire verso il cielo, senza le sue fanciulle, che con le loro zone soleggiate, luminose e le zone più scure, ombreggiate, richiamano il profilo delle colline: la terra è madre, su di essa si riflettono i raggi del sole, su di essa cadono le ombre, ora a significare la pace di cui hanno bisogno gli uomini, ora a suggerire un desiderio di intimità.

I piloni della tangenziale diventano opere d’arte

In strada Crosassa nella periferia di Bra il cemento fa da tela all’arte.

L’arte di strada e’ uno strumento molto potente capace di trasformare aree grigie o degradate in musei en plein air. Le opere dipinte, perlopiu’ su muri o su strutture edificate in cemento come in questo caso, non sono solo “tele” colorate che migliorano e valorizzano una parete, ma sono veicoli moderni di diffusione che rivestono una vera e propria funzione sociale. Come abbiamo gia’ visto in precedenza alcuni di questi urlano terribili ingiustizie, riportano alla mente tragedie e affrontano importanti temi che riguardano tutti noi. Non c’ e’ solo la volonta’ , quindi, di rendere piu’ bello un muro di squallido gesso, non e’ solo una vocazione estetica, dietro alla maggior parte delle opere di street art c’e’ un pensiero, un obiettivo e una comunicazione energica che vuole scuotere le coscienze.

In Piemonte e precisamente sulla strada che porta da Bra a Bandito attraversata in un tratto dal cavalcavia dell’autostrada, dei freddissimi e asettici piloni sono stati trasformati in opere d’arte. Giovanni Botta, pittore braidese famoso per i suoi dipinti urbani a cielo aperto, ha voluto donare a quei pilastri un po’ di vita, li ha voluti rendere “parlanti” con le sfumature dell’arte, ma anche con considerazioni e insegnamenti impressi sui colori ; ogni opera, infatti, e’ accompagnata da uno scritto che vuole dare un preciso messaggio e fare di quei sostegni portanti un mezzo divulgativo. Tra i tanti testi spicca quello di Falcone: “Credo che ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto. Contano le azioni non le parole. Se dovessimo dar credito ai discorsi, saremmo tutti bravi e irreprensibili”.

Questa vivace iniziativa, ancora in progress, vede dipinti diversi personaggi carismatici tra cui Papa Francesco, Borsellino e Falcone, Madre Teresa di Calcutta, Sandro Pertini, Anna Frank, Chiara Lubich, Martin Luther King e Nelson Mandela, ma riproduce anche quadri famosi come la Gioconda o parti della Cappella Sistina dipinte da Michelangelo; tutti i volti ritratti hanno il viso attraversato dalle lacrime e questo crea oltre allo stupore una grande spinta emotiva sul visitatore indotto ulteriormente alla riflessione.

Ancora una volta la street art cambia uno scenario, converte uno spazio impersonale in una creazione piena di significato, spinge a fermarsi, non solo per ammirare l’opera in se’, ma anche per meditare su eventi ed argomenti di interesse collettivo. Questa arte sotto il cielo di tutti e’ un abile strumento per rilanciare intere aree e coinvolgere attivamente le persone, rappresenta un bene comune accessibile, gratuito e generoso.

MARIA LA BARBERA

“Teatri e teatrini”, curiosità e bozzetti nella Torino del ‘700 e ‘800

Sino al 9 settembre, nella Corte Medievale di palazzo Madama

Una curiosità: il ventaglio (pergamena dipinta ad acquerello e stecche in avorio) che raffigura il Teatro Regio e il Teatro Carignano (Arlecchino e Balanzone in scena), nelle sue due facce, con i palchi e i nomi degli occupanti nella stagione teatrale del 1780 – 1781, una preziosa fonte di reddito, i posti centrali, più costosi, vengono occupati stabilmente dalle famiglie aristocratiche. È uno dei quaranta oggetti che compongono, nella Corte Medievale di Palazzo Madama (sino al prossimo 9 settembre, gli appassionati di teatro dovrebbero farci la fila), la mostra “Teatri e teatrini. Le arti della scena tra Sette e Ottocento nelle collezioni di Palazzo Madama”, con l’affettuosa quanto lodevolissima cura di Clelia Arnaldi di Balme (“un’idea avuta un paio di anni fa, la ricerca nei depositi e negli archivi e la difficoltà a farmi largo in mezzo a tutto un materiale che amavamo rimettere sotto gli occhi del visitatore, le esigenze soprattutto delle scelte”), un mondo dell’arte dove non soltanto hanno trovato posto le grandi regie e i nomi di certi divi, ma quanto per lunghi decenni, per secoli, ha interessato le messe in scena degli spettacoli (vicino a noi, un ricordo per tutti, la maniacalità di un Visconti o i nudi piani inclinati di uno Svoboda) che entravano nei raffinati teatri di corte e negli apprezzati teatrini di marionette. Poi, accanto, in un generale allestimento di ampio respiro (vivaddio, felice anche per l’impiego di teche e supporti trasportabili che potrebbero essere impiegati anche in successive occasioni, in ossequio alla sacrosanta legge del finché si può non buttiamo niente alle ortiche), il dipinto di Giovanni Michele Graneri a rappresentare l’interno del Regio torinese, anno di grazia 1752, durante la rappresentazione del “Lucio Papirio”, con gli attori cantanti e l’orchestra in primo piano, un’illusione di archi di colonne di fughe incalcolabili che certo dovevano afferrare l’attenzione dei nobili e dei borghesi affacciati dai palchi e seduti nelle poltrone di platea, allietati durante la rappresentazione di camerieri che offrivano frutti e bibite: con buona pace di chi oggi storce il naso se in certe nostre sale teatrali circolano bibite o acque minerali.

Opere la cui sistemazione storica e bibliografica la si deve allo studio e alla passione e alla fatica quotidiana di Mercedes Viale Ferrero (1924 – 2019), figlia di quel Vittorio Viale, forse troppo presto dimenticato, che fu direttore del Museo Civico d’Arte Antica di Torino dal 1930 al 1965 e per il quale il direttore Giovanni Carlo Federico Villa, nel compimento del suo terzo anno di guida, facendo gli onori di casa, ha entusiastiche parole di apprezzamento: “Io non esito a definire Viale il più grande direttore di Musei Civici del suo tempo e non solo, non italiano ma a livello europeo, per cui sarebbe ora che le autorità e il pubblico torinese prendessero finalmente coscienza della grandezza di un tale studioso.” Nel 2024 si celebra il centenario della nascita di Mercedes Viale e a lei e alla sua indimenticabile passione per la storia del teatro è dedicata la mostra.

Il principe e l’impresario che agivano nel Settecento erano consapevoli che i cambi di scena, definiti “comparse”, per il maggior divertimento del pubblico dovevano essere “molte, meravigliose e varie”, e che non soltanto le musiche e i testi determinavano il successo di un’opera, le scenografie dovevano rispecchiare originalità e le macchine teatrali dovevano spingere all’ammirazione, opera di persone ingaggiate per una unica stagione, con contratti rinnovabili ma non fissi: anche se i puristi guardassero a esse come a un motivo di distrazione dall’ascolto della musica e finissero con quasi ripudiarle. Innegabile che la grandezza delle costruzioni, nel pubblico come nel privato, dovesse confrontarsi con un sempre precario sistema economico. “Nell’Ottocento – ricorda Arnaldi di Balme – gli spettacoli presero a circolare in un tessuto teatrale allargato, in cui la stessa opera veniva rappresentata contemporaneamente in sale e città diverse. I teatri non erano più privilegio di pochi, si moltiplicavano numerosi sul territorio ed erano affollatissimi. Per il carnevale del 1858 a Torino si diedero ben 28 opere in musica in cinque teatri; nel 1860 si rappresentarono 46 opere in nove sale. E la città contava allora circa 200.000 abitanti.”

Atri vastissimi, palazzi, archi di trionfo, studi di scultori e progetti di cucine, sepolcri e alcove e antri delle streghe, giardini intesi come intrattenimento, selve come luoghi di smarrimento e boschetti ad ospitare solitudini e confidenze: questo e molto altro è progettato e rappresentato nei disegni che si snodano al centro e lungo la Corte Medievale. Sono la prova della lunga attività che accompagna la preparazione della stagione che si apriva il 26 dicembre e si concludeva con la fine del Carnevale. Con la scelta dei libretti, l’ingaggio degli scenografi che tra luglio e agosto dovranno presentare al direttore di scenario i bozzetti delle tante trasformazioni richieste, la realizzazione delle scene e il montaggio in autunno: il giorno della prova è il 26 novembre, un mese esatto prima della serata inaugurale, coreografo compositore cantanti e ballerini fanno prove separate, finché tutti si ritrovano insieme tre giorni prima dello spettacolo per le prove generali: e si va in scena. Dai bozzetti di Filippo Juvarra (uno per tutti, la “veduta romana” del 1722, in occasione delle feste ideate e coordinate dallo stesso per le nozze di Carlo Emanuele III con Anna Cristina Luisa di Sultzbach, per la rappresentazione del “Ricimero” nel teatro del principe di Carignano prima e poi nel teatrino del Rondò con cinque recite riservate alla corte) ai disegni dei fratelli Galliari, Bernardino Fabrizio e Giuseppe (uniche generazioni a collaborare con il Regio per tutta la seconda metà del Settecento, di quest’ultimo il “Magnifico padiglione di Annibale”, penna e acquerello su carta del 1792, per la scena VII di “Annibale in Torino” musicato da Nicola Zingarelli, dove i Taurini sono i più moderni Sabaudi stretti attorno al loro sovrano nel timore dei recenti eventi successi in Francia), a quelli di Pietro Gonzaga e Pietro Liverani, questi soltanto quindicenne scenografo titolare del Teatro di Faenza, realizzazioni per i teatri di Torino, Milano e Parma dal 1750 a tutto il secolo successivo, dove ogni elemento è invenzione, precisione, ricerca di una bellezza che potesse poi trovare il proprio spazio in palcoscenico.

Anche il teatro di marionette era una forma di spettacolo molto amata, soprattutto nel corso del XIX secolo. In mostra cinque fondali per teatrini tra i quindici giunti a palazzo Madama nel 1984 dalla collezione di Mario Moretti, esperto d’arte, di musica e di teatro, da lui tolti dalla polvere di un deposito, acquistati e restaurati. Ancora montati sulle bacchette originali, alcuni ancora a mostrare le giunture di tela per l’adattamento a questo o a quel palcoscenico, provengono dal teatro detto di San Martiniano in via San Francesco d’Assisi a Torino (nelle vicinanze di piazza Solferino), presso la chiesa omonima oggi non più esistente, luogo d’attività della compagnia Lupi – Franco, fondali che tratteggiano attualità storica e ideali risorgimentali, rappresentazioni orientali che incontrano il gusto del pubblico, “Reggia egiziana” di Giovanni Venere o la “Reggia persiana” di Giuseppe Toselli, entrambe negli anni 1840 – 1844, anni in cui collaborano con Giuseppe Morgari in San Martiniano, spettacoli sconosciuti ma legati alla piacevolezza di un mondo favoloso e misterioso.

Elio Rabbione

didascalie:

Giovanni Michele Graneri (Torino 1708 – 1762), “Interno del teatro Regio”, 1752, olio su tela, Palazzo Madama; Bernardino (Andorno 1707 – 1791) e Fabrizio Galliari (Andorno 1709 – Treviglio 1790), “Luogo magnifico terreno nella reggia di Alessandro” (per “La vittoria d’Imeneo” rappresentato nel 1750 al Teatro Regio di Torino per le nozze di Vittorio Amedeo III di Savoia), 1750, disegno a penna, pennello e inchiostro bruno, acquerello grigio su cartoncino, Palazzo Madama; Giuseppe Toselli (Peveragno, attivo dal 1835), “Reggia Persiana”, fondale per teatrino di marionette San Martiniano di Torino, 1840 – 1844, Palazzo Madama; “Ventaglio pieghevole con interno del Teatro Carignano”, 1780, pergamena dipinta ad acquerello, avorio, Manifattura torinese, Palazzo Madama.

Se Caravaggio accresce lo splendore di una magnifica mostra

Capodimonte da Reggia a Museo”, alla Venaria sino al 15 settembre

Roberto Longhi scrisse che “una brutalità e una pietà infinita si dilaniano in essa” mentre due storici del Sei e Settecento la definirono “la più bell’opera che già mai fatto habbia questo illustre dipintore” e ricordarono come “la nuova maniera di quel terribile modo di ombreggiare, la verità di que’ nudi, il risentito lumeggiare senza molti riflessi, fece rimaner sorpresi, non solo i dilettanti ma Professori medisimi in buona parte.” Adesso che la “Flagellazione di Cristo” è giunta alla Reggia di Venaria a completare le sessanta opere delle collezione Farnese e Borbone portate, secondo un ben preciso asse verticale artistico Napoli-Torino, sino alle porte del capoluogo piemontese dalla Reggia di Capodimonte, ultima “ciliegina” di tutte quelle promesse da Eike Schmidt, ex direttore del museo napoletano e mancato sindaco di Firenze in questi ultimi giorni, è doveroso riprendere il discorso intorno a una delle mostre più suggestive viste in questi ultimi anni, veramente ammirata, un panorama di bellezza, “Capodimonte da Reggia a Museo. Cinque secoli di capolavori da Masaccio a Andy Warhol”, curata da Sylvain Bellenger e Andrea Merlotti, che sta entusiasmando visitatori e appassionati, riprenderlo al di là di quanto si scrisse tre mesi fa in occasione dell’inaugurazione alla presenza del ministro Sangiuliano. Un successone che sembra aumentare proprio con l’arrivo del Caravaggio, datato 1607 – tela commissionata (sappiamo di un acconto di duecento ducati, sappiamo di un completamento durante il secondo soggiorno napoletano, sappiamo di ripensamenti dei personaggi in special modo alla base della tela), commissionato da Tommaso de’ Franchis per la cappella di famiglia che Ferdinando Gonzaga gli donò nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli: in età moderna tre tentativi di furto e dal 1972 in consegna cautelativa portata a Capodimonte -, un Grande Vecchio che nei primi mesi di quest’anno ha avuto parecchi “scossoni” – il trasporto nella capitale francese per la mostra “Napoli a Parigi” con successivo ritorno, il prestito al Museo diocesano napoletano e ora il viaggio ulteriore per la mostra di casa nostra – e ha necessitato quindi di preoccupazioni e cure. Un lungo viaggio, ancora quest’ultimo, ad attraversare pressoché l’intera penisola, fatto di mille precauzioni, la continua osservazione dal satellite, un funzionario del ministero e i carabinieri del Nucleo Tutela patrimonio culturale in un accompagnamento senza sosta, un camion con la temperatura e l’umidità controllate e un rimorchio di grandi dimensioni per contenere una tela che misura 266 x 213; e ancora il parcheggio nella Citroniera e il posizionamento nella sala posta al primo piano della reggia, tramite una gru, che lo proteggerà sino al 15 settembre. La “Flagellazione” è sola nel vasto spazio, una stanza tutta per sé, a circondarsi di pubblico, a riempire gli occhi di chi guarda.

Nel periodo più tragico e combattuto della sua esistenza, fatto di risse e di processi, di un omicidio che lo costringe alla fuga da Roma, di una pena capitale che lo mette alla mercé di chiunque lo incontri, Caravaggio pensa ed esegue questo capolavoro, anche di forte natura simbolica, “quasi un passo di danza sul fondo di tenebra”, dove ferma i gesti dei tre figuri che circondano il Cristo alla colonna – già coronato di spine, la fronte bagnate da tre minuscole tracce di sangue, e chiuso nel proprio dolore fisico e in tutta la sua debolezza umana – e procura una grandissima drammaticità in quel contrasto della luce che scende da sinistra e delle ombre, che nelle opere di quegli anni reclamano insistentemente sempre più spazio, un corpo divino illuminato nel suo biancore a contrasto con la pelle brunita dei carnefici. Un corpo classicheggiante, plasticamente inteso e reso, a contrasto con la rozzezza e i grugni, con la bestialità degli aguzzini che gli sono a lato.

Per chi ama Caravaggio è un vedere e un tornare a vedere, un soffermarsi, uno studiare, uno scoprire tracce momenti particolari che appaiono nuovi, un entrare nella storia intima della tela. Ma chiaramente la mostra è La Grande Bellezza dell’arte italiana, è la scelta calibrata e necessaria e condotta con mano estremamente esperta da parte di chi offre a Torino quel percorso: anche se, nel rivedere le mostra e riandando ai viaggi fatti a Napoli, t’accorgi che un posto vuoto lo lasciano Brueghel il Vecchio (“La parabola dei ciechi”) o, allungandoci all’Ottocento, la “Luisa Sanfelice” di Toma, i Domenico Morelli e Boldini e De Nittis: si chiude con “Vesuvius” di Andy Warhol con immenso solluchero per i contemporanei.

Quel percorso ha tappe innumerevoli e importanti a cui fermarsi, “La crocifissione” di Masaccio e di Masolino la “Fondazione della chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma”, “San Gerolamo nello studio” di Colantonio (1445) per gustare i particolari di una pittura che guarda ai maestri fiamminghi e ai provenzali attivi alla corte di Renato d’Angiò, e poi Bellini con la luminosa e paesaggistica “Trasfigurazione” e Tiziano con “Danae” e “Papa Paolo III” in compagnia dei nipoti Alessandro, “Il Gran Cardinale”, e Ottavio, l’”Antea” del Parmigianino, serva o amante del pittore, forse donna sconosciuta che è l’allegoria della bellezza ideale, giustamente posta a immagine della mostra, Annibale Carracci e Guido Reni, Artemisia Gentileschi più “autobiografica” che mai nel tagliare la testa di Oloferne che con tutta probabilità ha le sembianze di Agostino Tassi, suo stupratore. Il giusto confronto da i due “Apollo e Marsia” di Jusepe de Ribera e Luca Giordano, il grandioso Solimena, l’Estasi di Santa Cecilia di Bernardo Cavallino, “La famiglia di Ferdinando IV di Borbone” firmato da Angelica Kauffmann sul finire del Settecento, al centro di un rigoglioso paesaggio, mentre i piccoli eredi accarezzano un cane, suonano l’arpa e giocano divertiti con un filo tra le mani.

Elio Rabbione

Cinema e fumetto al Forte di Bard

L’arte del fumetto, la magia del cinema e dell’animazione, il mondo del fantastico vanno in scena nel borgo medievale di Bard con la seconda edizione di FantasyBard, in programma dal 15 al 17 agosto 2024.

 

Organizzata dall’Associazione culturale Borgo di Bard, la rassegna prevede un programma ricco di attività, incontri con autori e laboratori creativi. Si inizia giovedì 15 agosto, dalle ore 14 alle 20, e nei due giorni successivi con orario continuato dalle 10 alle 20.

 

L’iniziativa coinvolge anche il Forte di Bard: nelle tre giornate, allo sbarco del terzo ascensore panoramico, saranno presenti figuranti dei supereroi Marvel, di Star Wars e Ghostsbusters, Harry Potter, Jon e Blitz dei cartoni animati dei Dino Ranch, con cui sarà possibile scattare foto ricordo.

All’Opera Mortai si potrà poi visitare la mostra SuperFantaRobot, la fantascienza a fumetti.