ARTE- Pagina 124

Esterno notte, quando le immagini accendono la città

Torna il grande evento di proiezioni diffuse per le vie e i quartieri di Torino

Giovedì 30 settembre 2021, dalle 21.00 alle 24.00, Torino 

Torna, alla sua seconda edizione, ESTERNO NOTTE, il grande evento di proiezioni diffuse per le vie e i quartieri di Torino, che, nella serata di giovedì 30 settembre dalle 21.00 alle 24.00accenderà di immagini i palazzi, i muri, le finestre, i cortili e i balconi della città. Una città che, per una sera, si trasformerà attraverso le storie, le fotografie, i video che i cittadini e le realtà partecipanti condivideranno durante una vera e propria festa per immagini, di tutti e per tutti.

Il filo conduttore scelto per il secondo appuntamento di Esterno Notte è ‘trasformazioni’, intendendo questo concetto in senso aperto e stratificato. Le trasformazioni come risposta alle sfide del presente, come evoluzione del pensiero e delle dinamiche sociali, come istinto di resilienza e ricostruzione, ma anche come irreversibile processo di alterazione dell’equilibrio che regola i paesaggi naturali e sociali, di fronte al quale l’unica prospettiva possibile è quella di un cambiamento radicale degli stili di vita.

Anche in quest’ottica, Esterno Notte mira a sperimentare nuovi sistemi di condivisione culturale che non siano più solamente digitali ma che permettano una fruizione su larga scala in piena sicurezza.

La seconda edizione di Esterno Notte – commenta il direttore di CAMERA Walter Guadagnini ­– rappresenta il momento in cui la città tutta, le sue realtà istituzionali, le associazioni, i singoli cittadini, si ritrovano in un momento di festa collettiva attraverso la condivisione delle immagini: quello che facciamo tutti i giorni, tutti i minuti con i nostri telefonini in privato, lo facciamo ora in pubblico, inviamo ai nostri concittadini le immagini che amiamo, che ci divertono, che ci rappresentano. Ci auguriamo che diventi una grande manifestazione, alla quale ognuno porta il suo contributo, a seconda delle proprie inclinazioni e dei propri mezzi, come sempre accade nella vita di una città sana.

L’anno scorso CAMERA, nella prima edizione di Esterno Notte organizzata per festeggiare il quinto compleanno della Fondazione, ha voluto ricordare la strada percorsa proiettando uno slideshow di immagini delle quaranta mostre realizzate fino ad allora sulla facciata della chiesa di San Michele Arcangelo in via Giolitti e ha proposto un’installazione multimediale nel suo cortile interno con immagini d’archivio e sonorità diffuse. – continua la curatrice del progetto Monica PoggiOggi invece ci concentriamo sul futuro, sia generazionale che, in un certo senso tecnologico, attraverso la proiezione dei lavori dei trenta giovani che hanno partecipato al corso-concorso di fotografia Reality Shot raccontando, attraverso le fotocamere dei propri cellulari, i quartieri periferici torinesi di Falchera e Mirafiori.

Il progetto Reality Shot, promosso dall’Atc del Piemonte Centrale insieme con la sua società in house Casa Atc Servizi e l’associazione Kallipolis, e diretto dal critico d’arte Luca Beatrice, sarà infatti protagonista delle proiezioni che CAMERA propone nel suo cortile interno (ingresso da Via Giolitti, 35). Oltre ad affrontare il tema della rappresentazione delle periferie, questione imprescindibile nella lettura della società contemporanea ma anche negli sviluppi della fotografia italiana, il progetto sposa appieno il tema delle ‘trasformazioni’. Le immagini realizzate dagli autori a seguito di diverse uscite insieme ai due tutor Simone Mussat Sartor e Maura Banfo, esprimono una varietà di stili e di approcci che ben caratterizza la mutevolezza della fotografia di oggi. Da scatti in bianco e nero in grado di enfatizzare le dinamiche sociali che intercorrono fra gli abitanti di questi quartieri, con un chiaro richiamo alla tradizione della street photography, a scenari stranianti ricostruiti o alterati attraverso strumenti digitali, i lavori proiettati sono in grado di restituire un panorama iconografico sfaccettato e vario.

A Esterno Notte partecipano 80 realtà, con, al momento, 15 privati cittadini (*elenco aggiornato al 23 settembre)

A Pick Gallery – Accademia Albertina di Belle Arti – Acli di Torino Aps – Almanac Inn – Antiloco aps con Il Piccolo Cinema – Associazione Culturale Migma & Liquidstone srl – Associazione Museo Nazionale del Cinema –  Archivio di Stato di Torino – Archivio Superottimisti con Torino Stratosferica – Associazione Gomboc – Atb Associazione Culturale – Bagni Pubblici di Via Agliè con Torino Jazz Festival – Base Scafidi Milia Architetti –  CAMERA con Reality Shot – Casa del Quartiere San Salvario – Comune di Venaria Reale con Reality Shot – Comando provinciale Torino, Vigili del fuoco – Crag Chiono Reisovà art gallery – Cripta747 – Fiaf – Fionda –  Fondazione Circolo dei Lettori – Fondazione Compagnia di San Paolo – Fondazione Mirafiori con Reality Shot – Fondazione Torino Musei – Galleria Febo e Dafne – Galleria Giorgio Galotti – Galleria In Arco – Galleria Peola Simondi – Ideificio Torinese – Ied Istituto Europeo di Design – Il Punto – Istituto Bodoni Paravia – Jest – Luca Pannoli visual artist – Mara dei Boschi – Mazzoleni Art – Mole Antonelliana – Mucho Mas! – Museo A come Ambiente – Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia – Museo della Sindone – Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà – NH Collection Piazza Carlina – Nordic Things – Oggetti Specifici – Orti generali – Paratissima – PAV Parco Arte Vivente – Plastikwombat – Polo del ‘900 – Quartz Studio – Qui in Vanchiglia – Recontemporary – Reflex Tribe aps – Showroom Vanni – Stasis Aps – StreetView Art Gallery con ARCI Antonio Banfo – The Portrait gallery – Unduo – Urban Lab – Van Design Studio – Vernice Fresca in Barriera – Yit Architetti.

Sul sito e sui social di CAMERA sarà disponibile una mappa virtuale dell’evento, che permetterà a chiunque sia interessato di trovare e scoprire tutti i luoghi di proiezione, in una sorta di caccia al tesoro fra le strade della città.

Tutte le proiezioni saranno fruibili gratuitamente, passeggiando per strada o affacciandosi dal proprio balcone.

In occasione del sesto compleanno di CAMERA, venerdì 1 ottobre si potrà visitare la mostra “Walter Niedermayr. Transformations” a titolo gratuito.

Esterno Notte 2 ha ricevuto il Patrocinio della Città di Torino.
Documentazione fotografica in partnership

Le “Suggestioni cromatiche” di Bruno Molinaro tra campi di lavanda e nuvole e nevi

Nell’ex teatro di Palazzo Paesana di Saluzzo, fino a domenica 3 ottobre

 

Immagino che ancora oggi i ricordi che Bruno Molinaro trasmette alle sue tele li si debba ricavare dalle piane e dai monti, dalle distese di colori disseminate attorno a quel piccolo paese di terra friulana che lo ha visto nascere, non lontano dalle sponde del Tagliamento, come da quelli delle estati trascorse sulle rive tirreniche di una cittadina laziale o da una gita in montagna, tra i sentieri che s’addentrano tra i boschi, in qualsiasi stagione, lui ad annotare, quasi a fotografare nella memoria un albero, lo schiudersi di un fiore, l’accendersi di un rosso o di un giallo: poi, è chiaro, la sacralità e la reverenza dell’artista, la frequentazione in più occasioni del giardino di Monet, a Giverny, tra quel pugno di case distese nella minuscola località della Normandia, gli ha riempito gli occhi e la mente, ha fatto il resto. Un amore incondizionato per i piccoli laghi, per gli isolotti di ninfee, per i salici, per le macchie di fiori, per i pontili. E ancora: una vita intera, un lungo percorso di maestri (i corsi della scuola del nudo dell’Accademia Albertina tenuti da Filippo Scroppo) e di mostre in giro per il mondo e di riconoscimenti, di restauri, di tele, di prove nuove, di strade non ancora esplorate e poi ricercate con intelligenza.

Di questo percorso se ne ha un suggestivo tratto nella personale che, anche a festeggiare il suo ottantaseiesimo compleanno, s’è inaugurata – a cura di Angelo Mistrangelo – la scorsa settimana nello spazio dell’ex teatro di Palazzo Saluzzo Paesana, in via Bligny 2 (sino al 3 ottobre, orario: mercoledì giovedì venerdì dalle 15,30 alle 19,30; sabato e domenica dalle 11,30 alle 19,30). Più di trenta opere, una sequenza, quasi un nastro cinematografico di olii su tela ad occupare la prima sala, compatto, incessante, le tempere su cartoncino come prove più recenti nella seconda, poste accanto ad un video che ripercorre pensieri e vicende e opere e a tre altri olii, quasi un segno “più” importante, che tutto raccoglie, dell’attività e delle forme cromatiche di Molinaro, signorilmente unite dentro cornici antiche.

Molinaro è innamorato del paesaggio. Da sempre. Dei “suoi” paesaggi, quelli dell’anima. Dentro una narrazione emozionata e emozionante, lo distende sotto le immagini più suggestive, le forme più differenti, cattura un campo di lavanda capace d’alternarsi all’interno del proprio intenso violaceo di sfumate macchie di verde e di rosati (“Lavanda II”, 2012) come, in un primissimo piano, il rosso intenso di un papavero, interrotto per magia da un accenno di giallo e di verde (“Papaveri”, 2014), come, in “Verso sera” del 2018, distende al di sopra della pianura un grumo di nuvole sospese nel bianco o le rende, quasi in una premonizione, minacciose di tratti nerastri (“Tempesta”, 2019). Come regala a chi guarda i tanti paesaggi innevati, un inseguirsi di pennellate rapide e vibranti, bianche quanto fervide suggestioni, fiabeschi e senza luogo né tempo, silenziosi nelle radure o negli invernali piccoli corsi d’acqua ghiacciati, più netti o qua e là impercettibili nel tremolìo di una bufera, atmosfere impalpabili, sospese, fascinose, più di ogni altro soggetto impressioni e sogni che l’artista porta da sempre con sé. Sogni, certo, ma anche la materia di una realtà che è stata fotografata, prepotentemente tangibile, concreta nell’intero quanto personale panorama artistico.

Dicevamo sopra di prove affrontate di recente e di strade che paiono abbandonare quelle fin qui percorse. Sono le tempere su cartoncino, materiali bagnati e asciugati in un incresparsi grinzoso, riempito di colori ancora una volta sapientemente accostati. Macchie, alternarsi coloristico, un perdersi cromatico tra le pieghe della materia, esplosioni, sbuffi e rivoli, una felicissima intuizione e una ricerca che mostra e dimostra la modernità di Molinaro.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini: “Neve”, olio su tela, 2015; “Giallo e rosso”, olio su tela, 2014; “Rosso III”, tempera su cartoncino, 2016; “Rosso II”, tempera su cartoncino, 2014

Federica Belli: Imagination is an act of rebelllion (2021)

Flashback, l’arte è tutta contemporanea

presenta

The flashback special project Opera Viva Barriera di Milano, il Manifesto

Federica Belli
Imagination is an act of rebelllion (2021)

Inaugurazione: mercoledì 29 settembre, alle ore 18.30
 Piazza Bottesini, Torino
e in diretta Facebook (@flashbackfair)

 

Mercoledì 29 settembre alle ore 18.30 si inaugura in piazza Bottesini a Torino e in diretta Facebook – @flashbackfair – il sesto manifesto di Opera Viva Barriera di Milano, progetto ideato da Alessandro Bulgini, curato da Christian Caliandro e sostenuto dalla fiera d’arte Flashback: Imagination is an act of rebellion di Federica Belli (2021). Il racconto, che mese dopo mese si dispiega in questa settima edizione del progetto Opera Viva Barriera di Milano, prosegue con la sua sesta puntata.

 

La giovanissima artista ligure Federica Belli propone un’immagine che è parte di un progetto complessivo e commenta: “un promemoria di quanto importante sia mantenere viva la nostra capacità di immaginare nuovi scenari e prospettive; (…) un promemoria del fatto che investire nella nostra immaginazione è e deve essere una scelta consapevole, contro corrente. Una forma di ribellione. Quale occasione migliore di oggi per costruire il nostro futuro?”

 

Come le opere precedenti, anche questo manifesto si interroga sul cambiamento, sul mutamento, sulla trasformazione – anche difficile e faticosa, ma sempre stimolante – che stiamo attraversando in questi anni nella nostra vita collettiva e individuale. La fotografia viene individuata dall’autrice come il medium privilegiato per questa riflessione, con la sua capacità di essere manipolata e manipolabile all’infinito e al tempo stesso fedele al dato di realtà, e con la predisposizione a chiamare in causa le dimensioni dell’immaginazione e del sogno, per dare corpo, sostanza e visione alla ribellione creativa, non violenta ma esistenziale, che coinvolga le menti e i corpi, e che è così necessaria al mondo di oggi.

 

Federica Belli

Federica Belli (1998) nasce e cresce nell’entroterra ligure per poi frequentare l’università a Milano. Nel 2018 partecipa a Master of Photography, talent di Sky Arte, come concorrente più giovane. Uscendone vincitrice, collabora con il giudice Oliviero Toscani presso il centro di ricerca creativa FABRICA.  Nell’estate 2019 si sposta a New York per lavorare con il fotografo Chris Buck. In questa occasione diviene contributor e photo editor di Musée Magazine, pubblicazione trimestrale di fotografia fine art per cui crea la rubrica Tuesday Reads.  Tornata in Italia per tenere un TEDx Talk riguardo la fotografia contemporanea, procede con gli studi universitari e si laurea a Milano nel luglio 2020. Da quel momento si dedica a tempo pieno alla fotografia e attualmente collabora con Sky come fotografa ufficiale di produzioni televisive, portando avanti la sua ricerca creativa.

Il cromatismo simbolico di Rolando Rovati

In mostra alla Galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia

La galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia  dedica una mostra personale, aperta fino al 2 ottobre prossimo, all’artista Rolando Rovati, le cui opere sono espressione di un intimo simbolismo, dove la creatività si unisce a una magistrale ricerca di forti valori estetici.

Nei suoi dipinti la calibratura della luce si accompagna ad un preciso rigore formale, capace di suscitare nello spettatore riflessioni e emozioni ricorrenti. Le sue opere sono rese vive dai colori, testimonianza di una fervida fantasia creativa e compositiva, oltre che di un’affascinante resa scenografica, in cui l’elaborazione meticolosa non conosce soste e vive nell’opera attraverso una precisa tessitura grafica e cromatica di grande originalità.

Le opere di Rolando Rovati esprimono una sinfonia suggestiva di rossi e di verdi, capaci di manifestare un originale timbro cromatico e un’armonia ritmica ricca di equilibrio, di spiritualità e di un’altrettanto originale impronta descrittiva.

Le immagini di questo artista esprimono una meticolosità che accompagna la costante elaborazione di forme inedite e di nuove progettazioni strutturali. Il segno pittorico di Rovati, nativo del Bresciano, risulta di forte impatto sia dal punto di vista cromatico sia sotto il profilo materico; i suoi quadri sono vere e proprie finestre sull’anima e mosaici capaci di coniugare antico e moderno, attraverso la valorizzazione della materia, in cui le campiture ottengono un effetto tridimensionale a rilievo. L’artista pare seguire una melodia, che viene tradotta in pittura, capace di catturare lo sguardo dello spettatore attraverso strutture labirintiche, tracciate con segni nitidi e al tempo stesso decisi.

La mostra è visitabile presso la galleria d’arte Malinpensa by LaTelaccia in corso Inghilterra a Torino.

Tel 0115628220.

Orario 10.30-12.30; 16-19. Chiuso lunedì e festivi.

Mara Martellotta 

De Fornaris, 15 opere dalla Fondazione Fico

La Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris, presieduta da Piergiorgio Re, ha ricevuto in questi giorni 15 opere come lascito della Fondazione Ettore Fico, dopo che questa è stata sottoposta nel corso del 2020 alla procedura di liquidazione con la nomina di un commissario da parte del Tribunale di Torino. Lo Statuto della Fondazione Fico prevede infatti, all’art. 12, che “in caso di scioglimento della Fondazione per qualunque causa, il patrimonio sarà devoluto alla Fondazione De Fornaris”.

 

Sono arrivati in via Magenta lavori di Ra di Martino, Luca Trevisani, Luca Pozzi, Petrit Halilaj, Lili Reynaud-Dewar, Mimosa Echard, David Douard, Paola Angelini, Alberto Scodro, Jonas Wijtenburg, Nicolas Milhé, Rossella Biscotti, Alis/Filliol, Gian Maria Tosatti.

 

In particolare, di Ra di Martino entra nelle raccolte De Fornaris “The Focus of Attention” (2010), di Luca Trevisani “Flyinfishing” (2011), di Rossella Biscotti “Ideological Artifact” (2006). Tra i nuovi ingressi anche “Mofocracy” (2014) di Alis/Filliol, “Senza titolo” (2009) e “L’ospite” (2010) di Gian Maria Tosatti.

 

Quando Kṛṣṇa visita Torino. L’esotica mostra al MAO

È piccolissima la mostra “Kṛṣṇa, il divino amante”, adibita presso il MAO di Torino, su questo non c’è dubbio. Ma è altrettanto vero che si tratta di un’occasione imperdibile, quindi, se qualcuno non l’avesse ancora visionata, sarebbe opportuno che si affrettasse, poiché l’esibizione, iniziata lo scorso 28 aprile, terminerà il 26 settembre 2021.

L’esposizione occupa giusto una sala, quella che si trova a destra del Buddha d’ingresso; l’aprirsi di una semplice porta scorrevole ci proietta in una dimensione lontana, vagheggiata, dal sapore speziato, un solo passo ed eccoci nell’esotica India.

Sulle pareti nivee si tagliano quattro dipinti religiosi (“picchavai”) incentrati sulla figura di Kṛṣṇa, il dio indiano generalmente raffigurato con la carnagione blu – Kṛṣṇa o Krishna, lo “scuro”- l’ottava e la più venerata tra le incarnazioni di Viṣṇu, solitamente ritratto mentre suona il flauto.
Alle pitture si affiancano alcuni componimenti poetici, ascrivibili alla corrente della “bachti”, termine che indica la devozione completa e fidente verso la divinità, per immedesimarsi con essa e ottenere la salvazione, un atteggiamento emotivo che stabilisce fra il dio, che è dio di amore e di grazia, e il suo fedele un rapporto diretto a carattere universalistico, ricchissimo di umanità.
Tali componimenti hanno lo scopo di essere chiave di lettura evocativa e di esaltare il concetto tutto indiano di “rasa” ossia un particolare stato emozionale secondo cui una qualsiasi opera visiva suscita nel fruitore un sentimento che non può essere descritto; ci si riferisce all’essenza entusiasmante elaborata nell’opera dall’autore e apprezzata da uno “spettatore sensibile” (“sahṛdaya”, ossia “colui che ha cuore”) in grado di connettersi a tale opera con trasporto.
Una volta entrati nella piccola stanza dobbiamo fare lo sforzo di immedesimarci in un universo fatto di intricati precetti, di numerosissime divinità, in cui la materia e lo spirito, la sensualità e il misticismo fanno parte di un medesimo cosmo.

I quattro “picchavai” – grandi dipinti devozionali su tela, tipici delle scuole del Rajasthan – colpiscono per la quantità di dettagli, per i colori accesi ma armoniosi, per la sinuosità delle forme e per quel peculiare modo di percepire l’amore come qualcosa di totalizzante, che non può dividere l’aspetto fisico da quello spirituale.
Nell’ “Adorazione di Madana Mohanji presso il tempio di Karauli” osserviamo un cielo trapuntato di stelle, che avvolge un’architettura dorata riccamente adorna di lampade elaborate, mentre individui dai ricchi mantelli raggiungono il dio, posto al centro dell’opera, intento a suonare il flauto, come la tradizione iconografica vuole.
Nelle altre pitture, fanno capolino affascinanti fanciulle, vicine al nostro immaginario stereotipato, esse fanno fluttuare con grazia i veli con cui si abbigliano, mentre i gioelli indossati brillano e si confondono con i dettagli floreali di una natura che richiama il sogno.
La tela “Kṛṣṇa suona il flauto omaggiato da due gopi” mostra il dio, inconfondibile per la sua colorazione epiteliale, è posto al centro della composizione, nell’atto di deliziare le giovani mandriane – le “gopi” – con il suono delicato dello strumento. L’opera avvampa di un rosso passionale, reso ancora più avvolgente dall’abbondante utilizzo della foglia d’oro su cotone.
Tre le pitture esposte vi sono ancora “Kṛṣṇa, Rādhā, e le gopi”, in cui dominano i toni del verde, i tratti decisi che definiscono gli occhi truccati delle giovani fanciulle e il brillio delle perle da loro indossate; vi è poi “Gopi in attesa”, in cui l’ “horror vacui” dei dettagli assorbe l’osservatore in un dedalo di foglie, frutti, monili, strumenti musicali e persino un inaspettato uccellino rosso vermiglio.
I quadri affissi sono inscrivibili nell’iconografia delle “Raslila”, immagini dedicate alla giovinezza del dio e in particolare ai giochi amorosi intessuti tra lo stesso Kṛṣṇa e le giovani fanciulle incontrate tra i boschi di Vrindavan; la parola “lila” (“gioco”), nell’ambito della “bhakti”, assume significato simbolico ed esprime lo specifico concetto secondo cui le anime umane sono viste come “amanti” passionali del dio “amato”.

Le “picchavai” sono solitamente esposte all’interno di templi dedicati alla stessa divinità e hanno come tematiche la vita terrena di Kṛṣṇa, gli episodi raffigurati variano nel corso dell’anno, seguendo il calendario delle festività relative al dio.
Tra i versi poetici che accompagnano le iconografie, il più antico risale alla “Bhagavad-gita”, il più importante dei testi sacri della tradizione hindu, che celebra la maestosità del “Beato”, epiteto di Kṛṣṇa; gli altri componimenti invece risalgono al XV-XVI secolo, quando l’India settentrionale è sotto la dominazione islamica.
Come poter gustare a pieno questa breve ma intensa mostra? Forse con l’indicazione di qualche piccola nota.
“Hare Kṛṣṇa Hare Kṛṣṇa/ Kṛṣṇa Kṛṣṇa Hare Hare/ Hare Rāma Hare Rāma/ Rāma Rāma Hare Hare”.
Questa è la ripetizione dei sedici nomi per distruggere il male del Kali-yuga.
Il mantra upaniṣadico predicato nella “Kalisaṃtaraṇopaniṣad”, è praticato in numerose scuole visnuite, soprattutto in quelle conosciute come “gauḍīya”, di origine bengalese. Nel “mahā-mantra” (“mahā” significa “grande”) vengono citate diverse divinità come Hare, Rāma, Bhagavat e Kṛṣṇa, tutte figure appartenenti all’affollato pantheon induista, che vanta ben trentatré milioni di nomi tra dei e dee.

Difficile leggere queste parole senza tramutarle di primo acchito in una nenia priva di significato, che si intrufola fastiosa nella nostra mente e si piazza lì come rumore di sottofondo.
A diffondere questo mantra in occidente è il maestro spirituale indiano A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, fondatore, a partire dal 1966, del “Movimento Hare Kṛṣṇa”, meglio noto come “International Society for Kṛṣṇa Consciousness”. L’associazione ha sede a New York e porta avanti la medesima dottrina della scuola gauḍīya: si tratta di un credo religioso assai complesso, basato sull’idea di una continua e attiva azione missionaria; al centro di tale pensiero vi sono: Kṛṣṇa, inteso come “Bhagavat” (“persona suprema”), e la sua “paredra” Rādhā. “Paredra” è termine di origine greca, traducibile con “chi siede accanto” e va ad indicare una divinità il cui culto è associato a un’altra, generalmente di sesso opposto.
Proviamo ora ad analizzare più da vicino questi pochi versi. Nel “grande mantra” viene citato Kṛṣṇa, qui inteso come avatāra della “Persona suprema”, questa indicata come Viṣṇu; Rāma corrisponde invece all’ avatāra di Kṛṣṇa/Viṣṇu, celebrato nel Rāmāyaṇa, ma può intendere anche Balarāma, il fratello di Kṛṣṇa e avatāra o “espansione” di Kṛṣṇa/Viṣṇu; vi è poi Hare, termine dalle diverse interpretazioni, tra cui quella di “Hari” (il“Fulvo”), epiteto di Kṛṣṇa o “Hara” (“affascinante”) vocativo collegato a Rādhā.
Cari “semplici” monoteisti occidentali, un po’ di confusione, nevvero? Benissimo, ora assaporate questa sensazione di totale caos, moltiplicatela per trentatré milioni e canticchiate un “Hare Kṛṣṇa” a testa in giù, e avrete solo una lieve percezione della complessità della cultura dell’India, meravigliosa e intrigante ma davvero distante da noi.
È opportuno specificare che quando si parla di “cultura indiana” ci riferiamo ad un insieme di sub-culture, assai differenti tra loro e molto arcaiche. Gli studiosi indicano tale bacino culturale come “la più antica civiltà della Terra”, che affonda le sue radici ai tempi dei Veda, i cui testi sembrano risalire dalla prima metà del II millennio al V-IV sec. a.C.
Vediamo di districarci in questo dedalo di tradizioni, divinità e spezie, esplicando per sommi capi le nozioni essenziali per comprendere – almeno un po’ di più – questo mondo così colorato, che ancora oggi rimane avvolto da un’aura di magia mistica, apparentemente impermeabile al grigiore industriale che sta inghiottendo il globo.

Data l’ampiezza della materia, mi affretto a restringere il campo e sottolineo fin da ora che in questa sede vedrò di fornirvi alcune brevi indicazioni riguardanti l’arte indiana, tralasciando, per ovvi motivi, le altre questioni.
L’arte antica del subcontinente indiano comprende le architetture, le sculture e i dipinti dei territori della Repubblica dell’India, del Pakistan, del Bangladesh, dell’Afghanistan, del Nepal, del Bhutan e dell’isola di Sri Lanka; ad oggi l’organizzazione “Archaeological Survey of India” afferma di tutelare all’incirca tremilaseicento monumenti. La maggior parte dei reperti sono architetture e sculture ben conservate, che manifestano con chiarezza le caratteristiche dei vari periodi storici. Della pittura ci rimane invece ben poco, le condizioni climatiche avverse hanno reso i pochi dipinti pervenuti difficilmente classificabili, sia per quel che riguarda la cronologia che lo stile; altre cause che hanno portato alla perdita della produzione pittorica sono state le molte guerre fra regni rivali e, in seguito, le invasioni islamiche.
Quasi la totalità delle opere d’arte indiane antiche può essere classificata come arte religiosa, si tratta di produzioni il cui scopo principale è quello di veicolare significati metafisici. Sculture, monumenti e dipinti si ispirano a tematiche induiste, buddhiste e jainiste.
Buddhismo e Jainismo si diffondono sul territorio a partire dal VI sec. a.C., più complicata è la questione dell’Induismo, che si presenta come un fenomeno articolato e complesso, le cui prime manifestazioni sono riconducibili al culto della Grande Madre, tipico della civiltà della Valle dell’Indo. Alla Grande Madre si affianca successivamente uno sposo; nel periodo Arya, invece, iniziano a fiorire divinità multiple, spesso associate a fenomeni cosmici.

Le diverse filosofie orientali, basate su un rapporto intimo ed emozionale con la divinità, offrono da sempre numerosi stimoli e spunti raffigurativi.
Tali concezioni si incentrano sulla ricerca della soluzione al paradosso dell’esistenza, in base al quale tempo ed eternità, immanenza e trascendenza operano in modo opposto ma come parti integranti di un unico processo. Secondo questo ragionamento la creazione non può essere distinta dal creatore e il tempo diventa comprensibile solo come eternità. Trasponiamo ora il concetto all’ambito artistico, l’esperienza estetica si divide in tre elementi tra loro distinti ma correlati: i sensi, le emozioni e lo spirito.
La produzione artistica indiana non distingue tra materia e spirito, al contrario, attraverso un complesso simbolismo di forme volutamente sensuali e voluttose, fonde insieme i due elementi. In questo modo, il profilo serpentino di una danzatrice diviene espressione del mistero della creazione, e colei che nell’iconografia appare una semplice sposa, diviene in realtà rappresentazione dell’Eterna Madre.
I motivi che ricorrono nell’iconografia indiana sono pochi e semplici: la silhouette femminile, l’albero, l’acqua, il leone, l’elefante. Gli elementi si costituiscono in composizioni elementari ma vigorose, che esprimono vitalità sensuale, energia, realismo e ritmo.
La fase classica dell’arte pittorica indiana è quella del periodo “gupta”. Le produzioni artistiche di tale fase sono caratterizzate da componimenti insieme sereni e spirituali, ma anche energici e voluttuosi.
Particolarmente apprezzate sono le tematiche riguardanti le azioni malevole e benevole e le rispettive conseguenze.
Vi sono poi le miniature, diffuse soprattutto nel periodo “moghul”, d’impronta persiana e gradite particolarmente presso le corti. I soggetti miniati sono di varia tipologia e comprendono ritratti, scene storiche e momenti di vita secolare; lo stile si fa in queste produzioni più drammatico, come testimoniano i dettagli realistici di matrice occidentale.
Verso l’Ottocento la pittura tradizionale è surclassata da opere di stampo sempre più europeo, che devono rispondere ai gusti della nuova classe dominante, gli Inglesi.
Discorso a sé stante si dovrebbe affrontare a riguardo dell’arte moderna e contemporanea, ora incentrata sulla riscoperta di quella che è la più antica delle civiltà, complice di questa rievocazione è l’archeologia, con i molti cantieri adibiti a riscoprire le origini del mondo indiano.

Al contrario dei reperti pittorici, i reperti scultorei sono assai numerosi. Si tratta di sculture in pietra, terracotta, avorio, rame e oro, i soggetti sono i più disparati, tra cui animali, attrezzi agricoli, sigilli, divinità femminili e maschili.
Nel III secolo a.C., con l’affermarsi del Buddhismo e con il conseguente sviluppo di architetture monumentali, la scultura diviene un importante elemento decorativo, le composizioni si fanno affollate, vivaci e ritmiche: si sviluppa lo stile tipico della scultura indiana.
Il dominio musulmano (IX-XIII sec.) obbliga ad alcune modifiche, non solo a livello politico e sociale ma anche artistico e culturale. Le composizioni tendono alla linearizzazione e piano piano la scultura in genere viene messa in subordine rispetto all’architettura.
È proprio l’architettura infatti la tipologia artistica meglio conservata e anche la più conosciuta, un esempio per tutti il maestoso Tāj Maḥal, mausoleo di indescrivibile bellezza, edificato nel 1632 per volere dell’imperatore moghul Shāh Jahān in memoria dell’amatissima moglie Arjumand Banu Begum.
Gli stili storici compaiono a partire dal 250 a.C., quando il re Aśoka si converte al Buddhismo e inizia a dare grande importanza all’architettura religiosa.
L’edificio tipico buddhista è lo “stupa”, una costruzione emisferica o a forma di campana, in pietra, generalmente recintata, adibita a tempio o reliquiario. A partire dal V secolo il gusto comune predilige le decorazioni a bande, mentre le scene che adornano le pareti si gremiscono di figure ad alto rilievo.

I diversi credo religiosi influiscono sulle tipologie costruttive, facendo sì che i vari edifici siano visivamente riconducibili alle filosofie. Gli edifici jainisti sono caratterizzati da alte cupole concentriche edificate in pietre a modiglioni; lo stile indù si contraddistingue per un vasto impiego della decorazione, coperture piramidali, pinnacoli e porte a torre (“gopura”).
A partire dal XIII sec. l’architettura islamica si amalgama con gli elementi locali, dando vita ad edifici cinti da colonnati, balconi sorretti da mensole e riccamente ornati. L’Islam introduce inoltre l’uso dell’arco a tutto sesto, i motivi geometrici, i mosaici e i minareti. L’architettura musualmana e quella indiana si fondono in una sintesi armoniosa, particolarmente individuabile in alcuni stili regionali.
Anche in questo ambito l’occidente, impietoso, scalza le arcaiche abitudini tradizionali, l’influsso eurocentrico porta alla costruzione di imponenti edifici pubblici, industriali e alberghi, strutture che ormai non presentano più nulla delle antiche forme architettoniche. Un caso evidente, e particolare, è quello della città di New Delhi, interamente progettata in stile neoclassico dagli archietetti britannici tra il 1912 eil 1929.
I tempi cambiano, il mercato, l’economia, il consumismo divorano i vecchi mondi, talvolta il misticismo del passato si mescola con l’industrializzazione, e così il luogo dove ancora vengono venerati trentratré milioni di dei è anche il secondo paese al mondo per la produzione di cellulari.
Eccoci dunque, cari lettori occidentali, arrivati alle riflessioni finali di un lungo pezzo, attraverso cui vorrei solo consigliarvi di andare a vedere una mostra che ci conduce in un’altra realtà, non solo culturale o geografica, ma anche temporale. Lasciamoci allora trasportare in un passato di difficile datazione, a metà tra storia e magia, dove sicuramente i telefoni non prendono e il dolce suono del flauto di Kṛṣṇa ci potrebbe accompagne tra gli ombrosi alberi del Vrindavan.

Alessia Cagnotto

 

A tu per tu con Leonardo, una mostra svela i disegni del genio da Vinci E c’è anche il celebre Autoritratto

 

Dal 25 settembre al 3 ottobre i Musei Reali di Torino aprono le porte della Biblioteca Reale per ammirare un’esposizione straordinaria del Codice sul volo degli uccelli e dei 13 disegni

 Architetto, anatomista, pittore, visionario: l’incredibile e poliedrico genio di Leonardo da Vinci torna protagonista ai Musei Reali che dal 25 settembre al 3 ottobre 2021 propongono un’esposizione straordinaria del Codice sul volo degli uccelli e dei 13 disegni, tra i quali anche il celebre Autoritratto. Nell’ambito delle Giornate Europee del Patrimonio e in occasione dell’inaugurazione del nuovo impianto di illuminazione della volta affrescata della Biblioteca Reale, realizzata grazie al sostegno della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, la mostra A tu per tu con Leonardo racconta un insieme di opere di eccezionale valore, che documenta l’attività del grande maestro del Rinascimento italiano dagli esordi della sua carriera a Firenze fino agli studi milanesi dedicati alle macchine, all’anatomia, alle proporzioni e alle espressioni del volto umano, per arrivare al sogno del volo.


Tutti i giorni, dalle 9 alle 20, i visitatori saranno condotti da guide esperte a scoprire da vicino il corpus leonardesco: il lavoro dell’artista e la sua infaticabile ricerca della perfezione affiorano dai tratti vergati con la pietra rossa o nera, a penna o a inchiostro, sfumati con rapidi colpi di pennello o resi voluminosi dai tocchi di biacca. Il disegno, grazie alla sua intrinseca versatilità, che lo rende adattabile sia all’analisi approfondita dei dettagli che a una rapida sintesi formale, è uno dei mezzi espressivi preferiti da Leonardo da Vinci che lo usa per tutto il corso della sua vita. L’esposizione è un’occasione unica per osservare, a distanza di secoli, le tracce del processo creativo che, da un fugace guizzo, concretizza e fissa l’idea sulla carta.

L’esperienza sarà preceduta da un’introduzione alla storia della collezione e alle vicende che hanno determinato l’arrivo a Torino dei preziosi disegni e dalla visita al salone aulico della Biblioteca, progettato dall’architetto regio Pelagio Palagi e affrescato dai pittori Angelo Moja e Antonio Trefogli. L’elegante manica ottocentesca, che oggi ospita migliaia di volumi antichi, è stata infatti oggetto di un intervento da parte dei Soci della Consulta che hanno promosso il rinnovamento dei corpi illuminanti, ora più efficienti e dai consumi contenuti, per valorizzare al meglio l’intero ambiente e mettere in risalto le decorazioni della volta.

 

L’evento avvia una rinnovata modalità di esposizione dell’importante nucleo di opere di Leonardo, le cui possibilità di fruizione pubblica sono condizionate dalle particolari caratteristiche delle opere su carta, particolarmente fragili e sensibili alle variazioni di temperatura e umidità e alla luce, che rendono necessari tempi di esposizione brevi, seguiti da adeguati periodi di riposo conservativo. Considerato il grande interesse del pubblico, infatti, i Musei Reali hanno scelto di concedere più frequentemente ai visitatori l’occasione di ammirare questi capolavori. A partire dal prossimo anno la mostra A tu per tu con Leonardo sarà visitabile tutti gli anni nella settimana di Pasqua nelle date 16-24 aprile 2022, 8-16 aprile 2023, 30 marzo-7 aprile 2024 e 19-27 aprile 2025.

 

“A più di 500 anni dalla sua morte, il talento di Leonardo da Vinci continua ad essere una fonte di illimitata ispirazione. Le sue molteplici intuizioni, opere e invenzioni sono capaci ancora oggi di sorprenderci e influenzarci, testimonianze dell’inesauribile curiosità che ha sempre alimentato la ricerca del grande maestro – spiega Enrica Pagella, Direttrice dei Musei Reali -. Questa esposizione vuole essere una guida per affacciarsi sul mondo di un sommo artista che ha fatto della conoscenza e della sperimentazione una legge di vita”.

 

La storia sabauda della collezione leonardesca ha origine nel 1840 quando il Re Carlo Alberto acquista da Giovanni Volpato, mercante d’arte di origini piemontesi appena rientrato in Piemonte dopo alcuni anni di attività all’estero, 1585 disegni di grandi maestri italiani e stranieri. Fulcro della fortunata acquisizione è la sezione dei tredici disegni autografi di Leonardo da Vinci, fogli eterogenei per soggetto e cronologia, al culmine dei quali si pone l’opera più famosa della raccolta, e uno dei pezzi più noti della sua intera produzione: il Ritratto di vecchio, ritenuto l’Autoritratto del grande maestro.

 

I tredici disegni ripercorrono l’intera carriera artistica del genio da Vinci, dagli esordi intorno al 1480 fino agli ultimi anni di attività, 1515-17 circa, documentando l’intero panorama dei suoi interessi e delle sue sperimentazioni. Alcuni disegni sono in relazione con opere note e celebrate del maestro, dalla Battaglia d’Anghiari alla Vergine delle Rocce; altri ne testimoniano progetti mai realizzati, dai monumenti Sforza e Trivulzio alla statua di Ercole per Piazza della Signoria.

 

Nel 1893 la collezione leonardesca si arricchisce di un altro fondamentale documento, il Codice sul volo degli uccelli, donato ad Umberto I dal collezionista e studioso russo Teodoro Sabachnikoff. Il piccolo quaderno di appunti sul volo, scritto tra il 1505 e il 1506, era stato più volte trafugato e smembrato in seguito alla dispersione dei manoscritti di Leonardo seguita alla morte del loro primo erede e custode, Francesco Melzi, giungendo a Torino a fine Ottocento ancora mutilo di quattro carte. I fogli mancanti sono stati ritrovati sul mercato antiquario nel 1920 dal ginevrino Enrico Fatio, il quale, dopo averli acquistati, li ha donati al Re Vittorio Emanuele III, permettendo così la ricomposizione del prezioso codice. Il manoscritto, oltre a indagare il tema del volo degli uccelli, reca le riflessioni di Leonardo sulla macchina per il volo, sui problemi di meccanica, di idraulica, di architettura, di anatomia, di disegno di figura, intrecciandosi e intersecando questioni cruciali dei suoi studi.

 

Dal 25 settembre, presso il bookshop dei Musei Reali, sarà inoltre disponibile la guida breve alla collezione dei disegni di Leonardo da Vinci, realizzata con il sostegno della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino come strumento di approfondimento delle opere del grande maestro e di supporto alla visita del corpus della Biblioteca Reale.

MUSEI REALI TORINO

www.museireali.beniculturali.it

 

Orari

Da sabato 25 settembre a domenica 3 ottobre 2021, dalle 9 alle 20.

La biglietteria è aperta dalle 9 alle 18.

 

Biglietti

Intero: 20 euro

Ridotto per gruppi con guida privata: 18 euro + prenotazione (non acquistabile on line)

Ridotto per tutti i possessori di Abbonamento Musei, Torino e Piemonte Card, Royal Card: 13 euro

 

I biglietti possono essere acquistati in biglietteria oppure online su www.museireali.beniculturali.it e www.coopculture.it. Per informazioni: info.torino@coopculture.it.

 

L’ingresso alla mostra è in piazza Castello 191, previo ritiro del biglietto e controllo Green Pass presso la biglietteria in piazzetta Reale 1.

 

Accesso con Certificazione verde Covid-19

In ottemperanza alle disposizioni governative previste per tutti i luoghi di cultura italiani (D.L. 23 luglio 2021 n. 105), dal 6 agosto 2021 è richiesta la Certificazione Verde (Green Pass) per accedere al complesso dei Musei Reali, corredata da un documento di identità valido. Le disposizioni non si applicano ai bambini di età inferiore ai 12 anni e ai soggetti con una certificazione medica specifica. In mancanza di Green Pass e di un documento valido non sarà possibile accedere ai Musei e il biglietto acquistato non sarà rimborsato. Per maggiori informazioni sulla Certificazione verde COVID-19 – EU digital COVID consultare il sito www.dgc.gov.it.

Il Green pass non è necessario per l’ingresso ai Giardini Reali e alla Corte d’Onore, salvo che in occasione di eventi in cui siano previsti accredito e prenotazione obbligatoria (concerti, serate musicali).

Rimangono in vigore le prescrizioni di sicurezza anti-Covid: è obbligatorio indossare la mascherina; lungo il percorso sono disponibili dispenser di gel igienizzante, mentre le sale hanno una capienza contingentata nel rispetto della distanza fisica prevista per la sicurezza dei visitatori.

Alla scoperta della chiesa di Sant’Agostino

Domenica 26 settembre 2021

Ore 10-12,30 e 15-18 – Chiesa di Sant’Agostino (ritrovo presso il parcheggio del Polo Sanitario, in via S. Agostino), Avigliana (TO)

AMICI DI AVIGLIANA

Visita guidata alla Chiesa di Sant’Agostino, del secolo XV ed il bosco del monte Piocchetto limitrofo. Tutto inizia con il Padre Agostino de Anna di Carignano che, essendosi recato ad Avigliana per fare il quaresimale nella chiesa di S. Giovanni Battista ufficiata dai Canonici regolari di S. Bernardo di Menton l’anno 1465, vi predica con tanta efficacia che il Comune e il Beato Amedeo IX di Savoia lo invitano ad erigervi un convento accanto alla Chiesa della Misericordia sul ciglio del monte Piocchetto, fuori Avigliana.

Info: tel. 333.3138398 associazioneamicidiavigliana@gmail.com

Sabato 25 Settembre al Torino Outlet Village la Moda incontra l’Arte

#ritrattiallamoda

In collaborazione con l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, 4 giovani artisti realizzeranno di fronte al pubblico, all’interno degli ampi spazi di Torino Outlet Village, dei grandi dipinti ispirati alle meravigliose Donne di Giacomo Grosso. Si posizioneranno con tele e pennelli di fronte a meravigliosi capi di alta moda delle ultime stagioni, indossati da modelle in posa.
I più social potranno inoltre cimentarsi nelle pose dei dipinti che ispirano il progetto e pubblicare le foto con l’hashtag #ritrattiallamoda e il tag Torino Outlet Village per poter vedere ricondivisi i migliori scatti!
Ingresso gratuito

Oltre il giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone

Al Castello di Miradolo, indossa l’abito autunnale e si arricchisce di nuove opere la mostra dedicata al “genio” creatore di giardini e “orti felici”

Da venerdì 24 settembre

San Secondo di Pinerolo (Torino)

Nata con questo dichiarato obiettivo, è una mostra che segue il corso delle stagioni, che accompagna il trascorrere del tempo, che muta e s’inventa, di volta in volta, nuove forme e prospettive e colori e luci ed ombre, proprio come un giardino. Dal prossimo venerdì 24 settembre, il grande progetto espositivo “Oltre il giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone”, inaugurato al “Castello di Miradolo” (via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo) il 15 maggio scorso, prosegue infatti il suo cammino ideale lungo un  anno, fino al 15 maggio 2022, magnificamente svelando la sua veste autunnale. Presentata dalla “Fondazione Cosso” e curata da Paola Eynard e Roberto Galimberti, la mostra si sviluppa attorno al concetto di abbecedario: un “ABC” del giardino, in rigoroso “dis – ordine alfabetico”, secondo le parole e i pensieri di Paolo Pejrone (fra i più grandi architetti del paesaggio a livello internazionale, oltre 800 giardini progettati in giro per il mondo), ma soprattutto “una riflessione profonda e intima – dicono i curatori – su temi come la luce, l’ambiente, la calma, i dubbi, le speranze, le sfide che il mondo contemporaneo offre al rapporto tra uomo e ambiente”.

E le parole –disordinate ma lucide – costruiscono, nelle quindici sale espositive e nei sei ettari di Parco all’inglese che circonda la settecentesca dimora, un dialogo immaginario con importanti opere d’arte e con oggetti, fotografie, acquerelli, progetti, memorabilia, oli dello stesso Pejrone e video installazioni. Così accanto al “Fango sulla carta”  che “secca nell’erba che cresce, nell’acqua che scorre” di Richard Long e alla “peonia” di Andy Warhol o alla “Rosa  per la democrazia” di Joseph Beuys troveranno spazio, con l’arrivo dell’autunno Giuseppe Penone (protagonista attualmente alla “Galleria degli Uffizi” di Firenze dell’importante progetto espositivo “Alberi”), Maria Lai di cui ricorrono i quarant’anni del progetto “Legarsi alla montagna”, i “Coriandoli” di Tano Festa (protagonista nel secondo Novecento della Scuola pop-romana), Evelina Alciati (prima donna a frequentare l’“Accademia Albertina” come allieva di Giacomo Grosso), Piero Gilardi con il suo nuovo “Tappeto natura” in poliuretano espanso insieme ai “modelli pomologici” e ai disegni di Francesco Garnier Valletti provenienti dal “Museo della Frutta” e dall’“Accademia di Agricoltura” di Torino. In tutto sono oltre cinquanta gli artisti, tutti di gran blasone, rappresentati in mostra.

Da ricordare, fra gli altri Giorgio Griffa che, per questo evento, ha dedicato a una sala del Castello un’installazione inedita sul tema della conoscenza e della frammentarietà del sapere. L’esposizione è infine completata da un’installazione sonora, a cura del progetto artistico “Avant-dernière pensée”. La visita alla mostra permetterà anche di scoprire le suggestioni autunnali dell’antico “Orto” del Castello: 500 mq, a forma circolare, ripristinato dallo stesso Pejrone, in occasione della mostra e che nei prossimi mesi fornirà le verdure dell’autunno e dell’inverno, dai cavoli ai finocchi ai cavolfiori e a tant’altro ancora. Anima “rustica” dell’antica dimora, l’“Orto” ne completa l’originaria vocazione agricola, con stalla, fienile, forno, pollaio e lavatoio – visitabili quest’anno per la prima volta – sviluppandosi intorno all’asse centrale che attraversa il portale d’accesso all’antica cassina, l’aia e il Palazzo, fino alla torre rotonda. Visto dall’alto, è perfettamente inserito nel disegno del luogo.

Ma  non è finita. L’autunno e l’inverno porteranno al “Castello di Miradolo”, sempre in connessione con la mostra di Pejrone, il progetto “La mostra racconta. Mezz’ora con…”, appuntamenti di  approfondimento con esperti d’arte e musica, artisti e collezionisti. Si inizia sabato 25 settembre. Alle 11,30: “Mezz’ora con Margherita Oggero” che parlerà di “Mario Sturani: una personalità eclettica a Torino”. Sei gli incontri programmati, fino a sabato 11 dicembre.

Per info: tel. 0121/502761 o www.fondazionecosso.com

Gianni Milani

 

Nelle foto

–         Paolo Pejrone

–         Francesco Garnier Valletti: “Modelli pomologici”

–         Piero Gilardi: “Zucchine”

–         L’ “Orto” del Castello