Quelle “Arcane Fantasie” di Marino Marini in mostra al “Forte di Bard”
Fino al 3 novembre
Bard (Aosta)
Non un “artista fuori dalla storia”, come spesso la semplicistica “mitologia” creatasi intorno alla sua figura (di “artista-vasaio”, “etrusco rinato” o “primitivo toscano che si scopre moderno suo malgrado”) ha teso a regalarci nel tempo, ma, al contrario, artista raffinato e di grande solida personalità in costante, consapevole e voluto raffronto con la scultura europea del Novecento, assimilata e fatta propria senza mai perder di vista la scultura antica – quella etrusca ed egizia, in particolare – che per lui fu oggetto di appassionata ispirazione e stimolo creativo. Riesce bene nel riportarci alle giuste e corrette dimensioni di chi fu fra i più importanti artisti italiani del XX secolo, la mostra ospitata, fino a domenica 3 novembre, al “Forte di Bard” (“Sala delle Cannoniere”) e dedicata a Marino Marini (Pistoia, 1901 – Viareggio, 1980). Saggiamente titolata “Arcane Fantasie” e promossa dal “Forte”, sotto la curatela di Sergio Risaliti – direttore del fiorentino “Museo del Novecento” – in collaborazione con “24 Ore Cultura” e “Museo Marini” di Firenze (cui si deve la gran parte dei prestiti) la rassegna si articola in ben 23 sculture e 39 opere su tela e carta.
In esse ritroviamo tutto il suo mondo di cavalli e cavalieri, quel mondo arcaico e solido (ispirato all’artista, pare, dal “Cavaliere di pietra” del Duomo di Bamberga, in Germania, e dalla scultura fiorentina del Quattrocento così come dalla “plastica” etrusca, non meno che dai grandi esempi della “Scuola del Verrocchio”), trasformato in un immobile abbraccio di forme indivisibili fra cavaliere e cavallo, in cui “c’è tutta la storia – diceva lo stesso artista – dell’umanità e della natura”. E accanto a cavalli e a cavalieri, i suoi guerrieri e le sue antiche divinità, il circo con giocolieri e danzatrici. E le sue mirabili, inconfondibili, prosperose ed accoglienti “Pomone”, scolpite in bronzo a tutto tondo, prive di braccia – concepite in un effetto “distorsivo e deformante” in cui si palesa l’influenza dell’amico scultore inglese Henry Moore – e rappresentanti l’antica dea della “fertilità” per gli Etruschi, divenuta nell’antica Roma protettrice dei frutti e per questo solitamente raffigurata con una mela in mano.
Il pezzo di maggior prestigio allocato in mostra è sicuramente “Gentiluomo a cavallo”, scultura in bronzo datata 1937 ed arrivata a Bard su prestito della “Camera dei Deputati”, dov’è solitamente esposta proprio all’ingresso principale di Montecitorio, di fronte al Cortile d’Onore. Dopo aver seguito i corsi di pittura di Galileo Chini, all’“Accademia di Belle Arti” di Firenze, Marini si avvicina alla scultura nel 1922 (riprenderà a dipingere solo negli anni ’50), sotto la guida di Domenico Trentacoste, sempre presso l’“Accademia” fiorentina. Nel 1926 apre un suo studio in via degli Artisti a Firenze, dove inizia a portare avanti, sviluppandolo a seconda del mutare dei tempi e degli eventi socio-politici internazionali, un suo personalissimo stile legato a cifre narrative rivolte ad una ben precisa sensibilità moderna mai disgiunta dal gusto fedele alla tradizione. Fra i tanti incontri importanti, quello con Arturo Martini, che, nel ’29, lo chiamerà a succedergli all’insegnamento all’“I.S.I.A. – Istituto Superiore per le Industrie Artistiche”, alla Villa Reale di Monza. La sua prima personale, a Milano, è del 1932. Nel 1935 vince il primo Premio per la Scultura alla “Quadriennale di Roma”. Sono questi gli anni in cui Marini circoscrive la sua ricerca artistica a due tematiche essenziali: il “cavaliere” e la “Pomona”. “Protagonista a suo modo – sottolinea Risaliti – delle ‘avanguardie’, Marino Marini seppe intuire che la scoperta del primordiale, del primitivo era la via necessaria per superare la crisi dei valori formali e spirituali della sua epoca”. Una sorta di benefica “sacralità” dell’arte arcaica, profondamente turbata, anni dopo, dalla tragicità degli eventi bellici.
Il secondo dopoguerra, infatti, inficerà l’immobile, silenziosa stabilità delle sue figure, per scarnificarle e deformarle in una forte tensione espressionista che andrà a coinvolgere anche la sua pittura, attraverso dettati cromatici più vigorosi e forme chiamate ad evocare, più che a descrivere. Del resto “come nell’amore – diceva Marini – nell’arte non si può spiegare tutto, certe parti rimangono nell’ombra luminosa del mistero”. “Quel mistero – scriveva concorde il grande amico Moore – che dovrebbe avanzare pretese nei confronti dello spettatore”. Pretese spesse ignorate. Avidi, come siamo, di scrutare (magari di sfuggita) solo con gli occhi, piuttosto che con la più tenace e sensibile guida del cuore.
Gianni Milani
“Marino Marini. Arcane Fantasie”
Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it
Fino al 3 novembre
Orari: mart. – ven. 10/18; sab. – dom. e festivi 10/19. Lunedì chiuso
Nelle foto: Marino Marini: immagini allestimento e “Gentiluomo a cavallo”, bronzo, 1937