ARTE- Pagina 2

Uomo e cavallo nella storia, in Cina una grande mostra targata Torino

In occasione del 55° Anniversario delle Relazioni Diplomatiche tra l’Italia e la Cina, due Paesi uniti nell’essere tra i maggiori siti Patrimonio mondiale Unesco e da un’eredità culturale di duemila anni certificata dall’antica via della seta, si inaugura al Museum of Wu di Suzhou, Cina, una mostra concepita e realizzata grazie alla collaborazione tral’Istituto Italiano di Cultura di Shanghai, la Fondazione Torino Musei, l’Università degli Studi di Torino e Palazzo Madama che, oltre a essere il luogo che ha generato l’Italia unita e Roma capitale, e visto nel 1961 la firma della Carta Sociale Europea, con i suoi due millenni di Storia riassume compiutamente l’immaginario che il mondo ha dell’Italia.

In questo contesto si è definito con la città di Suzhou – ancor oggi idealmente gemellata con Venezia, dopo essere stata tanto ammirata settecento anni or sono da Marco Polo – un progetto consacrato a restituire il rapporto tra uomo e cavallo, concepito per offrire un racconto comparativo della loro unione e rappresentazione nelle culture cinese ed europea nel corso dei secoli.

L’esposizione – curata da Chen Zenglu (direttore Museum of Wu), Domenico Bergero(Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università degli Studi di Torino), Francesco D’Arelli (direttore Istituto Italiano di Cultura di Shanghai) e Giovanni Carlo Federico Villa (direttore di Palazzo Madama) – vede la fondamentale partecipazione dei Musei Reali di Torino, con opere provenienti dalle prestigiose collezioni della Galleria Sabauda e del Museo di Antichità, e si articola in due sezioni che, su di un asse cronologico, narrano in parallelo l’evoluzione del rapporto tra uomo e cavallo.

Il percorso espositivo si apre con la spettacolare esposizione della Fiera di Saluzzo (sec. XVII) di Carlo Pittara – una stupefacente tela di 32 metri quadrati conservata alla GAM di Torino che, in virtù di un accordo con il Comune di Saluzzo, al suo rientro dalla Cina sarà esposta in modo permanente alla Castiglia di Saluzzo – a introdurre la sezione dedicata all’arte europea. La prima sezione offre al pubblico un excursus sull’iconografia del cavallo, spaziando dall’antichità classica all’Ottocento e restituendo contestualmente l’eterogeneità della produzione artistica, dai rilievi in marmo, ai dipinti, alle tecniche di fusione e cesellatura dei bronzi.

Il racconto dell’iconografia del cavallo nell’arte cinese antica è affidato a una selezione di eccezionali manufatti archeologici provenienti da sette tra i più prestigiosi musei in Cina a evidenziare la centralità del cavallo nella cultura e nella storia.

Attraverso capolavori che spaziano in un arco di tempo bimillenario viene articolata in un dialogo tra arte cinese e italiana la connessione tra uomo e cavallo quali simbolo di evoluzione e umana civilizzazione in un orizzonte geografico che dal Mediterraneo giunge allo Jiangnam, poiché fin dall’evo antico i cavalli non hanno affiancando l’uomo solo nei lavori materiali, ma sono divenuti simbolo di un potere culturale e spirituale.

Attraverso l’esposizione di 121 capolavori delle più diverse arti e tecniche – e quindi pittura, scultura, terracotta, bronzo, tessuti, grafica, fotografia – si origina un puntuale dialogo tra le culture all’interno di un museo nato quale centro di ricerca e studio della cultura di Wu che ha quale fulcro la presentazione delle grandi civiltà mondiali sotto molteplici prospettive. In una mostra che ha l’ambizione di farsi ponte tra le culture e scambio tra Est e Ovest.

HORSES

Symbols of Millenary Power from the Mediterranean to Jiangnan

Museum of Wu, Suzhou, Cina

17 gennaio – 18 maggio 2025

 

Inseguendo il Liberty

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato

È l’uomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nell’arte

L’espressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo l’uomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare. Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo. Non furono da meno gli autori delle Avanguardie del Novecento che, con i propri lavori “disperati”, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto “Secolo Breve”. Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di “ricreare” la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i “ghirigori” del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa l’edera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di un’arte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che l’arte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

 

Torino Liberty

Il Liberty: la linea che invase l’Europa
Torino, capitale italiana del Liberty
Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
Liberty misterioso: Villa Scott
Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
La Venaria Reale ospita il Liberty: Mucha e Grasset
La linea che veglia su chi è stato: Il Liberty al Cimitero Monumentale
Quando il Liberty va in vacanza: Villa Grock

Articolo 5. Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti

Negli articoli precedenti mi sono soffermata su due particolari edifici torinesi assai noti, Villa Fenoglio e Villa Scott, ma, poiché la nostra città è ricca di palazzi e ville in stile Liberty, nei due articoli che seguono vorrei proporre una sorta di “guida turistica” rivolta sia a chi, per caso, si trovi a passare nei dintorni di case e ville Liberty, e sia a chi, per pura curiosità, amerebbe approfondire l’argomento.

Pietro Fenoglio, celebre ingegnere-architetto, figura essenziale per il Liberty torinese, nel 1902 progetta per i fratelli Besozzi il Villino Gardino di corso Francia 12, angolo via Beaumont, dove lo stile floreale si affaccia nelle morbide linee del ferro battuto dei balconi. Nel 1909, sempre per la medesima famiglia, si dedica alla palazzina di via Magenta, e all’ampio isolato situato tra le vie Campana, Saluzzo e Morgari. La Palazzina Ostorero, di via Beaumont 7, del 1900, due piani più sottotetto, è contrassegnata da una raffinata decorazione floreale a graffito, da un tetto a capanna e torrette a tre livelli. La Palazzina Besozzi, di corso Francia 10, ha finestre doppie suddivise da colonne e capitelli, e discrete decorazioni sotto la gronda del tetto in legno. Tra il 1899 e il 1900, l’illuminato costruttore si dedica a Casa Gotteland, di via San Secondo 11. La facciata ha una scansione regolare e simmetrica, le decorazioni si concentrano sul ricco cornicione che corre tra il quarto e quinto piano, sui balconi, sulle finestre, sul portone d’ingresso. Sotto il davanzale, le finestre presentano un motivo decorativo ispirato alle forme di una conchiglia, festoni di fiori ornano i timpani sovrastanti le finestre; un motivo pure a conchiglia si trova nelle ringhiere in ferro battuto dei balconi; il portone d’ingresso in legno e vetri colorati e i fregi dipinti sull’androne ne segnano l’indirizzo apertamente floreale. Nel 1901 l’avvocato Michele Raby commissiona a Fenoglio la propria abitazione privata, da allora conosciuta come Villino Raby, corso Francia 8, vicino a via Beaumont. Una costruzione contrassegnata da un’estrema articolazione degli spazi esterni, a volte arretrati, a volte avanzati, con un originale portico terrazzato utilizzato come ingresso. Di grande rilievo l’originale bovindo angolare decorato da piccole teste di fanciulle. In fondo all’ampio cortile vi è una palazzina di servizio con annesse scuderie, caratterizzata da un tetto conico alla francese. Rimaneggiato nel corso degli anni, il villino nel 2009 è stato acquistato dall’Ordine dei Medici della Provincia di Torino, che si è occupato della sua lunga ristrutturazione. Del 1901 è Casa Boffa Costa, di via Sacchi 28 bis, che doveva necessariamente adeguarsi, per altezza, facciata e dimensioni, agli attigui e omogenei palazzi del tratto del corso porticato. Suggestioni Liberty si evidenziano comunque nelle finestre e nei balconi modellati in pietra artificiale; quattro finte colonne a tutta altezza hanno il compito di snellire il gioco prospettico, armoniosamente ritratto dal tondo dei balconi e il culmine delle finestre. Della vicina Casa Debernardi, via Sacchi 40/42, caratterizzata da due bovindi laterali che si alzano al colmo dei portici, forse Fenoglio ha posto solo la propria firma su di un’opera realizzata da altri. Interessante e aggraziata la facciata che dà sul cortile, con decorazioni Liberty in litocemento. Del 1902 (stesso anno di Palazzo Fenoglio-La Fleur e di Villa Scott) è Casa Pecco, via Cibrario 12, destinata all’affitto di abitazioni e di negozi, che evidenzia un apporto Liberty più modesto e garbato e meno vistoso. Si tratta di un edificio piuttosto imponente, che occupa un isolato trapezoidale nei pressi di via Le Chiuse, contraddistinto al piano terra da un portone in legno, la cui sagoma è ripresa dalle aperture del piano rialzato. Le finestre sono sovrastate da decorazioni geometriche, una cornice con motivi floreali caratterizza il paramento murario del terzo piano. La modellazione del ferro battuto contrasta piacevolmente con i lineari elementi litocementizi dei balconi del primo piano.


Di raffinatissimo stile Liberty è la Palazzina Rossi Galateri di via Passalacqua 14, (una perpendicolare di via Cernaia, alle spalle di piazza XVIII dicembre), segnata da motivi naturali quasi Rococò: tralci di vite, finta corteccia, fiori di grandi dimensioni, bovindi sormontati da terrazzini, e un elegantissimo portone d’ingresso in legno, al di sopra del quale si evidenziano le linee eleganti in ferro battuto del balcone. La costruzione è stata commissionata a Fenoglio dalla contessa Emilia Rossi, figlia del deputato Teofilo Rossi e moglie di Annibale Galatei, conte di Genola e di Suniglia. Squisita la resa armoniosa dei ferri battuti lavoratissimi, i particolari lignei come i telai delle finestre, la luminosa cromia delle vetrate, la morbida decorazione floreale, la bellissima vetrata ovale al piano rialzato e i particolari decorativi della facciata: tutto è studiato nei minimi particolari, ed è reso all’insegna del bello assoluto. Del 1903 è Casa Guelpa, via Colli 4, all’incrocio con corso Vittorio Emanuele 115, in un raffinato Liberty disegnato sui balconi con i motivi a conchiglia (il lato sul corso si richiama, invece, al Neobarocco). Casa Rey, di corso Galileo Ferraris 16/18, risale al 1904. Il palazzo, tra i cinque e i sei piani, ai lati ha due bovindi su tre ordini con vetri colorati e decorazioni floreali; la facciata si distingue per l’alternanza tra intonaco e laterizio in cui qua e là compaiono piccoli mostri su alcune finestre e capitelli su qualche balcone. Le finestre, che più si innalzano e più si alleggeriscono per gioco prospettico e capacità costruttiva, presentano eleganti modanature Liberty. Molto raffinati i quattro portantini in legno scolpito.

Casa Bellia, di corso Matteotti, angolo via Papacino, è caratterizzata da un ampio rosone, con colonnine poste a raggiera nella parte più alta di una simil-torre e cornici a dente di lupo che si alternano a particolari sia orientali che zoomorfi e fitomorfi. Nella parte angolare, un bovindo dalle linee tonde e dalle finestre ad arco, è sormontato da un tetto fatto a cupola piramidale. Particolari i balconi del primo e del terzo piano con finestre a triplice luce. Sempre in via Papacino e ancora con committenza Bellia, nello stesso anno – 1904 – viene edificato un edificio di quattro piani fuori terra, con seminterrati in vista e mansarde laterali a finestre binate. Un bovindo poligonale, chiuso nella parte superiore da un balcone con balaustra in cemento, allaccia due piani. Ornamenti floreali impreziosiscono il portone. Casa Rama, su progetto di Fenoglio, del 1909, in via Cibrario 63, è per noi torinesi del tutto particolare: in questa palazzina Liberty morì Guido Gozzano, il poeta crepuscolare che così ricorda la sua e nostra città: “Come una stampa antica bavarese/ vedo al tramonto il cielo subalpino/da Palazzo Madama al Valentino/ardono l’Alpi tra le nubi accese/È questa l’ora antica torinese,/è questa l’ora vera di Torino”. Cari curiosi e appassionati di Liberty, sarete ormai stanchi e affaticati, allora vi propongo una meritata pausa prima di riprende il tour nel prossimo articolo.

Alessia Cagnotto

Il road show della Quadriennale d’Arte alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Al via il road show della XVIII Quadriennale d’Arte. Il tour di presentazione che attraversa l’Italia debutta alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, in via Modane 16, alle ore 18 di giovedì 16 gennaio. La Fondazione La Quadriennale di Roma, partecipata dal Ministero della Cultura, Regione Lazio, Roma Capitale, Camera di Commercio di Roma, presenta il road show della diciottesima Quadriennale d’Arte, in programma da ottobre 2025 a gennaio 2026 al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Il tour, pensato come un viaggio attraverso le principali istituzioni culturali italiane, costituisce un’opportunità unica per approfondire i temi di questa edizione, la principale esposizione periodica dedicata all’arte contemporanea italiana. Ogni tappa del road show esplora un aspetto della manifestazione attraverso le parole di Luca Beatrice, Presidente della Fondazione La Quadriennale di Roma, e di altri curatori della diciottesima Quadriennale d’Arte: Luca Massimo Barbero, Francesco Bonami, Emanuela Mazzonis di Pralafera, Francesco Stocchi, Alessandra Troncone, i cinque curatori di “Fantastica”, e Walter Guadagnini, curatore del progetto espositivo di taglio storico intitolato “I giovani e i maestri”. La Quadriennale del ’35, che fa da contraltare alla mostra sull’arte italiana”, si alternano nel racconto dell’esposizione, affiancati da un rappresentante dell’istituzione, sempre con la moderazione del giornalista e divulgatore d’arte Nicolas Ballario. Il road show prenderà il via negli spazi della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino giovedì 16 gennaio 2025 alle ore 18. Per questa prima tappa il dialogo sarà tra Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Presidente dell’omonima Fondazione, e Luca Beatrice. Al loro fianco saranno presenti Fabio De Chirico, Direttore del servizio di Arte Contemporanea e Fotografia della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e i curatori Luca Massimo Barbero e Walter Guadagnini. Il tour prosegue toccando altre prestigiose sedi culturali italiane, approdando a Venezia il 28 gennaio, alle ore 18, negli spazi di Ca’ Giustinian, raggiungendo Milano e la Pinacoteca di Brera il 3 Marzo alle 18.30.

 

Mara Martellotta

“Accademia della Luce”. Riflettori su lo “Scia’Mano” di Luigi Ontani

Al via, alla “GAM” di Torino, il “Public Program” dedicato alla 27^ edizione di “Luci d’Artista”. 

Giovedì 16 gennaio, ore 18

Figura iconica, fra i più influenti e noti artisti italiani a livello internazionale, al bolognese di Vergato (1943) Luigi Ontani, pittore e scultore, padre dei singolari “tableaux vivants” – performances filmate e fotografate in cui lo stesso artista si presenta mascherato di volta in volta da Pinocchio, piuttosto che da Dante da San Sebastiano o da Bacco – degli “oggetti pleonastici” in scagliola e della “stanza delle similitudini”– costituita da elementi ritagliati in cartone ondulato – è dedicato il primo appuntamento pubblico “apripista” alle attività di “Accademia della Luce”, il Public Program curato da Antonio Grulli di “Luci d’Artista”, 27^ edizione. L’incontro (in collaborazione con “Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea”, “Fondazione Merz” e “Fondazione Sandretto Re Rebaudengo”, insieme al “MAO – Museo d’Arte Orientale”, “PAV – Parco Arte Vivente”, “MAUTO – Museo Nazionale dell’Automobile” e “OGR Torino) si terrà giovedì prossimo 16 gennaioalle 18, presso la “GAM – Galleria civica d’Arte Moderna e Contemporanea” di via Magenta 31, a Torino. Al centro della “tavola rotonda”, il Maestro bolognese e il suo “Scia’Mano”, una delle due nuove installazioni luminose (insieme a “VR Man” del greco Andreas Angelidakis) di “Luci d’Artista 27”.

Legata alla figura universale e “mistica” dello “Sciamano”, l’installazione di Ontani  è composta da un lightbox bifacciale tondo e di grandi dimensioni, in cui le fotografie (utilizzate da sempre e spesso, come in questo caso, “espandendole” in gigantografie) sui due lati sono stampate su un supporto lenticolare. Nelle immagini, sempre in movimento e pronte a mutare in base al punto di vista dell’osservatore, vediamo l’artista impersonare uno “sciamano”, a cui allude con un gioco di parole anche la forma della maschera – realizzata in Indonesia, a Bali, dove Ontani risiede per alcuni mesi all’anno – che richiama una mano. Il soggetto evoca la “tradizione magica” di Torino e la posizione dell’opera, sul bordo nord dei “Giardini Sambuy”, dialoga con il punto in cui aveva sede la libreria e casa editrice “Fogola” frequentata dall’artista in passato e di cui è sopravvissuta un’insegna. Nell’opera di Ontani sono frequenti i riferimenti letterari e, non a caso, la piazza antistante la stazione “Porta Nuova” ha un posto nella storia della nostra letteratura dovuto alla tragica fine (1950) di Cesare Pavese.

In occasione dell’appuntamento con Luigi Ontani, sono stati invitati alla “GAM” un gruppo di critici e intellettuali di altissimo livello e prestigio, dalla storica dell’arte Giulia Giambrone (autrice, nel 2019, del primo saggio interamente dedicato artista, “Luigi Ontani in teoria. Filosofia, estetica, psicoanalisi nell’opera e nell’artista) allo scrittore Emanuele Trevi (vincitore del “Premio Strega 2021”, collaboratore del “Corriere della Sera” che con Ontani ha realizzato libri come quello che racconta il loro viaggio a Bali, “Ontani a Bali”, “Humboldt Books”, 2016, Milano), fino alla curatrice “di casa” Elena Volpato, cui si deve l’inserimento dei primi seminali video (fine anni sessanta) del Maestro di Vergato nella collezione della “Videoteca” della “GAM”, da lei ideata, e la curatela della mostra “Alam Jiwa & Vanitas” nel 2021 nello spazio “Wunderkammer”.

L’ingresso è gratuito. E attenzione … “Luci d’Artista” allunga il passo!

In concomitanza con l’incontro su e con Luigi Ontani e per accogliere gli atleti e gli sportivi che saranno a Torino in occasione del “Torino 2025 FISU World University Games Winter”, l’accensione di tutte le “Luci d’Artista” sarà prorogata fino al 2 febbraio 2025. 

Si tratta – dicono gli organizzatori – di una notizia importantissima che testimonia l’evoluzione di ‘Luci d’Artista’ in una vera e propria istituzione per l’arte contemporanea attiva tutto l’anno e l’ulteriore allargamento dei confini temporali della manifestazione. La proroga straordinaria ribadisce il suo ruolo fondamentale nell’accompagnare, ‘illuminandoli’, i grandi momenti della città e della comunità”.

Per info: www.lucidartistatorino.org

Gianni Milani

Nelle foto:

–       Luigi Ontani: “Scia’Mano” (ph. Andrea Rossetti)

–       Immagine guida “Accademia della Luce”

Fondazione Giorgio Amendola, presentata la projection mapping di Telero Lucania ’61

In occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Carlo Levi (1902-1975) è stata presentata nella serata di giovedì 9 gennaio scorso, in via Tollegno 52, a Torino, “Luce riflessa”, projection mapping che spiega il Telero Lucania ’61, una monumentale opera pittorica dell’intellettuale torinese. La traduzione multimediale del dipinto è stata realizzata da Olo Creative Farm su commissione della Fondazione Giorgio Amendola all’interno di un progetto finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR Next Generation EU.

“La Fondazione Giorgio Amendola – ha dichiarato il Presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, rappresentato dall’assessore Andrea Tronzano – intitolata a un grande italiano partigiano e antifascista, è un luogo speciale. Qui vengono in visita le scuole del territorio, c’è una biblioteca aperta ai giovani studenti, qui si incontrano diverse generazioni e si fa cultura attraverso l’arte, come dimostra il monumento che inauguriamo oggi. Mi fa poi particolarmente piacere che questa installazione celebri l’opera del torinese Carlo Levi, diventato per la sua storia personale narratore della questione meridionale e, in qualche modo, testimone di quella commistione che è una delle caratteristiche del tessuto urbano di Torino, animata dalle tante comunità di quelli che mi piace chiamare ‘torinesi e piemontesi d’adozione’, arrivati in passato da altre Regioni italiane e che tanto hanno contribuito a far crescere il nostro territorio con il loro lavoro, ma anche con le loro tradizioni e il saper essere comunità”.

“Torino, città di cultura e di memoria – ha dichiarato l’Assessore ai Grandi Eventi Mimmo Carretta – è orgogliosa di ospitare questo evento che unisce arte, storia e innovazione, e di rendere omaggio a Carlo Levi, protagonista della cultura italiana, il cui impatto va ben oltre la sua epoca. Il cinquantesimo anniversario della sua scomparsa rappresenta un momento di riflessione sulla sua straordinaria opera artistica e letteraria, ma anche un’opportunità per valorizzare il suo impegno civile e la sua lotta per la giustizia sociale. Il Telero racconta una storia di speranza e resistenza, ponendo l’accento sulle sfide del meridione e sulla dignità degli individui. La traduzione multimediale realizzata da Olo Creative Farm non solo celebra la sua eredità, ma la rinnova stimolando un dibattito sempre più attuale riguardo a temi da sempre importanti e su messaggi universali”.

Il progetto multimediale “Luce riflessa” trasforma il celebre Telero Lucania ’61 di Carlo Levi in un’esperienza immersiva multisensoriale capace di unire passato e futuro, arte e tecnologia. Grazie alla tecnica del projection mapping, “Luce riflessa” dà nuova vita all’opera d’arte svelando dimensioni inedite e invitando il pubblico a immergersi nei paesaggi e nelle figure del dipinto. L’esperienza si snoda attraverso un racconto visivo dinamico che, con l’ausilio di animazioni, suoni sincronizzati e narrazioni multilingue (italiano, inglese, arabo, cinese) esplora dettagli nascosti, simbolismi e il contesto storico del capolavoro di Levi.

L’obiettivo non è solo emozionare, ma anche educare e sensibilizzare rendendo l’arte accessibile a un pubblico vasto e variegato. “Luce riflessa” celebra il dialogo tra il Mezzogiorno d’Italia, la Torino industriale e l’Europa dei popoli rendendo omaggio alla figura di Carlo Levi in chiave contemporanea e innovativa. Si tratta di un’esperienza inclusiva che unisce storia e tecnologia per avvicinare il pubblico alla profondità dell’arte e al potere evocativo della luce.

 

Mara Martellotta

“Quando il colore si fa luce”, storie ed emozioni di una vita

Alla Galleria Pirra, sino al 26 gennaio

Si chiuderà il prossimo 26 gennaio la mostra “Quando il colore si fa luce” alla Galleria Pirra laddove “l’intimo dialogo tra la luce e il colore, come due forze che si alimentano a vicenda, è il filo conduttore”. In un alternarsi di tenui pennellate e robuste, concrete. Potremmo parlare, nella trentina circa di tele esposte, di trionfo della luce che alimenta l’evoluzione del colore, creando atmosfere e ponendo chi guarda in stretto rapporto con il risultato dell’opera. Un percorso pressoché continuo quello che la luminosità ha intrapreso tra i tanti autori, spesso risaltato altresì da quelle ombre che si facevano strada sulla tela. Pirra guarda soprattutto al proprio patrimonio e mette in campo gli autori del postimpressionismo russo delle scuole di Mosca e San Pietroburgo, “per i quali la luce è viva per definizione, scolpisce i volumi, modula i colori, trasporta l’osservatore in un mondo che non è solo visibile, ma percepibile emotivamente.” Negli artisti di cui Pirra fu il nume tutelare in casa nostra a cominciare dagli anni Sessanta, la luminosità che invade i boschi o l’interno di una stanza o una pianta di girasoli, che colpisce il tramonto di una giornata invernale o l’alba che si focalizza su un sole che sta salendo all’orizzonte, è la rivincita sul rigore e sul buio di quelle distese, sulle distese innevate che in tanta parte dell’anno le occupano.

Georgij Moroz ci lascia il gruppo di girasoli fissati contro un cielo azzurro e quei pini che si perdono “Ai bordi della foresta” o già nel verde degli aghi solitari in qualche podere della campagna russa, splendenti e pieni d’energia, Dmitrij Kosmin con la sua simbolica “Alba”, Piotr Stolerenko che lascia intravedere tra i piccoli tronchi di un albero la casa del “Piccolo cortile” colpita dalla brillantezza di una giornata di sole e Maya Kopitzeva tratteggia con piena delicatezza i suoi “Fiori sulla finestra” mentre Olga Bogaevskaja la pareggia con un “Mazzo di fiori”, vera e propria macchia impressionista, che confonde e quasi si annulla con un bianco accecante all’interno del paesaggio che lo circonda.

Non soltanto dall’est arrivano le opere che rendono veramente apprezzabile questa mostra. Si ritrovano quasi con devozione i panorami del francese Henry Maurice Cahours (1889 – 1974), definito dalla critica “il poeta della luce”, amplifica il comunicato stampa “per la sua capacità di giocare con le sfumature, di creare atmosfere fatte di sottili armonie e di fermare la luce, impercettibilmente, sulla tela.” Sono sufficienti il grande cielo e la parete a strapiombo della Baia in Bretagna” o le case arroccate sul fondo delle “Petites Dalles” per ricordarci la poesia che ha determinato la grandezza dell’artista: in altre occasioni e in altre mostre ci era capitato di ammirare certi angoli delle coste bretoni con tutta la luce sapientemente colta, con i sentieri che attraversano i villaggi, le barche addormentate nella tranquillità di una baia, le basse maree e i fienili nell’aia assolata, le visioni della Senna e gli affollati mercati di un porto. Inoltre, la danese Birgitte Lykke Madsen e la torinese Luisa Albert (“Esercizio in bianco e giallo”, tenue nei suoi vetri e nei tendaggi che costruiscono un ambiente), le montagne di Enrico Reycend e i ricordi (ad esempio, “Donne in lettura”) che occupano le piccole dimensione delle tele del milanese Luigi Bracchi – frequentatore di personalità come Carrà e Annigoni e Savinio, definito da Edoardo Persico di “esemplare modernità” -, fatte di piccoli dettagli a tratti quasi nascosti che arricchiscono la tranquillità dei differenti momenti, “stillanti di colore” sarebbero stati definiti. In ognuno degli autori emozioni che superano la rappresentazione della realtà, di un paesaggio e di un interno, la volontà di dare a vita a suggestioni, a sensazioni fortemente creative, a storie personali che hanno riempito una vita.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Piotr Stolerenko, “Il piccolo cortile”, olio; Dmitrij Kosmin, “Alba”, olio, 1992; Henry Maurice Cahours, “Plage – Petites Dalles”, olio.

Gennaio a Camera, Centro Italiano per la Fotografia

Saranno numerosi gli appuntamenti che Camera ha programmato per il mese di gennaio alla scoperta di due maestri della fotografia, Tina Modotti e Mimmo Jodice, in mostra fino al 2 febbraio prossimo.

Giovedì 9 gennaio, alle 18.30, nella sala Gymnasium, nel primo appuntamento dell’anno, si terrà l’incontro con la direttrice di Palazzo Ducale, Ilaria Bonacossa, che dialogherà con il direttore di Camera Walter Guadagnini per approfondire la mostra dal titolo “Mimmo Jodice. Oasi”, scoprendo i particolari meno noti e più affascinanti delle quaranta immagini esposte nella Project Room di Camera, realizzate dal fotografo per una committenza ricevuta dalla Fondazione Zegna. La serie rappresenta un vero e proprio viaggio dagli interni domestici della villa del fondatore Ermenegildo Zegna a quelli produttivi del Lanificio, per muoversi poi nel paesaggio circostante.

L’incontro sarà l’occasione per scoprire uno straordinario corpus, all’interno del quale si trovano tutte le principali caratteristiche della poetica di Jodice, la trasformazione degli elementi della realtà, siano essi naturali o artificiali, paesaggi o interni, piante o macchinari industriali, in visioni metafisiche, in momenti sospesi nel tempo e nello spazio.

II 23 gennaio, sempre nella sala Gymnasium, alle 18.30 si terrà l’incontro con il giornalista Michele Smargiassi sul tema “Tina Modotti tra vita e arte”. Il dialogo tra il giornalista e Walter Guadagnini sarà l’occasione per immergersi nell’opera di questa artista straordinaria, scoprendo come, più di ogni altro documento o testimonianza, a raccontarci le idee, le battaglie, le vocazioni sociali di Tina Modotti siano state proprio le sue fotografie.

Nel corso della sua permanenza in Messico Tina Modotti si trovò, infatti, a vivere un conflitto profondo tra il desiderio di dedicarsi completamente alla fotografia e l’urgenza di impegnarsi nell’attivismo politico. Furono la vita, la Storia, la politica a prendere il sopravvento, quando si verificò l’omicidio del compagno e rivoluzionario Julio Antonio Mella e la sua espulsione dal Paese nel 1930. Un connubio tra arte e vita che ci appare oggi una delle eredità più preziose dell’artista.

Per la sezione “Letti in Camera” verrà presentata, il 28 gennaio alle 18.30 nell’area Bookshop, la nuova pubblicazione di Witty Books, nota casa editrice che si occupa di fotografia contemporanea e arti visive. Il volume, intitolato “La Teoria del Vuoto”, nasce da una fotografia che mostra una scena di vita quotidiana a Buccinasco, nel Milanese. In quella quiete suburbana sono state ritrovate delle armi, nascoste o abbandonate da ignoti. Con il libro i fotografi Alessandro Imbriaco, Fabio Severo e Tommaso Bonaventura riprendono la ricerca dei segni lasciati dalle mafie sul paesaggio, iniziata nel progetto “Corpi di reato. Un’archeologia visiva dei fenomeni mafiosi nell’Italia contemporanea “ per portarla in nuove direzioni. L’incontro, in compagnia degli autori e della realizzatrice della rassegna, Giulia Ninotta, sarà un’occasione per sfogliare il volume e riflettere su come la fotografia possa continuare oggi a svolgere una funzione di documentazione.

 

Mara Martellotta

Al giovane fotografo boliviano River Claure l’“EXPOSED GRANT for Contemporary Photographie”

“EXPOSED Torino Foto Festival”

Nel 2025 mostra – premio alla “GAM” di Torino

Boliviano, classe 1997, cresciuto sugli altipiani andini e formazione fotografica a Madrid (prima mostra nel 2024, alla 60^ “Esposizione Internazionale d’Arte” della “Biennale di Venezia – sezione ‘Stranieri Ovunque, Foreigners Everywhere’”) è il giovane fotografo boliviano River Claure, il vincitore di “EXPOSED GRANT for Contemporary Photography, il riconoscimento che “EXPOSED Torino Foto Festival” – organizzato, nella sua prima edizione dal 2 maggio al 2 giugno del 2024, dalla “Fondazione per la Cultura Torino”, sotto la direzione artistica dell’olandese Menno Liaw, fondatore e managing director di “Futures Foundation” e dell’artista, editore e ricercatore palermitano Salvatore Vitale – assegna ad artisti internazionali emergenti. Il progetto, promosso in prima linea dalla “Città di Torino”, prevede un premio da 20mila euro e la produzione di una mostra nel 2025 a Torino, nell’ambito della seconda edizione del Festival, che si terrà dal 16 aprile al 2 giugno 2025.

“‘EXPOSED GRANT’ è stato promosso – sottolineano Menno Liaw e Salvatore Vitale – per dare la possibilità ai fotografi di realizzare progetti visionari, che entrano a far parte della programmazione principale del Festival, di cui si intende sottolineare l’approccio innovativo e il suo ruolo di ‘piattaforma dialogante’ tra approcci fotografici classici e contemporanei, stimolando nuove prospettive su temi critici dell’attualità”.

La Giuria, formata da Tim Clark, direttore artistico di “Fotografia Europea”, Femke Rotteveel,  direttrice “Fotodok”, Danaé Panchaud, direttrice del “Centro della Fotografia” di Ginevra e docente all’“Università di Zurigo di Teoria e Storia della Fotografia” e Tanvi Mishraphoto editor, curatrice, scrittrice e docente, ha scelto come vincitore del “GRANT”  River Claure, “per l’eccezionale qualità del progetto, che ha dimostrato uno spessore concettuale unito a una forte originalità nella narrazione visiva”. La short list della Giuria era composta da Amak Mahmoodian, Gisela Torres, Jojo Gronostay, Mackenzie Calle.

Dunque, grazie al riconoscimento ottenuto, River Claure, presenterà dal 16 aprile al 2 giugno 2025  alla “GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino” la mostra  “Once upon a time in the jungle”, una serie di scatti in cui l’immaginario del “western americano” si intreccia con il “mito della giungla” del XIX secolo, un mito che di fatto non prende in considerazione le popolazioni dell’Amazzonia, ma rappresenta la giungla “solo come una terra desolata e ricca di risorse da sfruttare”. Le fotografie di Claure puntano a presentare con un nuovo taglio visivo ed emozionale la giungla amazzonica, meno esotico e d’impronta etnografica, più attento all’essere umano e alle comunità indigene, “mantenendo un’atmosfera giocosa e uno sguardo fiabesco”.

Frutto di un viaggio di centinaia di chilometri in canoa, tra l’Ecuador e il Perù, il suo progetto ha preso avvio da alcuni workshop con bambini e adulti nell’ambito del “Festival Kanua – Festival Flotante de Cine Amazónico”, con l’obiettivo di esplorare la complessità e le esperienze reali delle popolazioni locali.

“A metà tra impegno sociale e sperimentazione artistica, l’opera di River Claure – è stato ancora sottolineato – si inserisce a pieno titolo nel solco tracciato da ‘EXPOSED Torino Foto Festival’, che intende stimolare riflessioni sulle ultime tendenze della fotografia internazionale e su artisti impegnati socialmente, su fotografi che propongono uno sguardo nuovo sulla complessità del reale, uno sguardo più attento e rispettoso anche nei confronti delle piccole comunità, che faticano a far sentire la loro voce”.

Per info: “Fondazione per la Cultura Torino”, via Meucci 4, Torino; tel. 011/01133915 o www.fpct.it

g.m.

Nelle foto: River Claure “Don Raymundo. Uncia Bolivia” (from the series “MITA”), 2023; “Portrait River Claure” (Ph. Ariana Zabalaga)

Quella “grande arte” che, in Italia, sdoganò il “Contemporaneo”

Dalla “Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea” di Roma ai “Musei Reali” di Torino, oltre 70 opere della prima avanguardia

Fino al 2 marzo 2025

Anni ’50 – ’70. Signori miei, che anni quegli anni! Per il Paese (a maniche in su per la benefica ricostruzione post-bellica che avrebbe portato agli anni del boom economico ma anche alle inquietanti avvisaglie dei terribili “anni di piombo”), un ventennio di sovvertimenti burrascosi e totali. Nel bene e nel male. Che non mancarono di travolgere anche il mondo dell’arte, trasformatosi in un vero e proprio “movimento artistico tellurico”, portato avanti da un gruppone solido e coraggioso di “protagonisti germinali, oggi identificati come gli interpreti internazionali dell’allora contemporaneità”.

A sottolinearlo è Luca Massimo Barbero, curatore con Renata Cristina Mazzantini (direttrice della “GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea” di Roma) dell’inedita rassegna “1950-1970. La Grande Arte Italiana” ospitata, fino a domenica 2 marzo, nelle “Sale Chiablese” dei “Musei Reali” di Torino. 79 le opere esposte, provenienti dalla “GNAM” e riunite, per la prima volta, al di fuori del “Museo” di appartenenza, in una mostra prodotta dai torinesi “Musei Reali” e da “Arthemisia”, nonché fortemente voluta e resa possibile da Mario Turetta, “Capo Dipartimento per la Attività Culturali” del “Ministero della Cultura” e direttore delegato dei “Musei Reali” di Torino. 21, gli artisti rappresentati in un iter che coinvolge 12 Sale“La mostra vuole porre – afferma la direttrice della ‘GNAM’ Renata Cristina Mazzantini – l’attenzione sul ruolo da protagonista che la Galleria romana rivestì nella costituzione del patrimonio artistico italiano moderno e contemporaneo, grazie soprattutto al rapporto attivo che, nei suoi tre decenni al vertice della Galleria, la soprintendente Palma Bucarelli seppe intrecciare con gli artisti più significativi e innovativi di quella così alta stagione”. Stagione irripetibile. Annunciata in rassegna da due opere che subito ti avvertono delle dirompenti visionarie “bizzarrie” che ti aspettano nel lungo percorso espositivo: un astratto-materico “Rilievo con bulloni” del ’58-’59 del parmigiano Ettore Colla e “L’arco di Ulisse” del ’68 realizzato dal pugliese Pino Pascali (con lana d’acciaio su struttura in legno), cui si deve anche quel rosso fuoco “Primo piano labbra” del ’64, sarcastico rimando all’aggressività massmediale di certa pubblicità rivolta al pubblico femminile di allora.

In entrambe le opere, colpiscono l’invenzione e la capacità di trasformare il ludico esercizio manuale in opere di indubbia matrice artistica. Varcato l’ingresso, ecco i lavori di Giuseppe Capogrossi, fra cui la grande “Superficie 207” con quel caratteristico “segno” (“pettine” o “forchetta” per i critici) che il romano Capogrossi seppe elaborare e trasformare in tutte le maniere possibili. E, a seguire, un focus su quegli anni ’50, in cui l’arte amava palesarsi nell’utilizzo di materiali non convenzionali, da quelli di riciclo (sacchi di juta, plastiche, catrami o metalli) firma inconfondibile di  Alberto Burri, fino al gesto estremo della “lacerazione dei manifesti pubblicitari” del calabrese Mimmo Rotella, che in mostra firma anche una “realista” silhouette nera del presidente Kennedy, di spalle, al telefono. Sala monografica, a seguire, per il friulano Afro Basaldella e il suo, meno irruento e vagamente memore dell’immagine, “lirismo astratto”, cui s’oppongono le fluttuanti e vivide (verticali o orizzontali) fasce di colore di Piero Dorazio, così come i celebri “Concetti Spaziali” (concretizzazione del suo “Manifesto Blanco”) di Lucio Fontana. Fra le donne, meritano uno spazio speciale la romana Giosetta Fioroni fortemente ispirata (non meno di Sergio Lombardo e Tano Festa) alla “nuova mitologia” creata dai “nuovi media” (tv, cinema e rotocalchi) e la siciliana Carla Accardi, artista dal segno “auto generativo” e figura fra le più rappresentative dell’“Arte Povera”.

E che dire della maestosa imprevedibile “Superficie lunare” di Giulio Turcato o del “Poetry Reading Tour” in cui Gastone Novelli riesce a fondere pittura e scrittura e segni, in un’azione (molto diversa da quella simile in partenza di Toti Scialoja) di bizzarro collante fra realtà e immaginazione. Un altro inedito confronto si sviluppa, infine, fra un intenso monocromo nero di Franco Angeli ed alcuni importanti “Achrome” di Piero Manzoni, fra le più rivoluzionarie figure dell’arte italiana. A conclusione, le sale dedicate all’iconico quadro specchiante del ’68 di Michelangelo Pistoletto, insieme alle celebri “Cancellature” di Emilio Isgrò, all’“Incidente D662” di Mario Schifano e all’ironico (fin dal titolo) e dissacrante “Bachi da setola” del già citato Pino Pascali. Fra le Sale si cammina e si osserva incuriositi. Dentro la consapevolezza di non incontrare limiti all’ingegno dei “nuovi” (in allora) artisti.

Gianni Milani

“1950-1970. La Grande Arte Italiana”

Sale Chiablese-Musei Reali, piazzetta Reale, Torino; tel. 011/1848711 o www.museireali.beniculturali.it

Fino al 2 marzo

Orari: Da mart. a dom. 10/19. Lunedì chiuso

Nelle foto: Pino Pascali “Primo piano labbra”, tela smaltata tensionata su struttura lignea con camere d’aria, 1964; Giuseppe Capogrossi “Superficie 207”, olio su tela, 1957; Lucio Fontana “Concetto spaziale. Teatrino”, idropittura su tela con buchi e legno laccato, 1965; Mimmo Rotella: “Senza titolo”, Décollage, 1962

“New Color Lights”. Insieme l’“Accademia Albertina di Belle Arti” e la “Fondazione Chierese per il Tessile”

Un progetto – moda sostenibile, per “vestire il futuro”

Dal 19 dicembre al 19 gennaio 2025 e dal 1° al 15 febbraio 2025

Obiettivo “nobile” e non da poco: mettere in atto una sperimentazione di ricerca nell’universo moda che possa guardare ad una più equa e sostenibile visione del futuro. Il progetto didattico ed espositivo vede da tempo la collaborazione fra due realtà torinesi di assoluto prestigio nel campo del design e del “tessile”: l’“Accademia Albertina di Belle Arti” di Torino e la “Fondazione Chierese per il Tessile”. Ideata da Vincenzo Caruso, direttore del Corso di “Fashion Design” dell’“Ateneo” (presieduto da Paola Gribaudo e diretto da Salvo Bitonti), in collaborazione con i docenti Valentina Rotundo e Melanie Zefferino, l’iniziativa ha visto attivamente coinvolti oltre 40 studenti, allievi del Corso biennale di “Progettazione Artistica per l’Impresa” (con indirizzo, per l’appunto, di “Fashion Design”) che si sono attivamente dedicati allo studio e all’impiego del cosiddetto “tessuto bandera”– realizzato con fibre naturali , cotone o lino – di antica tradizione a Torino e dintorni, nei colori limitati ancora oggi ai bianchi ed écru, per  realizzare una “capsule collection” di “abiti a trapezio”, icona del guardaroba anni ’60 ideato dallo stilista Yves Saint Laurent, moderno e versatile diventato un eterno evergreen. Sul bianco ottico di questo tessuto in puro cotone, prodotto dalla “Pertile srl” con certificazione “GOTS – Global Organic Textile Standard” (il più importante stan-dard internazionale per la certificazione dei prodotti tessili realizzati con fibre naturali da agricoltura biologica), si innestano gli inserti della stessa stoffa tinta con coloranti naturali nei sette colori dell’arcobaleno, usando tecniche che gli studenti hanno sperimentato nel corso di un workshop condotto al “Museo del Tessile di Chieri”.

Gli abiti protagonisti, dalla caratteristica forma ad “A”, si trasfigurano “nell’affascinante materia del prisma – spiegano i docenti responsabili – mentre cenni di colore sapientemente studiati emergono dal bianco di ognuno dei capi, dando vita ad una totale immersione nel mondo vibrante e potente dei cromatismi. Il trapezio veste il corpo della donna, come dell’uomo, in un atto di rivelazione che, dalla sua purezza e versatilità, parla di luce e rinascita culturale. I colori dell’arcobaleno, simbolo di bellezza e diversità, ci ricordano l’importanza dell’inclusione all’interno della società”.

Gli allievi, inoltre, della scuola di “Cinema, Fotografia e Audiovisivo” diretti da Fabio Amerio, hanno documentato il work-in-progress del progetto e curato lo “shooting” fotografico, al quale hanno collaborato anche gli studenti del corso di “Trucco e maschera teatrale” di Arminda Falcione. L’iniziativa risponde concretamente alle istanze per il raggiungimento di “obiettivi chiave” (“SDG – Sustainable Development Goals”) dell’“Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” in termini di “sostenibilità dei processi, rispetto dell’ambiente, educazione di qualità, lavoro dignitoso e creativo”.

Gli esiti di questa progettazione artistica “multanime”, ovvero gli abiti e gli elaborati visivi, saranno protagonisti di un’esposizione che ha ricevuto il patrocinio della “Città Metropolitana di Torino” e della “Città di Chieri” e che si inaugurerà all’“Accademia Albertina di Belle Arti” di Torino (via Accademia Albertina 6), nell’ipogeo della “Rotonda del Talucchi”, giovedì 19 dicembre (ore 18), per protrarsi fino a mercoledì 19 febbraio 2025 (sab. dom. e festivi 10/18) e per approdare successivamente al “Museo del Tessile” di Chieri sabato 1° febbraio 2025 (via Santa Clara 6 – 10), dove resterà visibile fino a sabato 15 febbraio ( merc. e sab. 15/18, mart. 10/12).

Per info: siti web di riferimento www.albertina.academy e www.fmtessilchieri.org

G.m.

Nelle foto: “New Color Lights” immagini shooting fotografico