ARTE- Pagina 150

I “sussurri” della natura si perdono nelle opere di Serena Zanardo

Sino al 25 ottobre presso la Galleria “Arte per Voi” di Avigliana

Si è scritto che la mostra Sussurri nel bosco, a cura di Luigi Castagna e Giuliana Curino, con cui Serena Zanardo presenta le sue opere fino al 25 ottobre (ogni sabato e domenica, dalle 16 alle 20) presso lo spazio di “Arte per Voi” ad Avigliana, è “da visitare in punta di piedi”: e credo sia vero.

Un insieme di sensazioni e suggerimenti, una ricerca per ascoltare quanto le piccole entità di un fiore o di un albero possono dirci, una poetica delicata e sottile, fatta a volte di una natura anche senza peso, che non può farci restare insensibili. Un racconto, un cumulo di pensieri, reso sottovoce, ma allo stesso tempo forte, vivace, pieno di significati. Una rappresentazione del mondo naturale che corre parallelo a storie e leggende, ad un mondo in cui ancora circolano sogni, figure impercettibili, panorami avvolti dalla nebbia, spruzzi di neve, colori accesi e altri che a fatica tentano di esplodere dal terreno, crescite solitarie e macchie folte. Visioni immediate o forse ricordi che riemergono a poco a poco, lenti. A guardare il tratto perfetto delle sue Sinfonie che cavalcano il tempo delle stagioni, di certi fiordalisi – non immagini destinate semplicemente al foglio ma autentiche tracce di vita – o il tangibile lavoro di un’ape sul fiore su cui s’è posata (All’opera) o la massa di un cardo (Fiore della vita), sontuoso e sfaccettato, pronto a essere colto con ogni attenzione, o i tralci di una vite, appare tutta la poesia e la tecnica della Zanardo (acquerello, tempera e matite colorate su carta), la sua voglia di partecipare a quel mondo che descrive, di porgerlo a chi guarda in ogni variopinta bellezza, concretizzando quegli angoli appartati, quelle tracce, gli intrichi di frutti e fiori con una invidiabile delicatezza. Che forse non può essere allontanata da un’ombra di malinconia.

rb.

 

“Fiore della vita”, 2018, cm. 18 x 27, acquerello e matite colorate su carta

“All’opera”, 2016, cm. 29 x 18,5, acquerello e matite colorate su carta

“Nel blu dipinto di blu”, 2020, cm. 26 x 16, acquerello, tempera e matite colorate su carta

Ville e castelli aperti di sera

Un ricco calendario di eventi e visite speciali per vivere  all’aperto e in tutta sicurezza i Beni del FAI fino a tarda sera

SERE FAI D’ESTATE NEI BENI DEL PIEMONTE

Tra le proposte più belle in PIEMONTE, gli aperitivi nel parco al Castello di Masino, Caravino (TO) e i picnic all’imbrunire al Castello della Manta (CN) a partire da venerdì 17 luglio 2020

PRENOTAZIONE ONLINE OBBLIGATORIA SU WWW.SEREFAI.IT

È arrivata l’estate e mai come quest’anno, dopo i mesi trascorsi in casa, abbiamo voglia di uscire e di trascorrere qualche ora o un’intera giornata, all’aperto, in tutta sicurezza, al fresco e a contatto con la natura, in un luogo speciale ma vicino casa. Molti italiani quest’estate sceglieranno di fare “vacanze in Italia”, e i Beni del FAI sono una meta ideale: luoghi da scoprire a portata di mano, perfetti per una vacanza a breve raggio, ma di grande soddisfazione, alla scoperta delle meraviglie del patrimonio di storia, arte e natura dei nostri territori. Complici le molte ore di luce e le gradevoli temperature delle sere d’estate, è anche tanta la voglia di proseguire le attività della giornata dopo il tramonto e vivere l’incanto del crepuscolo nei luoghi più belli, e così il FAI lancia le Sere FAI d’Estate. Nei mesi di luglio e agosto 2020 si allunga fino a tarda sera l’orario di apertura dei suoi Beni, per diluire l’afflusso di pubblico garantendo totale sicurezza, ma soprattutto per offrire un’inedita esperienza di visita, arricchita da una eterogenea proposta di eventi appositamente pensati per le sere d’estate, tutti con prenotazione obbligatoria sul sito www.serefai.it.

Il ricco calendario delle Sere FAI d’Estate coinvolge 23 Beni della Fondazione che resteranno aperti per oltre 130 serate in 14 regioni, dalla Lombardia alla Sicilia, dal Piemonte alla Sardegna, dalle Marche alla Puglia. In programma eventi ricreativi, ludici e sportivi, o solo di piacevole svago serale, ma anche e soprattutto attività culturali, come visite o passeggiate guidate, incontri e concerti, laboratori e lezioni a tema, con particolare attenzione alla “cultura della natura”, ovvero alla promozione della conoscenza del patrimonio verde, di paesaggio e ambiente, del nostro Paese, al fine di una sua più efficace e diffusa tutela e valorizzazione.

 

Le Sere FAI d’Estate si svolgono al Castello di Masino venerdì 7 e 14 agosto, fino a mezzanotte, con gli appuntamenti straordinari di Astronomi per una notte, speciali visite guidate per scoprire la nascita dell’astronomia moderna sulle orme dell’abate Tommaso Valperga di Caluso, uno dei protagonisti della storia del castello tra Settecento e Ottocento e membro della famiglia che lo ha abitato fino al 1987, letterato, matematico, esperto di lingue orientali, raffinato collezionista, primo direttore dell’Osservatorio Astronomico di Torino, insieme ad Antonio Vassalli Eandi, e tra gli scopritori di Urano. Il percorso si snoderà tra preziose pubblicazioni – come i rari volumi di Galileo, raccolti nella Biblioteca di Masino e proibiti fino al 1966 – e strumenti di osservazione che hanno dato inizio allo sviluppo delle moderne tecniche di osservazione dello spazio. La visita toccherà anche le nove meridiane e orologi astronomici dipinti alla metà del Seicento sulle facciate delle Terrazze degli Oleandri e dei Limoni, restaurate dal FAI. Qui si potranno osservare le stelle e, con un po’ di fortuna, lo sciame delle Perseidi.
In esclusiva, sabato 7 agosto, grazie alla collaborazione con l’Osservatorio Astronomico di Alpette e con il professor Walter Ferreri, sarà possibile scrutare il cielo notturno con uno speciale telescopio che permetterà l’osservazione ravvicinata delle stelle e di Saturno, particolarmente visibile quest’anno, in totale sicurezza. Si consiglia di indossare abiti comodi e di portare con sé una coperta e un repellente per zanzare.

Venerdì 17, 24 e 31 luglio anche il Castello della Manta, in provincia di Cuneo si svelerà straordinariamente nella luce del tramonto: picnic in giardino all’imbrunire e speciali visite serali tra le sale della fortezza offriranno agli ospiti la possibilità di godere dell’incanto del giorno che volge al termine e di cogliere il fascino notturno del castello, con i suoi preziosi affreschi quattrocenteschi e cinquecenteschi. Il cestino picnic è da prenotare al numero 017587822.

Le serate proseguiranno ad agosto: venerdì 7 e sabato 8, venerdì 14 e a Ferragosto le aperture avranno come protagoniste le stelle con Astronomi per una notte e gli ospiti potranno imparare a orientarsi nel cielo e a riconoscere le stelle principali grazie a videoproiezioni e al programma Stellarium, un planetario virtuale, a cura della Società Ar.Te.C. Le Sere FAI d’Estate al Castello della Manta si concluderanno, poi, venerdì 21 e 28 agosto.

Per partecipare alle SERE FAI D’ESTATE è obbligatoria la prenotazione online.

Per informazioni su eventi, giorni e orari di apertura dei Beni, costi e prenotazioni:
www.serefai.it

N.B. Il calendario degli appuntamenti è in costante aggiornamento e può subire variazioni.

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MODALITÀ DI VISITA IN SICUREZZA
Per consentire al pubblico di visitare i Beni nella massima sicurezza, il FAI si è preoccupato di garantire il pieno rispetto dei principi definiti dal Governo a partire dal mantenimento della distanza interpersonale o fisica. In tutti i Beni la visita sarà contingentata per numero di visitatori e, ove possibile, organizzata a “senso unico” per evitare eventuali incroci. Le stanze più piccole e quelle che non permettono un percorso circolare saranno visibili solo affacciandosi; le porte saranno tenute aperte onde ridurre le superfici di contatto. Sarà d’obbligo indossare la mascherina per tutta la durata della visita. Saranno inoltre a disposizione dispenser con gel igienizzante sia in biglietteria che nei punti critici lungo il percorso.

Il giorno precedente l’appuntamento, i partecipanti riceveranno una mail con le indicazioni sulle modalità di accesso e un link da cui scaricare materiali di supporto alla visita nel Bene, a cura dell’Ufficio Affari Culturali FAI. Gli stessi materiali, che non saranno più distribuiti in formato cartaceo, saranno accessibili in loco su supporti digitali grazie a un QR Code scaricabile direttamente in biglietteria.

L’accesso alla biglietteria, al bookshop e ai locali di servizio sarà permesso a un visitatore o a un nucleo famigliare alla volta; nei negozi FAI i clienti dovranno indossare la mascherina, e saranno a disposizione guanti monouso, qualora fossero preferiti all’igienizzazione delle mani. Si invita inoltre a effettuare gli acquisti con carte di credito e bancomat, per ridurre lo scambio di carta tra personale e visitatori. L’accesso è vietato a chi abbia una temperatura corporea superiore a 37.5°.

Le Sere FAI d’estate si svolgono con il Patrocinio di Regione Piemonte, Città metropolitana di Torino, Provincia di Cuneo, Comune di Caravino, Comune di Ivrea e Comune di Manta.
Il calendario delle Sere FAI d’estate 2020 è reso possibile grazie al fondamentale sostegno di Ferrarelle, partner degli eventi istituzionali e acqua ufficiale del FAI; al prezioso contributo di FinecoBank, realtà leader nel trading online e nel Private Banking main sponsor del progetto.
Grazie anche a Pirelli che conferma per l’ottavo anno consecutivo la sua storica vicinanza al FAI, Porsche Italia dal 2017 prestigioso sostenitore, Golia Herbs che rinnova nel 2020 il suo sostegno agli eventi verdi e Nespresso nuovo importante sponsor della Fondazione.
Grazie a Rai, Main Media Partner dell’iniziativa, che come sempre racconterà al pubblico il ricco e variegato palinsesto di Sere FAI d’Estate grazie anche alla capillare collaborazione della Testata Giornalistica Regionale.

Per informazioni sul calendario delle SERE FAI D’ESTATE e per prenotazioni: www.serefai.it

Per ulteriori informazioni sul FAI: www.fondoambiente.it

Musei reali aperti per ferie

I prossimi appuntamenti dei Musei Reali.

Torna il Caffè con il restauratore e proseguono le attività all’aria aperta

 

Torino, giovedì 30 luglio 2020. Anche nel mese di agosto continua la ricca proposta di attività dei Musei Reali. Nel fine settimana sono molte le iniziative per riscoprire la meraviglia dei grandi ambienti aulici e dei Giardini.

 

Caffè con il restauratore

Torna l’appuntamento “Caffè con il restauratore”, dedicato alla conoscenza dell’intenso lavoro degli specialisti che, con i curatori delle collezioni, tutelano ogni giorno il grande patrimonio artistico dei Musei Reali. Giovedì 6 agosto alle ore 10, Elisabetta Andrina illustrerà gli aspetti tecnici ed esecutivi dei preziosi manufatti tessili con l’intervento Pareti tessute: gli arazzi di Palazzo Reale. I partecipanti saranno accolti nella Corte d’Onore da una guida CoopCulture che, al termine dell’incontro, condurrà i visitatori al Caffè Reale Torino per condividere un piacevole momento di pausa. La visita costa 7 euro.

 

Dal virtuale al Reale

Se l’esperienza di visita virtuale è fruibile attraverso la piattaforma èreale (ereale.beniculturali.it), ogni mercoledì e venerdì alle ore 17 gli approfondimenti tematici tornano in museo con il programma Dal virtuale al Reale. Curatori e tecnici dei Musei Reali conducono i visitatori alla scoperta di opere e luoghi meno noti, rivelando inedite curiosità. Venerdì 31 luglio la curatrice e storica dell’arte Lorenza Santa presenta I soffitti dipinti dell’appartamento dei Principi Forestieri, mentre mercoledì 5 agosto il curatore e storico dell’arte Franco Gualano conduce i visitatori alla scoperta delle Porcellane per la tavola del re. Le collezioni di Palazzo Reale. La visita costa 7 euro.

 

Visite speciali

Sabato 1 e domenica 2 agosto, alle ore 15, l’itinerario Bentornato a Palazzo! è visitabile con gli storici dell’arte e le guide di CoopCulture, alla scoperta delle sale di rappresentanza del primo piano di Palazzo Reale, con l’Armeria e la Galleria della Sindone, per scorgere anche il restauro “a vista” dell’altare della Cappella. Il percorso, della durata di un’ora, è fruibile in gruppi composti da massimo 8 persone al costo di 7 euro, oltre al biglietto di ingresso ridotto ai Musei Reali. Per una visita individuale, è possibile scaricare MRT, l’App ufficiale dei Musei Reali comprendente l’audioguida completa con oltre 35 ascolti, oppure acquistare al Museum Shop la nuova guida I Musei Reali di Torino, realizzata in collaborazione con CoopCulture e pubblicata da Allemandi Editore in italiano, inglese e francese.

 

Attività ai Giardini Reali

Sabato 1 agosto, dalle 15.30 alle 18.30, i giovani artisti della Pinacoteca Albertina attendono gli appassionati di pittura per il workshop Acquarello Garden, progettato da CoopCulture per imparare a ritrarre i Giardini con la tecnica dell’acquarello. Le lezioni sono aperte per un massimo di 12 partecipanti, al costo di 30 euro per i possessori dell’Abbonamento Musei e 35 euro per i non abbonati (prenotazione obbligatoria via e-mail all’indirizzo info.torino@coopculture.it).

 

Nel weekend continua l’esperienza Welcome green, osservazione guidata alla scoperta delle specie floreali e vegetali che impreziosiscono i Giardini Reali, in programma domenica 2 agosto alle ore 16, al costo di 7 euro. È possibile acquistare il biglietto online sul sito dei Musei Reali www.museireali.beniculturali.it, prenotarsi con un’e-mail all’indirizzo info.torino@coopculture.it o chiamando il numero 011 19560449 dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 13, oppure rivolgersi direttamente in biglietteria il giorno dell’evento o nei giorni precedenti.

 

Le attività del Caffè Reale Torino

All’interno della suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale, è possibile rigenerarsi con una pausa al Caffè Reale Torino, ospitato in una cornice unica ed elegante, impreziosita da suppellettili in porcellana e argento provenienti dalle collezioni sabaude. Venerdì 31 luglio, i sapori della tradizione piemontese tornano protagonisti grazie alla lezione di cucina sotto il porticato. I partecipanti potranno imparare a preparare l’insalata russa, uno dei piatti tipici della cultura gastronomica regionale. L’incontro si terrà dalle 17 alle 19 per un minimo di 12 persone. Il costo è di 20 euro per gli adulti. Informazioni e prenotazioni al numero 335 8140537 o via e-mail all’indirizzo segreteria@ilcatering.net

 

Per i visitatori che si recheranno ai Musei Reali in bicicletta, ogni venerdì, sabato e domenica il Caffè Reale Torino propone l’iniziativa A Palazzo in Bicicletta e offre un dolce assaggio di pasticceria tipica regionale – un bacio di dama, un novarese, un torcetto o una pasta di meliga – a chi si presenti con un casco, una maglietta da corsa o un accessorio legato al mezzo a due ruote ecosostenibile per eccellenza.

 

Cinema a Palazzo e serate al Caffè Reale Torino

Prosegue anche ad agosto la nona edizione della rassegna d’autore Cinema a Palazzo, ospitata nella suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale e organizzata da Distretto Cinema. Il programma è pubblicato sul sito dei Musei Reali e di Distretto Cinema (distrettocinema.it). Conservando il biglietto intero degli spettacoli, si potrà accedere ai Musei Reali con ingresso ridotto e, presentando il biglietto intero dei Musei Reali, per assistere alle proiezioni sarà applicata la riduzione a 4 euro. I biglietti possono essere acquistati anche online sul sito www.mailticket.it. Informazioni: 324 8868183info@distrettocinema.com.

In occasione della rassegna, giovedì e venerdì è possibile cenare sotto il portico della Corte d’Onore di Palazzo Reale con un’offerta speciale: cinema e grigliata al costo di 20 o 25 euro, a seconda della tipologia di piatto. Per informazioni e prenotazioni: Caffè Reale Torino, 335 8140537 e segreteria@ilcatering.net.

 

TOward2030. What are you doing?

Fino al 17 gennaio il pubblico potrà visitare l’esposizione dedicata al progetto TOward2030. What are you doing? Ideato da Lavazza e dalla Città di Torino per diffondere la cultura della sostenibilità attraverso il linguaggio della street art, il progetto ha previsto la realizzazione di 18 opere murali ispirate ai Sustainable Development Goals elaborati dall’ONU, 17 obiettivi di sviluppo sostenibile più il Goal Zero, pensato da Lavazza per divulgare gli obiettivi stessi. La mostra, curata da Roberto Mastroianni e da Filippo Masino, presenta nello Spazio Confronti della Galleria Sabauda fotografie e filmati degli artisti al lavoro, mentre nel Boschetto dei Giardini Reali sono riproposti gli scatti delle 18 opere d’arte urbana presenti a Torino, oltre ai lavori di alcuni artisti dei collettivi Il Cerchio e le Gocce, Monkeys Evolution e Truly Design, realizzati durante il live painting inaugurale con il coordinamento di MurArte Torino. Il documentario Street art for the sustainable development, dedicato alla realizzazione del progetto, ha vinto il premio Massimo Troisi al Festival di Salina. Una selezione di immagini tratte dal documentario è visibile in mostra.

 

Le iniziative TOward2030. What are you doing e Cinema a Palazzo sono incluse nel programma “Torino a Cielo Aperto” (www.torinoestate.it/torinoacieloaperto).

 

Metamorfosi

Nel Museo Civico Di Moncalvo sarà aperta al pubblico la mostra di Carlo Mazzetti, organizzata da Aleramo Onlus

Dal 8 agosto al 4 ottobre. L’inaugurazione con presentazione di Giuliana Romano Bussola e Maria Rita Mottola avverrà venerdì 7 agosto ore 17,30  sotto i portici del castello.

Attraverso il seducente gioco delle Metamorfosi Mazzetti giunge ad un particolare spaesamento surrealista  addentrandosi nel mondo onirico, del bizzarro della memoria dell’infanzia col gusto intellettualistico di meccanismi concettuali.

GRB

Van Gogh: a 130 anni dalla morte il mistero più grande resta la pittura

Auvers sur Oise, 29 luglio 1890, Vincent van Gogh terminava a soli 37 anni un’esistenza vissuta e bruciata con un’intensità sconvolgente. Il 30 luglio veniva sepolto nel minuscolo cimitero del paese, sperduto tra i campi che aveva amato e tante volte dipinto. Sulla bara che il prete non aveva consentito entrasse in chiesa, trattamento riservato a chi faceva violenza contro se stesso, era deposto, significativamente, un mazzo di girasoli.

Al di là delle teorie degli ultimi anni sulla morte del pittore che ipotizzano non il suicidio, ma l’omicidio accidentale da parte di un ragazzo della borghesia parigina, a 130 anni dalla sua scomparsa il vero grande mistero dell’artista olandese restano i suoi dipinti.  Nessun pittore come Vincent van Gogh riuscì a stravolgere, in pochissimi anni, il mondo e la storia dell’arte.


La vita pittorica di Van Gogh inizia, infatti, nel 1881. Vincent aveva 28 anni e si era lasciato alle spalle già parecchie esperienze fallimentari: aveva cercato di seguire prima le orme dello zio Vincent, detto Cent, mercante d’arte, che aveva fatto assumere il nipote, a L’Aia, presso la filiale della casa d’arte Goupil, poi del padre pastore, dedicandosi, senza troppo successo, agli studi teologici e, infine, dominato da un fervore religioso estremo, si era recato a predicare nella regione del Borinage, sottoponendosi a rinunce e privazioni come gli asceti. Difficile a 28 anni per uno spirito anarchico come Vincent seguire le vie convenzionali dell’arte, le lezioni dell’Accademia, i consigli degli artisti affermati, le lunghe sedute di disegno che prevedevano di copiare in modo ripetitivo gli stessi soggetti, difficile per chi come lui, inconsciamente, era destinato a realizzare una grande rivoluzione, adeguarsi alla normalità.
Tutti diffidano di questo uomo che sembra destinato a fallire sempre, tutti tranne una persona, il fratello minore Theo che lo spinge a proseguire nella sua missione artistica, convincendolo ad adattarsi a tornare nella canonica di Nuenen presso i genitori dove potrà dipingere senza pensieri.

Atmosfera pesante quella di Nuenen che Vincent così descrive in una lettera al fratello: “Mi rendo conto che Pa e Ma pensano a me per istinto… hanno la stessa paura di accogliermi in casa che avrebbero se si trattasse di un grosso cagnaccio. Quello magari si metterebbe a correre per le stanze con le zampe bagnate, sarebbe rozzo, travolgerebbe tutto strada facendo. E abbaia forte. In poche parole è uno sporco animale… Ma la bestia ha una storia umana e, anche se è soltanto un cane, ha un’anima umana, e molto sensibile anche”.
Nonostante l’ostilità dei genitori che non riescono a comprendere questo strano ragazzo, il periodo di Nuenen è quello in cui nascono quasi duecento opere.  La tavolozza di questi anni si contraddistingue per i colori cupi di chiara ispirazione fiamminga e per le atmosfere pesanti, quasi opprimenti, interni claustrofobici, cieli scuri e soffocanti.  Qui Van Gogh crea uno dei suoi capolavori “I mangiatori di patate”, la raffigurazione di contadini intorno alla tavola in una sera come tante. “Ho cercato di sottolineare come questa gente che mangia patate al lume della lampada, ha zappato la terra con le stesse mani che ora protende nel piatto, e quindi parlo del lavoro manuale e di come essi si siano onestamente guadagnato il cibo. Ho voluto rendere l’idea di un modo di vivere che è del tutto diverso dal nostro di gente civile. Quindi non sono per nulla convinto che debba piacere a tutti o che tutti lo ammirino subito” scrive il pittore al fratello in una lettera dell’aprile 1885.

E’ la vita nella sua drammatica povertà, nella sua bruttezza e nella sua deformità a posare nei dipinti di Van Gogh, l’uomo si trasforma in oggetto e diventa simile a quelle patate che ha coltivato e raccolto.Nel 1886 e, dopo una breve parentesi a Anversa, Van Gogh si trasferisce nell’appartamento del fratello Theo in rue Lepic, 54 a Parigi. La passione per le stampe giapponesi, i contatti e gli scambi culturali con Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Seurat, Signac, Toulouse Lautrec da soli non sono sufficienti a giustificare il repentino cambiamento della sua pittura. L’evoluzione è immediata, lo stile si modifica, i colori si schiariscono e tramontano i toni scuri. E’ come se Van Gogh, in pochi mesi, avesse assorbito, letteralmente, la lezione di tutti i movimenti pittorici che dominano la scena parigina e li avesse rielaborati a modo suo, stravolti e, al tempo stesso, migliorati, andando oltre.

Il “Ritratto di père Tanguy” dell’autunno 1887 concilia in questa atarassica rappresentazione di vecchio con cappello le influenze delle stampe giapponesi, la lezione del pointillisme, le velature degli impressionisti, la forza cromatica di Gauguin. Niente di più distante dalla mano che solo due anni prima aveva dato vita ai “Mangiatori di patate”. Febbraio 1888: Van Gogh, sulle orme dell’amato Monticelli, è ad Arles. Nel Sud della Francia l’artista cerca ossessivamente la luce e i colori violenti che incendieranno le sue tavolozze e incontra il mistral che deformerà i suoi soggetti e la sua mente. “Ho fatto, sempre come decorazione, un quadro della mia camera da letto, con i mobili di legno bianco, come sapete. Ebbene, mi ha molto divertito fare questo interno senza niente, di una semplicità alla Seurat a tinte piatte, ma date grossolanamente senza sciogliere il colore; i muri lilla pallido; il pavimento di un rosso qua e là rotto e sfumato; le sedie e il letto giallo cromo; i guanciali e le lenzuola verde limone molto pallido; la coperta rosso sangue, il tavolo della toilette arancione; la catinella blu; la finestra verde. Avrei voluto esprimere il riposo assoluto attraverso tutti questi toni così diversi e tra i quali non vi è che una piccola nota di bianco nello specchio incorniciato di nero, per mettere anche là dentro la quarta coppia di complementari” scrive a Gauguin, l’amico che attendeva ad Arles per creare una comunità di artisti, un altro dei suoi fallimenti. L’opera è stata dipinta nell’autunno 1888, un anno esatto dopo il Ritratto di père Tanguy. I colori si sono fatti violenti, gli accostamenti forti, persino azzardati, la pittura piatta. Se i contadini dei “Mangiatori di patate” erano diventati oggetti, i mobili e i quadri della camera hanno preso vita, sembrano muoversi, piegarsi, spostarsi, uscire dalla tela. Il genio onirico di Van Gogh ha anticipato le teorie che i Fauves esprimeranno all’inizio del 1900 e la violenza comunicativa dell’Espressionismo. Dell’uomo di Nuenen non è rimasto nulla.

Giugno 1889 “Notte stellata”. “Perché i punti luminosi del firmamento ci dovrebbero essere meno accessibili delle città e dei villaggi, dei punti neri sulla carta di Francia? Se prendiamo il treno per andare a Tarascon oppure a Rouen possiamo prendere la morte per andare in una stella”, scrive Vincent dal suo esilio volontario nella casa di cura di Saint Rémy en Provence, dopo l’episodio del taglio dell’orecchio e le crisi nervose che gli avevano guadagnato l’ostilità degli abitanti di Arles. Vortici e controvortici, stelle cadenti, stelle che sembrano girasoli, una tela giocata sul blu cobalto e sul giallo, ferita da pennellate nervose, un quadro nel quale la pittura acquista matericità e tridimensionalità, la rappresentazione di un sogno più che di una realtà, il sogno di un pittore che sembra già guardare oltre, che sembra fissare gli occhi su un’altra dimensione. Luglio 1890 “Campo di grano con volo di corvi”. Van Gogh cerca la pace a Auvers sur Oise, seguito dal dottor Paul Gachet. Cerca nella pittura, come aveva già fatto durante gli ultimi dieci anni della sua vita, l’antidoto al desiderio di morte.  Un anno prima aveva scritto al fratello Theo: “Se non avessi la tua amicizia sarei rispedito senza rimorsi al suicidio e per quanto io sia codardo, finirei per andarci”. A Auvers sur Oise, tuttavia, non c’è serenità, i cieli si scuriscono di nuovo, il blu squillante della Provenza diventa un blu cupo, nero che schiaccia tutto e che tutto domina. Scrive ancora Vincent: “Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi casca quasi di mano e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la tristezza, l’estrema solitudine”.

L’arte diventa lo specchio nel quale riflettere l’infinita tristezza e una depressione senza fine, alla quale il solo rimedio sembra essere la strada della morte. In “Campo di grano con volo di corvi” le pennellate si intersecano, si interrompono, si spezzano nervose. Il colore sembra spremuto direttamente sulla tela. Le forme si intuiscono appena, i corvi sono linee nere, sono v e w rovesciate che volano lontano, come l’anima di Vincent Willem van Gogh. 23 luglio 1890 in una lettera mai spedita, perché il pittore non volle farlo, Vincent scriveva “Ebbene nel mio lavoro rischio ogni giorno la vita e vi ho perduto metà della mia ragione – va bene – ma tu non sei tra i mercanti di uomini per quanto io sappia e possa giudicare trovo che stai agendo realmente con umanità ma cosa vuoi”. In dieci anni Vincent aveva stravolto il mondo dell’arte, tutto esperito, tutto archiviato, tutto anticipato, aveva creato una pittura di una modernità tale che resta tuttora insuperata, aveva cambiato stile, colore, aveva trasformato l’uomo in oggetto e aveva dato vita a un iris: il suo grande mistero sta proprio qui, non nel dibattito, peraltro inutile, sulle modalità della sua morte, ma nell’essere stato non uno, ma centomila pittori.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            Barbara Castellaro

 

Si ringrazia per le foto M. Dominique-Charles Janssens, Président Institut Van Gogh

“Radici e tronchi d’albero”, il mistero svelato dell’ultimo Van Gogh

Di Barbara Castellaro / 27 luglio 1890, Auvers sur Oise, verso il crepuscolo. Vincent Van Gogh rivolge un’arma contro se stesso, decidendo di porre fine alla propria esistenza.

La mattina di quel giorno, secondo gli studi condotti sulla sua opera da Louis van Tilborgh e Bert Maes e rivelati in una pubblicazione del 2012 dal Van Gogh Museum di Amsterdam, aveva abbozzato la sua ultima opera, il suo ultimo grido al mondo, il suo testamento: “Radici e tronchi d’albero”.

Questa teoria era supportata dalla testimonianza inconfutabile di Andries Bonger, fratello di Joanna Bonger Van Gogh, moglie di Theo e cognata di Vincent, che aveva indicato in questa tela l’ultima opera dell’artista, dipinta proprio la mattina del 27 luglio. In un altro scritto Van Tilburgh, in collaborazione con il suo collega Teio Meedendorp, nel 2013, concludeva che il soggetto dipinto nell’ultimo quadro, “Radici e tronchi d’albero”, rifletteva lo stato mentale disturbato e tendente al suicidio e che, quindi, fosse plausibile che, avendo trascorso la mattina a lavorare a questo dipinto, confrontandosi con la propria profonda malinconia, Van Gogh fosse tornato all’Auberge Ravoux e ne fosse uscito con la pistola con la quale avrebbe posto fine alla propria vita.
Fine Marzo – Inizio Aprile 2020, la pandemia del Covid-19 ha costretto l’Europa al lock down. Le uscite sono limitate. In poche settimane la normalità è diventata un ricordo e la vita si svolge tra le mura di casa.

Wouter van der Veen, studioso dell’opera di Vincent Van Gogh e direttore dell’Institut Van Gogh, si dedica a esaminare i file che riproducono alcune cartoline che raffigurano Auvers sur Oise tra il 1900 e il 1910. La scena fotografata in una di queste include una strada coperta di radici e tronchi d’albero. Van der Veen racconta di aver pensato di utilizzarla per cercare di spiegare “Radici e tronchi d’albero”, l’ultimo quadro di Van Gogh, “un lavoro sconcertante e difficile da capire dipinto da lui il giorno del suicidio”.
Casualmente, come è spesso accaduto per tutte le grandi scoperte, lo sguardo dello studioso, mentre è impegnato in una conversazione telefonica, cade su un punto della riproduzione digitale della cartolina aperta sullo schermo e, incredulo, riconosce proprio quelle radici e quei tronchi raffigurati da Vincent.In quella cartolina è immortalato il soggetto dipinto da Van Gogh, ma vent’anni dopo.


Nel libro “Attacked at the very root. An investigation into Van Gogh’s last days” Van der Veen rivela tutti i particolari della scoperta che l’hanno portato alla convinzione di avere individuato l’esatto punto dipinto nell’ultima opera dal pittore olandese, a 150 metri dall’Auberge Ravoux. “Mi recai in quel luogo appena possibile – scrive Van der Veen – Mi attendeva un piccolo miracolo: un enorme ceppo mummificato coperto di edera, occupava il posto d’onore nel luogo che avevo identificato. Si trattava della parte centrale del dipinto…”.

Si trattava del punto esatto dove Van Gogh aveva dipinto per l’ultima volta in quel villaggio che l’aveva ospitato negli ultimi mesi di vita. Vincent Van Gogh arriva, infatti, a Auvers sur Oise il 20 maggio 1890. Il suo unico desiderio, dopo le crisi che lo avevano colpito nel periodo trascorso ad Arles, in particolare il movimentato rapporto con Gauguin, poi culminate nell’episodio del taglio dell’orecchio del dicembre 1888 e nella decisione di ricoverarsi volontariamente nella Maison de Santé di Saint Remy de Provence, dove rimase un intero anno, era stato quello di ritornare al Nord, nei luoghi che era sicuro l’avrebbero guarito, così come anni prima aveva pensato del Sud della Francia e del sole e dei colori della Provenza.

Due episodi, in particolare, negli ultimi mesi trascorsi a Saint Remy, avevano influito sulla salute e sul precario equilibrio dell’artista: il saggio di Aurier e la nascita del nipote.
Nel gennaio 1890 Gabriel Albert Aurier, un giovane, ma visionario critico d’arte pubblica sul “Mercure de France” un lungo articolo “Les Isolèes: Vincent van Gogh” nel quale riconosce le doti straordinarie del pittore olandese. Vincent è confuso e confessa alla madre e alla sorella di sentirsi preoccupato dal pensiero del successo. Il secondo episodio si verifica nel 31 gennaio 1890. Theo e Joanna diventano genitori di un bambino al quale vengono imposti i nomi di Vincent Willem, gli stessi dello zio, gli stessi dell’altro zio, il primogenito dei coniugi Van Gogh, quel fratellino nato e morto il 30 marzo 1852, un anno esatto prima della nascita del pittore che ne aveva ereditato i nomi. I nervi sovraeccitati di Vincent vengono messi a dura prova da queste emozioni e a febbraio viene colpito da una crisi molto violenta, la più lunga del suo soggiorno nella casa di cura di Saint Remy: dalla prima settimana di febbraio all’ultima settimana di aprile è incapace di dipingere, scrivere e persino di leggere.

Il successo e l’arrivo di un bambino con la creazione di un nucleo familiare proprio da parte del fratello se da un lato rappresentano per lui episodi felici, dall’altro portano, tuttavia, con sé un profondo carico di turbamento e paure ataviche: quella del peso insostenibile della fama il primo e quello della perdita di un’intimità con Theo il secondo. Era arrivato un altro Vincent a prendere il suo posto, come lui aveva fatto con il suo fratellino nato morto 37 anni prima e l’artista inizia a percepire dentro di sé, con dolore, il passaggio da fratello amato a peso gravoso.
Al termine della crisi Van Gogh riesce a partire per Parigi, dove, tuttavia si ferma soltanto tre giorni per conoscere la cognata e il nipote, prima di raggiungere, su raccomandazione e consiglio di Camille Pissarro, Auvers sur Oise, all’epoca villaggio particolarmente amato e dipinto da molti artisti, affidandosi alle cure del dottor Paul Gachet, un medico appassionato ammiratore dell’arte dell’epoca e grande collezionista, che spinge il pittore a lavorare il più possibile per contrastare il ritorno della malattia.

A Auvers sur Oise Vincent soggiorna all’Auberge Ravoux (Cafè de la Maire) e trascorre molto tempo all’aperto, dipingendo incessantemente. In questi mesi nascono capolavori di una bellezza straziante come “La Chiesa di Auvers” che Wouter van der Veen così descrive: “è una dimostrazione artistica di forza. Le misure, l’ambizione, le difficoltà tecniche e l’immediato successo di esecuzione rendono indiscutibilmente questo dipinto uno dei suoi più grandi, allo stesso livello dei “Girasoli” o di “Notte Stellata sul Rodano. La scena è retroilluminata e si svolge sotto un cielo blu carico che sembra inciso sulla tela come un bassorilievo multicolore, in un perfetto contrasto di tinte e tonalità audaci e raffinate. La figura ordinaria di un passante e alcune case che rappresentano il villaggio intensificano la scena…” e come “Ritratto del dottor Gachet” dipinto nella posa della “Melancholia” di Albrecht Dürer, un’opera giocata su un sapiente utilizzo delle diverse gradazioni di blu.

Una tela di questo periodo che ha assunto un grande significato non soltanto per la tragicità che trasmette e per la potenza espressiva della quale è portatrice, ma anche perché, per molto tempo, è stata, a torto, considerata l’ultimo dipinto di Van Gogh è “Campo di grano con corvi”. La scelta di dipingere tre strade sotto un cielo cupo, pesante, materico, contraddistinto da un cromatismo scuro e opprimente e attraversato da corvi in volo che sembrano forieri di oscuri presagi, ha fatto ritenere il quadro un testamento conclusivo, tuttavia, Van Gogh allude alla sua creazione in una lettera del 10 luglio, quindi 17 giorni prima del suicidio e, nonostante, ancora oggi, non sia stato possibile datarla con certezza, è importante notare che raffigura un campo di spighe e che, quindi, è stata dipinta prima che il grano venisse tagliato. L’esistenza di altre tele che immortalano i campi di Auvers con il grano già tagliato e raccolto conferma la certezza che, nonostante il quadro evochi lo spettro della morte, non solo non è stato l’ultimo dipinto da Vincent, ma ad esso ne sono seguiti altri.

L’esercizio continuo e quasi disperato dell’arte pittorica, tuttavia, non basta ad allontanare le crisi e i periodi sereni si fanno sempre più rari fino a scomparire del tutto il 6 luglio 1890 quando Vincent ritorna a Auvers profondamente turbato e convinto di essere solo un fardello per i suoi cari. Durante la sua visita a Parigi, Theo gli è apparso, infatti, nervoso e distante, prostrato dai primi segni della sifilide, dalla preoccupazione per la salute del figlio che soffre di frequenti e inspiegabili attacchi di pianto e per gli affari.
Questa convinzione viene rafforzata dall’improvvisa partenza di Theo e Joanna per Olanda e dalla frammentarietà della corrispondenza che hanno sicuramente influito nel rafforzare nell’artista questo pensiero.La solitudine e il senso di abbandono, in quel luglio dai colori e dalla luce abbacinanti, dovevano essersi fatti sempre più gravosi per il pittore olandese che sicuramente ritrova dentro di sé e rafforza la necessità di farsi da parte, necessità che esplode e si concretizza il 27 luglio, il giorno della raffigurazione di “Radici e Tronchi d’albero”, opera che ha mantenuto, per molto tempo, intatto il proprio mistero. Oggi è ormai chiaro che questa è senza alcun dubbio l’ultima tela di Van Gogh, un’opera incompiuta, l’ultima visione di un’artista che, per tutta la vita, aveva sempre saputo andare oltre, tutto anticipando, tutto superando.

Per molto tempo, tuttavia, è parso quasi impossibile identificare il luogo raffigurato da Van Gogh fino alla recentissima scoperta di Wouter van der Veen.
La cartolina da lui analizzata che raffigura il luogo dipinto nell’ultimo quadro di Van Gogh è “Auvers sur Oise – Rue Daubigny” e mostra una strada che curva verso il basso con un ciclista di spalle fermo a causa di una gomma a terra. Alla sua destra c’è una serie impressionante di radici esposte all’aria aperta. Naturalmente, molte cose sono cambiate dall’epoca, ma gli studi condotti sul terreno e sugli alberi, i confronti e le analisi con l’opera sembrano sufficienti per poter identificare, con esattezza, l’ultimo luogo che Van Gogh ha dipinto, mentre nella sua mente si rafforzava sempre di più il desiderio di mettere fine ai suoi giorni. Questa tratto di rue Daubigny si trova a 150 metri dall’Auberge Ravoux. Probabilmente, come era solito fare tutti i giorni secondo la testimonianza di madame Ravoux, anche quel 27 luglio Vincent si alzò, uscì a dipingere e rientrò a pranzare presso l’albergo. Quel giorno era stata una giornata molto calda ed è presumibile che Vincent avesse preferito uscire all’aperto anche nel pomeriggio piuttosto che lavorare nello studio a lui fornito dai Ravoux.

Sia la testimonianza di Adeline Ravoux che quella di Paul Gachet concordano sul fatto che Van Gogh era rientrato dopo che entrambi avevano già cenato, quindi verso sera, proveniente da “dietro il castello” dove si era sparato. La stessa notizia è data al critico Aurier da Emile Bernard in una sua lettera: “Domenica sera uscì in campagna vicino a Auvers, appoggiò il cavalletto contro un pagliaio, andò dietro il castello e sparò un colpo di pistola contro se stesso”. Vincent, quindi, era uscito a dipingere anche nel pomeriggio, e “Radici e tronchi d’albero” al momento del suicidio doveva trovarsi sul cavalletto. Il dipinto era stato iniziato al mattino come affermato da Andries Bonger, ma le ultime pennellate sono state applicate nel tardo pomeriggio.
Scrive ancora Van der Ween: “Van Gogh non stava inventando l’astrazione nella pittura con questo lavoro sconcertante. Stava semplicemente facendo ciò che aveva sempre fatto: catturare la realtà di ciò che vedeva nel modo in cui desiderava vederlo”.

Antonin Artaud nel suo “Van Gogh. Il suicidato dalla società” scrive: “Van Gogh non abbellisce la vita. Ne fa un’altra”.  Non abbellisce la realtà, ne fa un’altra, dipinge la realtà che i suoi occhi colgono, vedono, osservano. Sempre Artaud: “[…] dirò che Van Gogh è pittore perché ha ricomposto la natura, che egli ha come ritraspirato e sudato, fatto schizzare a fasci sulle sue tele, a sprazzi scrocchianti di colore, la secolare frantumazione di elementi, la spaventosa pressione elementare di apostrofi, di strie, di virgole e di sbarre di cui sono composti gli aspetti naturali…”.
Anche le semplici radici di un albero erano state “ricomposte e ritraspirate” in un testamento scritto con il colore e con il sangue. L’artista era consapevole che ormai c’erano nuove radici, giovani e forti e sentiva di doversi fare da parte. Il pensiero del suicidio si era rafforzato dentro di lui, era diventata una necessità prendere la morte per andare in una stella.

“Van Gogh voleva soprattutto raggiungere finalmente quell’infinito per il quale, egli dice ci si imbarca come su un treno verso una stella, e ci si imbarca il giorno in cui si è deciso fermamente di farla finita con la vita” scrive ancora Antonin Artaud. Van der Veen, grazie a una cartolina e a quel bisogno di indagare, osservare, scoprire, di scavare nell’opera di Van Gogh e nella sua vita, ci ha svelato un mistero.  Da oggi il pellegrinaggio doloroso a Auvers sur Oise comprenderà oltre alla Chiesa, alla cameretta dove Vincent si è spento vegliato dall’amato fratello, al cimitero dove i due fratelli riposano sotto un manto di edera, anche il luogo dove Vincent ha regalato all’umanità il suo ultimo quadro. “Non tutti capiranno che il trionfo di una vita, a volte, risiede nella scelta della morte. Van Gogh era, in quel senso, forse di prematura modernità” scrive Van der Veen.E, talvolta, la morte è l’unica strada perché l’arte, diventata immensa e ingombrante, possa continuare a vivere per sempre. Solo l’arte, infatti, può sopravvivere a tutti noi.

 

Si ringraziano per la disponibilità e per le fotografie:

Dr. Wouter van der Veen e Dr Dominique-Charles Janssens – Institut Van Gogh

Dr.ssa Clara Moreno – Moreno Conseil

Una visita estiva al Giardino Ducale e al Boschetto

Un ricco calendario di eventi estivi / Il Giardino Ducale rinnovato attende i visitatori con una scenografica accoglienza serale.  E la riapertura prosegue nel Boschetto con performance, musica dal vivo, attività e visite guidate.

 

Uno spazio verde che rivela meraviglie naturali e architettoniche, in cui concedersi un momento speciale di relax o una passeggiata tra giochi prospettici e sculture, all’ombra di Palazzo Reale, della Cappella della Sindone e della Galleria Sabauda. Dopo un importante intervento di recupero e rifunzionalizzazione, il Giardino del Duca torna a essere patrimonio dei torinesi e di tutti i visitatori, uno dei luoghi simbolo della città nuovamente fruibile con un’ampia offerta di attività.

 

Torna a essere fruibile anche il Boschetto, restaurato nel 2017 grazie all’intervento congiunto del MiBACT e della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino con il socio Reale Mutua. La giornata inaugurale presenta un ricco programma di performance e musica dal vivo, realizzato con i giovani partecipanti al progetto Talenti per il Fundraising della Fondazione CRT e con la collaborazione di Piatino Pianoforti dal 1910. Alle ore 10.30, 16 e 17.30 sono previste delle visite speciali condotte dalle guide CoopCulture.

 

Il Giardino Ducale

La rifunzionalizzazione e il recupero del Giardino Ducale è parte della grande opera di valorizzazione dei sette ettari di verde che si sviluppano a ridosso degli antichi bastioni, il tessuto connettivo dei Musei Reali di Torino. Dal primo disegno di Henri Duparc del 1563 al progetto di André Le Nôtre, architetto dei giardini di Versailles, l’impianto attuale dei Giardini Reali è frutto di molteplici trasformazioni che attraversano secoli di storia. Teatro delle passeggiate e di spettacolari feste che animavano la corte, i Giardini Reali sono ancora oggi un luogo dal valore monumentale e ambientale irripetibile.

 

Grazie all’intervento conservativo finanziato dalla Fondazione Compagnia di San Paolo con un contributo di 2 milioni di euro, sospeso a marzo per l’emergenza sanitaria, la porzione più antica dei Giardini Reali collocata a nord del Palazzo, il Giardino Ducale, assume un nuovo splendore.

 

“La Fondazione Compagnia di San Paolo, ispirata all’agenda 2030 delle Nazioni Unite, si rivolge alla cultura con uno sguardo che ci permette di attingere alla creatività e all’arte per rendere più attrattivi i nostri territori, pensare e reinterpretare spazi in cui le persone diventano protagoniste, rapportarsi ai beni culturali con spirito di custodia e protezione. Coerentemente con questo approccio oggi partecipiamo all’apertura al pubblico dei Giardini di Palazzo Reale, nel cuore di Torino, che rappresentano un ulteriore arricchimento, con la messa a disposizione di un elegante spazio verde, dell’offerta dei musei reali oltre al loro capitale di architetture, collezioni e offerta di servizi al pubblico. Vero e proprio polmone verde cittadino, i giardini giocano un ruolo determinante nel processo in corso di sviluppo dei MRT in una logica di investimento strategico, attraverso un’evoluzione gestionale/organizzativa e il miglioramento della sostenibilità economico-finanziaria fortemente appoggiato dalla Compagnia”, osserva Alberto Anfossi, Segretario generale della Fondazione Compagnia di San Paolo.

 

“I Giardini sono un elemento centrale dell’agenda dei Musei Reali – spiega la Direttrice Enrica Pagella –. Il 24 aprile 2016 sono stati riaperti al pubblico dopo una chiusura di quasi dieci anni e da quel momento i cantieri non si sono mai interrotti. Tra il 2017 e il 2018, grazie anche alla collaborazione con la Consulta di Torino e il suo socio Reale Mutua, è stata rifunzionalizzata l’area del Boschetto, arricchita dall’inserto monumentale Pietre preziose di Giulio Paolini. Successivamente, con il sostegno della Compagnia di San Paolo, i lavori sono stati dedicati al Giardino del Duca e a breve si completerà anche l’intervento nella parte di Levante, con la restituzione della settecentesca Fontana dei Tritoni. L’attenzione per la radice storica di questo grande spazio verde è andata di pari passo con la cura per tutti gli aspetti legati all’accessibilità e al comfort, nella convinzione che i Giardini del Palazzo Reale costituiscano un naturale prolungamento dello spazio museale e una impareggiabile risorsa di benessere per la vita dei cittadini, in un paesaggio antico e moderno insieme, all’incontro tra natura e cultura”.

 

In occasione della riapertura del 2 giugno, la nuova pavimentazione in pietra di Luserna posta lungo le facciate di Palazzo Reale e della Galleria Sabauda, collegamento tra la Corte d’Onore e la Manica Nuova della residenza, ha reso pienamente accessibile l’ingresso e l’uscita del percorso museale dal Giardino. Il perimetro esterno dei due edifici è ornato da 42 casse in acciaio inossidabile contenenti piante di Ligustrum Iaponicum Texanum, arbusti sempreverdi simili agli aranci e resistenti ai freddi invernali. Nelle innovative citroniere hi-tech sono integrati i dispositivi per illuminare scenograficamente le facciate e segnalare i percorsi. All’allestimento del Giardino Ducale si aggiungono 61 nuove anfore in ghisa, realizzate sul modello dei 43 vasi originali facenti parte delle collezioni storiche, ma con un disegno semplificato per facilitarne l’identificazione; i vasi delimitano i parterre   e segnano l’incrocio dei viali. Rose paesaggistiche della varietà Meilland Bonica completano la composizione che poggia su basamenti ottagonali in granito di Montorfano, contenenti piccoli fari Led per illuminare i camminamenti. Al confine dell’aiuola nord sono state aggiunte panchine, corpi illuminanti e cestini di servizio, coordinati con gli arredi già progettati per il recupero del Boschetto, situato a nord-est e di matrice ottocentesca. L’intero sistema di conduzione delle acque, così come l’impianto di irrigazione, è stato ripensato per rispondere nel modo migliore alle esigenze del giardino, mentre nuove prese di servizio a scomparsa sono state inserite nella pavimentazione per alimentare zone strategiche per favorire lo svolgimento di eventi serali. In una posizione di snodo tra i Giardini del Duca e di Levante e il Boschetto troverà spazio un nuovo punto informazioni per il pubblico con il supporto dei volontari del Touring Club Italiano, progetto Aperti per voi, che dal 1° luglio riprendono le attività di accoglienza nei Giardini.

 

La scultura in granito intitolata Ulisse, opera dello scultore Giuliano Vangi e donata dall’artista ai Musei Reali, sarà posizionata su un basamento nell’area settentrionale del Giardino Ducale, in prossimità dell’ingresso alla Manica Nuova.

 

I Giardini Reali non saranno soltanto un luogo in cui concedersi una piacevole divagazione nella natura, ma anche uno spazio in cui partecipare agli eventi per festeggiare la riapertura al pubblico. Si comincia domenica 28 giugno con “Welcome green”, osservazione guidata alla scoperta delle specie floreali che impreziosiscono i Giardini. Le visite continueranno nel fine settimana per tutto il mese di luglio. Domenica 12 e 26 luglio, alle ore 17, vista, tatto, udito e olfatto saranno convolti nell’inedita esperienza “Giardini sensoriali” per conoscere da vicino piante e materiali che compongono le aree verdi dei Musei Reali. Grandi e piccoli appassionati del disegno a mano libera, sabato 18 luglio non potranno perdere l’appuntamento con “MRT Garden Drawing 2020”: affiancati dai giovani artisti e maestri della Pinacoteca Albertina, i partecipanti si cimenteranno con il disegno dal vero, prendendo ispirazione dalla natura e dall’affascinante panorama architettonico che incornicia i Giardini (ingresso esclusivo e contingentato, al costo di 2 euro).

 

Dal virtuale al Reale

Se durante il lockdown l’esperienza di visita si è trasferita sui canali digitali e sulla piattaforma èreale (ereale.beniculturali.it), a partire dal 3 luglio, ogni mercoledì e venerdì alle ore 17 gli approfondimenti tematici tornano in presenza con il programma “Dal virtuale al Reale”. Curatori e tecnici dei Musei Reali conducono i visitatori alla scoperta di opere e luoghi meno noti, rivelando curiosità inedite secondo il seguente calendario:

 

3 luglio – La Manica Nuova di Palazzo Reale, dove l’architettura incontra il museo, con Filippo Masino

8 luglio – Una creatura sorprendente: il Drago da passeggio di Carlo Mollino, con Giorgia Corso

10 luglio – Le Cucine Reali, con Lorenza Santa

15 luglio – Il Giardino del Duca, con Barbara Vinardi

17 luglio – L’Oriente a Palazzo: gli stipi giapponesi nell’Appartamento dei Principi, con Linda Lucarelli

22 luglio – Prove di allestimento: Sumeri e Assiri in passerella, con Patrizia Petitti

24 luglio – Roma antica in miniatura. Viaggio tra le città romane in Piemonte, con Elisa Panero

29 luglio – La pittura dei Bassano, oltre la superficie, con Annamaria Bava

31 luglio – I soffitti dipinti dell’appartamento dei Principi Forestieri, con Lorenza Santa

5 agosto – Porcellane per la tavola del re. Le collezioni di Palazzo Reale, con Franco Gualano

7 agosto – In guerra per gioco. La targhetta da giostra dell’Armeria Reale, con Alessandra Curti

19 agosto – L’immaginario e la memoria. I Longobardi e il culto degli antenati, con Gabriella Pantò

21 agosto – L’Oriente in Armeria Reale. Armi e armature dal continente asiatico, con Giorgio Careddu

26 agosto – Sulle tracce degli Etruschi nel Piemonte preromano, con Rosario Anzalone

28 agosto – Una Madonna fiamminga rivelata. Leggere la pittura attraverso le indagini scientifiche, con Sofia Villano

 

Caffè con il restauratore

Due incontri speciali, il “Caffè con il restauratore”, saranno dedicati alla conoscenza dell’intenso lavoro dei restauratori che, con i curatori delle collezioni, ogni giorno conservano il grande patrimonio artistico dei Musei Reali. Giovedì 9 luglio, alle ore 10, Alessandra Curti presenterà l’approfondimento Santi cavalieri: La spada di San Maurizio e l’armatura nel Medioevo, mentre giovedì 6 agosto, alla stessa ora, l’intervento di Elisabetta Andrina verterà su Pareti tessute: gli arazzi a Palazzo Reale, affrontando gli aspetti tecnici ed esecutivi dei preziosi tessili. I partecipanti saranno accolti nella Corte d’Onore da una guida CoopCulture che, al termine degli interventi, condurrà i visitatori al Caffè Reale per condividere un piacevole momento di pausa.

 

Visite speciali

Giovedì 16 luglio, alle ore 16, “C’è qualcosa di nuovo in Armeria”: le vetrine della Galleria del Beaumont si arricchiscono di didascalie pensate per lo sguardo e la curiosità dei bambini. Le famiglie sono invitate a scoprire questa novità con i curatori Giorgio Careddu e Giorgia Corso. Prenotazione obbligatoria e costo compreso nel biglietto di ingresso, gratuito fino a 18 anni.

 

Venerdì 17 luglio, alle ore 18, il pubblico avrà la straordinaria opportunità di accedere all’Appartamento della Regina Elena, percorso composto da sale di grande fascino arredate e decorate da affreschi mitologici, stucchi dorati, parati in seta alla cinese, pavimenti in marmi policromi, e alle sorprendenti Cucine Reali. L’incontro si concluderà con un aperitivo. Solo su prenotazione.

 

Per tutto il mese di luglio, ogni sabato e domenica continuano le visite guidate a cura dei Volontari dell’Associazione “Amici di Palazzo Reale” nell’Appartamento dei Principi di Piemonte, al secondo piano di Palazzo Reale, con il suggestivo affaccio sulla terrazza panoramica. Il percorso, della durata di un’ora, è visitabile alle ore 11, 12, 15, 16, 17 e 18 ed acquistabile in biglietteria.

Le attività del Caffè Reale

Nella suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale, il Caffè Reale Torino accoglie i visitatori per un momento di ristoro in una cornice unica ed elegante, tra oggetti provenienti dalle collezioni sabaude. A giugno e a luglio la cucina della tradizione piemontese è protagonista di un ciclo di lezioni alla scoperta di specialità del territorio, come flan di spinaci con fonduta (19/6), bagnetto verde e rosso (20/6), verdure ripiene (26/6), savoiardi e tiramisù (27/6), carpione (3/7) e bunet (4/7). Gli incontri si svolgono dalle 17 alle 19 per un numero minimo di 12 persone. Il costo è di 20 euro per gli adulti, 28 euro per chi partecipa con un minore. Ogni venerdì e sabato di giugno è possibile partecipare anche alle cene speciali “Grill and Traditional Arcade”. Informazioni e prenotazioni al numero 335 8140537 o via e-mail all’indirizzo segreteria@ilcatering.net.

 

In foto, il Giardino Ducale (Credits: Officina delle Idee per i Musei Reali, giugno 2020)

Arte: un masterplan di cinquanta idee per portare Stupinigi in Europa

Realizzato con il cofinanziamento di Fondazione CRT e dei 6 Comuni dell’area per accedere ai fondi UE per 25 milioni di euro

 

Un masterplan di 50 idee per “portare” Stupinigi in Europa ed accedere ai fondi comunitari. Il documento è stato realizzato dall’agenzia di Sviluppo Lamoro, con il cofinanziamento della Fondazione CRT e dei sei Comuni del Protocollo di Valorizzazione di Stupinigi: Nichelino, Orbassano, Candiolo, Beinasco, None e Vinovo.

 

Dalla valorizzazione del turismo ecosostenibile alla promozione delle produzioni agricole agroalimentari per un distretto del cibo; dal recupero del patrimonio immobiliare (esedre, chiese, poderi e granai) alla realizzazione di un biciplan che crei un raccordo tra la rete ciclabile dell’area e le grandi “strade” come VENTO ed EuroVelo8; dal potenziamento del trasporto pubblico a percorsi museali e naturalistici inclusivi e di formazione per le fasce più fragili: il masterplan raccoglie progettualità in linea con le policy dei programmi comunitari per poter accedere ai fondi europei, per un importo atteso di circa 25 milioni di euro.

 

Azioni messe in campo da una vera e propria cabina di regia: Comuni, Ente Parco, Fondazione Ordine Mauriziano e imprenditori privati da tempo impegnati, anche grazie all’attività di coordinamento del Protocollo, nell’attivazione di strategie di valorizzazione turistica, ambientale e produttiva dell’area.

 

Il Sindaco di Nichelino Giampiero Tolardo afferma: “Il lavoro che da anni stiamo portando avanti per rendere Stupinigi il nuovo motore di sviluppo dell’Area Metropolitana è stato finalmente compreso: prova ne è l’attenzione che ci ha promesso la Regione Piemonte con forti investimenti nella futura programmazione europea. Noi siamo pronti, e con la nuova struttura tecnica e il supporto di Fondazione CRT, stiamo offrendo al nostro Distretto una grande opportunità di crescita”.

 

“La nostra grande esperienza nella progettazione europea e nella gestione di bandi di finanziamento – spiega Umberto Fava dell’Agenzia Lamoro – sarà messa a disposizione di questo territorio, che ha enormi potenzialità e sta per fare un salto di qualità dotandosi di un sistema di governance moderno, snello ed efficace”.

 

“Facciamo un nuovo, importante passo in avanti per la valorizzazione di Stupinigi, che rappresenta un bene universale e un volano per lo sviluppo del territorio – dichiara il Presidente della Fondazione CRT Giovanni Quaglia –. Nel suo duplice ruolo di co-regista al fianco delle istituzioni elettive e di ‘tessitrice’ di reti tra enti diversi tra loro, Fondazione CRT ha contribuito alla definizione del masterplan strategico per il futuro dell’area, perché solo la messa a sistema di tutte le idee e un efficace lavoro di squadra possono dare lo sprint necessario per accedere alle risorse e alle potenzialità offerte dall’Europa”.
Ora il “testimone” passa alla Regione Piemonte, cui il masterplan verrà presentato nelle prossime settimane.

Torino e i suoi musei. L’egizio

Torino e i suoi musei
Con questa serie di articoli vorrei prendere in esame alcuni musei torinesi, approfondirne le caratteristiche e “viverne” i contenuti attraverso le testimonianze culturali di cui essi stessi sono portatori. Quello che vorrei proporre sono delle passeggiate museali attraverso le sale dei “luoghi delle Muse”, dove l’arte e la storia si raccontano al pubblico attraverso un rapporto diretto con il visitatore, il quale può a sua volta stare al gioco e perdersi in un’atmosfera di conoscenza e di piacere. (ac)

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1 Museo Egizio
2 Palazzo Reale-Galleria Sabauda
3 Palazzo Madama
4 Storia di Torino-Museo Antichità
5 Museo del Cinema (Mole Antonelliana)
6 GAM
7 Castello di Rivoli
8 MAO
9 Museo Lomboso- antropologia criminale
10 Museo della Juventus

1. Museo Egizio

La prima volta che mi hanno portato al Museo Egizio ho pianto. Più avanti vi dirò perché.  Quando frequentavo i primi anni delle elementari, come la maggior parte dei bambini, avevo una stereotipata curiosità nei confronti di quel popolo antico e strano, all’epoca per me nient’altro che un “purpurrì” di piramidi e bislacchi esseri zoomorfi. Naturalmente poi, nel corso del tempo, tante altre furono le visite all’Egizio che ho fatto con sempre maggior consapevolezza e desiderio di conoscenza.  Il Museo è situato in Via Accademia delle Scienze 6, dove sorge il “Collegio dei Nobili”, edificio realizzato su progetto di Michelangelo Garove a partire dal 1679 e, in seguito, modificato e ampliato, nella seconda metà dell’Ottocento, grazie agli interventi di Giuseppe Maria Talucci e Alessandro Mazzucchetti.  Si tratta del più antico Museo dedicato alla civiltà dell’antico Egitto, tappa obbligata per turisti e torinesi.
Il Museo, fondato nel 1824, nel 1832 apre al pubblico. Proprio nel 1824 re Carlo Felice acquisì la prima raccolta di Bernardino Drovetti, esperto collezionista che era solito scegliere con criterio illuminato gli oggetti e le opere da acquistare. Egli infatti era interessato in egual maniera ai ritrovamenti più opulenti e a quelli ritenuti di minor valore, eppure essenziali per documentare la storia della civiltà che tanto lo appassionava.

Nel corso del tempo si sono susseguite svariate modifiche espositive, dovute anche all’aumentare dei reperti, sia grazie a scambi con altri musei, sia ad acquisti e concessioni di privati.
Anni essenziali per la crescita della collezione furono quelli tra il 1903 e il 1907, periodo in cui prima Ernesto Schiapparelli, poi Giulio Farina, portarono avanti importanti scavi archeologici in Egitto, da cui ricavarono ben trentamila reperti da trasportare a Torino. Altri lavori vennero eseguiti nel 1908 e nel 1924, per mancanza di spazio lo stesso Schiapparelli ristrutturò la zona espositiva che oggi porta il suo nome. Tra le molte modifiche che si susseguirono tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta, particolarmente significativa risulta l’opera di ricomposizione del tempietto rupestre di Ellesiya donato dal governo Egiziano: la struttura fu tagliata in sessantasei blocchi e inaugurata nel 1970. In occasione dei Giochi Olimpici Invernali di Torino, nel 2006, lo statuario è stato riallestito dallo scenografo Dante Ferretti.

Oggi non sono in grado di descrivere a memoria l’allestimento degli anni Novanta, quello che ho visto da piccola, durante una gita con la classe delle elementari, eppure mi è rimasto il ricordo di quella fanciullesca sensazione di stupore, novità e straniamento che avevano suscitato in me tutte quelle teche, così numerose da parere ammassate l’una sull’altra, lucide come può essere il vetro antico, ognuna chiusa a proteggere il proprio contenuto come cubici ventri materni.  Ricordo con affetto quella giornata, con le maestre e la guida del Museo intente a mostrare a me e ai miei compagni quella moltitudine di “cose” lì contenute, mentre io ero concentrata a cercare quegli strani ibridi che capeggiavano nei libri illustrati. Avevo come la sensazione che tutto andasse troppo a rilento ma dopo un po’ di sbuffi e tanta pazienza, la guida ci mostrò finalmente qualcosa di davvero interessante: un’enorme stanzone contenente colossali statue dal corpo di donna e dalla testa di gatto. Si trattava della dea Sekhmet, pericolosa figlia del Sole, a cui erano dedicate innumerevoli raffigurazioni. Le statue della dea sono presenti anche nell’attuale allestimento, situate nella Galleria dei Re, poeticamente illuminate da una studiata, calda e scenografica luce mirata. Le sculture tutt’ora esposte appartengono ad un’unica serie, scoperta al tempio di Mut a Karnak (Tebe est), forse inizialmente collocate nel «tempio di milioni di anni» nel sito di Kom el-Hettan, dove erano installate lungo le pareti del grande cortile. Si pensa che in totale fossero presenti nel tempio ben 365 statue: ogni giorno una particolare statua della dea, distinta da appellativi specifici, doveva essere invocata per supplicare la divinità sterminatrice di mantenere in vita il monarca regnante e liberarlo dalle febbri, dall’arsura e dalle forze avverse.

Ma torniamo a noi, la gita scolastica si concluse con un lieto fine, ero riuscita a vedere i miei “mostrini” ed ero quindi soddisfatta di aver lenito la mia curiosità bambinesca. Come mai questa passione per le bizzarre creature che dovrebbero intimorire? La risposta ha a che fare con l’incipit del discorso. Avevo circa tre anni quando mio padre mi portò per la primissima volta al Museo Egizio e proprio in quell’occasione accade “il fattaccio”. La memoria si confonde con i racconti posteriori, ma leggenda vuole che i fatti siano andati così: in mezzo ad una sala ricolma di teche, c’ero io, piccola e maneggevole, in braccio a mio padre, lui guardava gli oggetti alle pareti e io in direzione opposta, con il capo reclino sulla sua spalla. E lì, in mezzo a quel vetroso labirinto a metà tra Lewis Carroll e il giardino dell’Overlook Hotel, pronunciò una frase che in famiglia è ormai un “cult”: “Che belli questi papiri”. Sì, perché non si era accorto che proprio alle sue spalle, e quindi nella direzione del mio sguardo, c’erano dei corpi accartocciati e rattrappiti, in cui le unghie e i capelli avevano continuato a crescere come in un sortilegio di cui nessuno mi aveva mai parlato. Probabilmente mi sentii osservata da quelle orbite vuote sgraziatamente sbendate e ebbi come l’impressione che tutti quei mostri inscatolati stessero ridacchiando della mia paura. Non c’era altro da fare che scoppiare in un pianto disperato. E così finì la mia prima visita al Museo Egizio di Torino.

L’unico modo per sconfiggere le proprie paure è quello di affrontarle, ma spesso accade che i timori si trasformino prima in curiosità incolmabili e poi in passioni. Durante le superiori tornai più volte “sul luogo del delitto”, ormai instancabile ammiratrice di quello che di certo è il popolo antico più magico e misterioso al mondo. L’aspetto che più mi affascinava in quegli anni -e forse tutt’ora- era la grande importanza che gli Egizi riservano al culto dei morti. Essi infatti credono nell’Aldilà e ritengono che nelle tombe prosegua in eterno la vita del defunto, per questo motivo le decorano con pitture in ricordo delle attività quotidiane e le corredano di monili, vasellame e oggetti di uso comune.
Nell’allestimento attuale, questo particolare aspetto cultuale è ben esplicato dai reperti delle tombe degli Ignoti e di Iti e Neferu. La prima venne ritrovata intatta a Gebelein nel 1911 e, grazie ai dettagliati appunti di Virginio Rosa, è stato possibile ricostruire pedestremente la disposizione degli oggetti nella ricostruzione all’interno del Museo. La seconda è un esempio emblematico di sepoltura dedicata a personaggi di alto rango, in cui particolarmente impattanti risultano le pitture parietali, raffiguranti i temi tipici del repertorio decorativo delle cappelle funerarie dell’Antico Regno: le ricchezze offerte al defunto e le persone coinvolte nella preparazione e, nella camera centrale, scene rituali d’offerta, per perpetuare la vita del defunto nell’Aldilà.
L’ultimo riallestimento museale risale al 2015, i lavori hanno riguardato l’intero percorso, articolato su cinque piani espositivi e radicalmente modificato per una più ampia godibilità degli spazi.

Non è passato così tanto tempo dalla mia ultima e recente visita al Museo Egizio e devo dire che personalmente un po’ tutte quelle teche e quelle mummie sbendate mi mancano.
L’aspetto attuale è però davvero straordinario, un chiaro esempio di museo moderno, tecnologicamente avanzato per catturare l’attenzione dei più giovani e assicurare un’esperienza immersiva e totalizzante degli spazi anche ai più grandi. Di certo non si può riassumere la grandiosità del Museo Egizio in un breve articolo come questo, né tantomeno pretendere di spiegare una civiltà che si sé sviluppata per circa quaranta secoli (dall’epoca preistorica sino al fiorire dell’arte copta nel V-VI sec. d.C.) ma a posso permettermi di condividere con voi lettori ciò che più mi ha colpito della mia ultima “passeggiata” museale. In primis, uno dei sarcofagi di Mereru, in cui è presente, oltre ai tipici occhi “udjat”, un “orologio stellare diagonale”, ossia una tabella che indica l’ora di culminazione durante la notte di 36 stelle dette «decani» con il variare dei mesi e delle stagioni.

Vi segnalo gli “ostraka”, (schegge di calcare illustrate con scene inusuali, libere dai canoni tradizionali) e le statuette delle divinità protettrici della famiglia (come Renenutet, Bess o Tuaret), scoperte nel villaggio di Deir El-Medina; nello stesso sito archeologico è stato ritrovato un papiro amministrativo di Amennakht (vissuto durante il regno di Ramesse III), in cui sono riportate le notizie riguardanti il primo sciopero della storia: gli operai del villaggio protestarono perché non ricevettero le dovute razioni alimentari, pagamento per il loro lavoro. Triste ed interessante testimonianza dell’eternità dell’ingiustizia che aleggia in questo mondo.
Affascinanti e mistici sono i papiri srotolati sulle pareti: lo sguardo si perde tra i caratteri pittografici, le composizioni armoniose, le figure che seguono i canoni dell’arte egizia che rimane invariata nei secoli e diventa inconfondibile nell’immaginario delle persone. Vengono chiamati “libri dei morti” i papiri con testi magici e illustrazioni collocati nelle tombe per aiutare i defunti a superare i pericoli dell’oltretomba e raggiungere la vita eterna. Esistevano più di duecento capitoli riguardanti tali tematiche ma nessun libro li conteneva tutti, infatti dal repertorio ciascuno sceglieva le formule a lui più appropriate, (Libro dei Morti di Kha).Mi è dispiaciuto non rivedere, per giusti motivi di restauro, il celebre “papiro erotico”. Si tratta di una parodia sociale, un particolare documento destinato a una classe agiata che trovava piacere nella rappresentazione della trasgressione.

In effetti l’elenco dei reperti che hanno ri-catturato la mia attenzione rischia di diventare eccessivamente lungo e tedioso ed è quindi bene che mi fermi e lasci scoprire a voi le altre meraviglie che non ho citato. Prima di concludere trovo obbligatorio spendere due parole su quello che è “il fiore all’occhiello” del Museo: la Galleria dei Re. L’enorme sala espositiva si trova alla fine del percorso, immensa e fiocamente illuminata, dove le imponenti statue emergono dalla penombra e ipnotizzano con la loro mistica bellezza i visitatori. Tra queste spicca l’effige di Ramesse II, uno dei faraoni più noti di tutta la storia dell’antico Egitto. Raffigurato seduto sul trono, è rappresentato con gli elementi canonici del potere, il volto sorridente e i lobi delle orecchie forati – dettaglio ripreso dall’arte Amarniana- ai lati delle sue gambe sono rappresentati la moglie e il figlio, in scala ridotta, a simboleggiare la continuità dinastica.
Quando il percorso finisce e si ritorna “a riveder le stelle” si ritorna anche alla vita “normale”, a correre frettolosi tra i sanpietrini e le architetture barocche e liberty che non abbiamo quasi mai il tempo di goderci. Eppure per me, ad ogni visita qualcosa cambia, un dubbio lenito ed una curiosità nuova da scoprire la prossima volta, e forse è questo il trucco: provare a non diventare mai “troppo grandi” da non avere tempo per essere curiosi.E comunque quando mi chiedono come mai mi piacciono i mostri e le storie horror e le leggende inquietanti io torno bambina e mi ricordo di quel simpatico trauma che non ho ancora voglia di superare.

Alessia Cagnotto

Sabato riaprono le visite al castello del Valentino

Da sabato 18 luglio ripartono le visite guidate alla dimora sabauda sede storica del Politecnico di Torino

 Dopo oltre 100 giorni di chiusura a causa delle misure di contenimento dovute all’emergenza sanitaria da Covid-19, il Castello del Valentino, sede storica del politecnico di Torino e residenza sabauda dichiarata Patrimonio dell’umanità UNESCO, riapre al pubblico sabato 18 luglio 2020.

Il Castello, proprietà del Politecnico, è sede della Scuola di Architettura. Le stanze del piano nobile sono visitabili solo durante visite guidate gratuite, accompagnati da personale laureato selezionato dall’Ateneo. L’itinerario di un’ora prevede la visita delle stanze del piano nobile, sala delle colonne e cappella al piano terreno: è possibile che l’itinerario possa subire qualche variazione in caso di lavori di restauro e/o sale occupate da convegni.

La visita sarà svolta in assoluta sicurezza, con ingresso contingentato per gruppi di visitatori non superiori a 15 persone e l’adozione di tutte le norme di comportamento necessarie all’accesso a luoghi pubblici, come l’utilizzo delle mascherine e la misurazione della temperatura all’ingresso.

Ogni settimana, sarà quindi nuovamente possibile visitare il Castello, con due orari di ingresso al sabato mattina: alle 10.00 e alle 11.30. (prenotazione obbligatoria sul sito del Castello)

“Abbiamo scelto di riaprire il castello, appena possibile, a cittadini e turisti, consapevoli del patrimonio che abbiamo il privilegio di possedere, custodire e valorizzare, dichiara la professoressa Annalisa Dameri, Referente Scientifico per i Restauri del Castello del Valentino.

 

Istruzioni per la visita e le prenotazioni

Misure per l’emergenza Covid-19

L’ingresso sarà contingentato e, grazie ad alcune semplici norme di comportamento, sarà garantita una visita piacevole e sicura:

All’ingresso sarà misurata la temperatura. Se risulterà 37,5°C o superiore, sarete invitati a lasciare il castello con i vostri accompagnatori
I visitatori sono pregati di indossare la mascherina per tutta la permanenza al castello.
In coda e durante la visita, i visitatori sono pregati di mantenere la distanza di 2 metri con gli altri visitatori e il personale.
Lungo il percorso di visita il pubblico è pregato di attenersi alle indicazioni del personale preposto
I gruppi non dovranno superare i 15 visitatori

Giorni di apertura

Il sabato, ore 10:00 e ore 11:30. La durata è di 1 ora circa.

I gruppi superiori a 15 persone possono concordare orari e giorni di visita inviando una mail a visite.castellodelvalentino@polito.it

È necessario presentarsi 15 minuti prima dell’orario di inizio itinerario.

I minori di 12 anni devono essere accompagnati da un adulto.

L’accesso avviene da Viale Pier Andrea Mattioli 39.

Chiusure

Il Castello sarà chiuso nel periodo delle festività natalizie, delle festività pasquali, il 24 giugno e durante le festività nazionali.

Modalità di prenotazione

Le visite guidate sono organizzate per un massimo di 15 persone e sono tenute da personale laureato in architettura che illustrerà i principali aspetti storici, artistici ed istituzionali del palazzo.

Prenotazioni al link: https://castellodelvalentino.polito.it/?page_id=935

Singoli Visitatori

È richiesta la prenotazione da effettuarsi esclusivamente on line almeno 24 ore prima della visita.

La prenotazione non è dovuta per i minori fino a 10 anni.

L’accesso avviene da Viale Pier Andrea Mattioli 39.

In caso di ritardo non sarà possibile accedere al Castello e verrà richiesta un’ulteriore prenotazione.

Le visite hanno la durata di un’ora circa.

Per i non prenotati, è possibile presentarsi direttamente al castello 15 minuti prima della partenza delle visite: l’accesso sarà possibile solo in caso di annullamento di prenotazioni e comunque sino a raggiungere un max di 15 persone per gruppo.

Lingua Itinerari

Le visite guidate sono in lingua italiana.

Su richiesta, per gruppi di minimo 15 persone, è possibile effettuare la visita in lingua inglese, francese, spagnolo (scrivere a visite.castellodelvalentino@polito.it)

Controlli di sicurezza

All’ingresso, ogni visitatore sarà sottoposto ai necessari controlli di sicurezza.

Non è consentito:

– introdurre valigie, trolley, sacche, zaini, bottiglie di plastica o vetro, lattine, ombrelli, oggetti appuntiti, taglienti o contundenti;

– uscire dai percorsi indicati;

– toccare gli arredi e le opere;

– fumare (anche sigarette elettroniche).

Non sono ammessi animali.

Non è possibile introdurre e utilizzare passeggini.

È necessario rispettare le indicazioni generali riportate sulla segnaletica.

Modalità di accesso per persone con disabilità

Per consentire un’assistenza adeguata, è opportuno segnalare al momento della prenotazione della visita impedimenti o limitazioni derivanti da condizioni di disabilità.

Durante il percorso è possibile utilizzare ascensori e altri mezzi idonei a superare le barriere architettoniche.

Per l’attraversamento del cortile interno potrebbero sussistere problemi negli spostamenti con carrozzine, data la presenza del pavé. È previsto un accesso alternativo al piano nobile.

Sono disponibili maquette e tavole tattili per ipovedenti e non vedenti (scrivere a visite.castellodelvalentino@polito.it)