“Art and Law Conversation” è giunta quest’anno alla sua settima edizione, con un appuntamento in via telematica il 5 novembre prossimo sul tema “Il diritto dell’arte e il collezionismo ai tempi del Coronavirus “
L’arte nel più ampio scenario dei diritti che dominano in questo ambito e del collezionismo al tempo del Covid 19. Questo sarà il tema conduttore dell’appuntamento di quest’anno di “Art and Law Conversation”, giunto con successo alla sua settima edizione.
Come ogni anno, nel mese di novembre l’associazione BusinessJus, la prima in Italia ad aver creato, nel lontano 2009, una specifica Commissione scientifica al Diritto dell’arte, riunisce tale Commissione presso la Casa d’Aste e Galleria d’Arte torinese Sant’Agostino, giovedì 5 novembre prossimo dalle 16 alle 18.
Consapevoli delle recenti norme imposte dal Dpcm e dalla situazione di emergenza Covid, è stato scelto di proseguire la tradizione di questo appuntamento annuale, proponendolo, però, invia telematica. Ogni interessato potrà collegarsi alla diretta You Tube al link seguente: www.santagostinoaste.it/art-and-law-conversation-7.asp .
BusinessJus è affiancata, oltre che dalla Casa d’Aste Sant’Agostino, da ArtLawyers.legal (www.artlawyers.legal ), un network di avvocati specialisti in diritto dell’arte fondato dagli avvocati Simone Morabito e Francesco Fabris, attivi a Torino, Milano e Venezia; da Yes4to (www.yes4to.it ) e NexTo (www.nex.to.it ), due associazioni torinesi che costituiscono un pilastro fondante nell’elaborazione di proposte unitarie per il futuro della città e la formazione della classe dirigente cittadina; da KathARTis, neo associazione di collezionisti e amanti dell’arte contemporanea, fondata e coordinata dal dottor Antonio Martino (https://www.facebook.com/groups/collezionistidiartecontemporanea ).
La conversazione, coordinata dalla responsabile della Casa d’Aste Sant’Agostino Vanessa Carioggia, sarà articolata in un susseguirsi di interventi che confermano il carattere variegato della tematica affrontata, dal titolo “Il diritto dell’arte e il collezionismo ai tempi del Coronavirus”. L’ideatore, lavvocato Simone Morabito, presidente di BusinessJus e co-fondatore di ArtLawyers.legal dello Studio legale Tributario Morabito, interverrà sul tema “I profili giuridici della Street Art e i suoi utilizzi ai tempi del Covid 19”. L’avvocato Francesco Fabris parlerà sul tema “Il gesto del collezionista: riflessi antropologici, artistici e giuridici”. Il professor Paolo Turati, economista, esperto di arte e di mercati finanziari, interverrà sul tema “A.C/D.C: il cambiamento epocale del mercato globale dell’arte dall’Ante Coronavirus al Post Coronavirus”. Sul tema dell’approvazione della soglia di valore nelle esportazioni e sulla speranza di rilancio del mercato ai tempi del Covid 19 parlerà l’avvocato Virginia Elisa Montani Tesi, dello Studio Legale Montani Law e Studio Legale Tributario Morabito; l’avvocato Angela Saltarelli dello studio legale Chiomenti interverrà trattando la tematica del collezionismo e mercato dell’arte ai tempi della pandemia, con alcune considerazioni legali, mentre l’intervento conclusivo sarà affidato al dottor Antonio Martino, che parlerà del cambiamento subito dal collezionismo, a partire dal momento della comparsa del Coronavirus e di quali strategie potrebbero migliorare il sistema dellarte contemporanea.
Mara Martellotta
Cambia look la “Galleria Giappone” del MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino. E lo fa, mandando a riposo, per alcuni mesi e per ragioni di tutela e conservazione, i delicatissimi “kakemono” e gli “ukiyo-e” (stampe su carta periodicamente sostituite con altre opere delle collezioni) offrendo così ai visitatori la possibilità di ammirare esposizioni costantemente rinnovate.
Al primo gruppo appartengono un dittico di Kanō Chikanobu (1660-1728), che raffigura due samurai a cavallo, e un ramo di ciliegio fiorito di Kawamura Bunpō (1779-1821). Le due opere si ispirano all’antico detto “Tra i fiori, il ciliegio. Tra gli uomini il samurai” facente riferimento alla bellezza e alla caducità della vita terrena: così come il ciliegio fiorisce e sfiorisce in brevissimo tempo, la vita del guerriero può rivelarsi intensa ma fugace.
“Samurai, poeti e uomini d’ingegno”

A pronunciarle Andy Warhol, padre universalmente riconosciuto della Pop Art, che di fama ne ha invece macinata in quantità indescrivibile nei suoi cinquantotto anni di vita, continuando tutt’oggi, a poco più di trent’anni dalla scomparsa, ad esserne compagno fedele, al di là dei tempi, delle mode e in barba ai flussi implacabili dell’oblio. Secondo artista, pare, più comprato e venduto e quotato al mondo dopo Pablo Picasso, a Andy Warhol (Pittsburgh 1928 – New York, 1987, ultimogenito dei tre figli di modesti immigrati originari di Mikovà, paese dell’odierna Slovacchia), la “Palazzina di Caccia” di Stupinigi dedica, fino al 31 gennaio del 2021, la mostra evento “Andy Warhol é…Superpop”, promossa da “Next Exhibition” e “Ono Arte”, con il patrocinio della “Città Metropolitana Torino”.


Poi la scoperta del grande rotolo di carta…
Diciannove spazi concepiti secondo un nuovo iter espositivo “che intende restituire la centralità all’opera d’arte”. E un look decisamente rinnovato, con ambienti ridisegnati e ridefiniti “per permettere il confronto e consentire il paragone necessario tra opera e opera”: dal 26 settembre scorso alla GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino va in scena il nuovo allestimento del Novecento storico – fra nuove acquisizioni e opere che riemergono dal caveau, le preziose “stanze del tesoro” come le chiamava il grande fotografo Mauro Fiorese – curato dallo stesso direttore del Museo di via Magenta, Riccardo Passoni.
Centenario dell’Unità d’Italia) e alla sua forte influenza, anche attraverso gli studi di Lionello Venturi, proprio sugli artisti subalpini dell’epoca.
un Museo. Guarda caso, proprio alla nostra GAM. Dove troviamo la totale anarchia estetica e l’uso libero di materiali, i più eterodossi, di Pier Paolo Calzolari, Mario Merz, Giuseppe Penone via via fino a Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio. Sale personali sono infine e doverosamente dedicate, per il ruolo da loro svolto nell’indicare strade nuove e magistrali nell’evoluzione del percorso artistico nazionale e internazionale, a Felice Casorati, ad Arturo Martini, ad Alberto Burri e a Lucio Fontana. Autentiche chicche, poste in lodevole evidenza dal nuovo allestimento espositivo, il ciclo narrativo “favolistico” della “Gibigianna” dell’albese Pinot Gallizio e l’apparente fragilità del “Requiem” di Giulio Paolini, artista che ha saputo saggiamente indicarci “l’esigenza di mantenere sempre un rapporto necessitante con la storia dell’arte, i suoi segni e richiami, e il loro valore per una vivificazione concettuale della forma”.
L’anno seguente Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994), fra i grandi nomi dell’Arte Povera e in seguito di quella Concettuale, si era concentrato sulla “reiterazione del gesto”, fra ossessione e meditazione Zen, sulle orme di quella curiosità per l’esotismo in generale, ereditata dall’avo Giovan Battista Boetti (1743 – 94), missionario demenicano di Mossul, convertitosi all’esoterismo persiano e al sufismo. Ne era nata l’opera “Cimento dell’armonia e dell’invenzione”, paziente ricalco a matita di numerosi fogli di carta quadrettata, una sorta di rituale eseguito registrando i suoni prodotti. Esperienze basilari e di svolta per l’eclettica produzione artistica di Boetti, esaltate dall’invito di Schum, che l’artista accettò trovando ancor più nella produzione video la strada idonea per accentuare quel “tema del doppio”, la ricerca dell’identità e della scissione di sé, che diventerà tema centrale del suo essere artista, del suo essere a un tempo operatore e oggetto del fare arte. Situazione che s’appalesa nitidamente nei video realizzati da Boetti e in visione, fino al 21 febbraio del prossimo anno, alla GAM di Torino, come terzo appuntamento del ciclo espositivo, a cura di Elena Volpato, nato dalla collaborazione fra l’“Archivio Storico della Biennale di Venezia” e la “VideotecaGAM”. “Ogni oggetto del mondo – affermava Boetti – ha almeno due vite”, cui riferirsi e confrontarsi sul piano artistico. Ma anche esistenziale e filosofico. Concetto tanto forte da indurlo a sdoppiare il proprio nome in “Alighiero e Boetti”, mettendo in crisi l’identità dell’artista stesso. “Alighiero – spiegava ancora l’artista – è la parte più infantile, più estrema, che domina le cose famigliari. Boetti, per il solo fatto di essere un cognome, è già un’astrazione, è già un concetto”. Doppia identità, intreccio di vite inscindibili l’una dall’altra. Messaggio chiave del primo video presentato in mostra, “Senza titolo” del 1970, parte della raccolta “Identifications” di Gerry Schum. Boetti volge le spalle alla telecamera e il suo corpo è trasformato in un “segno nero verticale” sul muro bianco posto al centro dell’inquadratura. Le sue mani iniziano a scrivere contemporaneamente, verso destra e verso sinistra, la sequenza dei giorni della settimana, a partire dal giovedì fin dove la lunghezza delle braccia aperte gli consente di arrivare. “In un’unica azione Boetti intreccia il tempo e il doppio, i due aspetti fondamentali del linguaggio video e al contempo del suo lavoro”. Negli stessi mesi aveva realizzato un’immagine fotografica di sé scattata dall’alto, “Due mani e una matita”, in cui stringe una matita posata sul bianco del foglio, “come
apice di un triangolo da cui lasciar scaturire il mondo”. E immagine che, in doppia riproduzione, avrebbe caratterizzato molte sue opere successive; posta, in forma rovesciata, in alto e in basso “come a chiudere e ad aprire lo spazio immaginativo del foglio o della tela”. L’ossessione del “doppio”. Che Boetti vuole trasmettere anche in uno dei suoi più noti ritratti fotografici: “Strumento musicale” del 1970, scattato da Paolo Mussat Sartor e presente in mostra. L’artista vi appare con le mani posate sui due manici simmetrici di un curioso banjo ambidestro che con la sua cassa circolare e il doppio ponticello circoscrive al centro della visione un ideale ombelico sonoro da cui si immagina possano scaturire due diverse musiche speculari, “due flussi di suoni che si dipartono dall’abisso del tempo”. In chiusura, la rassegna presenta il video “Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo”, realizzato da Boetti nel 1974 e parte delle raccolte dall’“Archivio Storico della Biennale” di Venezia. L’opera offre, a quattro anni di distanza, una riflessione speculare del primo video, mutandone esclusivamente la frase scritta dall’artista. Che affermava: “È incontrovertibile che una cellula si divida in due, poi in quattro e così via; che noi abbiamo due gambe, due braccia e due occhi e così via; che lo specchio raddoppi le immagini; che l’uomo abbia fondato tutta la sua esistenza su una serie di modelli binari, compresi i computer; che il linguaggio proceda per coppie di termini contrapposti. […] È evidente che questo concetto della coppia è uno degli elementi archetipi fondamentali della nostra cultura”.
Ha talento e originalità creativa da vendere, 

Qui abbiamo un normalissimo nudo femminile esposto ai benefici effetti del sole e un paio di gambe
Caratteristica riconosciutale da sempre è “quella di non riuscire a stare ferma e di essere in continua cescita”. Così anche per il suo sedicesimo compleanno ha deciso con un pizzico di coraggiosa vanità, di rinnovarsi e sfoderare nuove e più funzionali proposte.
“Rebirthing – Art to restart” – mostra che si interroga sul futuro, curata da Paolo Lolicata e Giulia Giglio – e al capolinea, dal 27 novembre all’8 dicembre “Ph.ocus– About photography”, evento a cura di Laura Tota, dedicato alla fotografia contemporanea per raccontare il lockdown e la forza della comunicazione visiva della fotografia autoriale. Di notevole interesse anche le quattro rassegne espositive collaterali. La prima, dal 23 ottobre al 22 novembre, ha per titolo “L’immortalità” ed è un progetto di “pittura installata” del biellese di nascita e bolognese di adozione Lorenzo Puglisi; curata da Luca Beatrice, la mostra presenta quattro grandi quadri, dominati dalle cromie del nero da cui emergono frammenti di corpi e figure umane, dal titolo “Natività” e “Annunciazione”, pensati ad hoc per il suggestivo galoppatoio dell’“ARTiglieria”. In un ideale corto circuito fra attualità e storia, modernità e classicismo, Puglisi ospita anche all’interno della sua mostra la scultura “L’immortalità” dello scultore milanese Achille Alberti (1923), un bronzo di oltre due metri di altezza, già monumento ai Caduti di Lanzo d’Intelvi, oggi riproposta come ricordo alle vittime della pandemia. Dal 23 ottobre all’8 dicembre, saranno poi di scena le “Storie microcosmiche” della messinese Eleonora Gugliotta, che crea delle vere e proprie “sculture tessili” all’interno di architetture abbandonate e che qui diventano installazioni site specific ed estemporanee nell’abbraccio suggestivo agli spazi reinventati di quella che fu un tempo scuola per giovani gentiluomini alla vita di corte dal 1673 al
1798. A chiudere l’iter espositivo, sempre dal 23 ottobre all’8 dicembre, “Think Big” (progetto espositivo dedicato a grandi opere d’arte, non solo per forma ma anche per i contenuti espressi) e “Blooming Playground”, il campo da basket nella corte interna dell’ex Accademia, interpretato come un rigoglioso giardino fiorito dallo “street artist” cagliaritano (considerato fra i 100 migliori artisti emergenti a livello mondiale) Tellas. Il progetto, curato da Francesca Canfora, mette insieme e intreccia con ideale concretezza arte contemporanea e spazi urbani, dando vita ad un lodevole esempio di convivenza creativa e virtuosa fra sport e cultura. Per diventare luogo vissuto e frequentato tutto l’anno, nella convinzione di un fare artistico “che non deve essere fine a se stesso – spiega Lorenzo Germak, Ceo PRS – ma al servizio della comunità”.
