ARTE- Pagina 20

“Uno che disegnava, uno che scriveva”. Mostra in ricordo di Benny Naselli

Anja Langst, bavarese di nascita naturalizzatasi nostra cittadina da tanti anni, in quanto valida artista di lunga carriera e moglie del compianto Benny Naselli ha avuto l’idea di inaugurare una mostra retrospettiva sui lavori di suo marito.

“Uno che disegnava, uno che scriveva” è titolo intelligente che riassume in pochi accenni chi veramente fosse Benny. La semplicità descrittiva del titolo rappresenta in toto l’anima artistica di Benny. E’ stato un personaggio letteralmente vulcanico, mancato in tarda età, ma operativo nel mondo dell’arte praticamente fino al suo ultimo giorno di vita, in quanto della vita, Benny Naselli fu veramente innamorato!

Già, la vita .. forse pecchiamo di superficialità quando ci esprimiamo a proposito della nostra esistenza. In linea di massima – non avendo nessuno di noi (almeno consciamente), esperito altre realtà – tutti ci riteniamo attaccati alla vita. È, però, spesso un superficiale e vuoto modo di dire.

L’amor mundi di Benny si esplicitava in un inguaribile ottimismo che, nonostante sofferenze che non gli sono mancate, non gli è mai venuto meno.
Grande ritrattista, con pochi schizzi di carboncino o pennarello, era allegramente in grado di ‘cogliere’ velocemente quanto poteva esprimere un viso, un personaggio, tante figure famose (come il suo John Wayne, Clark Gable e altre star di Hollywood).

Da giovane, per anni, è stato vignettista di personaggi legati all’epopea del western americano (le famose ‘strisce’ di gran moda negli swinging anni ‘60), principalmente lavorando per editori della sua Liguria, ma anche creando suoi simpatici personaggi. Lui disegnava, disegnava ininterrottamente, ma sapeva anche scrivere. Di un buon livello intellettuale sono, infatti, le pubblicazioni inerenti la sua vita, una sua particolare visione del mondo, le tante creazioni artistico-fumettistiche.
Benny scriveva come disegnava: come quando gestiva un pennello o un carboncino, scriveva velocemente e allegramente. Anche sulla carta stampata, chi lo leggerà ritroverà il suo magico stile di vignettista… veloce, essenziale, preciso. Da ogni pagina scritta, evidente usciranno la sua infantile e prorompente allegria, la bonaria ironia, una personale forma di tatto stilistico e l’innato rispetto per il prossimo.
Dato che la retrospettiva a lui dedicata è concomitante con il Salone del Libro, interessante sarà l’elenco delle sue pubblicazioni: Parole Dipinte (poesie), del 2010; Tequila, l’indiano del 2000 (comic strips, del 2012); Angeli, pepe e sorrisi (racconti e vignette), del 2014; Oltre il lenzuolo (autobiografia), del 2016.

Ma l’uomo non vive solo d’arte. Dietro occhi azzurri di bimbo adulto, sempre ridenti e che sapevano di mar ligure, la sua esperienza esistenziale si coniugava (ancora felicemente) con la sua attività di ferroviere e di … papà single di non pochi figli, tutti gestiti, educati, fatti meravigliosamente fiorire alla vita.

Poi l’arte, tanta arte, creatività, curiosità senza limiti, amore per il teatro, letture importanti… e infine (come spesso capita nelle fiabe) con l’età della consapevolezza, Benny finalmente approda all’amore degli amori: la meravigliosa Anja, il suo approdo più sicuro.

MOSTRA IN RICORDO DI BENNY NASELLI: Torino, via Belfiore 18, fronte strada

-Venerdì 16 e Sabato 17 maggio 2025 – per info: 349/12.56.345

(dalle 16.00 alle 22.00)

Ferruccio Capra Quarelli

Tinissima, la fotografa che mise a fuoco il mondo

Il 2025 si sta rivelando l’anno di Tina Modotti a Torino. Dopo la lunga e apprezzatissima esposizione al Museo Camera, il capoluogo piemontese ha ospitato un incontro vivo, vibrante, presso la Fondazione Circolo dei Lettori. Protagonista, la giornalista e agitatrice culturale Annalisa Camilli, che ha restituito al pubblico non solo il ritratto di una fotografa straordinaria, ma il mosaico complesso di una donna dalle mille vite. Durante l’incontro, nell’ambito del progetto “Giornaliste. Raccontare e fotografare il mondo”, Camilli ha raccontato Modotti con passione e intensità, intrecciando la narrazione storica con le immagini del suo viaggio personale a Città del Messico, sulle tracce della tomba ormai dimenticata di Tina. Lì, nel Panteón de Dolores, tra tombe in rovina, ha faticosamente ritrovato il luogo dove riposa colei che fu operaia, attrice, modella, fotografa, militante comunista e funzionaria politica. Una donna che, in soli 46 anni, ha attraversato quattro continenti senza mai perdere contatto con le proprie origini, anzi facendone motore della sua arte e militanza. “Descriverla solo come fotografa sarebbe riduttivo”, ha detto Camilli, e basta scorrere la sua biografia per capirlo.

Modotti – fotografa, attrice, militante comunista, amante, musa e pioniera – non ha mai vissuto una sola vita. Ne ha attraversate molte, come onde. Nata a Udine, figlia di un padre emigrato, ha iniziato a lavorare a tredici anni in una fabbrica tessile. Nel 1913 lasciò la madre in Italia per raggiungere il padre a San Francisco, attraversando l’Atlantico e chiudendosi alle spalle il Golfo di Napoli. Non mise mai più piede nella sua patria, che le fu preclusa a causa della sua attività politica. San Francisco, risorta dopo il terremoto del 1906, la accoglieva come città di rinascita. Qui Tina si inserisce subito nella comunità italiana e inizia a recitare per loro. Lavora come sarta, posa come modella, recita nei primi film muti: è il prologo di una metamorfosi. Nel 1918 sposa Roubaix de l’Abrie Richey, “Robo”, e con lui condivide il sogno di una vita d’artista, combattuta tra l’arte e la vita stessa: “C’è troppa arte nella mia vita”, scrisse, “e mi rimane poca creatività”. Si sposta a Los Angeles ed entra nello studio fotografico di Edward Weston, dove scopre il potere della luce e delle forme. Modotti ne diventa modella, assistente e amante. Quando Robo si trasferisce a Città del Messico, Tina lo raggiunge, portando con sé anche l’amate e maestro Weston. Una scelta difficile, che segna una frattura personale e morale: Weston ha moglie e figli, ma a proposito dice “sarei diventato veleno per me stesso e per gli altri, se fossi rimasto”. In Messico tutto cambia. Weston matura come artista e Tina impara a fotografare. Diventa autrice. Infatti bene presto passa dal ruolo di musa a quello di sguardo. Il suo è un occhio attento ai simboli nascosti nella realtà, ma soprattutto rivolto agli ultimi: contadini, donne, mani che lavorano. Il suo sguardo è quello di un’emigrata, di una donna che conosce la fatica e crede nel riscatto. Si lega al Partito Comunista Messicano, diventa amica di Frida Kahlo e pubblica per “El Machete” con  fotografie di  volti e corpi con uno stile nuovo, politico e poetico insieme. Dopo la morte di Weston si lega a Julio Mella, con il quale approfondisce l’interesse e la passione politica. Ma l’anno dopo, un colpo durissimo proprio il suo compagno Julio Antonio Mella- giovane rivoluzionario cubano-  il quale viene assassinato. Tina viene subito coinvolta mediaticamente: i giornali insinuano un delitto passionale, pubblicano sue foto di nudo, la trasformano da testimone a colpevole. È una distorsione tutta patriarcale: da militante a “femme fatale”, da artista a oggetto. La sua casa viene perquisita, i beni sequestrati, la dignità violata.

Dopo il processo, Tina si rifugia nel Sud del Messico, vicino al Chiapas. In una comunità matriarcale, torna alla fotografia, questa volta con un taglio etnografico e antropologico. Scatta immagini cariche di rispetto, curiosità e ascolto.

Ma la pace dura poco. Un attentato al presidente messicano la coinvolge indirettamente e le accuse ricadono nuovamente su di lei: è costretta a lasciare il Paese. Parte per l’Europa in pieno fermento prebellico, accompagnata dal comunista italiano Vittorio Vidali. Smette di fotografare. Scrive a Weston la sua decisione: ora è la militanza politica a chiamarla.. In Spagna partecipa alla guerra civile, poi torna in Messico nel 1939.  La città però è cambiata. Gli amici si sono dispersi, i sogni affievoliti. Muore sola, su un taxi, nel 1942. Morte naturale, dicono. Ma in pochi ci credono. Nemmeno Neruda:

Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome, quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra, col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo. Perché non muore il fuoco

Tina Modotti non è mai stata solo una fotografa. È stata un’idea in movimento, un corpo in lotta, uno sguardo che resiste. Oggi, anche dalla polvere, continua a parlarci. E non dorme. No, non dorme.

VALERIA ROMBOLA’

Carignano, “L’arte preziosa dell’acqua” in mostra

Nella Sala Mostre della Biblioteca Civica, ventinove artisti si confrontano con la tecnica dell’acquerello

Fino a domenica 25 maggio

Carignano (Torino)

“In questi bambini ci sono io”: c’è un velo di malcelata commozione negli occhi e in quelle poche parole di Luciano Spessot nell’indicarmi i due bimbi del suo “Giochiamo con Pinocchio”, che s’improvvisano “burattinai” muovendo i fili del loro “pupazzo” di legno dal lungo naso, attore improvvisato di un teatrino d’altri tempi. I tempi in cui “scorrazzavo – ancora Spessot – nella mia campagna friulana” e i giochi s’improvvisavano con poche cose (sassi, sabbia, cordini, foglie, un rimasuglio di legno o un ramo abbandonato a terra capace di trasformarsi in “fionda” o in rutilante “spada”) costruite da bimbi, fantasiosi “artigiani” e (perché no?) a loro modo “artisti”, quando ancora erano roba dell’altro mondo parole come socialvideotablet e manco si poteva immaginare di parlare un giorno della possibilità “marziana” dell’a-venire di un’“intelligenza artificiale”! Che bello rivedere in parete gli acquerelli delicati di Spessot, poetico narratore di “storie” d’altri tempi, inserito oggi fra i 29 artisti (circa 60 le opere) messi insieme nella panoramica di una collettiva interamente dedicata all’arte “non facile” dell’acquerello ed ospitata, fino a domenica 25 maggio, con il titolo de “L’arte preziosa dell’acqua”, nella “Sala Mostre” della “Biblioteca Civica” di Carignano.

Curata con la consueta e impegnata maestria da Elio Rabbione (che fa di parte del catalogo un’erudita esposizione della “storia dell’acquerello” dai primordi fino alla rivoluzione cinquecentesca di Durer per arrivare, attraverso la Scuola inglese e francese ottocentesca, fino ai giorni nostri), la rassegna “vuole essere un omaggio – sottolineano il sindaco di Carignano Giorgio Albertino e Miranda Feraudo, consigliere alla ‘Cultura’ – a una forma artistica che qualcuno, in passato come nella nostra epoca, ha forse privato di quel giusto riconoscimento che invece merita appieno, quale tecnica che ad ogni occasione esprime difficoltà nel dover mettere in primo piano l’immediatezza, la ricerca delle diverse intensità cromatiche e quella lunga, approfondita esperienza che è la cifra prima del valido artista”.

“Il flirt è l’acquerello dell’amore”: diceva bene lo scrittore e saggista francese Paul Bourget. Delicato, leggero, un mondo “ancora tutto da esplorare – s’è anche giustamente scritto – un po’ filosofico, dove s’impara a controllare ma anche a lasciare andare”. Dove il segno deve accordarsi in giusta trasparenza al colore, in un lieve narrato “dove l’acqua rende il risultato in parte imprevedibile e mai ripetibile”. Flirt, immediatezza di “trasporto amoroso”. E l’amore verrà, se … vorrà. Come nel caso del gruppone di artisti raccolti in mostra a Carignano, che vanno dall’indimenticato Guido Bertello con la sua trasognata parigina “Place du Palais Royal” al “perfetto” Roberto Andreoli con i suoi tre visi di donne dagli “sguardi precisi – annota Rabbione – difficili da dimenticare”, accanto ai liberi “primi piani” di Alessandra Berger e ai dolci “micini” di Ines Daniela Bertolino, mentre Lidia Bracciano immagina complessi scorci monregalesi accanto alla segusina Lia Laterza  che simbolicamente ci omaggia di “Memorie evocate” di una terra, la sua, fatta anche di non poche miserie mai del tutto rimosse.

Al paesaggio attingono anche le prove del rivolese Gianni Bombi, così come i “panorami piovosi” di Maurizio Rossi, il ricordo delle sue “betulle” di Luciana Pistone, la “storicità” dei luoghi di Teresio Pirra, gli intrepidi “Skyline” di Graziella Alessiato, insieme alle “personali ruvide carte” di Ezio Curletto, alle “acque” di luce vagamente “turneriana” di Giorgio Cestari contrapposte alle più grafiche spiagge di Gabriella Malfatti e all’aspra Sardegna di Marisa Manis. E ancora i lampioni, e i “ricami architettonici” dell’antica capitale sabauda di Paola Brencella, accompagnate dall’ombroso scorrere del “nostro” fiume di Dario Cornero, dalle “finestre e portoni segreti” di Cristina De Maria, dalle sfatte geometrie veneziane di Lidia Delloste e dalla pura poesia del bianco cigno che in acqua si fa largo lungo “cari percorsi antichi” di Sandro Lobalzo. Non mancano interessanti prove di astratta informalità con i rossi contrasti di “fuoco” di Giorgia Madonno e di Marina Monzeglio, accanto alle sfumate “maschere” di Rosella Porrati, agli aspri incalzanti blu accesi di Eleonora Tranfo e ai più blandi “primi raggi” di Magda Tardon. Per concludere con il “tema floreale”, perfetta messa alla prova per Mariarosa GaudeAnna Maria Palumbo e gioia per gli occhi davanti ai vividi tulipani e al “viola imponente” delle melanzane di Adelma Mapelli, fondatrice del “Museo dell’Acquerello” di Montà d’Alba.

Gianni Milani

“L’arte preziosa dell’acqua”

Sala Mostre – Biblioteca Civica, via Fricchieri 13, Carignano (Torino); tel. 011/9698481 o www.biblioteca@comune.carignano.to.it

Fino al 25 maggio

Orari: lun. – ven. 15/18; sab. 10/12 e 15/18

Nelle foto: Luciano Spessot “Giochiamo con Pinocchio”, 1987; Roberto Andreoli “Tre storie”, 2024; Guido Bertello “Place du Palais Royale”, 1956; Adelma Mapelli “Composizione in viola”, 1987

Arte e sacro, la chiesa di San Dalmazzo a Torino

In centro citta’ un gioiello molto antico

Dopo un lungo periodo di chiusura, e’ di nuovo possibile visitare la chiesa di San Dalmazzo, situata tra via Garibaldi, una volta via Dora Grossa, e via delle Orfane.

Costruita nel lontano 1271 e destinata all’assistenza dei pellegrini e alla cura degli infermi, nel tempo la sua struttura subi’ un consistente deterioramento e fu cosi’ che nel 1573, periodo in cui fu affidata ai frati Barnabiti, si decise per una riedificazione. Qualche anno dopo per volere del cardinale Gerolamo della Rovere fu nuovamente restaurata e decorata, anche grazie alle numerose donazioni dei Savoia mentre alla fine dell’800 furono ripresi ulteriormente i lavori che la riportarono al suo stile originario. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu bombardata riportando seri danni al tetto e agli infissi, il suo ultimo restauro risale al 1959.

L’esterno e’ l’unica parte rimasta in stile Barocco con i suoi pilastri di ordine corinzio, i finestroni da cui entra la luce e un timpano semicircolare che avvolge un prezioso affresco. La chiesa, di medie dimensioni, trova la sua bellezza, oltre che nei suoi sorprendenti interni in stile neogotico che catturano subito l’occhio del visitatore, ma anche nella superficie proporzionata che la rende accogliente e affascinante.

Al suo interno lo sfondo e’ quello tipico dello stile gotico caratterizzato dallo slancio verticale, da vetrate colorate, da stucchi, dipinti neo-bizantini di Enrico Reffo e dorature. L’elemento che attira legittimamente l’attenzione e’ la fonte battesimale originale ereditata dalla vecchia chiesa di San Dalmazzo Martire. La struttura e’ a tre navate decorate da edicole, il bellissimo pulpito incorniciato da mosaici e il ciborio a baldacchino.

Spesso la chiesa di San Dalmazzo si fa scenario di concerti di musica, dal gospel alla musica da camera, il prossimo appuntamento? Domenica 15 Dicembre 2024 ore 17:00 TORINO CHAMBER MUSIC FESTIVAL, vibrazioni all’interno di un contesto suggestivo e incantevole.

Per informazioni sugli eventi

www.diocesi.torino.it

Maria La Barbera

Malinpensa by La Telaccia chiude la stagione con Luisa Piccoli e Paola Dalla Pellegrina

Informazione promozionale

Si apre presso la galleria torinese Malinpensa by La Telaccia la mostra conclusiva della stagione 2024/2025, che sarà possibile visitare dal 9 al 21 maggio prossimo negli spazi di corso Inghilterra 51.

L’esposizione in realtà si articola in due mostre di due artiste, Luisa Piccoli, che presenta la mostra “Viaggio tra Emozioni e Umanità”, e Paola Dalla Pellegrina, con “Tra Terra, Acqua e Spirito”.
Luisa Piccoli, con un linguaggio di grande spessore umano, porta alla luce una figurazione di notevole tensione lirica e di poetica creatività che si distingue rilevante e personale. L’artista, che concepisce opere sulla condizione umana e sociale con profonda essenza emotiva, offre al fruitore vari e importanti spunti di riflessione sentimentale. Sono racconti di pura contemplazione che suscitano emozioni e che svolgono una funzione molto impegnativa e simbolica. Singolari cromatismi, fantasia di composizione e azione formale evidenziano nelle opere una ricchezza di valori pittorici notevoli, dove il gioco delle figure vive in perfetta simbiosi con i diversi materiali utilizzati dall’artista.

L’intera visione pittorica di Luisa Piccoli si presenta attraverso un’intensa spiritualità in cui sublimano pensieri, ricordi e valori di chiaro effetto emozionale e concettuale. I soggetti si avvalorano di uno stile unico che si riconosce pienamente e che si esprime con un linguaggio che comunica all’osservatore una libertà essenziale, che sa far pulsare l’opera di sentimento e di purezza dell’animo. È un’arte altamente psicologica che si anima di vita interiore e di una rielaborata scena universale del mondo, costantemente ritmata da una dinamica realistica e da uno stile ben definito. Luisa Piccoli indaga sia sull’esistenza sia sulle proprie emozioni, trasmettendo messaggi universali  di pace e amore. Le sue composizioni sono memorie pulsanti di simboli che scorrono inarrestabili e sempre più intensi nell’opera con fascino e poesia. Luisa Piccoli realizza una strutturazione fortemente originale dal grande impatto visivo che si libera in una consapevole interpretazione e in una tecnica personale autentica. Sono opere di evidente equilibrio dense di resa formale e di suggestivi accordi tonali da cui traspare l’interiorità e che si orientano verso tematiche di grande spessore contenutistico e analisi introspettiva. Esse piene di bravura esecutiva e di espressività. Vibranti accostamenti di collage vengono esaltati da un vigoroso aspetto della materia e conferiscono all’opera effetti dinamici capaci di esprimere un’energia vitale. Si sviluppano in uno spazio pittorico, ricco di sensibilità e di limpidezza dell’anima. L’artista Luisa Piccoli, sempre attenta ai particolari, indaga sull’identità dell’uomo in una dimensione spirituale profonda che vive  fondamentale all’interno del suo iter.

“Vibranti accostamenti di collage vengono esaltati da un vigoroso aspetto della materia – dichiara l’Art Director Monia Malinpensa – e creano all’opera effetti dinamici capaci di esprimere un’energia vitale”.

Luisa Piccoli è nata a Bisceglie, in provincia di Bari. Ha conseguito la maturità artistica e ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bari. Pittrice, scultrice, scrittrice, poeta e scenografa, docente di arte e immagine, viaggiatrice, ha trascorso la sua vita tra Bisceglie, Udine e Vienna. Ha allestito diverse mostre personali e collettive, e partecipato a molti concorsi con successo di pubblico e critica. Ha partecipato all’Expo Arte Internazionale di Innsbruck, selezionata alla Biennale d’Arte Internazionale a Montecarlo, è stata presente ad Arte Bergamo.

E’ una pittura, quella dell’artista Paola Dalla Pellegrina, di evidente introspezione psicologica,  ancorata ai veri valori di intima ricchezza umana e contenutistici, sempre condotta con potenza creativa e logica strutturale. La vibrante resa stilistica, la personalissima sintesi della forma e la grande comunicatività testimoniano una composizione moderna a dimostrazione di un risultato figurale di notevole carica interpretativa. Il tratto deciso, il colore vivido e incisivo, la stesura magistrale della tecnica mista ad acrilico e olio su tela trovano all’interno dell’opera una narrazione altamente simbolica di una sensibilità immediata.

 

L’artista Paola Dalla Pellegrina, affascinata dalla mitologia classica, realizza immagini con una fervida fantasia creativa, con un effetto scenografico e con una notevole sensibilità espressionistica. Il rapporto diretto con la natura e con la figura femminile, di spontanea bellezza e di viva interiorità, si trasforma in un linguaggio netto e personale dove lo stato d’animo è ben evidente nel suo iter. L’inventiva, la scansione cromatica e gli inconfondibili elementi formali e segnici definiscono originalmente le sue creazioni, evidenziandone la cifra stilistica. Il sicuro possesso della tecnica riconosce un impianto formale impegnato e studiato. Le lunghe chiome delle sue creature che si liberano in un suggestivo intreccio di linee e di forme sempre in movimento, vivono in una essenziale simbiosi con l’ambiente naturalistico che  le circondano. I toni brillanti e intensi dei blu e degli azzurri, che sono i colori prediletti dall’artista, evidenziano un modulo descrittivo altamente suggestivo, dove il gioco della luce e l’armonia timbrica palpitano di sensazioni e di sentimenti. Con estetica, rigore e sensibilità l’artista Paola Dalla Pellegrina riesce a trasmettere al fruitore un perfetto equilibrio sia disegnativo sia cromatico, in continua ascesa, che regala emozioni sempre diverse.

“Tra terra, acqua e spirito, l’estasi della natura, presenza significante  el suo percorso pittorico – commenta l’Art Director Monia Malinpensa – domina assoluta e si esalta di un linguaggio originale e di un’impronta personale”.

Paola Dalla Pellegrina è nata a San Bonifacio, in provincia di Verona. Ha intrapreso un percorso di studio del colore, della linea e delle tecniche da autodidatta, frequentando per un anno i corsi liberi dell’Accademia di Belle Arti di Verona. Sente un legame viscerale con la natura in tutte le sue forme e manifestazioni, soprattutto per gli elementi vegetali e per l’acqua. Dagli ambienti naturali trae forza ed energia, il rigoglio verde dell’estate la ritempra puntualmente. Sa perdersi e fantasticare sulla forma di una radice, di una foglia, di un fiore, e percepisce le piante come esseri silenziosi ma palpitanti, di una bellezza commovente e che nascondono significati da interpretare.

Mara Martellotta

“Hiroshige Utagawa. Lungo la via della Tokaido”, una riflessione per la società contemporanea

Alla galleria Salamon di Torino si è  aperta la mostra sull’importante artista giapponese

La mostra “Hiroshige Utagawa. Lungo la via della Tokaido” è ospitata presso la Galleria Elena Salamon Arte Moderna, che si affaccia sulla storica piazza IV Marzo dal 10 al 31 maggio prossimi. Si tratta di  un’esposizione che offre una rara opportunità di ammirare un prezioso nucleo di opere originali di questo raffinato incisore e pittore, figura di spicco della scuola ukiyo-e, l’arte della ‘pittura del mondo fluttuante’.

Hiroshige (1797-1858), con la sua sensibilità lirica e un’attenzione straordinaria al dettaglio naturale e atmosferico, ha immortalato un Giappone sospeso tra realtà e immaginazione,  trasfigurandolo in un paesaggio emotivo che avrebbe esercitato un fascino piuttosto duraturo sia in Oriente sia nell’Occidente impressionista.

Il focus della mostra è  rappresentato dalla Tokaido, l’arteria vitale che, nel periodo Edo, connetteva l’allora capitale Edo,l’odierna Tokyo, con Kyoto, lungo un percorso di oltre 500 km, scandito da 53 stazioni di posta. Per Hiroshige la Tokaido non aveva tanto la sola funzione di una semplice via commerciale o militare, ma diventava il nucleo di un viaggio simbolico che si dipanava attraverso il mutare delle stagioni, la varietà  dei climi, gli incontri fugaci e i silenzi contemplativi. Ogni stampa rappresenta una sosta, un frammento di vita, che si pone in perfetta sintonia con l’estetica giapponese del “mono no aware”, che indica la consapevolezza della caducità delle cose.

L’intera esposizione è introdotta da un’opera che ne definisce il tono. È la celeberrima “Shono Haku-i” La pioggia sferzante a Shono”, una delle stampe più iconiche della serie. Nell’opera viandanti colti da un violento e improvviso acquazzone accelerano il passo lungo il sentiero, protetti soltanto da leggeri mantelli di paglia.

Dalle linee diagonali della pioggia nasce un senso di movimento impetuoso e la composizione intera suggerisce la sensazione di umidità e di freddo dell’aria. Accanto a questa opera  sono presenti altre dieci preziose xilografie policrome, in eccellente stato di conservazione.  Ricordiamo “Yoshiwara, isole galleggianti nella palude del Fuji”, che offre un momento di pura contemplazione, con l’ampio orizzonte acquatico punteggiato da erbe, dalle risaie allagate che riflettono il profilo maestoso e al tempo stesso ieratico del monte Fuji.

La vibrante gioia dei colori primaverili esplode nell’opera “Cherry blossom Viewing at Asuka Hill”, una celebrazione sentita della tradizionale usanza dell’hanami, il rito del picnic conviviale sotto la delicata fioritura dei ciliegi.

“Allestire una mostra su Hiroshige – spiega la direttrice della galleria Elena Salamon- significa aprire una finestra tra due culture, due distinte concezioni del tempo e due modi profondamente diversi di osservare la natura che ci circonda. Portare la sua arte qui a Torino rappresenta un invito prezioso per rallentare il ritmo frenetico della nostra quotidianità”.

Mara Martellotta

Alle Ogr 50 gallerie per The Phair – Photo Art Fair 2025

In occasione del mese della fotografia a Torino, torna alle OGR Torino la VI edizione di The Phair | Photo Art Fair, l’evento imperdibile dedicato all’incontro tra fotografia e arte contemporanea.

Da venerdì 9 a domenica 11 maggio 2025, le OGR Torino accolgono 50 gallerie provenienti dall’Italia e da tutta Europa in un percorso visivo che unisce maestri affermati e nuovi talenti. Un viaggio immersivo nel linguaggio dell’immagine, tra progetti curatoriali d’autore, opere inedite e sperimentazioni.

Partecipare a The Phair significa immergersi in un ambiente creativo e stimolante, esplorare le nuove tendenze della fotografia contemporanea, incontrare artisti, curatori, galleristi e professionisti del settore. Un’occasione per lasciarsi ispirare, riflettere sul presente e scoprire le infinite possibilità della fotografia oggi.

The Phair si rivolge ad alcune delle più prestigiose gallerie d’arte contemporanea – e non necessariamente solo a quelle specializzate in fotografia – che, in occasione della fiera, presentano dei progetti artistici legati al tema dell’immagine e opere create con materiale fotografico o video.​

Un’attenta scelta curatoriale garantisce la selezione di una proposta organica non suddivisa in temi e sezioni ma come un’unica esperienza espositiva; spazi espositivi uguali per tutti garantiscono un allestimento sartoriale, fornendo nuove modalità di fruizione, conoscenza e valorizzazione delle opere proposte.

 

9 – 11 maggio 2025
Sala Fucine | OGR Torino
H 12 – 21
Ultimo accesso ore 20.30

 

I biglietti sono acquistabili online e in loco durante gli orari di apertura della manifestazione.

 

APERTURE PROLUNGATE DELLE MOSTRE ALLE OGR TORINO
In occasione di The Phair, le mostre Macchine del Tempo. Il viaggio nell’Universo inizia da te e Almost Real. From Trace to Simulation saranno aperte con i seguenti orari:
Venerdì 9 maggio | H 18 – 22
Sabato 10 maggio | H 10 – 21
Domenica 11 maggio | H 10 – 21

 

BIGLIETTI

 

Intero: 15€
Ridotto Speciale: 10€
(Abbonamento Musei Piemonte – Lombardia, Valle d’Aosta, Torino + Piemonte Card, Rinascente Card, CartaEffe Feltrinelli)
Ridotto: 8€
(Studenti universitari under 26, ragazzi 14 – 18 anni, accompagnatore disabile)
Gratuito:
(Bambini fino a 14 anni, disabili)

 

Biglietti disponibili su Vivaticket

“Il Cortile delle Arti”, nel cuore di Torino, apre nuovamente le sue porte al pubblico

“Il Cortile delle Arti”, nel cuore di Torino, apre nuovamente le sue porte al pubblico, sabato 10 maggio 2025 per l’iniziativa “El Pugiöl – Spazio d’arte condiviso”; un luogo suggestivo in via Vanchiglia 16 a Torino con ben sette studi d’artista, una galleria d’arte e due laboratori artigianali. Negli anni ’20 in un proliferare di botteghe, nuove fabbriche e nascenti industrie si installa proprio lì la Fabbrica di Forniture per Ombrelli e Berretti della ditta di famiglia Ambrogio Merzagora/Mapelli, l’unica in Italia di questa tipologia di manifattura.

Il Merzagora, essendo lo zio materno di Giovanni Mapelli che a quel tempo aveva un negozio di cappelleria “esclusiva Borsalino” a Carmagnola, decide di offrire al nipote l’opportunità di collaborare nella sua fabbrica e non avendo figli lasciargliela in eredità, ma i bombardamenti della Seconda Guerra mondiale distruggono l’edificio e decretano la fine della fabbrica. Negli anni ’50 iniziano poi i lavori di ricostruzione per trasformare questi spazi in abitazioni civili, e la pittrice Adelma Mapelli che nel 1974 affitta l’ex portineria dello stabile per far nascere il suo studio di pittura, si prodiga con tanta passione e tenacia nel trasformare queste in atelier d’arte. Così poco per volta riesce a far confluire nel cortile artisti torinesi e non solo che prendono possesso degli spazi per finalmente creare questo affascinante e curioso “scrigno” di cultura e talenti.

L’ideatrice del progetto Adelma Maspelli nel corso della giornata di sabato, dalle ore 16 alle 23, organizza un incontro aperto a tutti di pittura dal vivo con tecniche a confronto insieme ad altri artisti e nel suo atelier si potrà anche visitare la mostra – fotografica “Torino a colori” di Silvia Finetti. Julien Cachki presenta invece la performance “Frammenti di opere a Profusione” nel corso della quale verranno frammentate 5 opere di grandi dimensioni in orari casuali e inattesi.

Per ogni performance una tela verrà geometricamente frammentata in 36 pezzi uguali e per volontà dell’artista se ne vedranno davvero delle belle… Hangar studio presenta invece “Madre”, una mostra di Claudio Cravero che insieme a Giampiero Trivisano realizzerà ritratti fotografici al pubblico con un set predisposto all’interno del locale. Inoltre, sul “Pugiöl”, il cosiddetto “ballatoio”, verranno esposte 20 gigantografie di ritratti fotografici ironici dello stesso Cravero scattati ai commercianti di via Vanchiglia.

Lo studio di Francesco Di Lernia ospita i lavori degli allievi dell’atelier “Paesaggi”, mentre in quello di Paola Gandini si potranno ammirare le sue vetrofusioni oniriche ed in quello di Mary Rigo le opere del progetto “Consumo di Suolo”, lavori ad olio su tela nei quali sarà possibile osservare la percentuale di suolo consumato nelle diverse regioni italiane. Alla Galleria “Febo & Dafne” invece viene inaugurata la mostra collettiva di fotografia: “Verità nascoste” che proseguirà fino al 14 giugno. L’intrattenimento musicale nel corso di tutto l’evento è assicurato da Giacomo Cornelio alla voce e Francesco Partipilo al sax.

IGINO MACAGNO

Al Museo MIIT triplice mostra degli artisti Forgione, Vitale e Rinaldi

“A quasi quindici anni dalla mia prima personale – spiega il maestro Enzo Forgione – sento la necessità di documentare il mio percorso artistico e l’evoluzione della ricerca pittorica che si è sviluppata negli anni. Il mio lavoro è articolato su diverse serie ed è essenzialmente incentrato su oggetti botanici e floreali. Le serie ne mostrano chiaramente l’evoluzione sia nella padronanza delle tecniche pittoriche, sia nel mettere a fuoco e trattare tematiche e interessi a me cari, come la botanica e la percezione visiva, che sono riuscito a coniugare e esprimere a pieno nella serie che ho chiamato ‘Narciso’. Sono sempre stato affascinato dagli aspetti della percezione visiva focalizzati sui ‘pattern’: insieme di linee, forme e strutture, che sono ovunque intorno a noi, sia nelle geometrie del nostro urbano quotidiano, sia soprattutto nell’apparente disordine della natura.

Definisco la mia pittura di oggi figurativa di stile ‘realista’; durante gli anni ho voluto fortemente allontanarmi dagli stilemi del ‘freddo’ iperrealismo, che caratterizzavano le mie prime opere, per avvicinarmi a una pittura più calda e coinvolgente e credo di essere riuscito nel mio intento. Lavoro prevalentemente a olio su tela, lino o su carta. La tecnica che uso ricorda quella detta ‘alla prima’, un approccio pittorico consistente nell’ottenere tutti gli effetti tonali e cromatici quando il colore è ancora fresco, con la differenza che il dipinto non viene completato in una singola sessione di lavoro”.

Il tempo, lo spazio, la natura, il progresso, la società, il dinamismo dell’esistenza e tutta l’esperienza della vita vibra nelle opere di Tommaso Vitale, maestro eclettico che, nel corso della sua carriera, ha sperimentato tecniche, materiali, stili, in una coerenza di linguaggio ed espressione mirabile e affascinante. Pittura, scultura, fotografia, installazioni rappresentano la sua palestra creativa in cui allenare genialità e personalità, raggiungendo risultati importanti nel mondo dell’arte contemporanea internazionale. Il Museo MIIT è quindi orgoglioso di presentare questa sua personale dal titolo ‘Remake’, una sorta d rivisitazione del suo percorso, quasi un riassunto essenziale, esistenziale ed estetico dell’anima dell’artista. Maurizio Vitale trascorre gran parte della sua giovinezza con Tommaso, nonno paterno, il quale gli trasmette la passione per l’arte e l’architettura. Altra figura sempre presente e fondamentale per la crescita artistica del giovane è nonno Pietro, tipografo amante dell’arte e collezionista. La sua passione artistica è sempre stata molto forte anche negli anni di studi all’istituto tecnico; a conferma di questo, gli ottimi voti e la volontà di seguire nel pomeriggio lezioni di storia dell’arte. Molto forte anche l’amore per i viaggi: spesso viaggia insieme a papà Benito per lavoro, sostando a Roma, il cui fervore storico-artistico ha sempre affascinato molto il giovane Tommaso. Negli anni ’80 si iscrive alla facoltà di Agraria dell’Università degli studi di Bari (che abbandona dopo non molto tempo), frequentando autonomamente lezioni in lingua inglese. Informato sul panorama artistico locale, partecipa a numerosi vernissage di mostre d’arte, dove conosce Graziella, insegnante calabrese che sposa nel 1991. Insieme adottano Alexandra, una bimba bielorussa. Lavorando nel settore della viabilità come geometra statale, non ha mai abbandonato il suo amore per l’arte e per i viaggi. Dalla fine degli anni ’90 partecipa attivamente a mostre d’arte, concorsi e fiere, vendendo opere e vincendo premi.

La mostra di Luigia Rinaldi si articola su varie serie pittoriche e fotografiche. Dalla serie dei Capperai ai dipinti ispirati ai muretti a secco della Liguria e agli ulivi secolari, fino ai vari personaggi politici e della società contemporanea che sono saliti alla ribalta delle cronache per le loro vicende spesso drammatiche. Volti di isolani e maltrattati dalla storia costituiscono  il tema di questa esposizione che unisce le varie anime di Luigia Rinaldi. Il lavoro dell’artista è caratterizzato da una pittura di intensa espressività e ritmo tonale, dopo aver iniziato, negli anni Settanta, dalla sperimentazione fotografica, a sottolineare una volta di più il rapporto stretto, complice, e talvolta oppositivo tra due tecniche che nascono con l’obiettivo di rappresentare la realtà. In un’epoca di ridefinizione dei generi la pittura mantiene la sua centralità riuscendo, nei casi migliori, a rinnovarsi da un punto di vista iconografico, quindi conservando quella caratteristica che le è propria, implicita nel concetto di “teknè”, di tirocinio artigianale visto in una dimensione di sublimazione dell’agire artistico, con modalità attente e riflessive, abbinando a questa antica vocazione la capacità di osservare con occhio partecipe, e disincantato al tempo stesso, l’esistente, decontestualizzandolo dalla sua effimera contingenza materiale, per dargli forma nella dimensione del simbolo.

Museo MIIT Italia Arte di Guido Folco – Corso Cairoli 4, Torino

Telefono: 011 8129776

Mara Martellotta

“Figure-miraggi domestici. Pittori a Torino 1900-1960”

Il gallerista Gian Enzo Sperone inaugura il 7 maggio, alle ore 19, presso lo Spazio Ersel di piazza Solferino 11

Si inaugura il 7 maggio, alle 19, presso lo Spazio Ersel di piazza Solferino 11, a Torino, la mostra voluta e curata dal gallerista Gian Enzo Sperone dal titolo “Figure- miraggi domestici. Pittori a Torino 1900-1960). La mostra rimarrà aperta al pubblico dall’8 al 30 maggio prossimo. L’esposizione è divisa per temi, come dimostra la sala dedicata alle opere dei futuristi, che rappresentavano un gruppo unito, e comprende 120 opere di 42 artisti, tutti protagonisti della Torino del 1900 fino al 1960, opere prestate dallo stesso collezionista, anche se provenienti per la maggior parte da collezionisti privati. Per Sperone era necessario fare una carrellata il più completa possibile di quegli artisti che hanno dominato sessant’anni di pittura del Novecento italiano, prima dell’avvento dell’arte povera e concettuale che, secondo lui, ha oscurato la bellezza della pittura. Tra gli artisti in mostra compaiono Spazzapan, Mario Merz, Carlo Levi, Mastroianni, Balla e Carol Rama, quest’ultima già protagonista di una personale in corso presso la Fondazione Accorsi Ometto di via Po.

Dopo l’apprendistato alla galleria Galatea e la direzione della galleria Il Punto, nel maggio del 1964 Gian Enzo Sperone apre un suo spazio in via Cesare Battisti 15 angolo via Carlo Alberto. Fin dalla mostra inaugurale con Rotella, Mondino, Pistoletto, Lichtenstein, la galleria Sperone assume un profilo votato alle sperimentazioni del presente. Grazie all’appoggio di Leo Castello e Ileana Sonnabend ospita i principali rappresentanti della pop art, da Robert Rauschenberg a James Rosenquist, nel 1964. Da Warhol a Jim Dine, nel 1965, a Tom Wesselmann nel 1967. La mostra personale di Pino Pascali, con le finte armi da guerra nel gennaio del 1966 e quella intitolata “Arte abitabile” con opere del Pistoletto, Piero Gilardi e Gianni Piacentino nell’estate del 1966, manifestano un precoce orientamento verso un’arte di carattere installativo, confermato dalla mostra “Con/Temp/L’Azione”, tenuta nel dicembre 1967 insieme alle gallerie Stein e il Punto. Nel settembre 1969 la personale di Carl Andre inaugura la nuova sede di corso San Maurizio 27, ricavata da un edificio industriale di 400 mq e gestita con Pierluigi Pero. Parallelamente Sperone collabora con il fotografo Paolo Mussat Sartor e intraprende un’attività editoriale finalizzata alla pubblicazione di libri d’artista. Con il decennio degli anni Settanta si lega professionalmente a Conrad Fischer e, nel novembre del 1972, aprono insieme una galleria a Roma, in piazza Santi Apostoli, con una mostra di Gilbert & George, fondando nel 1974, con Angela Westwater, una succursale newyorchese tuttora attiva. Da metà degli anni Settanta, fino alla chiusura torinese del 1981, Sperone si riavvicina alla pittura figurativa con mostre su Sandro Chia, Carlo Maria Mariani, Enzo Cucchi e Francesco Clemente.

Mara Martellotta