Nell’ex teatro di Palazzo Paesana di Saluzzo, fino a domenica 3 ottobre
Immagino che ancora oggi i ricordi che Bruno Molinaro trasmette alle sue tele li si debba ricavare dalle piane e dai monti, dalle distese di colori disseminate attorno a quel piccolo paese di terra friulana che lo ha visto nascere, non lontano dalle sponde del Tagliamento, come da quelli delle estati trascorse sulle rive tirreniche di una cittadina laziale o da una gita in montagna, tra i sentieri che s’addentrano tra i boschi, in qualsiasi stagione, lui ad annotare, quasi a fotografare nella memoria un albero, lo schiudersi di un fiore, l’accendersi di un rosso o di un giallo: poi, è chiaro, la sacralità e la reverenza dell’artista, la frequentazione in più occasioni del giardino di Monet, a Giverny, tra quel pugno di case distese nella minuscola località della Normandia, gli ha riempito gli occhi e la mente, ha fatto il resto. Un amore incondizionato per i piccoli laghi, per gli isolotti di ninfee, per i salici, per le macchie di fiori, per i pontili. E ancora: una vita intera, un lungo percorso di maestri (i corsi della scuola del nudo dell’Accademia Albertina tenuti da Filippo Scroppo) e di mostre in giro per il mondo e di riconoscimenti, di restauri, di tele, di prove nuove, di strade non ancora esplorate e poi ricercate con intelligenza.
Di questo percorso se ne ha un suggestivo tratto nella personale che, anche a festeggiare il suo ottantaseiesimo compleanno, s’è inaugurata – a cura di Angelo Mistrangelo – la scorsa settimana nello spazio dell’ex teatro di Palazzo Saluzzo Paesana, in via Bligny 2 (sino al 3 ottobre, orario: mercoledì giovedì venerdì dalle 15,30 alle 19,30; sabato e domenica dalle 11,30 alle 19,30). Più di trenta opere, una sequenza, quasi un nastro cinematografico di olii su tela ad occupare la prima sala, compatto,
incessante, le tempere su cartoncino come prove più recenti nella seconda, poste accanto ad un video che ripercorre pensieri e vicende e opere e a tre altri olii, quasi un segno “più” importante, che tutto raccoglie, dell’attività e delle forme cromatiche di Molinaro, signorilmente unite dentro cornici antiche.
Molinaro è innamorato del paesaggio. Da sempre. Dei “suoi” paesaggi, quelli dell’anima. Dentro una narrazione emozionata e emozionante, lo distende sotto le immagini più suggestive, le forme più differenti, cattura un campo di lavanda capace d’alternarsi all’interno del proprio intenso violaceo di sfumate macchie di verde e di rosati (“Lavanda II”, 2012) come, in un primissimo piano, il rosso intenso di un papavero, interrotto per magia da un accenno di giallo e di verde (“Papaveri”, 2014), come, in “Verso sera” del 2018, distende al di sopra della pianura un grumo di nuvole sospese nel bianco o le rende, quasi in una premonizione, minacciose di tratti nerastri
(“Tempesta”, 2019). Come regala a chi guarda i tanti paesaggi innevati, un inseguirsi di pennellate rapide e vibranti, bianche quanto fervide suggestioni, fiabeschi e senza luogo né tempo, silenziosi nelle radure o negli invernali piccoli corsi d’acqua ghiacciati, più netti o qua e là impercettibili nel tremolìo di una bufera, atmosfere impalpabili, sospese, fascinose, più di ogni altro soggetto impressioni e sogni che l’artista porta da sempre con sé. Sogni, certo, ma anche la materia di una realtà che è stata fotografata, prepotentemente tangibile, concreta nell’intero quanto personale panorama artistico.
Dicevamo sopra di prove affrontate di recente e di strade che paiono abbandonare quelle fin qui percorse. Sono le tempere su cartoncino, materiali bagnati e asciugati in un incresparsi grinzoso, riempito di colori ancora una volta sapientemente accostati. Macchie, alternarsi coloristico, un perdersi cromatico tra le pieghe della materia, esplosioni, sbuffi e rivoli, una felicissima intuizione e una ricerca che mostra e dimostra la modernità di Molinaro.
Elio Rabbione
Nelle immagini: “Neve”, olio su tela, 2015; “Giallo e rosso”, olio su tela, 2014; “Rosso III”, tempera su cartoncino, 2016; “Rosso II”, tempera su cartoncino, 2014
I quattro “picchavai” – grandi dipinti devozionali su tela, tipici delle scuole del Rajasthan – colpiscono per la quantità di dettagli, per i colori accesi ma armoniosi, per la sinuosità delle forme e per quel peculiare modo di percepire l’amore come qualcosa di totalizzante, che non può dividere l’aspetto fisico da quello spirituale.
I diversi credo religiosi influiscono sulle tipologie costruttive, facendo sì che i vari edifici siano visivamente riconducibili alle filosofie. Gli edifici jainisti sono caratterizzati da alte cupole concentriche edificate in pietre a modiglioni; lo stile indù si contraddistingue per un vasto impiego della decorazione, coperture piramidali, pinnacoli e porte a torre (“gopura”).

Nata con questo dichiarato obiettivo, è una mostra che segue il corso delle stagioni, che accompagna il trascorrere del tempo, che muta e s’inventa, di volta in volta, nuove forme e prospettive e colori e luci ed ombre, proprio come un giardino. Dal prossimo venerdì 24 settembre, il grande progetto espositivo “Oltre il giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone”, inaugurato al “Castello di Miradolo” (via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo) il 15 maggio scorso, prosegue infatti il suo cammino ideale lungo un anno, fino al 15 maggio 2022, magnificamente svelando la sua veste autunnale. Presentata dalla “Fondazione Cosso” e curata da Paola Eynard e Roberto Galimberti, la mostra si sviluppa attorno al concetto di abbecedario: un “ABC” del giardino, in rigoroso “dis – ordine alfabetico”, secondo le parole e i pensieri di Paolo Pejrone (fra i più grandi architetti del paesaggio a livello internazionale, oltre 800 giardini progettati in giro per il mondo), ma soprattutto “una riflessione profonda e intima – dicono i curatori – su temi come la luce, l’ambiente, la calma, i dubbi, le speranze, le sfide che il mondo contemporaneo offre al rapporto tra uomo e ambiente”.
Grosso), Piero Gilardi con il suo nuovo “Tappeto natura” in poliuretano espanso insieme ai “modelli pomologici” e ai disegni di Francesco Garnier Valletti provenienti dal “Museo della Frutta” e dall’“Accademia di Agricoltura” di Torino. In tutto sono oltre cinquanta gli artisti, tutti di gran blasone, rappresentati in mostra.
Ma non è finita. L’autunno e l’inverno porteranno al “Castello di Miradolo”, sempre in connessione con la mostra di Pejrone, il progetto “La mostra racconta. Mezz’ora con…”, appuntamenti di approfondimento con esperti d’arte e musica, artisti e collezionisti. Si inizia sabato 25 settembre. Alle 11,30: “Mezz’ora con Margherita Oggero” che parlerà di “Mario Sturani: una personalità eclettica a Torino”. Sei gli incontri programmati, fino a sabato 11 dicembre.