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Al via la quarta edizione di MADE IN di Artissima

Artissima annuncia la quarta edizione di MADE IN, progetto ideato e realizzato dal 2022 con il sostegno della Camera di Commercio di Torino e lancia l’open call per la selezione dei quattro artisti che avranno la possibilità di collaborare con le aziende del territorio partner di quest’anno che sono la Blue Engineering, Ferrino, Galup e Oscalito 1936.
Il progetto nasce per valorizzare le nuove forme di espressione artistica e promuovere idee capaci di ispirare l’ecosistema economico e produttivo del territorio che accoglie Artissima.
MADE IN nasce dalla convinzione che il know-how aziendale e i processi produttivi specializzati possano diventare preziose risorse per la creazione di un’opera d’arte.

I quattro giovani artisti selezionati lavoreranno all’interno delle quattro realtà aziendali piemontesi, entrando in contatto diretto con competenze tecnologiche e operative che potranno integrare nella propria ricerca.
La residenza culminerà nella produzione di quattro opere inedite, che verranno presentate ad Artissima 2026. La curatela del progetto è affidata per il quarto anno consecutivo a Sonia Belfiore, founder di Ultravioletto, arte+impresa.
Gli artisti saranno affiancati inoltre da quattro prestigiose gallerie torinesi del circuito di Artissima, che accompagneranno lo sviluppo dei progetti in qualità di madrine progettuali.
Sono la Luce Gallery, Mazzoleni, Franco Noero e Simóndi Gallery.
La permanenza in azienda avrà una durata variabile a seconda delle esigenze del progetto e ogni artista potrà così calendarizzare il proprio lavoro in momenti diversi e con flessibilità.
Con la guida del team di Artissima e di Sonia Belfiore, ogni artista potrà usufruire in azienda delle lavorazioni, del materiale, della manodopera e di quanto concordato a monte del progetto.

Artissima, grazie al sostegno della Camera di Commercio di Torino, metterà a disposizione di ciascun artista un budget di tremila euro destinato all’hospitability, tra cui viaggi, pernottamento e vitto in partnership con COMBO, ostello di nuova generazione.
Per la produzione viene messo a disposizione un budget  di 2500 euro per ogni artista.
Nelle tre precedenti edizioni avevano partecipato le aziende Carioca, Pattern Group, Prima Industrie e  Mattioli nel 2023. Nel 2024 Kristina Ti, Guido Gobino, dottor Gallina e Pininfarina Architecture.
Lo scorso anno le aziende che hanno preso parte a questo progetto sono state Azimut Yachts, Sabelt, Manifattura Tessile Dinole e Xerjoff.

Mara Martellotta

Tendenze da tenere sott’occhio, arrivano da una nuova cultura cinese

Fino al 10 gennaio, nel “Cortile Lagrange” (Palazzo Cavour)

Presentando una mostra – “Cina. La nuova frontiera dell’arte” – da lui curata negli spazi della Fabbrica del Vapore a Milano un paio di anni fa, Vincenzo Sanfo usava il termine “repentina” a indicare la “comparsa dell’arte cinese contemporanea”, interessante fenomeno artistico posto tra il trascorso e l’attuale secolo. Parlava di “sconvolgimento”, di un sovvertimento da parte della cultura e di un paese, “remoto, distante, misterioso”, nei confronti di linee da sempre consolidate, nei luoghi della storia, del sociale, dell’economia: un movimento tellurico che dai primi anni Ottanta veniva, chiaramente, a coinvolgere altrettanto il mondo artistico e culturale. “Improvvisamente tutto ciò che accade in Cina riguarda anche noi, direttamente o indirettamente. Piaccia o non piaccia, questa è la realtà di un futuro che ci riguarda sempre più da vicino e che non si può ignorare.” Il mondo dell’arte offriva su un nuovo palcoscenico, tra gli altri, i nomi nuovi di Xiao Lu, approdato al Guggenheim di New York o di Song Yon Ping, le cui opere sono oggi ospitate al Moma e al Paul Getty Museum. Interessi visti sotto una nuova luce, approfondimenti sino a quei momenti sconosciuti, la volontà (unita a una qualche dose di furbizia) di guardare al mondo Pop che, in loco, non si negava una certa “critica verso la classe politica dell’epoca, oltre a irridere la degenerazione dei comportamenti di una nascente società consumistica.”

Dietro queste premesse, sarà interessante visitare questo recente panorama, ospitante altresì nomi della più recente generazione, che Sanfo ha allestito nel Cortile Lagrange – Galleria delle Arti (a palazzo Cavour, via Lagrange 27, orari dal martedì al sabato dalle 10,30 alle 18,30, sino al 10 gennaio) per la mostra “Cina. Capolavori per un nuovo collezionismo”. Non so se l’occhio (antico) europeo li vorrà già definire capolavori, certo linguaggi diversi, innovativi e colmi di creatività, tendenze a molti fino a oggi sconosciute, ormai imperiose, anche investimenti in considerazione delle quotazioni eccellenti acquistate nelle aste internazionali. Una mostra che può rivelarsi di diritto un’occasione unica nel panorama artistico delle festività natalizie torinesi, un momento di confronto ragguardevole e da apprezzare, la scoperta di un territorio inesplorato ma di certo affascinante.

Quattro principali artisti, accomunati per lo meno dalla curiosità che coinvolge chi guarda, Xing Junqin, un ex militare che porta sfacciatamente e al colmo dell’ironia Duchamp tra due soldati in tuta mimetica intenti in un puro bisogno fisiologico (“The romance of Duchamp story”, 2006) o che sa costruire con estrema precisione, nel fitto degli alberi ricchi di fogliame, tra tinte verdi e marroni che riprendono l’abbigliamento militare, il suo “Paesaggio camouflage” (2006), elementi coraggiosi di grande impatto visivo. Zhang Hong Mei mette in campo preziosi “mental landscape” (2016), tessuti incollati su tela, accenni, stralci di paesaggi, macchie rivisitate brillantemente a creare scogli, angoli di mare, vele, miscelatura di materiali dove il colore s’impone, vivissimo, vissuto in piena libertà, tra pieni e improvvisi vuoti, come quello del 2017, un territorio che si frantuma, poco a poco, forse quello nordamericano, una deriva e una sparizione a due passi da noi. Soltanto nella mente? Per l’artista la pittura è anche capace di un ulteriore gioco, irreale, che si manifesta in un minuscolo “albero della fortuna” (2025), usando multicolori, giallo rosso verde, tessuti su fili d’acciaio. Come simili tessuti possono anche essere incollati sul bronzo e dare vita a curiose figure di dei o eroi, che non conosciamo. Xu De Qi realizza coloratissime e moderne figure di ragazze, selvagge e rampanti, pronte a imporsi, padrone di sé, vuoi che affrontino il mondo protette da una nera pantera, anch’esse aggressive (“Beauty and the beast”, 2019) o in discesa da un battello, fasciata da hotpants e canottierona a righe verdi e nere, questa volta avendo alle spalle la presenza di un non certo meno pericoloso felide (stesso titolo, 2024). Ancora l’iperrealismo di Luo Zhiyi, intenso e prezioso di tecnica, nella continua ricerca di particolari che certo affascinano. Senza contare le operazioni di autori quali l’ormai acclamato Ai Weiwei, tra tappezzerie e ceramiche dipinte a mano, o di Wu Dewu con la sua “Butterfly”, luminescente tra angosciosi omini in nero, o Ma Fengyun che regala tre ritratti in stampa digitale su tela di altrettante bizzarre ma impagabili vegliarde che valgono da sole una visita.

Elio Rabbione

Nelle immagini, alcune opere degli artisti cinesi esposti in mostra.

“Una stanza tutta per me” in mostra al “MIIT”

Dieci artiste/i di gran “vaglia” e un suggestivo omaggio all’indimenticato Maestro Gianni Sesia della Merla

Fino al 22 dicembre e, ancora, dal 7 al 15 gennaio 2026

“Una stanza tutta per me”: titolo che ci riporta (senza sotterranei intenti narrativi) alla celebre “Stanza tutta per sé” di Virginia Wolf e mostra da non perdere, almeno per due motivi: la qualità mediamente più che alta delle opere esposte, in tutto una sessantina firmate da 10 artiste/i e, ancora, per la caratteristica (quasi da “mission impossibile”) di articolare quella che, senza tanti rompicapo, poteva presentarsi come semplice “collettiva” in una serie, studiata al millesimo, di 10 mini-personali. Merito– giusto ricordarlo – della capacità organizzativa di un instancabile “curatore”, qual è l’amico, Elio Rabbione. In buona compagnia con un gallerista come Guido Folco, da anni alla guida del “MIIT-Museo Internazionale Italia Arte” (corso Cairoli, 4), dove la mostra in oggetto sarà visitabile fino a lunedì 22 dicembre e, dopo una breve pausa natalizia (anche opere e artisti ne han ben donde!) da mercoledì 7 a giovedì 15 gennaio (Orari: da mart. a ven. 15,30/19,30 – sab. 10/12,30 e 15,30/19,30 – dom. 10/12,30).

 

Strana sensazione all’uscita! L’impressione è quella d’aver visitato, di “galleria” in “galleria”, un numero impressionante di mostre. Personalmente, al termine della visita, ho imboccato corso Cairoli portandomi appiccicati agli occhi, non meno che al cuore i grandi, portentosi “Ritratti” della brava Andreina Bertolini. Mestiere da vendere, non meno che capacità di fare dei volti umani (femminei, in particolare) strumenti di toccante poesia e forza emotiva. Volti raccolti e contrassegnati da diverse forze e qualità di colore (oltre che da una marcata gestualità d’impronta espressionistica) nelle loro vaganti “Stagioni della vita” o in quei suoi “Legami” dove le due attempate sorelle – gemelle dagli occhi cerulei (mi sono tornate alla mente le povere Gemelle Kessler!) appaiono legate da un “filo dorato”, “cordone ombelicale” inscindibile, segno della loro eterna inseparabilità.

E poi, che dolce incontro quello con Anna Maria Palumbo (presente, deliziosa all’inaugurazione), con i suoi dipinti; acquerelli di un’infinita aggraziata lievità accanto ai suoi oli, agli acrilici e alle tempere di più robusta matrice cromatica in quel complesso intrecciarsi di boschi fogliame e fiori, dove può anche far breccia, per un birichino saluto, il vispo musetto di un micio in cerca di coccole. Un sorriso, ed eccoci fuori dal mondo reale con le “favole antiche” (“Fantasmagorie”) del biellese Fabio Cappelli“Ritratti ricavati da una Storia antica e stralunata”“personaggi improbabili”, di una certosina grafia segnica, “strampalati” nel prezioso minuto gioco di sovrapposizioni e intromissioni figurali capaci di farti emergere perfino (ed è pure poco) un “castello turrito” dal crine impreziosito di una nobil dama d’altri tempi.

Altra storia, i pastelli e le sculture (forte il richiamo alla “spazialità” fontaniana o alle “prime cavità” di Henry Moore) di Romilda Cuniberto, con le sue informali, pesanti “circolarità”, mentre con Lidia Delloste ritorna la leggerezza e l’immediata trasparenza dell’acquerello, tecnica praticata dall’artista ad altissimi livelli. Nelle sue opere, leggiamo la quotidianità delle cose, gli umili oggetti di un “mondo antico” che sono sempre stati lì, che ti parlano di infanzia, della “ricerca di un tempo perduto” ormai imprendibile. Dal mondo professionale della medicina arriva, invece, Franco Gioia, da sempre appassionato e attualmente praticante a tempo pieno di pittura. Amante del colore, Gioia passa (spesso accompagnato dai piacevoli versi della moglie Anna) dai più rari toni morbidi di paesaggi esotici, ai rossi e ai verdi accesi del “Giardino di Manu” e dei “Papaveri a Castiglione”, per esplodere senza riserve nelle sue ingombranti fantasiose “mongolfiere”, a bordo delle quali librarsi per “toccare il cielo con un dito”. Diplomata in “Scenografia” presso l’“Accademia Albertina”, Marina Monzeglio dà prova di sbizzarrirsi, con esiti di notevole interesse, fra acquerelli “ricchi, opulenti e dorati” e “vetri” dalla forma circolare e sinuosa, in cui esplodono quieti, piacevoli richiami al mondo “Liberty”.

In linea d’arrivo, gli oli intensi, dal segno netto e dai colori accesi della carmagnolese Angela Panero, che ci parla di terre lontane, con storie di donne e uomini prigionieri da sempre di lavori e fatiche ataviche; a seguire, l’assordante visionarietà (“metafore universali”) della “pouring art” o “fluid art” di Luciana Pistone, per finire con i silenti scorci urbani, assordanti nel loro “nulla”, di Margherita Vaschetti“perfetti campi cinematografici all’Antonioni”, mi sussurra il Rabbione, saggio critico cinematografico oltre che d’arte. Ed è proprio a lui che affido la toccante descrizione dell’ultima stanza “tutta per sé” (26 dipinti in parete), omaggio, a due anni dalla scomparsa, all’indimenticato Gianni Sesia della Merla“Con l’aiuto delle figlie Rossana e Barbara, ho voluto rendere un omaggio, a quel grande artista e amico, che è stato Sesia della Merla, al tocco magico che usciva dalla sua tavolozza, ai paesaggi e alle ambientazioni, alla natura e ai vasti mercati orientaleggianti scoperti durante i viaggi, ma anche ai consigli, alle nostre chiacchierate pomeridiane, lui seduto sul divano di casa e io lì ad ascoltare il racconto di mondi che ancora adesso mi porto dentro”.

Gianni Milani

Nelle foto: Andreina Bertolini “Le due sorelle”, acquerello su tela”, 2025; Anna Maria Palumbo “Il gatto si affaccia”, olio su cartone telato, 2006; Fabio Cappelli “Personaggio improbabile 6”, tempera su carta, 2020; Lidia Delloste  “Tazzone e lumino”, acquerello su carta, 2006; Gianni Sesia della Merla “Fuori le mura di Marrakesh”, tecnica mista, 1981

Superare la realtà, tra acquerelli e disegni

Alla galleria Fogliato sino al 24 gennaio

Di origini astigiane, la sua scuola è stata l’Accademia Albertina di Torino, i suoi maestri Enrico Paulucci, Mario Davico, Mario Calandri e Francesco Franco, sue importanti mostre negli anni a Torino e Milano, a Firenze Bologna e Acqui Terme. Anna Lequio è ospite sino al prossimo 24 gennaio della galleria Fogliato di via Mazzini con la mostra “Acquerelli e disegni”, una quarantina di opere che nel loro lungo percorso artistico guardano alla realtà senza che impediscano a se stesse di lasciar trapelare “l’anima delle cose”, che fuoriesce dall’intimità delle stanze, dai piccoli oggetti di ogni giorno, dai tavolini e dalle lampade che sono non soltanto arredamento, dai luoghi aperti, dalle sinuosità dei corpi femminili, dalle cascate di mele a formare tappeti e di fiori, dalle viole leggere, timidamente accennate, che sono ricordo, abbozzo, accenno, semplice vaghezza impalpabile. Aveva in altro tempo l’artista denunciato a Marco Vallora: “…vorrei vedere se attraverso uno strumento tecnico così connotato storicamente come l’acquerello, che ha avuto modo di essere un luogo obbligato, di essere stato così usato al femminile, si possa invece suggerire una forza vera di emozione, cioè tentare di scavare sul piano tecnico tutto quello che questo modo di dipingere può regalare e sono delle sorprese notevolissime…”. Il desiderio di superare la tradizione, di sperimentare, di indagare passo dopo passo, occasione dopo occasione, di giocare con le macchie di colore ma altresì di offrire a chi guarda suggestioni e incanti stupendi, spingendosi a estrarre messaggi da quella geografia che è tutta sua, personalissima.

Non appena entrati in galleria, t’accoglie “Lo studio del pittore”, del 1988, di piccole dimensioni e infuocato di luce interna, una seggiola un lungo tavolo una piccola scultura, lo specchio di una esistenza e intimistico legame tra vita e arte, luogo di vita e di sensazioni, di sogni costruiti o sorti per caso, sul fondo un oblò di paesaggio che al confronto appare quasi freddo, anticipato dall’immagine di un albero notturno posata su quel tavolo; poco lontano “Felicitas” (12 x 20 cm), del 1994, un minuscolo cartoncino ad abbracciare un tavolino e una lampada e i versi di Lalla Romano (da “Vertigine”, “Allor non invocato / tu entri nei miei sogni…”); e “Marionette, maschere”, del 2014, già apprezzato una decina di anni fa in una mostra, “L’arte dell’acqua”, che chi scrive queste note curò nelle sale di palazzo Lomellini, a Carmagnola, un sapiente studio di luci e ombre, un fanciullesco “gioco dei fili” che, mentre ombreggia quanto è forse una recensione o un articolo di presentazione di un giornale, gioca di riflessi ambientali, in un luogo che è fuori dal tempo, e allo stesso tempo dentro una realtà che si astrae per divenire soltanto fervida emozione. Una introduzione alle più trattenute opere d’arte, ai suoi acquerelli, ai luoghi dell’anima, alle suggestioni che prendono ogni giorno l’artista. I paesaggi esplodono nelle “Rose in riva al mare”, dove Lequio prova “stupore di fronte alla realtà” quando “la vita è ossimorica”, all’interno del triplice piano che include un cielo tra l’azzurro e il rosato e fiori e mare, dove ogni parte appare sospesa, incantata, felice e pregna di vibrazioni e raffinata, lontana dal déjà vu, immaginifica e aerea, uno specchio e uno stralcio di vita forse vissuta, e ancora l’omaggio a Chagall (ancora “rose”, del 2021-’23); gli ambienti racchiusi in un bozzolo tutto proprio – “una stanza tutta per sé”, avrebbe detto Virginia Woolf – come in un obiettivo che inquadra lontano, la ventennale “Stanza degli amanti”, calchi a rappresentare corpi sfatti e abbracci di corpi nudi, un perdersi di stanze in case borghesi, macchie e accenni e velature ancora sospese, ambienti che trovano vita anche in angoli più impregnati d’oscurità ma dove sempre l’occhio del visitatore è guidato da un fascio di luce (“Risveglio”, 1995 come “”Nel museo”, 1991), ambienti che si popolano di fantasmi di forma improvvisa, che carezzano l’umanità (e i suoi dolori, “L’amore in vendita”, 2006, intrigante e bellissimo) nell’”attesa dell’ora”, un nudo di donna a esprimere la fragilità ma pure una sentinella a vegliare una luce sul fondo, a rischiarare, simbolica di speranza, un dialogo tra esterno e interno, tra silenzi e voci che verranno.

E poi i disegni. Al piano inferiore della galleria. Il trionfo delle grandi dimensioni, tra carboncini e gessetti, a raccontare corpi, di ragazzi e di donne, adagiati su una “coperta fiorita” (del 2008), a rispecchiarsi in una prospettiva felicemente superiore (“Narciso”, dei primi anni del millennio), muscolature perfettamente intese e poggiate su una liberissima parete di tratti nerissimi, un corpo giovanile che con trasporto guarda a certe sanguigne o a taluni inchiostri di De Pisis. Delicatezze, momenti di poesia, il piacere dell’acqua che scivola copiosa e tutta da trattenere e dei tratti del disegno: in una mostra assolutamente da vedere.

Elio Rabbione

Nelle immagini, di Anna Lequio “Il canto del glicine” (2016), “Interno con nudo” (2001) e “Rose e mele” (2003).

Il fuso di Kronos: ultimi giorni

In esposizione al “Museo del Tessile” di Chieri il Progetto artistico – interdisciplinare del kazako, d’origine, Lev Nikitin

Dal 13 novembre al 13 dicembre

Raccontare la propria vita, impresa tutt’altro che facile, attraverso gli strumenti, i più vari, dell’agire artistico. E, attraverso l’arte, cercare e , forse, trovare una via di fuga da quel terribile “fuso di Kronos” ( Kronos, ricordate? Il più giovane dei Titani, padre di Zeus, che nell’antica mitologia greca mangiava i suoi figli per paura di esserne spodestato) che imbriglia nella fitta rete della crudeltà l’esistenza di chi è altro da noi, del più debole, dei reietti, degli invisibili e degli espulsi dal comune vivere sociale. In un pensoso, toccante “Autoritratto” ad olio, con la pelle tormentata da simboliche presenze volatili che gli mortificano il viso, Lev Nikitin racconta proprio questa condizione dell’esistere “che è metafora – racconta – della violenza che si ripete”. E ancora: “ Kronos che divora i suoi figli non è solo un mito antico: è la logica attuale dei sistemi educativi, sociali, giuridici, artistici. E noi, per non essere divorati, gettiamo ogni giorno nella sua bocca simulacri filati con il nostro stesso’ fuso’ dell’essere”.

Non è mostra di facile intesa, ma gradevolissima e di alta qualità, “Il fuso di Kronos” (titolo emblematico di quanto sopraddetto) che, da giovedì 13 novembre a sabato 13 dicembre, la “Fondazione Chierese per il Tessile e per il Museo del Tessile” di Chieri dedica (con il sostegno della “Città di Chieri” e della “Regione Piemonte” e con il patrocinio dell’Associazione Culturale “Russkii” di Torino e della “Fondazione “Osten” di Skopje) al giovane Lev Nikitin. Nel complesso, sono 20 (un’installazione “site specific”, oli su tela e costumi teatrali) le opere dell’artista e attivista russo (ormai chierese d’adozione) accolto in residenza dal 2024.

Nato nell’ ’85 in Kazakistan, Nikitin si trasferisce in Russia nel 1993. Lascia Mosca nel 2022, in seguito al conflitto Russo-Ucraino e alle crescenti politiche discriminatorie nei confronti della comunità LGBTQ+. Nel 2023 ottiene asilo politico in Italia., aprendo un nuovo capitolo nella sua vita e nel suo lavoro. Dopo essersi sentito ignorato nel suo Paese d’origine, dove ha affrontato marginalizzazione e omofobia, l’artista trova in Piemonte e a Chieri l’opportunità di ricostruire il proprio senso di identità. E proprio questa nuova situazione aprirà un importante processo di “rinascita e ricostruzione della materia e dello spirito” attraverso la pittura, la scultura, la performance e il medium tessile.

L’abilità nel percorrere il gesto e il senso estremamente misurato e delicato (a tratti misteriosamente “sbiadito”) del colore gli derivano, in particolare nella pittura a olio, dalle “avanguardie” della grande Scuola della pittura russa post-espressionistica, corrente che molto, nelle sue varie articolazioni, ha influito sulla sua capacità di trasformare – sottolinea Melanie Zefferino, presidente della ‘Fondazione chierese per il Tessile e Museo del Tessile’ – passamanerie chieresi un poco ‘fané’ in scintillanti corpetti che possiamo immaginare indossati da ‘performer’ memori della Compagnia dei ‘Ballet Russes’ fondata da Sergej Pavlovič Djagilev e dei meravigliosi costumi di Léon Bakst”. Approdato qui viaggiando sul filo dell’arte – prosegue la presidente Zefferino – Lev Nikitin ha portato a Chieri la sua personale visione del mondo espressa creativamente con una tecnica tesa alla perfezione, facendo onore alle tradizioni culturali e artistiche di cui reca il prezioso bagaglio … E così abbiamo fatto noi perseguendo valori di inclusione e sviluppo dei talenti, così da poter oggi assecondare la ‘danza’ di Nikitin a Chieri e al suo Museo, ‘theatrum’ delle arti tessili con protagonisti internazionali in dialogo con le identità di una comunità plurale.

“Comunità plurale” che è obiettivo principe del Nikitin uomo ed artista. Arduo percorso, per la cui uscita “io artista – racconta Nikitin – come Penelope al telaio, lavoro segretamente disfacendo le trame di una tela ordita dal Titano più crudele”. Un processo che lo impegna nel campo multiforme di una tecnica ineccepibile, ma soprattutto sul piano dell’emotività e di antiche dolorose memorie difficili da mettere a parte; “un progetto artistico che si estrinseca – conclude Nikitin – anche come struttura teatrale  traendo ispirazione dal ‘Teatro della crudeltà’ di Antonin Artaud: un teatro che colpisce il corpo dello spettatore, che lacera il linguaggio, che rompe il ritmo e nega il conforto. In questo senso, il mio ‘teatro della crudeltà’ è precursore di un’etica di resistenza al vuoto. Rifiuta la narrazione, la mimica, l’illusione. Non spiega, ma costringe a vivere”. Dipanando, senza sosta, quella terribile infinita matassa del “fuso di Kronos”.

Gianni Milani

“Il fuso di Kronos”

Museo del Tessile”, via Santa Clara 6, Chieri (Torino); tel. 329/4780542 o www.fmtessilchieri.org

Dal 13 novembre al 13 dicembre. Orari: mart. 9/13; merc. 15/18 e sab. 14/18

Nelle foto: Lev Nikitin: “Autoritratto”, olio su tela; Parte dell’allestimento e “Costume teatrale”

“Egitto. Nothing But Gold”, la mostra firmata dal fotografo Al Salerno

Da “Combo” a Torino, anteprima sull’Egitto d’oggi

Domenica 14 dicembre, ore 17,30

Quando nel 1922, fu chiesto al famoso archeologo britannico Howard Carter che cosa mai riuscisse a vedere dallo spioncino di una tomba, scoperta in Egitto nella Valle dei Re, durante gli scavi finanziati da Lord Carnarvon, Carter rispose con la celebre frase “Nothing But Gold – Nient’altro che oro, solo oro”. Ma quella non era una tomba “qualunque” e quella scoperta segnò un’era. La tomba, infatti, era quella di Tutankhamon (nota anche come “KV62”), giovane faraone della XIII dinastia – durante il periodo della storia egizia noto come “Nuovo Regno” – che salì al trono a solo nove anni e morì nove anni dopo, a 18. Tomba ritrovata quasi intatta, la sua scoperta ricevette ai tempi una copertura mediatica mondiale, suscitando un rinnovato interesse pubblico per l’Antico Egitto, per il quale proprio la “maschera funeraria” del giovane faraone, conservata nel “Museo Egizio” del Cairo, rimane forse il simbolo più popolare. Tant’è che reperti provenienti dalla sua tomba hanno compiuto negli anni il giro del mondo. E perfino le parole pronunciate da Howard Carter divennero lapidarie nel loro esaltante stupore. E dunque, eccole ancor oggi accompagnare, nel titolo, “Egitto. Nothing But Gold”, la mostra – parte del più ampio Progetto “A occhi aperti” – del fotografo analogico torinese (di base a Palermo) Al Salerno, ospitata in una decina di eccellenti e suggestivi scatti negli spazi del “Combo”, innovativo “hub culturale e ricettivo” situato a Porta Palazzo nell’ex “Caserma dei Vigili del Fuoco”, in corso Regina Margherita 128, a Torino.

Curata dal fotografo torinese Stefano Carini, l’esposizione è visibile la prossima domenica, 14 dicembrealle 17,30, nell’ambito del pomeriggio culturale “Spedizione in Egitto”, pensato per raccontare, in modo particolare, l’Egitto di oggi e per mostrare e raccontare il nuovo “Museo Egizio” de Il Cairo – riaperto il 4 novembre scorso con i suoi oltre 100mila reperti, tra cui l’intera collezione del “tesoro di Tutankhamon” esposta per la prima volta al completo – per finire con l’esposizione delle immagini del “Deserto Bianco”, chiuso alle rotte turistiche per oltre dieci anni a causa di problemi di sicurezza.

L’intera organizzazione dell’evento si deve ad “Archètravel”, tour operator torinese che, da sempre, si occupa non solo di organizzare viaggi, ma anche di proporsi come “motore d’iniziative culturali”. Dopo aver dato vita, negli scorsi anni, a “Guide” e “Podcast”, ora “Archètravel” organizza anche iniziative culturali dal vivo: la giornata torinese sarà la prima e verrà poi replicata a Milano, Bologna e Roma.  Non solo. A queste ne seguiranno, infatti, altre su Paesi diversi e la proposta non si fermerà a questo: “La nostra concezione del viaggio – spiegano infatti i responsabili, Andrea Dattoli e Tiziano Salerno – nasce dal significato originario del ‘Grand Tour’, quello che si sviluppò tra il XV e il XVI secolo: un percorso pensato per la formazione dell’individuo attraverso l’incontro con il mondo. Non un viaggio di mera fruizione, ma un’esperienza per crescere, osservare, dialogare, lasciarsi attraversare dalla storia, dall’arte, dalle comunità”.

Nel corso del talk, moderato dalla giornalista Chiara Priante, si potranno ascoltare i racconti di Alberto De MinTour Leader e Travel Designer, e Federico Genre, Product Manager di “Archètravel”, che racconteranno l’Egitto di oggi, al di là delle rotte più note, oltre alla voce del fotografo Al Salerno e del curatore Stefano Carini, nonché a quella dei fondatori di “Archètravel” ed esperti viaggiatori, Tiziano Salerno e Andrea Dattoli.

“ ‘Nothing But Gold’ – spiega il curatore Stefano Carini – è un diario visivo che trasforma un’esperienza individuale in un linguaggio condivisibile. Ciò che l’autore restituisce non è l’Egitto come concetto, ma l’Egitto come incontro: una terra stratificata, complessa, in cui la bellezza convive con l’inesorabile. E dentro questa complessità, ciò che emerge con più forza – nelle persone, nei colori, nella luce – è quella stessa percezione che Carter tentò di tradurre un secolo fa aprendo per la prima volta da millenni la tomba di Tutankhamon: un sentimento di meraviglia che, pur non essendo mai spettacolare, rimane innegabile”.

Parole che ben concordano con le affermazioni dello stesso fotografo Al Salerno“Non ho nessun dubbio su cosa sia la cosa che più mi ha colpito tra caotiche città e deserti silenziosi: l’anima della gente. La gentilezza dei volti, l’empatia mai centellinata. Il mio viaggio è stato questo e questi sono i miei ricordi in fotografia. E quando qualcuno mi chiederà che cosa ho visto laggiù non potrò che rispondere in un solo modo: ‘Nothing But Gold’”.

Attenzione! Nel corso della serata è previsto anche un aperitivo. Per partecipare: https://www.archetravel.com/live/evento-egitto-torino/

Per info: “Archétravel”, via Frassinetto 49, Torino; tel.011/19821722 o www.archetravel.com

Gianni Milani

Nelle foto: Al Salerno “Alle piramidi di Giza”, Il Cairo, 2025; “Templi di File ad Aswan: Alberto De Min, Tiziano Salerno e Alberto Salerno”; “Al mercato di Downtown”, Il Cairo, 2025

Manifesti per “raccontare” Biella

Uno sguardo “nuovo”, tra ironia e riscoperta, sull’antica “Bugella” attraverso le opere di Dalla Fontana & Maffeo e del fotografo cinese Jin Ting

Dal 1° dicembre

Biella

Nato nell’ambito del Progetto “Da cosa nasce cosa” (ideato nel 2021 da “BI-BOx Art Space”, Galleria biellese tesa alla divulgazione del “contemporaneo”) e ampliato nel 2024 sotto il tema “La città che vorrei”, con l’intenzione di sfatare il pregiudizio che classificherebbe tutta l’arte contemporanea come “astrusa e incomprensibile”, a Biella tale pregiudizio torna ad essere nuovamente messo fuori gioco con l’idea di “sorprendere” (si spera, felicemente) i cittadini biellesi, che da lunedì 1° dicembre (e per 15 giorni) si troveranno a transitare  nella piazza della stazione ferroviaria di “Biella San Paolo” e nella zona della “Rotonda” tra Chiavazza, Vigliano ed il raccordo della superstrada, attraverso la sostituzione delle consuete pubblicità con due elementi “fuori posto”, in grado di “interrompere – dicono da ‘BI-BOx Art’ – lo sguardo automatico, spingendo ad interrogarsi sul ruolo delle immagini e sul valore degli oggetti nella nostra vita quotidiana”.

Quei due elementi “fuori posto” sono semplicemente “Manifesti” (6×3) nati da “immaginari e culture differenti”, che – seguendo loro specifiche motivazioni creative ed emozionali – aprono sguardi assai diversi sulla relazione “oggetti-identità-memoria”“BIGO Moments”, opera inedita del grafico Andrea Dalla Fontana e del “naturalista – geologo” Stefano Maffeo (entrambi operanti in “Arc-en Ciel”, società attiva nella comunicazione scientifica, didattico – ambientale, attività outdoor e progettazione turistica) rivisita con ironia i più tradizionali stereotipi biellesi attraverso il linguaggio pubblicitario, mentre “Portrait of Time” del fotografo cinese, oggi residente a Shangai, Jin Tin trasforma un macchinario tessile d’antan (il “cucisacco”) in un’immagine sospesa e sopravvissuta al tempo, lirica e malinconica nel suo silente donarsi agli occhi dei passanti.

Bizzarro, curioso e anche un po’ irriverente, il “BIGO Moments” del duo Dalla Fontana – Maffeo “se a un primo sguardo somiglia in tutto – sottolinea la nota stampa – a un cartellone promozionale, osservandolo meglio si rivela come un catalogo semiserio dell’immaginario biellese, dove ogni ‘scatola BIGO’ rappresenta un frammento riconoscibile della cultura locale: il tinello Aiazzone, la funicolare del Piazzo, Quintino Sella, la polenta concia, e altre piccole mitologie quotidiane che abitano la memoria collettiva. Partendo dall’estetica pop e dai codici del consumo, il progetto mette in scena una riflessione sul senso di appartenenza e sulla costruzione dell’identità territoriale”. Ecco allora chiederci: Quale simbolo portarci a braccetto? Da quale sentirci meglio rappresentati? E quale, a rifletterci su, ci pare meno rappresentativo, se non inutile?

Domande lecite, non impegnative su cui farci pure una permessa, ben accetta, risatina. Per questa ragione, attraverso una sezione apposita del manifesto, le persone saranno anche invitate a inviare delle proposte, indicando quale sia l’oggetto che secondo loro rappresenta maggiormente Biella.

Le varie suggestioni verranno illustrate dagli artisti e presentate venerdì 12 dicembrealle 18, in un evento programmato alla Galleria “BI-BOx”.

Un taglio creativo molto diverso troviamo, invece, nella serie di Jin Ting “Portrait of Time” (curata dalla fotografa americana ma italiana d’adozione L. Mikelle Standbridge e dal fotografo biellese Fabrizio Lava) nata da una “residenza d’artista” di due settimane nelle cinque valli montane del Biellese, svoltasi nel settembre 2024 in occasione della mostra “Viaggio – Orizzonti, Frontiere, Generazioni”, curata da “Stilelibero”, Associazione locale impegnata a organizzare mostre di giovani artisti emergenti appartenenti alla cosiddetta “Generazione Z”. Durante la residenza, Ting ha costruito un “ponte ideale” tra la sua sensibilità e il “patrimonio industriale biellese”, trovando come luogo di ispirazione l’ex “Lanificio Fratelli Zignone”, oggi “Fabbrica della Ruota”, un complesso industriale del XIX secolo che conserva macchinari e strumenti dell’era prevalentemente contraddistinta dalla produzione del Tessile. Qui Ting ha voluto cristallizzare nel tempo le immagini custodite da un luogo che deve averlo fortemente affascinato nella sua capacità di conservare integri squarci di storia industriale fatta di oggetti e macchinari abbandonati, isolati in una narrazione fotografica scarna e senza fronzoli, in una totalità di soggetti che, pur nella loro apparente freddezza, “rivelano un’inaspettata sensualità” nella luce soffusa, nell’accettazione scenica del materiale consumato e in quella toccante solitudine degli stessi oggetti. Due modi d’intendere la città, le sue presenze, la sua storia. Invenzioni “da strada” su cui riflettere, sorridere, o perdersi in un misurato guizzo di nostalgia.

Per maggiori info: “BI-BOx Art Space”, via Italia 38, Biella; tel. 3497252121 o www.bi-boxartspace.com

 Gianni Milani

Nelle foto: Andrea Dalla Fontana e Stefano Maffeo; “BIGO Experience_transumanza”; Jin Ting; “Portrait of time_Cucisacco”

I segreti della Gran Madre

Torino, bellezza, magia e mistero

Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo1: Torino geograficamente magica
Articolo2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo3: I segreti della Gran Madre
Articolo4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo10: Torino dei miracoli

Articolo 3: I segreti della Gran Madre

La città di Torino è tutta magica, ma ci sono dei punti più straordinari di altri, uno di questi è la chiesa della Gran Madre di Dio, o per i Torinesi, ël gasometro. La particolarità del luogo è già nel nome, è, infatti, una delle poche chiese in Italia intitolate alla Grande Madre. L’edificio, proprietà comunale della città, venne eretto per volontà dei Decurioni a scopo di rendere onore al re Vittorio Emanuele I di Savoia che il 20 maggio 1814 rientrò in Torino dal ponte della Gran Madre (la chiesa sarebbe stata edificata proprio per celebrare l’evento), fra ali di folla festante. Massimo D’Azeglio assistette all’evento in Piazza Castello. Il dominio francese era finito e tornavano gli antichi sovrani. Il passaggio del Piemonte all’impero francese aveva implicato una profonda trasformazione di Torino: il Codice napoleonico trasformò il sistema giuridico, abolì ogni distinzione e i privilegi che in precedenza avevano avvantaggiato la nobiltà, la nuova legislazione napoleonica legalizzò il divorzio, abolì la primogenitura, introdusse norme commerciali moderne, cancellò i dazi doganali. La spinta modernizzatrice avviata da Napoleone con il Codice civile fu di grande impatto e le nuove norme commerciali furono fatte rispettare dalla polizia napoleonica con un controllo sociale nella nostra città senza precedenti. Tuttavia il carattere autoritario delle riforme napoleoniche relegava i Torinesi a semplici esecutori passivi di ordini imposti dall’alto e accrebbe il malcontento di una economia in difficoltà. Quando poi terminò la dominazione francese non vi fu grande entusiasmo, né vi fu esultanza per l’arrivo degli Austriaci. L’8 maggio 1814 le truppe austriache guidate dal generale Ferdinand von Bubna-Littitz entrarono in città, e prontamente rientrò dal suo esilio in Sardegna il re Vittorio Emanuele I, il 20 maggio dello stesso anno. Il re subito volle un immediato ritorno al passato, ossia all’epoca precedente il 1789, abrogando tutte le leggi e le norme introdotte dai Francesi. Il nuovo regime eliminò d’un tratto il principio di uguaglianza davanti alla legge, il matrimonio civile e il divorzio, e reintrodusse il sistema patriarcale della famiglia, le restrizioni civili riservate a ebrei e valdesi e restituì alla Chiesa cattolica il suo ruolo centrale nella società. Il 20 maggio 1814 fu recitato un Te Deum nel Duomo di Torino per celebrare il ritorno del re, che si fermò a venerare la Sacra Sindone. L’autorità municipale festeggiò il ritorno dei Savoia costruendo una chiesa dedicata alla Vergine Maria nel punto in cui il re aveva attraversato il Po al suo rientro in città. A riprova di ciò sul timpano del pronao si legge l’epigrafe “ORDO POPVLVSQVE TAVRINVS OB ADVENTVM REGIS”, (“L’autorità e il popolo di Torino per l’arrivo del re”) coniata dal latinista Michele Provana del Sabbione.

La chiesa, di evidente stampo neoclassico, venne edificata nella piazza dell’antico borgo Po su progetto dell’architetto torinese Ferdinando Bonsignore; iniziato nel 1818, il Pantheon subalpino venne ultimato solo nel 1831, sotto re Carlo Alberto. L’edificio ubbidiva all’idea di una lunga fuga prospettica che doveva collegare la piazza centrale della città, Piazza Castello, alla collina. La chiesa è posta in posizione rialzata rispetto al livello stradale, e una lunga scalinata porta all’ingresso principale. Al termine della scalinata vi è un grande pronao esastilo costituito da sei colonne frontali dotate di capitelli corinzi. All’interno del pronao vi sono ai lati altre colonne, affiancate da tre pilastri addossati alle pareti. Eretta su un asse ovest-est, con ingresso a occidente e altare a oriente, essa presenta orientazioni astronomiche non casuali: a mezzogiorno del solstizio d’inverno, il sole illumina perfettamente il vertice del timpano visibile dalla scalinata d’ingresso. Il timpano, sul frontone, è scolpito con un bassorilievo in marmo risalente al 1827, eseguito da Francesco Somaini di Maroggia, (1795-1855) e raffigura la Vergine con il Bambino omaggiata dai Decurioni torinesi. Ai lati del portale d’ingresso sono visibili due nicchie, all’interno delle quali si trovano i santi San Marco Evangelista, a destra, e San Carlo Borromeo, a sinistra. Fanno parte dell’edificio due imponenti gruppi statuari, allegorie della Fede e della Religione, entrambi eseguiti dallo scultore carrarese Carlo Chelli nel 1828. Sulla sinistra si erge la Fede, rappresentata da una donna seduta, in posizione austera, con il viso serio, sulle ginocchia poggia un libro aperto che tiene con la mano destra, con l’altra, invece, innalza un calice verso il cielo. Spunta in basso alla sua destra un putto alato, che sembra rivolgersi a lei con la mano sinistra, mentre nella destra tiene stretto un bastone. Dall’altro lato si trova la Religione, raffigurata come una matrona imperturbabile e regale: stringe con la mano destra una croce latina e sta seduta mentre guarda fissa l’orizzonte, incurante del giovane che la sta invocando porgendole due tavole di pietra bianca. I capelli sono ricci, e sulla fronte, lasciata scoperta dal manto, vi è una sorta di copricapo, come una corona, su cui compare un simbolo: un triangolo dal quale si dipartono raggi. Spesso, con un occhio al centro del triangolo, il simbolismo è usato in ambito cristiano per indicare l’occhio trinitario di Dio, il cui sguardo si dirama in ogni direzione, ma anche in massoneria è un importante distintivo iniziatico. Perfettamente centrale, ai piedi della scalinata, è l’imponente statua di quasi dieci metri raffigurante Vittorio Emanuele I di Savoia. La torre campanaria, munita di orologio, venne costruita sui tetti dell’edificio che si trova a destra della chiesa nel 1830, in stile neobarocco.

Entrando nella chiesa ci si ritrova in un ampio spazio tondeggiante e sobrio, c’è un’unica navata a pianta circolare, l’altare maggiore, come già indicato, è posto a oriente, all’interno di un’abside semicircolare provvista di colonne in porfido rosso. Numerose sono le statue che qui si possono ammirare, ma su tutte spicca la figura marmorea della Gran Madre di Dio con Bambino, posta dietro l’altare maggiore, il cui misticismo è incrementato dalla presenza di raggi dorati che tutta la circondano. Nelle nicchie ai lati, in basso, vi sono alcune statue simboliche per la città e per i committenti della chiesa, cioè i Savoia. Oltre a San Giovanni Battista, il patrono della città, anch’egli con una grande croce nella mano sinistra, S. Maurizio, il santo prediletto dei Savoia, Beata Margherita di Savoia e il Beato Amedeo di Savoia. La cupola, considerata un capolavoro neoclassico piemontese, sovrasta l’edificio ed è costituita da cinque ordini di lacunari ottagonali di misura decrescente. La struttura è in calcestruzzo e termina con un oculo rotondo, da cui entra la luce, del diametro di circa tre metri. Sotto la chiesa si trova il sacrario dei Caduti della Grande Guerra, inaugurato il 25 ottobre 1932 alla presenza di Benito Mussolini. La bellezza architettonica dell’edificio nasconde dei segreti tra i suoi marmi. Secondo gli occultisti, la Gran Madre è un luogo di grande forza ancestrale, anche perché pare sorgere sulle fondamenta di un antico tempio dedicato alla dea Iside, divinità egizia legata alla fertilità, anche conosciuta con l’appellativo “Grande Madre”. Iside è l’archetipo della compagna devota, per sempre fedele a Osiride, simbolo della consapevolezza del potere femminile e del misticismo, il suo ventre veniva simboleggiato dalle campane, lo stesso simbolo di Sant’Agata. Si è detto che Torino è città magica e complessa, metà positiva e metà maligna, tutta giocata su delicati equilibri di opposti che sanno bilanciarsi, tra cui anche il binomio maschio-femmina. Questo aspetto è evidenziato anche dalla contrapposizione tra il Po e la Dora che, visti in chiave esoterica, rappresentano rispettivamente il Sole, componente maschile, e la Luna, componente femminile. I due fiumi, incrociandosi, generano uno sprigionamento di forte energia. Altri luoghi prettamente maschili sono il Valentino e il Borgo Medievale, che sorgono lungo il Po e sono anche simboli di forza; ad essi si contrappone la zona del cimitero monumentale, in prossimità della Dora, legata alla sfera notturna e femminile. L’importanza esoterica dell’edificio non termina qui, ci sono alcuni che sostengono ci sia un richiamo alle tradizioni celtiche con evidente allusione a un ordine taurino nascosto tra le parole della dedica: se leggiamo l’iscrizione a parole alterne resta infatti la dicitura: Ordo Taurinus. Ma il più grande mistero che in questa chiesa si cela è tutto contenuto nella statua della Fede. Secondo gli esoteristi, la donna scolpita in realtà sorreggerebbe non un calice qualunque ma il Santo Graal, la reliquia più ricercata della Cristianità, e con il suo sguardo indicherebbe il luogo preciso in cui esso è nascosto. Allora basta capire dove guarda la marmorea giovane -secondo alcuni la stessa Madonna – e il gioco è fatto! Sì, peccato che chi ha scolpito il viso si sia “dimenticato” di incidervi le pupille, così da rendere l’espressione della figura imperscrutabile, e il Graal introvabile. Se non per chi sa già dove si trovi.

Alessia Cagnotto

Al Pop App Museum i libri si animano

 L’inaugurazione è prevista l’11 dicembre prossimo

Nasce  a Torino il Pop App Museum a palazzo Barolo, l’unico a livello italiano e europeo, un suggestivo percorso  alla scoperta dei libri animati, libri speciali capaci di suscitare meraviglia e divertimento grazie ad effetti di tridimensionalità,  veri precursori delle moderne applicazioni digitali.  Si arricchisce così il viaggio fantastico tra libri animati e multimedialità del MUSLI, unico a livello italiano ed europeo. L’inaugurazione sarà l’11 dicembre al Musli di Torino, Museo della Scuola e del Libro per l’infanzia di via delle Orfane 7/a, con una mostra dedicata al geniale creatore di libri animati Lotont Meggendorfer, in occasione del centenario della sua morte. I materiali fanno parte del ricco patrimonio della Fondazione Tancredi di Barolo, donato dal presidente Pompeo Vagliani.

Le nuove sale, messe a disposizione dall’Opera Barolo, integrano il percorso già  esistente al MUSLI sui libri animati  e vengono inaugurate l’11 dicembre con la mostra “Sempre allegri bambini! Lothat Meggendorfer e il libro animato in Italia tra Ottocento e Novecento”, visitabile dal 12 dicembre al 28 giugno 2026. Il nuovo museo ha suscitato un grande interesse internazionale, testimoniato dalla presenza all’inaugurazione di ospiti illustri, che racconteranno diverse esperienze sul tema dei libri animati sviluppate in tutto il mondo , in particolare negli Stati Uniti, in Francia e Germania.

Il Pop App Museum rappresenta il punto di arrivo di un progetto avviato nel 2017 dalla Fondazione Tancredi di Barolo allo scopo di valorizzare  e mettere a disposizione del pubblico, degli studiosi e specialisti, ma anche degli appassionati e collezionisti, il patrimonio di materiali , conoscenze ed esperienze  sviluppati  negli ultimi dieci anni. Il progetto ha visto contemporaneamente la costituzione all’interno della Fondazione Tancredi Barolo dell’International Centre on Interactive Books, che supporta e garantisce le attività scientifiche,  di ricerca e valorizzazione sul tema e pubblica anche la rivista online “JIB journal on  Interactive Books”.

Il Pop-App Museum integra in un percorso espositivo unitario le sei nuove sale e gli spazi preesistenti del MUSLI dedicati ai libri animati. Si tratta di un nuovo museo interattivo che valorizza il collegamento tra la storia dei libri animati e le nuove tecnologie digitali, a partire da un patrimonio librario di interesse storico di oltre 1500 esemplari, che costituisce la più importante collezione in Italia  a disposizione del pubblico. Il progetto proseguirà nel 2026-2027 con l’allestimento definitivo del percorso complessivo. Saranno sviluppati nuovo contenuti multimediali,  con la creazione di un database consultabile online sulla collezione di libri mobili del MUSLI e verranno ampliate l’attività di formazione e i laboratori per la realizzazione di artefatti interattivi, sia cartacei sia multimediali.

Attraverso le attività didattiche rivolte alle scuole, il Museo permetterà di stimolare la creatività e facilitare l’avvicinamento alla lettura. Potrà inoltre costituire un’officina di sperimentazione per favorire lo sviluppo di competenze scientifiche e professionali,  per esempio nell’ambito del restauro e del cinema di animazione , in continuità con le esperienze già consolidate con il Centro di Conservazione Restauro La Venaria Reale, il Centro Sperimentale di Cinematografia e a quelle avviate recentemente con il Politecnico di Torino e l’Accademia Albertina.

Il Pop- App Museum intende inoltre stimolare esportare anche in Italia la presenza di nuovi talenti nel campo della creazione dei libri animati , capaci di unire capacità cartotecniche alle più avanzate tecnologie multimediali.

Tra gli obiettivi 2026-2027 vi è l’istituzione di un Premio rivolto ai giovani intitolato aLuisella Terzi , fra le prime donne attive in questo campo del Novecento, per libri che prevedono  parte cartotecnica e componente multimediale.

La mostra intitolata “Sempre allegri bambini” vuole essere un omaggio a uno dei più importanti e geniali creatori di libri animati per l’infanzia, Lothar Meggendorfer,  nato nel 1847 e scomparso nel 1925, di cui quest’anno ricorre il centenario della scomparsa. Mettendo evidenza la ricchezza e la varietà della sua produzione. Egli realizzò più di 160 libri , oltre 77 giochi da tavolo e numerose illustrazioni per riviste,  pubblicità e cartoline. La sua importanza nella storia dei libri mobili e interattivi presenta alcuni dei suoi capolavori più noti e spettacolari, come quelli dedicati al circo e alla casa delle bambole.

Parallelamente è anche l’occasione per esplorare il contesto dell’editoria italiana specifica tra gli anni Settanta dell’Ottocento e la prima guerra mondiale, in gran parte legato alla produzione internazionale.

Particolare spazio è dedicato al volume dal titolo Pierino Porcospino Vivente, che “prende vita” grazie a un tavolo interattivo multimediale . Il percorso prevede anche un focus sulla musica, a cui Meggendorfer ha dedicato ampio spazio nella propria produzione. In mostra sono presenti alcuni corti animati  realizzati dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Torino, a partire dalle sue tavole mobili a tema musicale e una serie di animazioni  sonore.

L’esposizione prosegue nella biblioteca fantastica con una sezione incentrata sul contesto editoriale italiano coevo. Accanto a un approfondimento sulle case editrici  Hoepli e Vallardi, sono esposti gli album animati in un unico esemplare realizzati da Luisa Terzi tra il 1913 e il 1917, recentemente restaurati nell’ambito della collaborazione  con il Centro Restauro La Venaria Reale e le versioni animate di Pinocchio con i disegni di Attilio Mussino.

Completano la sezione le card animate e tridimensionali realizzate dal grafico Sergio Martinatto, grande collezionista di Pinocchio, la cui grande collezione è conservata al MUSLI.
Il Pop App Museum , in occasione della sua apertura e fino a domenica 11 gennaio prossimo, sarà aperto tutti i giorni dalle 14 alle 19. Chiusura il 24,25, 31 dicembre e il 1 gennaio 2026.

Mara Martellotta

“ET” di Riccardo Cordero, il Museo Accorsi-Ometto si apre al Novecento

Nella serata di giovedì 4 dicembre, il Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto ha presentato un’opera molto speciale: “ET”, di Riccardo Cordero, realizzata nel 2007.

Una scultura che il Museo ospita all’interno del proprio cortile, alta poco più di due metri e omaggio simbolico all’arte e all’architettura barocca. Caratterizzata da un frenetico rincorrersi di linee e curve, esprime al meglio la tensione dinamica dell’energia in movimento, intrappolata all’interno di una robusta e lucente superficie in acciaio inox. Con questa scultura, Riccardo Cordero dimostra di partire dal movimento continuo e pluridirezionale delle superfici barocche per giungere a esiti non figurativi che lo pongono in continuità con le sperimentazioni astratte e spaziali novecentesche, interessate a dare forma e colore al sentimento e al pensiero individuale.

Per il Museo Accorsi-Ometto, storicamente specializzato nell’esposizione d’arte settecentesca, ospitare “ET” di Cordero significa un’apertura all’arte novecentesca, e l’occasione per presentare, in occasione delle festività natalizie, l’acquisizione di alcune opere di Carlo Levi e Francesco Gonin, oltre alla composizione di una magica tavola di Natale decorata con un bellissimo servizio di piatti in porcellana realizzato a Limoges, in Francia, nei primi anni del Novecento. Fu acquistato da Amalia Cattaneo, a Torino, in uno dei numerosi punti vendita della preziosa ceramica francese, quello del signor Pietro Scaglia, di via Garibaldi 10. Il servizio, che conta oltre cento pezzi, ma che non è esposto nella sua interezza, è stato concesso per l’evento festivo dal suo attuale proprietario, Leopoldo Olivero,

“Ospitando nel nostro cortile la scultura di Riccardo Cordero – ha dichiarato Luca Mana, direttore del Museo Accorsi-Ometto – abbiamo certamente dato risalto all’arte di uno scultore cha ha già preso parte, in passato, a molte esposizioni proposte dal Museo, ma si tratta anche di un’operazione studiata appositamente per aprirsi all’arte del Novecento. La presenza di ‘ET’ nei nostri spazi significa omaggiare la città di Alba, che ha dato i natali a Riccardo Cordero, e che è stata ufficializzata come Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea nel 2027. La presentazione della sua opera ci permette anche di comunicare l’acquisizione di alcune opere di Carlo Levi e Francesco Gonin, oltre all’esposizione, in occasione delle Feste, del magnifico servizio Limoges su gentile concessione di Leopoldo Olivero. L’obiettivo del Museo Accorsi-Ometto è quello di diventare un foro accessibile a tutti, e la scultura di Riccardo Cordero, visitabile gratuitamente per tutta la cittadinanza, è un esempio chiaro della direzione intrapresa”.

“Voglio ringraziare il presidente e il direttore del Museo Accorsi-Ometto per la cura e l’accoglienza dedicata a ‘ET’ – ha sottolineato l’artista Riccardo Cordero – questa mia opera, che ha visto la luce nel 2007 e che è nata da un’esperienza artistica originata in Cina, si ispira alle linee e alle forme del barocco, in particolare del barocco piemontese. La scultura, che è un intreccio di linee d’acciaio pensato per rappresentare l’energia dell’universo, degli astri e dello spazio, e progettata aerata affinchè il fruitore possa immaginare di viverla immerso all’interno di essa, si ispira alla struttura della cupola della chiesa torinese di San Lorenzo. Una cupola, come dice Guarini, che è ‘fonte di meraviglia, atterrimento dell’animo umano’. Un intreccio di sculture articolate su tre ordini sovrapposti, occultate dall’architettura apparente dell’aula, che sostengono la vertiginosa cupola. Guarini ha saputo concentrare la complessa, misteriosa struttura della cupola, nella rappresentazione dell’istante in cui il calcolo matematico diventa un percorso di fantasia che tende a Dio”.

Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto – Via Po 55, Torino

www.fondazioneaccorsi-ometto.it

Gian Giacomo Della Porta