ARTE- Pagina 11

L’illustrazione di Margherita Caspani da Torino a New York

 

Alla ribalta della “Big Apple City”, fra le venti commissionate da “Palazzo Madama” per la mostra “Change!”

Il segno è nitido ed essenziale. Delicato e puro. Il racconto si muove fra la magia del “surreale” e la leggera visionarietà del “pop”. Illustrazione a tecnica mista, collage e digitale, si intitola “New Life – Recycling” (“Nuova vita – Riciclo”), a firma dell’artista milanese Margherita Caspani, ed é fra le venti illustrazioni commissionate da “Palazzo Madama” ad illustratrici e illustratori italiani riconosciuti a livello mondiale, nell’ambito dell’ampio progetto di sensibilizzazione, rivolto alla Città, sulla sfida globale della crisi climatica culminante nella mostra dal titolo esemplare di “Change! Ieri, oggi, domani. Il Po”, allestita in “Sala Senato” fino al 13 gennaio 2025. Ebbene, proprio l’opera della Caspani, nella sua elementare ma immediata chiarezza narrativa, ha messo le ali per volare oltreoceano ed essere premiata con tanto di “medaglia d’oro” (per la categoria “Illustrazione istituzionale”) dalla celebre “Society of Illustrators”, società professionale con sede nella 63rd Street di New York City, fondata nel 1901 per promuovere l’arte dell’“illustrazione” e oggi (dopo aver assorbito nel 2012 il “Museum of Comic and Cartoon Art – MoCCA”) promotrice dell’annuale “MoCCA Festival”, vetrina indipendente di “fumetti”.

“New Life – Recycling” (oggetti dismessi e di banale quotidianità trasportati “colà dove si puote” ma soprattutto si “deve”, da omini svelti e inaspettatamente forzuti che li trasportano a mano o alzandoli in alto a suon di vigorose braccia) è stata esposta nell’ambito della mostra diffusa nelle vie di Torino, tra aprile e maggio di quest’anno, in occasione della “Planet Week”, promossa dal “Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica”, in collaborazione con il programma “Connect4Climate” della “World Bank”, che ha proposto a Torino e in Piemonte una riflessione sui temi di azione climatica, economia circolare, energie rinnovabili, acqua e giovani.

La “Planet Week” ha anticipato il “G7 Clima, Energia e Ambiente”, che si è tenuto dal 28 al 30 aprile scorsi alla “Reggia di Venaria Reale” e ha posto sul tavolo la necessità di una riflessione multidisciplinare e di un filone espositivo su cui “Palazzo Madama” s’è impegnato per tutto l’anno ormai in chiusura.

La “medaglia d’oro” della “Society of Illustrators” rappresenta un illustre riconoscimento al lavoro dell’artista e anche al progetto “Change!”,e testimonia il valore dell’impegno su un tema più che mai attuale, e che “troppo spesso – sottolineano i responsabili – manca di essere al centro del dibattito pubblico e dell’attenzione di cittadinanza e istituzioni”.

La “cerimonia di premiazione” è prevista per febbraio 2025 a New York.

Si tratta di un Premio altamente prestigioso che va ad arricchire un palmarès già ricco e “di peso” per Margherita Caspani , diplomata in “Illustrazione e Animazione” presso lo “IED” di Milano e più volte premiata in concorsi internazionali promossi in Italia, piuttosto che negli States o in Cina.

I suoi progetti includono collaborazioni con clienti come “Il Sole 24 Ore”, “Acqua di Parma”, “L’Espresso”, “La Repubblica”, “La Feltrinelli”, “Internazionale”, “De Agostini”, il “FuoriSalone” e il “Piccolo Teatro”. A partire dal 2023, è “docente universitaria” presso lo “IED” di Milano.

Le è stato spesso detto che “il suo mondo interiore è oniricamente ironico” e che “il suo lavoro è nel raccontarlo”. La definizione ci convince, aggiungendo altresì che proprio nel “sogno” e nell’“ironia” (mai sguaiata) abitano spesso i segreti della “vera” arte. Di quella pagina disegnata capace di arrivare dagli occhi al cuore, per tradursi in pure emozioni, così come a stimoli garbati per concrete e chiare e impegnative riflessioni.

Gianni Milani

Nelle foto: Margherita Caspani “New Life – Recycling”, tecnica mista collage e digitale, 2024;  Margherita Caspani

“DEADHEAD”, il nuovo progetto dell’artista Yto Barrada

Fondazione Merz, in collaborazione con il MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino, presenterà nei suoi spazi espositivi “DEADHEAD”, il nuovo progetto dell’artista Yto Barrada, vincitrice del Mario Merz Prize

Da mercoledì 19 febbraio a domenica 18 maggio 2025, la Fondazione Merz presenterà, in collaborazione con il MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino, la mostra dell’artista Yto Barrada intitolata DEADHEAD, a cura di Davide Quadrio con Giulia Turconi.

Il titolo della mostra, “DEADHEAD”, rimanda alla pratica agricola di rimuovere foglie e fiori appassiti di una pianta per stimolarne la crescita. Riprendendo la metafora di un ritorno all’essenziale per liberare nuove energie, l’esposizione accoglie le opere più rappresentative della ricerca artistica di Yto Barrada, tra cui film, sculture, installazioni, tessuti e stampe, alcune delle quali appositamente realizzate per l’occasione.

Tra echi, rimandi e sperimentazioni visive presenti in mostra, Yto Barrada trae ispirazione dalla teoria del colore dell’artista, collezionista e filantropa Emily Noyes Vanderpoel (1842 – 1939), descritta nel libro “Color Problems: A Practical Manual for the Lay Student of Color” (New York, 1902). Il volume, pensato per un pubblico di donne, specialmente sarte, fioriste e decoratrici, mostrava le rivoluzionarie tavole di analisi del colore dell’autrice, dove le immagini degli oggetti sono trasformate e tradotte in griglie geometriche. Attraverso una disposizione sistematica del colore, definita “la musica della luce”, Vanderpoel ha creato dei campi relazionali in cui ogni tinta, sfumatura e ombra sono in perfetta relazione con tutte le altre.

Yto Barrada reinterpreta in maniera analoga la storia attraverso gesti contemporanei legati alla natura degli oggetti esposti. Nella serie “Color Analysis”, presentata in anteprima al MAO Museo d’Arte Orientale all’interno della mostra “Trad u/i zioni d’Eurasia” (2023-24), l’artista propone griglie di velluto tinte a mano in cui applica la tecnica di Vanderpoel per trasformare immagini che trae dalla collezione personale di antichità di Vanderpoel, dalle opere selezionate dalla collezione d’arte islamica del MAO e da un disegno di Marisa Merz. I pigmenti naturali impiegati nell’opera sono realizzati in “The Mothership”, un progetto artistico ideato da Barrada come un “eco-campus femminista” per la coltivazione, la produzione e l’apprendimento delle tinture naturali e delle tradizioni indigene radicali perdute, nel suo giardino a Tangeri in Marocco.

La mostra sarà arricchita dalla pubblicazione di un catalogo da parte della casa editrice Hopefulmonster per Fondazione Merz. La mostra “DEADHEAD” consolida il dialogo tra la Fondazione Merz e il MAO Museo d’Arte Orientale, dove il lavoro di Yto Barrada è stato presentato nell’ambito della mostra collettiva “Trad u/i zioni d’Eurasia” (2023-24).
Yto Barrada è la quarta artista a ricevere il Mario Merz Prize, premio internazionale biennale ideato con l’obiettivo di celebrare Mario Merz e individuare talenti nell’ambito artistico e musicale attraverso la commissione di un progetto espositivo e un progetto musicale inedito all’artista selezionato per ciascuna delle due categorie di concorso. La stessa edizione ha visto l’assegnazione del premio per la musica a Füsun Köksal, il cui concerto si terrà mercoledì 2 luglio 2025 negli spazi della Fondazione Merz.

19 febbraio – 18 maggio 2025
Fondazione Merz
Torino, via Limone 24

Gian Giacomo Della Porta

Eugenio Battisti tra Genova e Torino

Conferenza promossa da Associazione culturale plug_in e GAM Torino

Intervengono:

Elena Volpato, conservatore collezioni GAM
Eugenia Battisti, storica dell’arte
Emanuele Piccardo, critico e storico dell’architettura / plug_in
Giorgina Bertolino, curatrice e storica dell’arte

Sabato 14 dicembre 2024, ore 11:00 – 12:30
GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino
Sala Incontri piano terra

Ingresso libero fino a esaurimento posti

In occasione del centenario dalla nascita, l’Associazione culturale plug_in e la GAM di Torino dedicano una conferenza a Eugenio Battisti (Torino 1924 – Roma 1989) e al suo rapporto con le città dove ha realizzato alcuni dei suoi progetti più significativi: Genova, dove nel 1963 aveva fondato la rivista “Marcatrè” e il Museo d’Arte Contemporanea, Torino, dove nel 1965 quel Museo sarebbe diventato il Museo sperimentale, sezione della GAM e importante nucleo delle sue collezioni.

La conferenza Eugenio Battisti: sperimentare l’arte tra Genova e Torino ritorna sulla figura di questo straordinario intellettuale, per riconsegnare attenzione alla sua innovativa e pioneristica visione dell’arte e della cultura contemporanee e verificarne la continuità nel presente. L’incontro, introdotto da Elena Volpato, si apre con l’intervento di Eugenia Battisti che ripercorre la biografia e il profilo culturale di Battisti, per poi focalizzarsi sui suoi progetti genovesi, approfonditi da Emanuele Piccardo, e sui loro esiti torinesi, ricostruiti da Giorgina Bertolino a partire dai documenti conservati nell’Archivio dei Musei Civici della Fondazione Torino Musei.

Storico dell’arte e dell’architettura, Eugenio Battisti si era laureato in filosofia a Torino nel 1947, aveva studiato Storia dell’arte con Anna Maria Brizio, conseguendo la specializzazione con Lionello Venturi a Roma nel 1953. Docente di Storia dell’arte all’Università di Genova, alla Pennsylvania State University e alla North Carolina University, a partire dagli anni ’70 insegna Storia dell’architettura nelle Università di Firenze, Reggio Calabria, al Politecnico di Milano e alla Facoltà di ingegneria dell’Università di Tor Vergata a Roma. Presidente, dal 1988, dell’Associazione internazionale per gli studi sulle utopie, Eugenio Battisti ha individuato proprio nell’utopia un’area di ricerca e un campo di azione: dall’“utopia storiografica” del suo volume più noto, L’antirinascimento (c.vo) pubblicato nel 1962, all’“utopia didattica” proposta nel 1963 al suo gruppo di studenti universitari con l’istituzione del Museo d’Arte Contemporanea a Genova, fino all’“utopia realizzabile” con il Museo sperimentale della Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino.

A Genova, dove risiede dal 1962 al 1964, Eugenio Battisti insegna Storia dell’arte all’Università, fonda la rivista “Marcatrè. Notiziario di cultura contemporanea” e il 23 dicembre 1963 costituisce il Museo d’Arte Contemporanea. Nato con uno scopo didattico e concepito come un vero e proprio museo universitario, promuove conferenze, mostre, incontri con gli artisti (tra i primi, Carmi, Fontana, Castellani), e lancia un appello per la donazione di opere contemporanee. Nasce così una collezione pensata a sostegno della formazione specialistica e della promozione della contemporaneità. Aperto alla città, con le prime opere donate allestite nei foyer di due teatri genovesi, il progetto del Museo si infrange per la mancata assegnazione di una sede istituzionale permanente e migra a Torino.

Il 6 dicembre 1965, mentre è negli Stati Uniti, dove insegna alla Pennsylvania State University, Battisti firma l’atto di donazione alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino delle opere raccolte per il Museo d’Arte Contemporanea di Genova, di cui è legalmente titolare. Tra il centinaio di opere che entrano nelle collezioni della Galleria, ci sono Blurosso (1961) di Carla Accardi, Bianco, Superficie bianca (1963) di Enrico Castellani, Attese (1961) di Lucio Fontana, Cemento armato n. 29 (1961) di Giuseppe Uncini. Quando Battisti riprende la parola, in un saggio sul catalogo della mostra Museo sperimentale d’arte contemporanea, nelle sale della Galleria nell’aprile 1967, il Museo sperimentale si è arricchito di nuove opere donate ed è diventato Un’utopia realizzabile.

Immagine:

Una sala della mostra Museo sperimentale d’arte contemporanea, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea 1967. Archivio Fotografico della Fondazione Torino Musei

 

Pier Luigi Borla, la bellezza come occasione d’arte

Il Museo Etnografico Maison de Cogne Gerard Dayné  prestigiosa architettura che valorizza il patrimonio artistico-culturale della valle, ha accolto in permanenza, datate tra il 1963 e  il 1974, molte opere del noto pittore piemontese Pier Luigi Borla (Trino 1916- 1992), grazie alla donazione della figlia Bruna e del genero Mauro Galfrè anch’egli affermato artista.

I bellissimi scorci del villaggio di Cogne, luogo amato e scelto per trascorrere le vacanze estive, siano essi disegnati di getto a matita, penna a sfera e ad inchiostro nero, oltre ai cromatici dipinti ad olio confermano il temperamento riservato e meditativo di Borla che, tra le montagne del Gran Paradiso, trovava l’ambiente adatto per soddisfare il proprio senso estetico della bellezza intesa  anche come suggestiva occasione d’arte.

Le raffigurazioni della parrocchiale di sant’Orso, la chiesetta di Sant’Antonio, la piccola cappella votiva di Rue Revettaz, le stradine che collegavano agglomerati di tipiche abitazioni, molte delle quali non esistono più o sono state rimaneggiate, costituiscono una preziosissima e documentata memoria del tessuto urbano di quegli anni.

Contrassegnate da un’atmosfera avvolta nel silenzio escludendo la presenza di figure umane (tranne nel disegno del circo arrivato in paese dove si notano figurine pressoché  impercettibili  quasi potessero turbare e contaminare la purezza e l’incanto della montagna), le opere sono fissate nell’immobilità, bloccate per sempre nel tempo per  preservarle dall’oblio.

Ancor più i paesaggi, verdeggianti o innevati, che riprendono le vette del Gran Paradiso pervaso dal senso di sospensione, vengono trasferiti in uno spazio mentale avvicinandosi in qualche modo alla più prepotente atmosfera metafisica soffusa nelle figure muliebri dipinte in atelier che rendono  Pier Luigi Borla “il pittore dei silenzi e delle attese” come acutamente è stato definito.

Giuliana Romano Bussola

La Fondazione Amendola inaugura la mostra dell’albese Pinot Gallizio, inventore della “pittura industriale”

La sede della Fondazione Amendola ospiterà dal 12 dicembre al 28 febbraio 2025 la mostra intitolata “Dagli esordi alla pittura industriale – 1955-1958”, dedicata alle opere di Pinot Gallizio, artista originario di Alba (1902-1964), ma noto a livello internazionale in occasione del 60esimo anniversario della sua scomparsa. L’inaugurazione si terrà giovedì 12 dicembre alle ore 18 e la mostra sarà visitabile a ingresso libero dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19, sabato dalle 9.30 alle 12.30.

L’esposizione si inserisce nel progetto della Fondazione Amendola, da sempre protagonista nei percorsi di riqualificazione urbana e nella promozione di manifestazioni artistiche e culturali nel quartiere di Barriera di Milano, di valorizzazione degli artisti piemontesi.

A partire dal 2014, nelle sale espositive si sono avvicendati artisti del calibro di Filippo Scroppo, Luigi Spazzapan, Nicola Galante, Carlo Levi, Albino Galvano, fino alla mostra del 2023 dedicata a Piero Rambaudi, dell’ astrattismo torinese tra gli anni Cinquanta egli anni Settanta. La mostra considera il periodo tra il 1955 e il 1958, un triennio di incontri e sperimentazioni artistiche in ambito nazionale e internazionale. L’esposizione è incentrata sul capolavoro di Gallizio “Antiluna”, del 1957. Una tela dipinta di sette metri, originariamente di nove metri, che inaugura la stagione di ricerca intorno alla cosiddetta “pittura industriale”. Il rotolo di “pittura industriale” del 1957 è conservato in due parti: una di sette metri nella collezione d’arte del Comune di Torre Pellice, e una seconda nella collezione permanente del Museo Reina Sofia di Madrid, che ai fini della mostra ha concesso la riproduzione dell’opera per documentarne l’interezza originaria. L’arco cronologico della mostra, come detto, comincia con il 1955, che rappresenta l’esordio espositivo dell’artista, chimico, farmacista ed erborista di professione ad Albisola Marina. Passa per l’apertura ad Alba il primo laboratorio sperimentale per un Bauhaus immaginista, e per la Fondazione dell’internazionale situazionista del 1957, movimento attivo a livello europeo per tutti gli anni Sessanta, e arriva fino ai rotoli di pittura industriale lunghi decine di metri esposti per la prima volta nel maggio del 1958 a Torino e Milano, e alla tela di 145 metri destinata a rivestire integralmente le pareti del laboratorio di Alba, secondo i principi situazionisti di superamento della dimensione chiusa e autosufficiente dell’opera. La sua ricerca artistica continuerà con varie evoluzioni, fino alla morte avvenuta nel 1964 ad Alba.

Nello stesso anno, Gallizio riceverà una celebrazione postuma alla 32esima Biennale di Venezia. Le due opere sono conservate in numerosi musei, fra cui lo Stedeljik di Amsterdam, il Centre Georges Pompidou di Parigi, il Museo Reina Sofia di Madrid, il Museum Jorn di Silkeborg, il Museo Pecci di Prato, la GAM di Torino e il Neue Galerie di Berlino.

 

Mara Martellotta

Nella mostra natalizia di Monia Malinpensa le opere di  Attisani, Beccaro, Giusto e Virseda

Informazione promozionale

Sergio Attisani è un artista che ha manifestato sin da bambino l’attitudine per l’arte. Nato nel 1959, si è trasferito da bambino con la famiglia dalla Calabria, prima ad Asti, poi a Moncalieri, dove tuttora vive. A dieci anni vinse un importante concorso indetto da un ente locale di Asti. Ha poi vissuto d’arte, specializzandosi in grafica pubblicitaria. Il segno incisivo, la prospettiva ben curata e la pienezza armonica del tratto vivono in perfetta simbiosi nell’opera di Sergio Attisani, all’insegna di un percorso pittorico originale. L’energia nella spatolata, l’utilizzo degli acrilici e degli smalti su tavola trasmettono al fruitore pulsioni vitali che convergono nell’opera in una resa figurale sicura e ricca di sintesi espressiva.

Altro artista in mostra è Bruno Beccaro, originario di Biella, dove è nato nel 1944. La pittura è la sua passione e la sua professione. La Natura e il linguaggio poetico sono le sue fonti d’ispirazione per le sue opere. Ha realizzato diversi progetti, trattando il tema della “Terra desolata”. I suoi dipinti si associano al linguaggio e alla poesia. La pittura dell’artista Bruno Beccaro è sostenuta da una ricerca di alto livello intimistico, che materializza i sentimenti in una libertà onirica ricca di valori universali e di una espressività costante. Versi poetici invadono le opere di una straordinaria interpretazione che l’artista riesce ad amalgamare in un tessuto pittorico ampio ed emotivo dallo stile inconfondibile. È una pittura ben strutturata, dove ogni variazione cromatica è capace di rendere il soggetto intriso di accensioni di luce dal grande valore chiaroscurale e valore espressivo.

Terzo artista in mostra è Sergio Giusto, nativo di Albenga nel 1956. Completati gli studi tecnici, si trasferisce in Olanda, dove frequenta gli ambienti artistici di Amsterdam. Lì espone in personali e collettive, acquisendo nuove abilità professionali e culturali. Tornato in Italia, attraverso la galleria La Telaccia, si inserisce nell’ambiente artistico italiano, esponendo in personali e collettive, e partecipando alla Mostra Mercato di Padova. L’artista Sergio Giusto, con un linguaggio del tutto autonomo e dal grande impatto estetico, realizza opere di intensa energia creativa e di forti valori pittorici. I lavori presentati in mostra alla galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia trattano il tema legato ai fondali marini e al mondo che li circonda. Pesci, cavallucci e polpi sono immersi in uno scenario suggestivo, arricchito dai colori vivi e brillanti dei coralli.

 

Unica artista in mostra è Maria Virseda, nata nel 1985 a Segovia, città a nord di Madrid, piena di cultura, storia e leggende. Già da molto piccola esprimeva la sua immaginazione attraverso la sperimentazione dei materiali. Ha iniziato il suo percorso nel liceo artistico della sua città, dentro uno degli edifici più emblematici: la casa de Los Picos. In essa ha cominciato a capire le tecniche pittoriche e scultoree e la rappresentazione della realtà. Attraverso una sapiente modernità scultorea, che va al di là della forma naturale della donna, la Virseda modella concettualmente e manualmente figure femminili che si caratterizza per un rinnovato simbolismo e per la forma sensuale. La rappresentazione e l’analisi stessa della materia evidenzia nell’opera l’aspetto più intimo dell’essere umano, sottolineandone la personalità. L’incessante inventiva dell’artista si manifesta nell’uso dei vari materiali naturali tra cui resina, polvere di marmo, metallo e argilla.

Galleria Malinpensa by La Telaccia – corso Inghilterra 51, Torino

Email: info@latelaccia.it

Mara Martellotta

Il Biellese nelle opere di Basso al Grattacielo Piemonte

L’artista biellese presenta la sua esposizione fino al 19 gennaio prossimo negli spazi di Sala Trasparenza a Torino. Il Vicepresidente della Regione Piemonte Elena Chiorino: “ L’evento raccoglie lo spirito del Natale e i valori del territorio”.

Il Natale e il Capodanno 2024/2025 si festeggiano con l’arte al Grattacielo della Regione Piemonte: fino al 19 gennaio 2025, infatti, la Sala Trasparenza ospiterà l’esposizione “Riflessi Biellesi” di Daniele Basso.

Un’iniziativa in cui le opere dell’artista racconteranno il Biellese in un percorso simbolico a tappe, non esaustivo, ma forte di alcuni dei tratti più distintivi di un territorio ricco di eccellenze e pronto per essere scoperto a livello nazionale e internazionale.

La mostra è un’occasione per far conoscere un patrimonio di cultura, tradizione e imprenditorialità. Ospitarla nel periodo del Santo Natale significa tenere vivo il sentimento delle tradizioni e riscoprire il significato profondo delle nostre radici. Le opere di Daniele Basso raffigurano il rapporto con i valori cristiani, ma anche la capacità di produrre, di innovare e di creare il saper fare d’eccellenza. Questi eventi sono fondamentali non solo per promuovere l’arte, ma anche per stimolare l’orgoglio delle comunità locali e rafforzare i principi della nostra identità” dichiara il Vicepresidente e Assessore a Lavoro e Istruzione della Regione Piemonte, Elena Chiorino.

Un’opportunità straordinaria per raccontare il Biellese attraverso un lavoro che dura da anni – prosegue Daniele Basso – Ringrazio non solo Elena Chiorino per l’invito, ma tutto il suo staff e l’Ufficio Patrimonio di Regione Piemonte che l’hanno reso possibile. E soprattutto ringrazio i diversi attori del territorio che nel tempo mi hanno commissionato parte delle opere oggi in esposizione, permettendomi di indagare significati e valori del Biellese e di interpretarli liberamente in simboli capaci di portarli in una dimensione universale, in cui tutti noi possiamo riconoscerci”.

Riflessi Biellesi è un allestimento altamente simbolico – sottolinea l’artista – che partendo da temi di attualità come spiritualità e famiglia, montagna e accoglienza, artigianalità e imprenditoria d’eccellenza, sostenibilità e progettualità futura, racconta un territorio attraverso l’arte contemporanea ed i propri simboli. Una storia intrisa dei valori identitari della cultura italiana… cristianità, etica, morale, coscienza, lavoro, saper fare… per riflettere anche sul carattere costruttivo del Biellese, e più in generale del Piemonte. Territori dallo spirito progettuale orientato al benessere, che tra “Spiritualità” e “Saper Fare Bene”, esprimono la propria attitudine all’eccellenza. In un momento di veloce evoluzione globale, l’allestimento è la testimonianza della capacità di reiventarsi nel solco del proprio passato, ma con valori saldi e lo sguardo rivolto al futuro”.

Al Museo Miit “Gabriele Maquignaz- una vita per l’arte”

Da domenica 15 dicembre prossimo verrà esposta a Torino una selezione attenta e rigorosa di una prestigiosa collezione internazionale che unisce un centinaio di lavori del Maestro Gabriele Maquignaz, dal titolo “Una vita per l’arte-il Big Bang”, presentata nelle sale del Museo Miit di Torino. La raccolta, appartenente a un noto collezionista estero, e acquisita nel corso degli anni, comprende le opere del Maestro relative a tutta la sua ricerca sviluppata nel corso dell’ultimo ventennio, in un unicum per originalità e intensità espressiva che dagli esordi degli anni 2000 ha caratterizzato la sua produzione tra genialità artistica e spiritualità.

In particolare la mostra si concentrerà sulla serie dei Big Bang dell’artista, la più recente sperimentazione di Maquignaz, presentando una parte significativa della collezione da cui provengono. Sarà visitabile dal 15 al 21 dicembre 2024 e dall’11 gennaio al 15 febbraio 2025.

“Dalle sue ormai famosissime Porte dell’Aldilà – dichiara il direttore del Miit Guido Folco – scaturite da un taglio codificato e ragionato della tela, per permettere all’artista l’attraversamento dalla dimensione umana a quella divina, autentici e iconici passaggi dell’anima creativa da una fisicità terrena a una immaterialità sacrale, si giunge ora al ‘Big Bang’, uno sparo mistico e spirituale che ci interroga in merito alle eterne questioni morali e ancestrali dell’Uomo: la sua provenienza, la propria energia, il suo destino, la drammatica lotta tra la vita e la morte. Creando il Big Bang, sparando sulla tela e facendo esplodere il colore, Maquignaz prosegue il suo percorso sperimentale e concettuale unico e profondamente legato all’utopia della salvezza. Dopo aver attraversato le Porte della conoscenza del bene e del male, dell’esistenza nell’arte, l’artista opera ora in un’altra dimensione, quella da lui raggiunta, squarciando il velo che divide l’uomo artista dallo spirito creatore”.

Nella serie sei Big Bang, il Maestro ritrova e ricrea l’origine del tutto, ne codifica ancora una volta, com’era già avvenuto nel “Codice Maquignaz”, così ben illustrato nella splendida pubblicazione Skirà, l’evoluzione e la storia, con una coerenza concettuale e ideologica unica, stimolante e innovativa nel mondo del contemporaneo. Per questo, forse, non è azzardato dire, con le parole del noto scienziato Stephen Hawking “nella relatività non esiste un tempo unico assoluto, ma che ogni singolo individuo ha una proprio soggettiva misura del tempo, che dipende da dove si trova e come si sta muovendo”. Maquignaz sta esplorando modi nuovi dell’arte, e lo fa con la forza dell’idea, in un concetto perennemente in evoluzione tra la materia e lo spirito, quindi universale ed eterno che anticipa, completa e dà origine a tutto quanto finora espresso.

La mostra presenterà una ventina di Big Bang, tra cui alcune di grandi dimensioni, estremamente potenti nella resa cromatica e seguita, e sarà l’occasione per presentare il nuovo catalogo edito da Italia Arte, che dà il titolo all’esposizione “Gabriele Maquignaz – una vita per l’arte”.

Gabriele Maquignaz è un aartistadella Imago Art Gallery di Lugano.

Date: dal 15 al 21 dicembre 2024 e dall’11 gennaio al 15 febbraio 2025

Orari: da martedì a sabato 15.30/19.30

 

Mara Martellotta

“Retinal Rivalry”. Quando l’immagine filmica si fa “scultura”

Alle “OGR – Ex Officine Grandi Riparazioni” di Torino, tutte le potenzialità visive del cinema stereoscopico con le opere di Cyprien Gaillard

Fino al 2 febbraio 2025

Ci aveva visto lungo, nei primi decenni del Novecento, il grande (fra le figure più influenti della storia del cinema internazionale) Sergej Ejsenstein (regista sovietico, sceneggiatore, instancabile sperimentatore delle possibilità espressive del “montaggio” e autore della mitica “Corazzata Potëmkin, incubo cinematografico, anni dopo – ricordate? – del nostro Fantozzi), allorché ebbe a profetizzare il potenziale della stereoscopia come “cinema del futuro”, sottolineando la sua capacità di estendersi nello spazio reale e di ‘risucchiare’ gli spettatori, inghiottendoli e penetrandoli” in modi che il cinema tradizionale non poteva permettersi. Delle sue tesi ne è lucida riprova la mostra del francese (Parigi, 1980) Cyprien Gaillard, emblematica fin dal titolo di “Retinal Rivalry”, ospitata alle “OGR – Binario 1” di corso Castefidardo, fino domenica 2 febbraio 2025, a cura di Samuele Piazza. Anteprima italiana, la nuova opera video di Gaillard approda a Torino, dopo la presentazione alla “Fondazione Beyeler” di Basilea (nell’ambito della mostra collettiva “Summer Exhibition”) e continua l’esplorazione del potenziale del cinema stereografico, iniziata con Nightlife”, nel 2015, seguendo attraverso studi attenti e pratiche esercitazioni le tecniche specifiche di quel “linguaggio stereoscopico”, nato alle origini degli anni ‘20 con i primi film 3D (sfruttanti il cosiddetto “sistema anaglifo”) passando (e superandoli) attraverso gli anni ’50, durante i quali il cinema tridimensionale trova la sua più ampia diffusione, con la tecnica della “luce polarizzata”.

Alla base di “Retinal Rivalry”, è palese una palpabile “sensibilità cinematografica trasgressiva” e una forte “logica animistica”: cifre mentali e culturali, proprie di Gaillard, capaci di trasformare le “immagini cinematografiche” in “sculture” pensate e realizzate su misura per le “OGR”, “offrendoci un mondo intriso delle contraddizioni che negoziano lo spazio pubblico”. Lo stesso titolo, è stato scritto,  “riflette il concetto di ‘rivalità retinica’, un fenomeno ottico che si verifica quando agli occhi si presentano contemporaneamente due immagini contrastanti. Invece di fonderli in un’unica immagine, la nostra percezione li alterna, cercando una conciliazione impossibile”. Esercizio di non facile fruizione. Cui spesso si deve l’utilizzo del mezzo stereoscopico come “mero spettacolo” o come “effetto accessorio” utilizzato per puri interessi commerciali. Niente di tutto ciò che è invece per Gaillard impegnato a utilizzare in termini esponenziali i più suggestivi “caratteri” della stereoscopia, le sue “qualità scultoree, spettrali e psichedeliche”.

Quanto l’artista porta a Torino è una sorta di viaggio, a un tempo concreto e spirituale (e l’ossimoro calza a pennello), attraverso – si annota –  “l’ambiente edificato della Germania, passando dall’‘Oktoberfest’ alle rovine romane scoperte in un parcheggio degli anni ‘70 sotto la cattedrale di Colonia; da un ‘Burger King’ all’interno di un’ex sottostazione elettrica sede di raduni nazisti a Norimberga all’infrastruttura turistica che attraversa il romantico paesaggio di Bastei, rinomato per i suoi panorami e immortalato dal pittore Caspar David Friedrich; da una statua del compositore rinascimentale franco-fiammingo Orlande de Lassus, che ora funge da memoriale improvvisato dedicato a Michael Jackson a Monaco, fino a un ‘netsuke’ giapponese (piccola statua in avorio o in legno) raffigurante un commerciante olandese del XVII secolo”. Quello che Gaillard ci propone è un viaggio nitido, ma insidioso, ricco di inciampi visivi e mnemonici, capaci di spingerci verso alterate percezioni del mondo che pare starci addosso. In scenari esistenziali da sempre nostri, ma rivissuti ex novo in un gioco fantasioso che ci fa attori e spettatori di luoghi iper-reali inizialmente inquietanti, dove “tutto è troppo in vista”, pur se “tutto troppo nascosto”.

Ad accompagnare le immagini e il loro senso di straniamento è un lavoro meticoloso sulla “colonna sonora” arrangiata da Gaillard, rielaborata a partire da una varietà di fonti, tra cui musica giavanese, registrazioni sul campo dagli archivi dell’“UNESCO” e un piccolo organo trovato per le strade di Weimar per commemorare Johann Sebastian Bach, “suonato da una gamba rotta”.

Gianni Milani

“Cyprien Gaillard. Retinal Rivarly”

OGR-Binario 1, corso Castefidardo 22, Torino; tel. 011/0247108 o www.ogrtorino.it

Fino al 2 febbraio 2025

Orari: da lun. a giov. 8/24; ven. e sab. 8/02; dom. 10/22

 

Nelle foto: Cyprien Gaillard “Retinal Rivarly”, 2024; 3D motion picture, DCI DCP, dual 4K projection at 120fps, 2 Channel Audio, 29:03 min.

Al Museo Accorsi Ometto la mostra dedicata al pittore del surrealismo Giorgio De Chirico

 

 

In occasione del centenario del Surrealismo, movimento nato nel 1924, segnato nell’ottobre di quell’anno dal Manifesto di Andrè Breton, la Fondazione Accorsi Ometto dedica una mostra, aperta fino al 2 marzo, a Giorgio De Chirico, ritenuto dallo stesso Breton precursore del Surrealismo. Prendendo in esame uno specifico arco temporale che va dal 1921 al 1928, la mostra, curata da Vittoria Noel – Johnson, una delle maggiori conoscitrici di De Chirico, è la prima esposizione a porre l’attenzione sugli eventi intorno al 1924, anno cruciale per la fondazione del movimento francese, nell’ambito del quale il pittore italiano assunse un ruolo fondamentale. L’esposizione intende dimostrare l’importanza del ruolo di De Chirico nella nascita del movimento surrealista, nonché analizzare il suo complicato rapporto con il fondatore del movimento André Breton, con il poeta francese Paul Éluard e sua moglie Gala, che poi sposò Salvador Dalì. Infatti Breton riconobbe a De Chirico il ruolo di precursore del movimento, ma in un tempo successivo, in una dichiarazione pubblica del 1926, lo definì artisticamente morto già nel 1918. Per la prima volta in mostra il carteggio tra De Chirico e Breton, prestito della Bibliotheque Littéraire Jacques Doucet di Parigi, inclusa la lettera del 1924, in cui De Chirico propose di realizzare per Breton la prima replica di un’opera del periodo metafisico, quella delle “Muse inquietanti” del 1918.

Breton scoprì la pittura metafisica di De Chirico a Parigi, nel 1916, tramite il poeta e critico Guillaume Apollinaire, e iniziò a corrispondere con l’artista alla fine del 1921, coinvolgendo poi il braccio destro del Surrealismo Paul Éluard e sua moglie Gala. Tra il 1921 e il 1925 De Chirico scrisse loro circa 25 lettere e cartoline. Mentre De Chirico e Éluard si conobbero a Roma durante l’inverno del 1923, Breton e De Chirico si incontrarono per la prima volta a Parigi verso la fine dell’ottobre 1924. In quell’anno si avviò un’intensa frequentazione, documentata dalla celebre foto di gruppo scattata da Man Ray presso il Bureau de Recherche Surréaliste, scattata pochi giorni dopo la pubblicazione del manifesto. Il rapporto tra De Chirico e il gruppo dei Surrealisti, seguito da una serie di collaborazioni e amicizia, si inasprì a partire dal 1925 con la dichiarazione di Breton. Per i Surrealisti l’improvviso cambiamento di De Chirico, avvenuto nel 1919 in favore del classicismo e dei grandi maestri, era inspiegabile e inferiore al geniale splendore della sua prima pittura metafisica degli anni Dieci, una critica parzialmente spiegata da un conflitto d’interessi: i Surrealisti erano proprietari delle opere di De Chirico del primo periodo metafisico (1910-1918). In realtà la sofisticazione tecnica, intellettuale e artistica di De Chirico, realizzate durante tale periodo, dimostrano l’esatto contrario di quanto articolato da Breton.

Sono oltre 70 le opere in mostra, tra cui una cinquantina di dipinti e opere su carta di Giorgio De Chirico, affiancato da una ventina di ritratti di artisti, poeti e scrittori surrealisti fotografati da Man Ray e Lee Miller, tutte provenienti da collezioni private e di istituzione come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il MART di Rovereto e Trento, l’Unicredit Art Collection di Milano, la Casa Boschi Di Stefano di Milano, la Casa Museo Rodolfo Siviero di Firenze, il Museo Carlo Bilotti, l’Aranciera di Villa Borghese di Roma, l’Istituto Matteucci di Viareggio, la Biblioteca Hertziana, l’Istituto Max Planck di Roma e il Lee Miller Archives dell’East Sussex, in Gran Bretagna. Il visitatore si troverà di fronte a opere compiute durante la permanenza del pittore in Italia, tra Roma e Firenze, databili tra il 1921 e il 1925, seguite dal suo secondo soggiorno parigino (1925-1928). Nonostante le polemiche crescenti da parte dei Surrealisti, il pubblico avrà la possibilità di scoprire come De Chirico continuò a realizzare una serie di soggetti innovativi come “Mobili in una stanza”, “Cavalli in riva al mare”, “Gladiatori”, “Archeologia e trofei” e i magnifici “Combattimento di gladiatori” (Fin de combat) e “Cheveaux devant la mer”.

L’accostamento di De Chirico al Classicismo lo si evince dalla formidabile opera “Lucrezia” del 1921, dall’”Autoritratto con la madre” del 1922 e “Autoritratto” del 1925, prima opera dell’artista acquistata dallo Stato Italiano, dai quali traspare evidente la sua conoscenza e il rispetto profondo per la pittura del Quattrocento. Nell’opera metafisica degli anni Dieci riscontriamo un elemento di continuità che ci porta a definirlo come “metafisica continua”, illustrata dalla “Natura morta con cocomero e corazza” del 1922, ”L’aragosta”, una natura morta con aragosta e calco, “La mia camera nell’Olimpo” del 1927, dove in una atmosfera fantastica ed enigmatica compaiono oggetti accostati in maniera casuale. Ricordiamo un esempio del primo periodo metafisico con l’opera “Facitori di trofei”(1926-1928), in cui convivono elementi del passato e del presente, figure antiche, frammenti di colonne, fiamme stilizzate, profili di cavalli, il timpano di un edificio classico fusi insieme da due personaggi-manichino intenti a costruire un iconico totem trofeo. Emergono anche opere come “Tempio in una stanza”, “La famiglia del pittore”, entrambi del 1926, o “Thèbes” del 1928, che si affiancano a soggetti degli anni Dieci come gli “Interni ferraresi” e “Manichini”.

Nonostante le polemiche con i Surrealisti, l’avvicinamento di De Chirico al Classicismo non impedì a Breton di commissionare a De Chirico alcune opere che fossero repliche del primo periodo metafisico, oppure a Paul e Gala Éluard di acquistarne altre con soggetto e stile più tradizionali, come “Natura morta con selvaggina” del 1923, e “Ulisse. Autoritratto” del 1924, entrambi esposti in mostra. Una sala del museo è dedicata alla eredità dell’artista all’influenza che egli ebbe su personaggi come Dora Maar, Magritte, Picabia, Dalì, Cocteau, Éluard e altri.

Il prossimo anno, secondo un’anticipazione del Direttore del Museo Accorsi Ometto Luca Mana, una mostra dovrebbe essere dedicata allo spazialismo e a Carol Rama.

Mara Martellotta

Museo Accorsi Ometto

Via Po 55

Tel 011837688 int 3

Da venerdì 8 novembre 2024 al 2 marzo 2025