ARTE- Pagina 2

Che “Luce” sia, ma anche “Gesto Performativo”

/

Lunga serata alla “GAM” di Torino con l’ultimo appuntamento del “Public Program” di “Luci d’Artista”

Sabato 21 giugno, dalle 18,30

Tutto accadrà all’imbrunire del prossimo “Solstizio d’estate”: sabato 21 giugno (dalle 18,30), il giorno più lungo e luminoso dell’anno, con una serata si preannuncia indimenticabile. Uno scorrere di ore magiche in cui artisti, musicisti ed un grande poeta realizzeranno una serie di “performance” all’interno di “Anni Luce”, la prestigiosa Arena all’aperto di “Giulio Paolini” alla “GAM – Galleria civica d’Arte Moderna e Contemporanea” di via Magenta a Torino.

Il tutto rientra, dopo il grande successo dell’anno scorso, nell’ultimo appuntamento della seconda edizione di “Accademia della Luce”, il “Public Program” (sviluppato da “Fondazione Torino Musei” insieme ai “Dipartimenti Educazione” delle principali “Istituzioni torinesi per l’Arte Contemporanea”, ultimi in ordine d’arrivo il “MAUTO” e le “OGR”) della XXVII edizione di “Luci d’Artista”“Public Program” incentrato, quest’anno, sul tema specifico di “Luce e gesto performativo”, che ruoterà intorno alle fantasiose genialità dell’italiana triade anonima “CANEMORTO” e dell’artista londinese Marcos Lutyens, invitati a creare una nuova “performance” sul tema della “luce”.

La triade “CANEMORTO” trasformerà l’ascensore della “GAM” in una “stanza magica mobile” nella quale eseguirà delle letture lampo dei “Tarocchi del Sole Fermo”, con un mazzo di carte creato ad hoc per rivelare ad ogni partecipante cosa abbia in serbo la sua estate, diviso in “10 arcani di luce” e “10 arcani di ombra”, ideati dal trio senza alcun legame con i tarocchi tradizionali.

Marcos Lutyens, con il suo Equilux ≈ Equinox: Un Viaggio Psico-Magico”, coinvolgerà invece il pubblico in un campo di luci, suoni, vibrazioni subsoniche e voce guidata “creando un’esperienza alchemica di allineamento interiore e sintonizzazione esterna”. La “performance” sarà accompagnata da brani tratti da “NOX-LUX”, il nuovo album cocreato insieme al compositore di Los Angeles Aaron Drake.

Continuando la tradizione del legame di “Luci d’Artista” con il mondo della poesia e degli approfondimenti con i grandi artisti che hanno realizzato le “Luci”, le due “performance” saranno precedute (ore 19) da un vero e proprio evento, ovvero una “conversazione de visu” tra John Yau e Nicola De Maria . Sarà un incontro straordinario tra il poeta, editore e critico d’arte newyorkese John Yau (Lynn, Massachusetts, 1950) e il Maestro Nicola De Maria (pittore tra i più prestigiosi protagonisti della “Transavanguardia” internazionale, autore di opere da lui stesso definite “poesia scritta con le dita sporche di colore”), legati da 40 anni di stima ed amicizia. Al centro della conversazione vi sarà ovviamente il tema della “Luce” e l’opera “Nido cosmico di tutte le anime” di De Maria, installata da anni in Piazza Carlina. In occasione dell’incontro, inoltre, l’artista, beneventano di Foglianise trasferitosi a Torino negli Anni ’70, ha generosamente messo a disposizione alcune prime edizioni autografate dei libri di John Yau, insieme a cataloghi e testi critici dedicati alla sua opera. Traduzione consecutiva dall’inglese all’italiano.

Ma, attenzione!, i giochi non s’esauriscono qui. A corollario degli eventi programmati alla “GAM”, nelle  sere dal 21 al 24 giugno (in un ideale collegamento con il giorno dedicato al patrono della Città) saranno straordinariamente accese le “Luci d’Artista” in  12 siti cittadini: da piazza Carlina alla Galleria Umberto, da piazza Risorgimento al Monte dei Cappuccini, fino al “Museo della Resistenza” all’Ospedale Sant’Anna, alla Mole Antonelliana e a Piazzale Polonia, per finire con Piazzetta Mollino, i “Giardini Sambuy”, l’Antica “Tettoia dell’Orologio” in piazza della Repubblica e corso Unità d’Italia, presso il Laghetto di Italia ’61.

Sottolineano gli organizzatori: Luci d’Artista è un vero e proprio ‘Museo di Luce’, con la sua collezione a cielo aperto di installazioni luminose che trascende i classici confini invernali e natalizi per vivere tutto l’anno. Ma, così come l’evento invernale è definito da una ‘dimensione notturna’ (luce elettrica, presenza di opere fisicamente imponenti), abbiamo voluto che l’evento estivocome per lo scorso giugno, fosse composto da concetti diametralmente opposti, legati a una ‘dimensione diurna’ e a interventi il più possibile ‘effimeri e immateriali’, proprio come possono essere le performance”. E il colpo d’occhio, sicuramente, non sarà meno foriero di forti e inaspettate emozioni. In un bagno di atmosfere pienamente vissute alla luce del giorno.

Gianni Milani

“Accademia della Luce. Luce e gesto performativo”

GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

Sabato 21 giugno, dalle 18,30

Nelle foto:  “CANEMORTO”, Photo courtesy il trio di artisti; “Accademia della Luce”; John Yau, Photo courtesy l’artista; Nicola De Maria, Photo courtesy Sabina Arena

La Parigi di Montparnasse di Brassaï

In mostra al Centro Saint- Benin di Aosta

Inaugura venerdì 18 luglio alle ore 18 e rimarrà aperta dal 19 luglio fino al 9 novembre al Centro Saint-Bénin di Aosta una mostra di fotografia di respiro internazionale,  dal titolo “Bressaï. L’occhio di Parigi”. La retrospettiva è promossa dall’Assessorato Beni e attività culturali, Sistema educativo e Politiche per le relazioni intergenerazionali della Regione autonoma Valle d’Aosta, prodotta da Silvana Editoriale, curata da Philippe Ribeyrolles, studioso e nipote del fotografo, che vanta una inestimabile collezione di stampe di Brassaï e un’estesa documentazione relativa al suo lavoro d’artista.

Sono più  di 150 le stampe d’epoca, oltre a sculture, documenti e oggetti appartenuti al fotografo ad arricchire la mostra e a consentire uno sguardo inedito e approfondito sull’opera di Brassaï, con un’attenzione particolare alle celebri immagini che egli dedicò alla capitale francese e alla sua vita.

Le fotografie dedicate alla Ville Lumière, dai quartieri operai ai grandi monumenti simbolo, dalla moda ai ritratti degli amici artisti, fino ai graffiti e alla vita notturna, sono oggi immagini iconiche che identificano immediatamente il volto di Parigi.

La città natale di Gyula Halász è  anche la ragione del suo nome d’arte. Quando alle soglie del XX secolo nacque Brassaï, la città rumena di Brasov faceva parte del territorio ungherese. Brassaï si trasferisce con la famiglia ad appena tre anni a Parigi, per poi tornare a studiare a Budapest e lavorare a Berlino come giornalista. Gli anni Venti e Trenta sono prolifici per gli incontri con gli artisti più importanti delle avanguardie storiche. E la fotografia appare la necessaria conseguenza. Dal 1929 Brassaï dedica alla capitale francese un corpus di fotografie che la ritraggono ogni giorno come di notte, alternando pubblico e privato, urbano e antropico.

Brassaï è  stato uno dei protagonisti  della fotografia del ventesimo secolo, definito dall’amico Henry Miller “l’occhio vivo della fotografia”.

In stretta relazione con artisti quali Picasso, Dalì e Matisse, vicino al movimento surrealista, a partire dal 1924 partecipò al grande fermento culturale  che, in quegli anni, investì Parigi.  Brassaï è stato uno tra i primi fotografi a catturare l’atmosfera notturna di Parigi e della sua popolazione. Il fotografo non si limitava a rappresentare paesaggio o vedute architettoniche, ma si interessava anche degli spazi in cui l società si incontrava e divertiva. È del 1933 il suo volume ‘Paris de nuit’ le cui immagini furono anche pubblicate sulla rivista surrealista ‘Minotaure’.

Philippe Ribeyrolles,  curatore della mostra, spiega che esporre Brassaï significa immergersi nell’atmosfera di Montparnasse dove si potevano incontrare numerosi artisti provenienti dall’Europa dell’Est come il suo connazionale André Kertesz. Quest’ultimo esercitò una notevole influenza sui fotografi che lo circondavano, tra cui Brassaï e Robert Doisneau.

Brassaï appartiene alla scuola francese di fotografia detta umanista per la presenza essenziale di donne, uomini e bambini nei suoi lavori.

Oltre alla fotografia di soggetto la esplorazione dei muri di Parigi e dei loro numerosi graffiti testimonia il legame del fotografo con le arti marginali e l’arte di Jean Dubuffet.  Invitato ad esporre i suoi lavori al Museo di Arte Moderna MoMA, Brassaï riscosse un enorme successo.

Il legame del fotografo con gli Usa si concretizza con una collaborazione con la rivista Harper’s Bazaar, per cui Brassaï ritrae molti protagonisti della vita artistica e letteraria francese con i quali era solito socializzare. I soggetti ritratti in questa occasione saranno pubblicati nel volume ‘Les Artistes de ma vie’, due anni prima della sua morte.

Brassaï muore il 7 luglio 1984 dopo la pubblicazione di un suo libro su Proust. E’ sepolto nel cimitero di Montparnasse, nel cuore della Parigi che ha celebrato per mezzo secolo.

La mostra sarà dotata di un catalogo bilingue.

Orari da martedì  a domenica dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18.

Centro Saint Bénin

Via Festaz 27- Aosta.

Tel 0165272687

Mara Martellotta

“I marmi del Re”, storia del restauro di Palazzo Madama

È stato presentato oggi, presso il Salone d’Onore della Fondazione CRT, il volume “I marmi del Re, dedicato allo straordinario intervento di restauro e consolidamento della facciata juvarriana di Palazzo Madama, simbolo identitario della città e patrimonio UNESCO, promosso dalla Fondazione Torino Musei e interamente sostenuto dalla Fondazione CRT, principale sostenitore privato del bene con 18 milioni di euro complessivamente stanziati.

La pubblicazione – curata dall’architetto Gianfranco Gritella, direttore dei lavori, ed edita da Electa – restituisce, attraverso parole e immagini, l’intero percorso tecnico, artistico e umano di questo complesso e innovativo intervento.

L’opera si concentra sull’intervento di consolidamento e restauro della sezione centrale della facciata realizzata tra il 1718 e il 1721 su progetto di Filippo Juvarra. attraverso un’indagine filologica e storica il volume esplora le vicende e le caratteristiche de i restauri attuati tra Ottocento e Novecento condotti da Alfredo d’Andrade.

Alcuni capitoli indagano l’impiego dei marmi provenienti dalle antiche cave delle Alpi Cozie, riscoperte ed esplorate puntualmente e rilevate con droni e specifiche tecnologie laser di ultima generazione, studiando i luoghi di estrazione, i metodi di lavorazione, trasporto e montaggio dei blocchi

L’indagine archeologica sull’architettura ha permesso, in maniera inedita, di ricostruire le tecnologie e le macchine utilizzate nel cantiere storico con disegni e rilievi che descrivono tutti gli elementi scultorei e lapidei che compongono la facciata.

Il restauro – avviato nel 2022 e concluso nel settembre 2024 – è stato interamente finanziato dalla Fondazione CRT, con un contributo straordinario di 2,9 milioni di euro, e promosso dalla Fondazione Torino Musei con la collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino.

L’intervento ha riguardato il consolidamento strutturale dell’avancorpo centrale con “protesi” reversibili in acciaio, il restauro dei marmi e dei serramenti (11 finestroni barocchi, i più grandi del Piemonte), il recupero dei sotterranei e, in particolare, il delicato restauro delle quattro monumentali statue allegoriche del “Buon Governo” – Giustizia, Liberalità, Magnanimità e Abbondanza – dello scultore carrarese Giovanni Baratta, protagoniste di uno scenografico volo nel cielo di Torino durante la fase di smontaggio.

Si è trattato di una spettacolare, complessa e delicata operazione “chirurgica”, capace di “mixare” antiche tecniche artigianali e metodologie all’avanguardia, recuperando i marmi originali, accanto all’impiego di materiali contemporanei.

Tutto il restauro è stato preceduto da una complessa campagna diagnostica e di rilievi approfondita durante il cantiere con l’impiego di apparecchiature laser, georadar e indagini tomografiche mediante risonanza magnetica al fine di conoscere la consistenza interna dei blocchi lapidei di colonne e pilastri.

Un tratto distintivo del progetto è stato l’approccio partecipativo e inclusivo del cantiere: grazie all’ascensore allestito sul ponteggio e accessibile anche alle persone con disabilità, centinaia di visitatori hanno potuto vivere da vicino il cantiere, ammirando da un punto di vista inedito le architetture torinesi, dalla Mole Antonelliana a Superga. Un’esperienza unica di valorizzazione del patrimonio culturale che ha coinvolto la comunità.

Foto Perottino

Casa Cavassa. Una scatola magica per l’arte

A Carmagnola, nel secolare Palazzo nobiliare, espongono “in trasferta” 37 artiste/i “Amici di Palazzo Lomellini”, oggi chiuso per lavori di restauro

Fino al 29 giugno

Carmagnola (Torino)

Subito, al centro del grande Salone al primo piano della quattrocentesca “Casa Cavassa”(dal 1867 sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso “Francesco Bussone”) ci imbattiamo nella complessa installazione “Prove di Speranza”, opera di Pippo Leocata , pittore, scultore, allievo del grande Carlo Mollino che in lui trasmise a vita quel benefico virus dell’“ars costruendi” che ancora oggi l’artista siculo-torinese si porta addosso come insostituibile stilema del suo “fare arte”. Ebbene proprio quella sua “Prove di Speranza”mi piace ritenere, (oggi più che mai alla luce degli ultimi tragici e terrifici “venti di guerra” mediorientali) il fulcro centrale della ricca Collettiva “Una scatola magica per l’arte”oltre 70 opere a firma di ben 37 artisti – organizzata dall’Associazione “Amici di Palazzo Lomellini”, sotto la curatela di Elio Rabbione ed ospitata, fino a domenica 29 giugno, nella storica (1438) “Casa Cavassa”di via Benso a Carmagnola. Articolata in cinque elementi-opere, l’installazione di Pippo Leocata presenta (in riferimento al “Giubileo della Speranza” di Papa Francesco) due poderose, silenti “Porte Sante” (in legno di pallet, catramina e olio) che, al loro aprirsi, non possono far altro che restituirci sgomento, cumuli di macerie, frammenti di antichi simboli di fede, bianchi sudari di morte e oceani di lacrime di donne, uomini, bambini (quanti bambini!) per i quali la vita è stata solo, o quasi, guerra.

 

E, per molti, subito morte. Al centro, un grande olio urla la parola “PACE”. Anche in lingua araba. Così come potrebbe farlo usando decine di altri idiomi, propri degli oltre cinquanta Paesi oggi coinvolti in conflitti internazionali, spesso ignoti. O ignorati. E, dunque, quanto Leocata può offrirci, al di là del suo agire artistico, sono solo “Prove di Speranza” prima ancora che “prove di pace”. Quella “speranza” e quella “pace”, mai come oggi parole e realtà così lontane. Chissà, se allora quel mare di macerie potrà a breve ricomporsi e riprendere le antiche forme? E’ quanto forse vuole farci immaginare (sognare, sperare) il buon Leocata. Così come quella attigua immagine, nitida fra piacevoli giochi di colore de “Lo speziale misterioso”, opera di Andreina Bertolini o gli “Arcobaleni e i giochi fai da te” dei bimbi d’Africa di Giorgio Cestari. Trentaquattro i pittori, raccolti in rassegna e tre scultori: accanto a Leocata, Giancarlo Laurenti con le sue poderose essenziali figure che sfidano la libera lievità del vuoto, così come le eleganti, di classica rinascimentale bellezza, figure femminili di Sergio  Ùnia.

“Piace – annota Alessandro Cammarata, assessore alla Cultura di Carmagnola – l’idea di confronto che nasce nel gruppo, la compartecipazione di scelte e di tecniche, poste a misurarsi in giochi di professionalità in altre occasioni già testimoniata”. In altre occasioni e in tutte le possibili accezioni di tecnica e linguaggio narrativo. Fissate a raccontare figure, ritratti (“Il sole dei vecchi” di “meriniana” memoria di Roberto Andreoli, accanto alle maschere e ai tristi burattini dell’assai poco ilare “Carnevale 1934”dell’indimenticato Guido Bertello e alla “Donna di luce” di Rosella Porrati) o paesaggi (che spesso sono poetiche memorie di un passato incollato agli occhi e al cuore: quelli di Lidia Bracciano, di Graziella Alessiato, di Anna Maria Palumbo, Dario Cornero e Giancarlo Costantino, fino alla geometrica “Carmagnola”– vista dal campanile – di Mariarosa Gaude, al “Porto di Ischia” di Paolo Viola, agli stupendi “Riflessi nell’acqua” di Adelma Mapelli e ancora ai “fiori giganti” di Franco Goia, accanto alla“Passeggiata al Valentino” di Marisa Manis, alle vecchie “barche” di Teresio Pirra e al sobrio “Paesaggio lucano” di Paolo Pirrone o ai delicati “Cardi fioriti” di Luciano Spessot in affaccio da un vecchio rustico della sua goriziana Sagrado o del suo “buen retiro”valsusino di Rubiana che fu anche luogo del cuore dell’amico Francesco Tabusso.

 

Non mancano i più o meno sfacciati “sperimentatori” e trasgressori del “figurativo”: dai teatrali “ritagli” di Angelica Bottari, ai “ventagli grafici” di Anna Branciari, agli intensi giochi cromatici di Maria Brosio e Bruno Molinaro, per arrivare agli inaspettati materici lavori di Ezio Curletto, all’essenzialità espositiva di Lidia Delloste e alle “Selve oscure”  di Cristina De Maria o alle iperrealistiche musicali e portentose “immagini spezzate” di Franco Fasanoaccanto alla simbolica surrealtà di Roberta Fassio e alle pure “astrazioni” di Giuseppe Manolio, così come alle immaginarie giravolte di colore di Luciana Pistone o di Magda Tardon e ai “meccanici” improbabili ritratti di Valentina Rossi che fanno il paio con le “cupe riflessioni” di Christian Sorrentino.

Notevole, per finire, “Il mio angolo” di Eleonora Tranfo: un magico fascio di luce su una vecchia poltrona, pochi libri sparsi, “un chiusoche sembra voler trattenere le suggestioni di un tempo”.

Gianni Milani

“Casa Cavassa. Una scatola magica per l’arte”; Casa Cavassa, via Benso 1, Carmagnola (Torino); tel. 011/2386656. Fino a domenica 29 giugno. Orari: giov. e ven. 15,30/18,30; sab. e dom. 10/12,30 – 15/18,30

Nelle foto: Pippo Leocata: “Prove di Speranza”, legni di pallet e tecniche miste, 2025; Guido Bertello “Carnevale 1934”, acrilico su tela, 1976; Sergio Ùnia “Giovinetta”, bronzo, 2010; Luciano Spessot “Cardi fioriti”, acrilico su masonite, 1998; Eleonora Tranfo “Il mio angolo”, acrilico, 2021

L’arte di Marina Monzeglio, dai vetri artistici agli acquerelli

Mostra ad Avigliana, sino al 20 luglio

Oltre cinquanta opere, tra vetri artistici e acquerelli, dell’artista Marina Monzeglio ospitate sino al 20 luglio nella mostra “Percorsi”, organizzata da Luigi Castagna e Giuliana Cusino, della Associazione Culturale “Arte per Voi”, nell’ex chiesa di Santa Croce, nel suggestivo scenario medievale della piazza Conte Rosso ad Avigliana. Il desiderio di sperimentare, la curiosità a percorrere strade nuove, il mettersi a confronto con materiali inusitati, il disegno e il colore che rafforzino un’idea: questo e altro ancora sono gli “affetti” non soltanto umani che sorreggono l’attività di un’autentica “artista”, reclamando appieno quell’antica radice che è in “artifex”, il portatore di un’ars capace di raccogliere in sé l’eccellenza di un mestiere e di una tecnica innegabile, strettamente legata a un’azione e a un sentimento di valore intellettuale sempre costanti e immersi in quella stessa curiosità. Questa è Marina Monzeglio, questo è il sentimento che di lei continuiamo a conservare, da quando l’abbiamo conosciuta. Curiosa e instancabile. Capace di mettere da parte, all’occorrenza, dietro una spinta inavvertita o in tempo diverso meditata, certi terreni in precedenza attraversati e coltivati. Disposta a guardare sempre verso altri mondi. Verso un “altrove” che è la parte più intima di quei “percorsi”. “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo io non lo so, ma dobbiamo andare”, scriveva Kerouac in “Sulla strada”, un sentire e uno stile di vita, una religione laica per Monzeglio. Una incessante ripartenza, d’obbligo, quotidiana e temporale, di occasione in occasione.

Tre sono essenzialmente quei percorsi, che guardano all’interpretazione di elementi quali il segno, il colore e la forma. Laddove il primo è simile a un viaggio che tenda a ricollegare l’individuo verso l’infinito, dove coabitano oscurità e squarci di colore, la memoria e la poesia, “valore simbolico ed estetico della civiltà del tempo”. Il secondo è il voler ricavare un nuovo aspetto della materia, una dinamicità che nasca prepotente nell’immaginazione e che rintracci la propria corposità nello spazio, documento non secondario della presenza umana. Nella brochure che è presentazione alla mostra, ci soccorre Alessandro Baricco: “Bisogna cercare di capire lavorando di fantasia, dimenticando quel che si sa, in modo che l’immaginazione possa vagabondare libera correndo lontana dentro le cose fino a vedere come l’anima non è sempre diamante ma, alle volte, velo di seta trasparente.” L’ultimo percorso segna l’indagine “sul significato del segno come la forma di identificazione più antica”, avendo nella mente quello stesso segno come il mezzo più abituale e preciso per collegarsi e confrontarsi, per allargare gli ambienti della nostra comunicazione, nel mondo antico come in quello più prossimo a noi, il segno che si fa appartenenza e civiltà, un mosaico variopinto “di piccoli elementi staccati dall’insieme, piccole visioni e micromondi”, frammenti d’oggetti pronti a ricomporsi.

Possiede un fervente laboratorio, un personalissimo Studio d’arte, “una stanza tutta per sé”, a Nichelino, Marina Monzeglio (le sue mostre più recenti: “Viaggio nell’universo femminile”, galleria Venti, Torino, 2017; “Compagni di viaggio” (2017), “Lo sguardo degli altri” (2018) e “Allegri, gente…” (2022) presso il palazzo Lomellini a Carmagnola; “L’altra metà degli angeli” (2017) e “Frammenti” (2018) presso Arte per Voi ad Avigliana; “Emozioni d’Artista” (2022) presso la galleria La Conchiglia e “Leggerezze” (2023) al MIIT di Torino; ancora al MIIT “Fabbricatori di favole” e “Fabbricatori di favole 2”, entrambe nel 2024) – diplomata in scenografia presso l’Accademia di Belle Arti torinese -, per dare vita ai suoi universi, immaginifici e geometrici (il proseguire e lo spezzarsi delle linee, l’intrigo di certi profili, le linee ondulate che sfuggono e vengono in seguito ricomposte) al tempo stesso, la vitalità e i cromatismi più tenui e belli. Una discrezione, un passo dopo l’altro senza alcun disturbo, un farsi avanti senza troppo apparire. Ma anche un’irruenza che ti convince appieno nell’arditezza della forma. Mentre t’incantano quei toni sommessi. Una dicotomia poi, l’area laboriosa e faticosa del vetro, inteso come scultura, intessuta di morbidezze e di sinuosità, tra i margini e le intelaiature di stagno che fanno da legatura e sono lì, ad esempio, ad accompagnare verso l’alto (il ricordo è lo splendido “Sinuosità, in un’altezza di 120 cm) una foglia o un lembo di spazio socchiuso, con le sue suddivisioni e i tanti piccoli quasi impercettibili pezzi vitrei che la compongono.

Una raffinatezza, un liberty elegante e antico. Il susseguirsi, con l’avanzare della superficie, di colori che sono bruni e un variegare composito di azzurri e di blu più o meno intensi, e di verdi variamente intesi, e di forme ancora, che s’esprimono in circolarità e in corni sfuggenti, in porzioni appena carezzate dal colore e in altre nelle quali quello s’insinua con forza. Forze che non perdono certo tutto il loro status ma che si stemperano – dicevamo, un altro “altrove”, le superfici senza delimitazioni dei cieli e degli astri, gli incanti di Orione, frammenti sognati e reinventati, miti e suggestioni, realtà lontanissime posizionate sul foglio di carta, l’abbandono di nature morte e di paesaggi e di volti: ancora una volta, il sempre identico desiderio a spingersi oltre, a inventare giorno dopo giorno un linguaggio nuovo – in acquerelli filosoficamente astratti, grumi di colore che riprendono e riassumono all’interno di leggi tutte proprie le composizioni precedenti.

Elio Rabbione

Nelle immagini, vetri artistici (“Tabit”, diametro cm 50, 2007, vetro dipinto grisaglie e smalti cottura gran fuoco e legatura stagno) e acquerelli di Marina Monzeglio in mostra nell’ex chiesa di Santa Croce ad Avigliana.

The essence of water

È in corso a Casale Monferrato la bella mostra, curata dall’associazione ArtMoleto, incentrata sul rapporto inscindibile tra arte e natura, attraverso affascinanti opere di artisti che si confrontano, ognuno con il proprio stile, su questa importante tematica.

GRB

Al Museo MIIT di Guido Folco Akshita Lad e Fadilja Kajosevic

Al  Museo MIIT di corso Cairoli 4 si tiene una doppia mostra dal 12 giugno al 4 luglio prossimo, la prima dal titolo “Akshida  Lad- Soft Impressions”, la seconda dedicata all’artista Fadilja Kajosevic.

“La mostra personale di Akshita  Lad al museo MIIT di Torino- afferma il curatore e direttore del MIIT, Guido Folco – prosegue il percorso internazionale dell’artista che l’ha vista protagonista in Italia e all’estero in numerosi eventi prestigiosi  svoltisi in questi  ultimi anni all’insegna della sua arte e del suo pensiero. Le opere di Akshita Lad si inseriscono, infatti, perfettamente in una visione virtuosa della natura, del mondo, dello spirito dell’uomo. Il suo è un invito rivolto a tutti a rallentare la frenesia dell’esistenza moderna per mettersi in contatto con se stessi e il pianeta. È come se si trattasse di una pittura meditativa, quasi una autoanalisi incentrata sulla propria energia vitale, sul senso ultimo della vita, su quanto sia importante connettersi con la natura per recepire la bellezza e la purezza. Si tratta di una rinascita che l’artista intende proporci attraverso la sua pittura soffusa, che vive di trasparenze e intimità espressiva, sospesa in un universo onirico e metafisico, ma al contempo molto reale, tangibile, perché comunque sempre ispirato al reale.

Akshita Lad lavora sui toni, sui colori, sulle trasparenze cromatiche, sulle velature dei pigmenti che sulla tela siano impalpabili, leggeri, lievi, effimeri come lo scorrere del tempo,

Spazio e tempo sono, in effetti, elementi fondamentali della sua arte, di cui il primo viene declinato attraverso forme solo suggerite, abbozzate, immaginate, mentre il secondo scandisce i giorni, le stagioni, le diverse atmosfere del sentire intimo dell’artista.

Questo tempo immaginifico di luoghi inventati diventa metafora dello spirito in cui immergersi per ritrovare un’osmosi profonda con la natura e con il creato”.

Akshita Lad vive  e lavora a Dubai. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali.

“La mia arte – afferma Akshita Lad – è un riflesso della bellezza e della ricchezza emotiva intessute nei momenti di quiete della vita.

Attraverso pennellate morbide, sfumature di colore trasparenti e composizioni senza tempo, cerco di evocare serenità, gioia e un senso di interconnessione. Il mutare delle stagioni, l’effimera danza della luce e la forza silenziosa della natura mi ispirano continuamente. Ogni dipinto invita l’osservatore a fermarsi, respirare e riconnettersi con l’energia silenziosa che ci circonda e vive dentro di noi. L’arte, per me, è una dolce preghiera, una celebrazione delle silenziose meraviglie della vita”.

La mostra personale di Fadilja Kajosevic al Museo MIIT di Torino narra l’avventura di una donna artista internazionale che, nel mondo femminile, ha trovato l’ispirazione per la sua ricerca e sperimentazione.  Ella interpreta l’essere e il Creato come un tutt’uno perfettamente in simbiosi, simbolicamente fuse in un unico afflato verso la purezza e la sacralità.  Angeli, Lune, Soli, presenze silenti abitano i suoi dipinti accesi da vibranti cromatismi e bagliori di luce, sempre equilibrati nella composizione e nella dinamica del percorso esistenziale e interiore. Una pittura intimista, universale, in cui il tema dell’armonia domina ogni scena, quasi si trattasse di scenografie teatrali dai mille personaggi. L’artista incarna un’originale presenza contemporanea nel mondo della creatività.

Mara Martellotta

Gli omini mini di Anja e le Teste di legno di Benny

Informazione promozionale

Nello spazio Open Ada di Torre Pellice la mostra inaugura il 22 giugno

La pittrice bavarese Anja Langst fa ritorno al suo pubblico amato con una mostra umoristica di quadri, disegni e sagome dal titolo “Gli omini mini di Anja e le Teste di legno di Benny”, a Torre Pellice, presso lo spazio Open Ada, in via della Repubblica 6. L’esposizione prenderà avvio il 22 giugno per concludersi il 27 luglio prossimo.

Qui espone l’artista bavarese che è  stata dagli anni Settanta a Torino, si è trasferita a Ginevra , quindi ha allestito un suo atelier a Bardonecchia dal 1993 e che ha chiuso quest’anno dopo 32 anni di attività, quindi è  anche approdata a Genova, sempre dedicandosi all’ umorismo, all’illustrazione e alla decorazione.

Nella mostra i suoi disegni sono accompagnati dalle “teste di legno”, dipinte e sagomate di Vip di suo marito Benny Naselli, fumettista e umorista, caricaturista, ritrattista e “uno che scrive”, come lui amava definirsi, e che ci ha lasciato nel 2023.

 

Davanti alla porta d’ingresso della mostra compare una sagoma di legno, una Bavaresina con il suo cappello, che invita il pubblico ad entrare.

“Il mio mondo è pieno e bello, perché è  vario” è  il motto di Anja. Così narrano le  tavole di disegno, che raffigurano un’umanità gioiosa, gaia, qualche volta ironica, dove i personaggi di Anja convivono uno accanto all’altro. Dal cappello del Cappellaio magico esce il fumo e si fa ammirare dai suoi fan; il Bacioso fa vedere ai suoi conoscenti e non conoscenti di essere baciato dalla dea Fortuna, come nel Piccolo Principe di Saint Exupery.

Alla scampagnata succede di tutto, un barbuto con l’aspirapolvere  è a caccia di mosche in un campo di grano, l’incallito pescatore pesca nella bacinella sull’erba, dal seno di una Rossa prosperosa esce un nanetto disorientato …. Meglio mettersi gli occhiali o venire con una lente di ingrandimento!

Degli ometti si snodano fino al primo piano, passando per l’angolo del drago e draghetto e maghetto e salendo per le scale, e arrampicandosi persino sulla vetrina.

Qui anche sulle tele dipinte con colori acrilici folleggiano i suoi mini mini.

In centro Anja dai capelli rossi ( colore che aveva dei capelli un tempo) una farfalla con “I colori vivono in me” vola ad ali spiegate, multicolori e scintillanti.

Intorno domina il colore blu, quello preferito da Anja. C’è la processione degli omini, ognuno a modo suo, sempre più in alto, il Baffone, Mr Muscolo  che fa danzare la ballerina sul palmo della sua mano, la donna fatale, il Pesce innamorato, la donna-gatta della porta accanto … di là il mondo, la luna blu, è proprio piena.

Ma non con formichine  anonime, ma con ometti, donnine, nonnine, bambinoni, stregoni con in mezzo un bel cammello, ognuno con la propria personalità, viso, con la sua attività.  Tutti insieme formano un  grande disegno.

Sull’altra parete ci sono alcuni quadri con lo sfondo rosso “ Rosso di sera, buon umore si spera”, tutto da scoprire. Una parete al primo piano, con tracce di tinteggiature passate in  verde e rosa, fa da sfondo  all’opera intitolata “Ninfe, rane, ranocchi  e persone strane”. Spuntano gli omini di Anja, le ninfee alla Monet e le rane sono rannicchiate per terra.

In questa mostra singolare c’è  tutto il piccolo mondo di Anja da scoprire, le sue favole, i suoi sogni. Un sogno che si è  verificato è  stato a Gallarate, in una mostra sull’umorismo l’incontro con Benny, il loro matrimonio,  l’unione di vita e arte. Realizzano quadri insieme, mostre, viaggi. Anja incoraggia il consorte a scrivere i suoi quattro libri, quello di poesie, di comic-strips, racconti e la sua autobiografia, e a disegnare ritratti e caricature in pubblico.

Qui alla mostra, intorno al proiettore antico di film, lo spazio è  dedicato alle Teste di legno di Benny, che sono soprattutto visi o figure di attori dipinti su legno e sagomate da Anja, alcuni sono ritratti , altre caricature. Benny è stato molto attratto dal mondo scintillante del cinema. Qui troviamo raffigurazioni di volti molto noti quali quelli degli attori John Wayne,  Marilyn  Monroe, Brigitte Bardot, Johnny Depp e altri.

Quindi si incontra un grande ‘albero della vita’ in blu, con dei ‘fiori viso’ da disegnare  e una piccola scelta  di  caricature di “Anja vista da Benny”, che ne ha fatte più di cento.

Tra tutta la gente che conosciamo,  che incontriamo trovare l’anima gemella è una cosa miracolosa, due artisti umoristi e ottimisti che creano, espongono, sorridono ( anche se uno dall’alto) con il loro messaggio “Sorridi alla vita e la vita ti sorriderà”.

Gli omini mini di Anja e le teste di legno di Benny

Inaugurazione domenica 22 giugno ore 15.

Spazio Open Ada, via Repubblica 6 Torre Pellice.

Orari ven 15-18

Sabato 10-13, 15- 18,

Domenica 10-13, 15- 18

Tel Anja 3491256344

Mara Martellotta

L’arte che nasce dalle crepe dell’asfalto

Al torinese “PAV – Parco Arte Vivente”, Centro Sperimentale d’Arte Contemporanea, la prima mostra istituzionale dell’americano Alan Sonfist

Fino al 19 ottobre

Classe 1946, newyorkese cresciuto nel South Bronx, Alan Sonfist è universalmente noto come il “pioniere”, l’“apripista” della “Land (o Earth) Art”. Certamente fra i più rigorosamente “fedeli” a quell’arte (che coinvolse con le più varie sfaccettature artisti del calibro di Robert Smithson, Dennis Oppenheim, Jean Claude e Christo, fino al nostro Alberto Burri)  “fatta con – e nella – natura”, nata negli Stati Uniti nel decennio ’67 – ’78, in antitesi con il “figurativismo” della “pop art” e le fredde “geometrie” della “minimal art”. A regalare, da subito, a Sofist la notorietà, il suo “Time Lanscape”, una sorta di scultura ambientale datata 1965, un appezzamento rettangolare (tuttora in via di compimento e trasformazione) situato nella parte sud di Manhattan, all’angolo fra West Houston Street e LaGuardia Place nel “Greenwich Village” di New York City, dove l’artista insieme a una numerosa comunità di esperti, urbanisti, biologi, architetti e politici locali, per 13 anni ha studiato e creato una “foresta”, la prima “foresta urbana” del genere, abitata da piante precoloniali. Non un parco né una riserva naturale, ma “un monumento pubblico vivente e in mutamento, che gli uccelli, il vento e la presenza umana circostante modificano lentamente ancora oggi ogni giorno”. Opera studiata e progettata insieme ad altri fantasiosi (ma insieme concreti) interventi successivi sull’ambiente, di cui è data specifica contezza nella mostra “Seeds of Time” (“Semi del Tempo”), la prima in Italia, dedicata dal “PAV” di via Giordano Bruno a Torino, fino a domenica 19 ottobre, al grande artista statunitense. Curata da Marco Scotini, la rassegna – inserita nell’ambito di “Exposed, Torino Foto Festival”, con il sostegno di “Compagnia di San Paolo” e “Fondazione CRT” –  intende, soprattutto, approfondire i primi anni di attività di Sonfist (“archeologo visivo”, per sua stessa autodefinizione) per mettere in luce le peculiarità di quei suoi “monumenti pubblici” attraverso i quali guardare “non più solo agli eventi della storia umana – spiega Scotini – ma a quelli che celebrano l’intero ecosistema naturale, rivitalizzando così la storia dell’ambiente e delle diverse specie di un luogo”.

E proprio partendo dall’interesse “per l’interazione della natura negli ecosistemi urbani”, la mostra di Sonfist al “PAV” si apre con l’installazione a lui commissionata di “Growth Between the Cracks” (2025), opera curiosa, assolutamente singolare e non priva di genialità, che nasce partendo dall’invito fatto dall’artista alla comunità locale di  raccogliere nel perimetro della città di Torino campioni di terra nelle crepe dell’asfalto, negli interstizi dei marciapiedi e negli spazi liminali solitamente ignorati. Gran lavoro e materiale in abbondanza per i cittadini torinesi! Che, di certo, non hanno vieppiù che l’imbarazzo della scelta nel discernimento delle “buche” stradali più generose per adempiere al compito loro assegnato. E poi? E poi, si sottolinea, “le piante e i semi contenuti nel suolo raccolto e successivamente portati al ‘PAV’ vanno e andranno a costituire una mappatura frammentata della città, un carotaggio che racconta la storia di una via o di un quartiere attraverso la presenza di vegetali autoctoni o che testimoniano migrazioni a volte risalenti a ere o geografie lontane”.

In mostra troviamo anche gli scatti fotografici che illustrano il momento più “performativo” di Sonfist legato ai suoi esordi artistici, quelli più intensamente vincolati al rapporto, anche strettamente fisico, con la grande sua “musa ispiratrice”, quella “natura” che è “albero da abbracciare” per confrontarne le dimensioni rispetto al suo corpo (“Myself Becoming One with the Tree”, 1969) o “soggetto per studiare il comportamento animale, diventando egli stesso animale, tigre in ‘Tiger Chance Kill’ (1972 – ’74) o gorilla in ‘Territorial Gorilla Invasion’ (1972 – ’73)”.

A completare la rassegna anche la memoria di uno dei più ambiziosi e grandiosi progetti firmati da Sonfist, quel “Circle of Time” (1986), attraverso il quale l’artista documenta la storia del “paesaggio toscano” attraverso “sette anelli concentrici” (e qui la memoria va all’enorme “Spiral Jetty” creata nel ‘70 con cristalli di sale, sabbia e rocce basaltiche, per inventarsi una spirale che incorniciasse una piccola isola artificiale sulle rive del “Grande Lago Salato” dello Utah, da Robert Smithson!) che rappresentano ognuno una nuova fase dell’uso del territorio, portando alla luce la complessa relazione tra l’essere umano e la terra.

Nell’ambito dell’inaugurazione della mostra, giovedì 15 maggio scorso, le AEF/PAV (“Attività Educazione Formazione”) hanno realizzato anche un proficuo incontro – con la collaborazione di Carmen Concilio, “Dipartimento Lingue e Letterature Straniere” e “Culture Moderne” di “UniTO” – fra Alan Sonfist e le persone che hanno partecipato alla call to action lanciata dall’artista, contribuendo alla realizzazione dell’installazione “Growth Between the Cracks” (2025).

Gianni Milani

Per info:  “PAV – Parco Arte Vivente”, via Giordano Bruno 31, Torino; tel. 011/3182235 o www.parcoartevivente.it

Nelle foto: Alan Sonfist “Time Landscape”, fotografia, 1965; “Myself Becoming One with My Tree”, serie fotografica autoritratti, 1969; Workshop _ “84 Semi del tempo: crescita tra le crepe”, 2025