ARTE- Pagina 11

“The Square/Rutan”, la Mole ospita l’installazione del regista svedese Ruben Ostlund

 

S’intitola “The Square/Rutan” l’installazione artistica ideata dal regista svedese Ruben Ostlund, autore dell’omonimo film, che, per la prima volta, viene esposta fuori della Scandinavia, al piano di accoglienza della Mole Antonelliana a Torino, con ingresso libero dal 27 settembre al 4 ottobre.

“Sono felice e onorato di ricevere il Premio Stella della Mole e molto entusiasta della collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino – ha dichiarato Ruben Ostlund.

La storia di Torino è la storia di una grande città e anche di questo grande museo, di cui ho molto sentito parlare, e che mi hanno spinto a venire in Italia a settembre. In questo momento storico è più che mai attuale parlare delle idee che l’installazione rappresenta, della nostra società, di cosa dovremmo fare e quale ruolo ha il cinema in tutto questo. Infine, ma non meno importante, non perdetevi l’inaugurazione dell’installazione e aspettatevi una sorpresa”.

 

Mara Martellotta

“Bar Stories On Camera”, 70 anni di storia in 50 scatti: ultimi giorni

La vita più o meno glamour, del “mondo dei bar”

Fino al 6 ottobre

Non ci si fa caso. Ma sono ormai luoghi iconici, direi quasi “sacrali” della nostra più banale quotidianità. Si entra, si beve il caffè o un aperitivo, si sbocconcella un morbido croissant e si fanno due chiacchiere. Le famose “chiacchiere da bar”! Semplici spetteguless o chiacchiere ben più importanti. La durata di un caffè. E già basta per celebrare il rito quotidiano del bar. Del nostro bar “amico” sotto casa o di quell’altro con dehors un po’ più in là o quello più impegnativo (e più caro!) del Centro. La scelta è libera e varia. Nei bar si entra e non si pensa (quando mai? ma provate a farlo, sarà coinvolgente!) a tutte le storie, alle vicende umane, agli amori, alle amicizie, agli affetti e alle solitudini che si sono rincorse in anni e anni di storia all’interno di quei muri, seduti ai tavolini o anche in piedi al bancone, davanti a quella specie di catena di montaggio che in certe ore paiono diventare le “macchine da caffè” professionali, un tutt’uno con il povero barista che spesso viaggia in automatico, alla maniera del grande Charlot di “Tempi Moderni”. Il bar (il primo pare sia stato aperto addirittura nel 1475, a Istanbul per bere il caffè “alla turca”) è oggi – e di anni ne sono passati – “cultura di convivialità”. A ricordarcelo é la mostra fotografica ospitata, fino a domenica 6 ottobre, negli spazi della “Project Room” di “CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia”, in via delle Rosine, a Torino, terza tappa della rassegna “Bar Stories on Camera”, realizzata in collaborazione con “Galleria Campari” e “Magnum Photos”Cinquanta gli scatti esposti a raccontare, per immagini, il “mondo dei bar”dagli Anni Trenta agli inizi del Terzo Millennio. Concepita appositamente per “CAMERA” (con 22 scatti provenienti dall’Archivio Storico della “Campari” e 28 a firma di illustri nomi della “Magnum”, da Robert Capa a Elliott Erwitt, da Martin Parr a Ferdinando Scianna) l’edizione torinese segue le esposizioni che già si sono tenute alla “Galleria Campari” di Sesto San Giovanni (ottobre 2023) e alla “Davide Campari Lounge” di “Art Basel” a Basilea, nel giugno scorso.

Tre le sezioni in cui s’è pensato di articolare la rassegna. In “Sharing Moments” si gira il mondo lungo itinerari “da bar”, dove baristi, bartender, musicisti e avventori sono i protagonisti di situazioni di svago e momenti di condivisione, immortalati abilmente dagli scatti di celebri maestri quali Inge MorathElliott Erwitt (curiosa la foto delle due signore sedute al bancone di un bar di New York, capelli ricci entrambe, stesso vestito, stessa retro scollatura con stesso grande fiore bianco), o Martin Parr o Ferdinando Scianna (primo fotoreporter italiano ad entrare in “Magnum” e autore di quella bellissima immagine a colori ripresa dall’alto di un dehors a Capri, dove sedie e tavolini paiono ricreare un suggestivo intreccio a tema floreale, quasi liberty).

USA. New York City. 1955.

“Bar Campari”, invece,  narra per storiche immagini la vita dell’azienda fondata a Sesto San Giovanni (Milano), da Davide Campari nella seconda metà dell’Ottocento. Ecco allora le insegne e le vetrine “brandizzate”, riflesso di un’Italia del Dopoguerra che riparte, vivace e desiderosa di ricominciare a vivere. Immagini di un passato che si riflette negli stessi valori di oggi, mai tralasciati o dimenticati.

Nell’ultima sezione, “The Icons”, troviamo le star del cinema, artisti e scrittori colti in “pausa da bar”: Marilyn Monroe accanto a Laurence Olivier al “Walford Astoria” di New York (1956, scatto di Eve Arnold, in occasione del lancio de “Il principe e la ballerina”), Ernest Hemingway seduto al bancone di un bar in Idhao, Maria Callas a Palma de Mallorca tavolo condiviso con la giornalista Elsa Maxwell. Personaggi catturati in un momento di relax nell’atmosfera chiassosa e glamour dell’aperitivo italiano.

Iconici anche gli arredi in stile liberty del “Caffè Camparino”  in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, ritratto da Bruno Barbey a metà anni Sessanta, vera e propria eco di uno stile di vita e di un’epoca che riaffiora anche dagli oggetti: in particolare, attraverso i bozzetti dei menù realizzati per Campari dal futurista Fortunato Depero. I famosi “Caffè Storici”. Molti anche in Italia, ritrovo di artisti, scrittori, attori, politici e di quei raffinati intellettuali che “sono – scriveva con il consueto humorEnnio Flaiano – la rovina dei quartieri perbene. Si insediano in un posto e questo dopo pochi anni diventa alla moda … e quando la vita diventa impossibile ecco gli intellettuali che trasmigrano verso un altro punto della città per rovinarlo”.

Gianni Milani

“Bar Stories On Camera”

“CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881150 o www.camera.to

Fino al 6 ottobre

Orari: lun. – dom. 11/19, giov. 11/21

Nelle foto: “Italy”, 1950, “Galleria Campari”; Eve Arnold / Magnum Photos “Marilyn Monroe e Laurence Olivier; Elliott Erwitt / Magnum Photos “New York City”, 1955; Ferdinando Scianna /Magnum Photos “Italy. Capri”, 1984

“Fotografia Alchemica”, nove artisti espongono opere realizzate con antiche tecniche di stampa fotografica

Nove artisti e tredici tecniche fotografiche differenti sono in mostra, a partire dal 28 settembre fino al 13 ottobre prossimi, all’interno dello Spazio Musa, in via della Consolata 11/E, a Torino, dove si svolge la mostra dal titolo “Fotografia Alchemica”. Si tratta di una collettiva a cura di Lucrezia Nardi con nove artisti che proporranno proprie opere realizzate con antiche tecniche di stampa fotografica. In questa occasione il visitatore avrà modo di conoscere e apprezzare, attraverso oltre 100 opere di artisti italiani, l’unicità dei risultati estetici che stanno alla base delle diverse tecniche di stampa, con un viaggio a ritroso nel tempo in cui le tecniche sono state ideate e studiate a partire dal 1847, anno in cui Louis Blanquart – Evrard ha elaborato la carta d’albume, al 1855, anno in cui Alphonse Poitevin descrisse la stampa all’olio, fino al 1864, quando Joseph Swan brevettò la tecnica di stampa al carbone, e ancora al 1873, che vide la nascita, grazie a William Willis, della tecnica di stampa con ai sali di platino e palladio, e così per molte altre tecniche utilizzate nelle opere esposte. Lo scopo principale dell’evento non vuole essere una semplice rassegna di carattere storico, ma illustrare come la fotografia digitale sia divenuta oggi un prezioso supporto, creando con queste tecniche un rapporto sinergico che ne facilità la realizzazione.

In mostra le opere di Massimo Badolato, nato a Torino, dove vive e lavora, che sin dagli anni 70 non ha mai abbandonato le luci della camera oscura, ma le ha coniugate con quelle della camera chiara. Dalla stampa argentica del primo periodo è passato negli ultimi anni a quella dei sali di platino e palladio. In epoca recente ha sperimentato la stampa al carbone in bianco e nero con pigmenti di varia natura. Un altro artista in mostra è Andrea Baldi, fotografo amatoriale con la passione per la fotografia in bianco e nero e i processi di stampa storici alternativi. Si è formato presso la scuola di fotografia Ettore Rolli, a Roma, e si è appassionato alla stampa a contatto, utilizzando negativi in vetro d’epoca provenienti da una collezione di famiglia ritrovata tra gli oggetti dei nonni. Ha esplorato la stampa analogica ai sali d’argento e si è poi cimentato con tecniche di stampa antica, come la cianotipia, il Van Dyke e il palladio.

Di recente si è avvicinato alle stampa a più negativi utilizzando passaggi multipli con meticolosa messa a registro, creando stampe a colori con la tecnica della gomma bicromata, e monocromatiche per migliorarne la gamma. Un’altra fotografa in mostra è Letizia Caddeo, di nascita romana, che ha dimostrato la capacità di immortalare un istante, la luce, un frammento di realtà a cui altri potrebbero essere indifferenti; la sua sensibilità si è evoluta attraverso l’arte fotografica. Frequentato un master di fotografia, e dopo varie esperienze professionali, ha deciso di esplorare la cianotipia come autodidatta, una tecnica di stampa fotografica antica che ha permesso di stampare le sue fotografie e di toccarle. Nei suoi scatti traspare una ricerca di pace e solitudine, paesaggi umani abbandonati insieme a dettagli intimi di persone ed oggetti che vengono riproposti nel suo piccolo microcosmo, questa volta in blu. Un altro artista che si è avvicinato alla fotografia negli anni 80, e ha cominciato a lavorare a progetti nel 1992, è Cesare Di Liborio.

La soglia per lui è un segno particolare, intesa come passaggio non solo materiale, anche mentale. Le sue “Colonne d’Ercole” rappresentano il nostro limite tra reale e irreale, tra conosciuto e sconosciuto, tra vita e morte. Negli anni seguenti il suo lavoro è stato improntato sull’idea del limite, del passaggio, dando vita ai lavori su “Labyrinthos I” e “Labyrinthos II”. Negli ultimi anni la sua ricerca si è concentrata oltre il limite che ha caratterizzato il suo cammino. Da questo impulso nascono “Ade” e “Wandering Souls”. Utilizza varie tecniche contaminandole tra loro aggiungendo anche fiori, tessuti e pigmenti ottenendo immagini uniche e irriproducibili. Molto interessante è il lavoro dell’architetto romano Alessandro Iazeolla, appartenente anche all’Ordine professionale e al ruolo dei periti e degli esperti in fotografia d’arte presso la C.C.I.A.A. di Roma. Si occupa di fotografia del 1973, operando con camera oscura e laboratorio per la sperimentazione di procedimenti storici quali cianotipia, Van Dyck, cliché verre e gomma bicromata. Collabora attivamente con le testate di arte e cultura contemporanea Artribune e Exibart.

Dei Paesi Bassi è la fotografa Margrieta Jeltelma. I suoi lavori comprendono poesia e scultura, ma il suo mezzo principale d’espressione è la fotografia, una passione trasmessa dal padre che, per primo, le insegnò a usare la macchina fotografica e la camera oscura. I suoi lavori hanno ricevuto molti premi e sono stati esposti in mostre internazionali. Roberto Lavini, fotografo professionista, studia storia e tecnica della fotografia. Ama sperimentare antichi processi fotografici approfondendo la loro storia e la loro evoluzione. È fondatore, insieme a Maria Rosaria Urano, del Centro di Ricerca Fotografica chiamata “CameraCreativa.it”.

Luigi Menozzi ha focalizzato la sua attenzione sulla natura e l’ambiente naturale, dapprima soffermandosi sul paesaggio, in seguito con ricerche e progetti più delineati e circoscritti. Ricerca e privilegia gli aspetti più artigianali della produzione fotografica e utilizza prevalentemente negativi analogici di grande formato. Stampa su carta baritata ai sali d’argento e con le tecniche del platino, palladio e del carbone.

Ultimo artista in mostra, ma non meno importante dei precedenti, è Michele Pero, ex fotografo di guerra e fotografo professionista dal 1992. Maestro di stampa analogica in bianco e nero muove i primi passi in camera oscura dal 1984, attraversando tutta l’epoca del computer e delle tecnologie digitali che usa per il suo lavoro. Michele Pero si ispira all’umanesimo francese, in particolare al movimento della Straight Photography.

Di recente ha fatto ritorno alla fotografia analogica con stampa su carta salata, la fotografia al collodio umido, rappresentata in mostra, e altre tecniche antiche di fotografia. Gestisce un blocco di tecniche fotografiche sia sul proprio sito che su quello della Scuola di Fotografia da lui fondata “The Darkroom Academy”.

 

Spazio Musa

Via della Consolata 11E, Torino

Orari dal martedì al venerdì 14.30-19.30; sabato e domenica dalle 16 alle 20.

 

Mara Martellotta

TAIT gallery, personale di Sabatino Cersosimo: “Zeitgiest”

La galleria d’arte TAIT Gallery, approdata a maggio sulle scene torinesi, inaugura una nuova mostra sabato 28 settembre in via San Quintino 1 bis. Protagonista è Sabatino Cersosimo con Zeitgiest. L’artista vive a Berlino ma è ritornato ad esporre dopo dodici anni. La mostra è curata dal giovane direttore artistico della galleria Matteo Scavetta, con la critica di Roberto Mastroianni.

A due passi dalla stazione di Porta Nuova, la TAIT Gallery si presenta nel panorama artistico nazionale e internazionale come luogo di scambio e di confronto. Tra i suoi obiettivi vi è la ricerca di dialogo e collaborazione con altri enti e gallerie per variare la proposta d’artisti.

Un progetto innovativo, basato sullo studio meticoloso del panorama artistico contemporaneo, ricercando non solo artisti mid career, ma soprattutto giovani emergenti talentuosi sia italiani sia stranieri. TAIT Gallery è sede della società TAIT Group, progetto voluto dai soci Lorenzo Palumbo e Simone Loiudice.

Sabatino Cersosimo è nato a Torino, dove si è laureato in Decorazione all’Accademia di Belle Arti. Zeigest sarà visitabile dal 28 settembre 2024 fino al 10 gennaio 2025.

Comprende venti opere a olio su acciaio con l’ausilio dell’ossidazione. È questa la tecnica artistica che contraddistingue il lavoro di Cersosimo. Le sue opere creano un parallelismo con la vita stessa, nasciamo, cresciamo e diventiamo maturi. L’arte è storicamente considerata eterna, ma i suoi dipinti sottolineano la natura metaforica. Mentre si osserva un’opera d’arte, in quello stesso istante essa si sviluppa, si stratifica e in alcuni casi muta in altre forme, proprio come gli elementi della natura sul pianeta. Le sue figure dipinte appaiono frammentate ed evanescenti, elaborano emozioni e dilemmi, rispecchiano costellazioni di umanità in piccole particelle. Presentano dunque molti punti in comune tra gli esseri umani, al di là della cultura, della lingua, del genere e della razza. Nei quadri di Cersosimo i corpi si amalgamano alla ruggine, certi elementi risultano mancanti come negli antichi affreschi ma, a differenza di questi, dove il tempo ha cancellato delle parti, ciò che non è completo non è mai stato presente, in un contesto in cui l’illusione dialoga con la fisicità della pittura e del metallo.

Il titolo della mostra ‘Zeitgiest’ è parola tedesca, ma anche universalmente conosciuta in ambito filosofico e, di rimando, artistico e sociologico, è stata pensata dall’artista in quanto “spirito del tempo”, la sua traduzione in italiano per la sua influenza sui nostri comportamenti e decisioni nelle epoche che occupiamo ( in quanto artisti, ma sia e soprattutto uomini), per la sua permanenza e il suo passaggio, il suo passare e scorrere, il tentativo illusorio di fermarlo in un istante, che rappresenta l’eternità dell’arte.

“Il suo soffio sugli affreschi, sui muri delle chiese e il suo peso sull’azione esercitata dalla natura sul mio acciaio ossidato e dipinto – spiega l’artista Sabatino Cersosimo – Mi piace definire i miei dipinti su acciaio degli affreschi al contrario, poiché, se nelle chiese il tempo ha cancellato delle parti di pitture murali, nei miei dipinti frammentati le parti mancanti non ci sono mai state, creando una forma di illusione. Il tornare ad esporre a Torino dopo dodici anni mi fa pensare di nuovo”.

L’ultima esposizione a Torino è stata alla galleria Raffaella De Chirico nel 2012 e poi nel 2013 al Circolo degli Imbianchini dietro la Gran Madre, luogo storico di pranzi sotto il pergolato e piccole mostre al piano superiore.

Sabatino Certosimo è nato il 18 novembre 1974 a Torino e vive e lavora a Berlino. Conseguiti il diploma in grafica pubblicitaria prosegue con l’Accademia di Belle Arti di Torino dove si laurea nel 1999 nel corso di decorazione. Dopo alcuni anni in cui si dedica principalmente alla critica d’arte, ai laboratori didattici museali, al restauro di libri e all’illustrazione per l’infanzia, dalla fine del 2006 riprende l’attività pittorica in maniera costante, realizzando, nell’autunno del 2007, due dipinti per il film “Senza fine” del giovane regista Roberto Cuzzillo.

Dopo gli anni romantici e surrealmetafisici dell’Accademia di Belle Arti e dell’elogio della natura come rappresentazione del sublime, la sua ricerca si è rivolta alla figura umana, dapprima in maniera quasi esclusiva al volto, in quanto maschera o reale espressione di stati d’animo. Le sue opere, oli su tavola, sono cariche di una certa dose di ironia, ricorrendo all’uso di espressioni facciali esagerate, grottesche o più sobrie. Un’esasperazione di una condizione personale e generale. Nelle sue ultime opere la focale è allontanata, prendendo il corpo intero come oggetto di studio e di riflessione e inserendolo nella gestualità del quotidiano, che vela una sensazione di inquietudine. La pittura è quella di pennellate sciolte e irriverenti, attente al disegno dei corpi, che non hanno nulla a che vedere con il concetto di ritratto.

Inaugurazione sabato 28 settembre ore 18

Orari galleria Lunedì-Venerdì 10.30-13.30/ 14.30-19

Sabato e domenica su appuntamento

Cell 34200116092

 

Mara Martellotta

 

Flashback Art Fair, una rassegna colta e divertente

Giunge alla sua XII edizione la fiera torinese Flashback Art Fair, in programma dal 31 ottobre al 3 novembre prossimo. Quest’anno è dedicata al tema dell’equilibrio grazie al contributo di molte gallerie nazionali e internazionali. Si tratterà di una rassegna colta e divertente, dove all’arte contemporanea si affiancheranno opere di Bruegel, Grimmer, Giaquinto, Hayez, fino a giungere a Balla, Fontana, Guttuso, Schifano e Vedova, Paolini e Christo, Maria Lai e Sassolino.

Negli affascinanti spazi di Flashback Habitat, a pochi minuti dal centro di Torino, Flashback Art Fair si interroga attraverso opere, performance, talk, musica e laboratori su molte sfaccettature di un tema complesso: l’equilibrio è equo, giusto e etico ?

L’immagine guida di Sandro Mele, “Equilibrium ?”, indica “Italians no longer have work”. Il nuovo centro artistico indipendente di 20.000 mq, situato a pochi passi dal centro di Torino, si rivela come un’entusiasmante sorpresa per chi non c’è mai stato e una conferma per coloro che frequentano con costanza gli spazi che, grazie alla direzione dell’artista Alessandro Bulgini, dal 2022 si sono trasformati rendendo l’ex brefotrofio un luogo di ricerca e sperimentazione artistica. Fra i padiglioni immersi nel verde, Flashback Art Fair propone anche in questa edizione la sua visione della storia dell’arte in un progetto che, rinnovandole ogni anno, non solo connette moderno e contemporaneo, ma offre una visione sorprendente sulla storia dell’arte e quella di oggi.

“Questa edizione si interroga sul significato profondo dell’equilibrio – dichiarano le direttrici Ginevra Pucci e Stefania Poddighe – uno stato di quiete che emerge dal bilanciamento delle forze, un concetto che attraversa numerosi ambiti, dalla scienza all’economia, dalla politica alla biologia, fino alla sfera sociale e psicologica, è inevitabilmente anche l’arte, ma il raggiungimento di tale equilibrio è davvero sinonimo di giustizia e correttezza ? In un’epoca in cui l’equilibrio è soltanto evocato o messo in discussione, questa dodicesima edizione non vuole dare risposte, ma sollevare domande attraverso incontri di vario genere”.

L’idea di equilibrio è comunemente associata a uno stato di armonia e stabilità. Questa edizione si interroga su tale concezione, chiedendosi se l’equilibrio sia davvero desiderabile o nasconda, in modo quasi controintuitivo, forme di ingiustizia e ineguaglianza. L’immagine guida di quest’anno, a opera dell’artista Sandro Mele, ci invita a confrontarsi sulla diseguaglianza e il precariato nel mondo lavorativo. L’uomo, dignitosamente vestito, cammina in punta di piedi su una fune ricercando l’equilibrio. Riuscirà a raggiungere il suo traguardo ? Equità, pari dignità sociale sono punti di partenza di una meditazione umana profonda che esamina il disequilibrio della nostra società.

Le gallerie ospiti di Flashback Art Fair declinano il tema con una diversificata proposta, che conduce i visitatori in un viaggio emozionale tra i corridoi di Flashback Habitat. Nelle opere d’arte proposte, lo spettatore scopre mondi simili e altri in antinomia tra loro. Si imbatte in scene di vita e di morte, da un lato il caos danzante e gioioso di Peter Bruegel, testimonianza di vita e di fuoco, con l’opera “The wedding dance outside”, dall’altro “Il trionfo della morte” di Franco Gentilini (Aleandri Arte Moderna), personificata da uno scheletro che marcia scandendo il ritmo della festa. Sono tante le donne che si incontrano, molto diverse tra loro nella rappresentazione degli obiettivi e delle condizioni, a testimonianza dell’ancora precario equilibrio della condizione femminile. Si passa dalla magnificenza e sontuosità della “Maddalena in estasi” di Francesco Guerreri (Galleria Giamblanco) al sensuale erotico de “L’odalisca” di Hayez (Bottegantica), rappresentato da giovani schiave vergini custodite negli harem e destinate a diventare concubine e mogli dei sultani turchi. Nelle opere di Emilia Palomba e Maria Lai (Mancaspazio) le donne sono eleganti e essenziali, maestose e monumentali, pur immerse nella vita quotidiana dei vicoli sardi. Si incontra poi il gruppo scultoreo della “Madonna seduta in trono col bambino” di Fabio Pozzallo, una significativa novità per gli studi della scultura lignea abruzzese del Trecento. Il perfetto ovale del volto, la netta canna nasale e le ampie arcate sopraccigliari conferiscono a Maria maggiore serenità. Il collo snello e slanciato le dona un’eleganza regale. Infine la donna raffinata e altolocata della statua togata ci riporta all’arte antica e alla tradizione greco romana.

La galleria dello Scudo presenta invece un dialogo basato sul tema dell’equilibrio e della circolarità della forma: “I tondi e oltre” (1985-1987) di Emilio Vedova si ritrovano a confronto con un cemento di grande formato creato per la fiera da Arcangelo Sassolino, artista che sottende conflitti e equilibri e che, per la prima volta, si cimenta con la forma circolare. In mostra sono anche rappresentati tre disegni antinazisti di Guttuso, di cui due pubblicati sulla prima pagina de l’Unità, e un altro raffigurante i partigiani della Brigata Garibaldi di un giovanissimo Pietro Consagra. In questo lungo percorso artistico il visitatore è stimolato nel riflettere sul concetto di equilibrio, nell’emergere dalla visone bucolica del Rinascimento e la prospettiva dinamica frammentata del Futurismo. Per esempio, il dipinto futurista di Giacomo Balla, “Velocità terrestre- l’auto è passata”, della galleria Russo, esprime una visione dirompente del mondo contemporaneo. L’incontro tra apollineo e dionisiaco è evidente nel gusto per la geometria, l’ordine, la misura della ricerca di Giulio Paolini (galleria Inarco), che fa da contraltare all’ istinto e agli impulsi primordiali scolpiti nel marmo di Carrara del “Busto del fauno” di Giuseppe Pisani. Gli opposti si attraggono, e questo è dimostrato dall’iperalismo dalle tinte oniriche di “Armonica e Ocarina” di Alfredo Serri (galleria Open Art), che dialoga con l’astrattismo della natura morta di Lucio Fontana (NP Art Lab).

 

Mara Martellotta

“Vivere a colori” di Bruno Casetta al Con/Temporray Spaces

Inaugura martedì primo ottobre in via Santa Teresa

 

Inaugura martedì primo ottobre 2024, alle ore 18.30, presso Con/Temporary Spaces di via Santa Teresa ( ex teatro Macario) la mostra intitolata “Vivere a colori” di Bruno Casetta, curata da Ermanno Tedeschi, visitabile fino al 15 ottobre prossimo.

L’esposizione, composta da una ventina di opere, racconta il favoloso immaginario dell’artista che in ogni dipinto, tra colori sgargianti e ambientazioni iconiche, ha dato forma alla gioia di vivere e all’energia creativa che da sempre lo caratterizzano.

“Autenticità, semplicità, solarità e gentilezza sono le caratteristiche che contraddistinguono Bruno Casetta – spiega Ermanno Tedeschi, curatore della mostra – l’artista è protagonista di un’arte mai banale ed è un pittore sempre attento alla realtà che lo circonda”.

Si tratta di una pittura figurativa e immaginaria, che ritrae natura e luoghi familiari, quali il mercato di Porta Palazzo, i paesaggi torinesi, i tram, dettagli come i grappoli d’uva, fabbriche dismesse, elefanti e panorami marini, esprimendo emozioni di felicità e tristezza”.

Bruno Casetta nasce a Torino nel 1959, compie gli studi artistici da autodidatta e inizia nel 1979 a frequentare corsi per giovani pittori presso il Museo Jeau Des Pommes di Parigi e in seguito frequentando gli studi di amici pittori torinesi. Partito dagli impressionisti a Parigi, si è poi dedicato alla pittura espressionista e fauvista, studiando Delonnay e elaborando una pittura vorticistica che caratterizzerà le sue prime opere. È continua la sua ricerca sul colore, sul suo movimento e linguaggio, che lo hanno portato a elaborare una pittura figurativa molto personale.

 

Mara Martellotta

La leggerezza della scultura contemporanea

A Costigliole Saluzzo, si rilancia la prestigiosa location di “Palazzo Sarriod de La Tour”,  con le sculture di tre artisti di respiro internazionale

Fino al 27 ottobre

Costigliole Saluzzo (Cuneo)

Ecco i nomi: Enzo BersezioToshiro Yamaguchi e Carlo D’Oria. Tre artisti, scultori soprattutto, che da anni s’arrovellano, giocano, faticano e gioiscono rincorrendo, ognuno a modo suo (ma con la tenacia di chi sa di ben conoscere il mestiere) le strade più innovative, e a loro più congeniali, dell’idea di un’arte contemporanea pienamente di casa nell’ambito dei processi indefiniti dell’“astratto-concettuale” o dell’“informale”. Passando per un tema comune a tutti e tre: l’“uomo” nelle sue molteplici implicazioni esistenziali e nel suo relazionarsi con il mondo “altro” e con le leggi spesso inascoltate della natura. In linea con questo comune “fil rouge” , ai tre scultori di cui sopra, Costigliole Saluzzo (il paese dei tre castelli, all’imbocco della Valle Varaita) dedica, fino a domenica 27 ottobre, nelle ampie stanze – dagli stupendi soffitti affrescati – del settecentesco “Palazzo Sarriod de La Tour”, antica residenza dei “Saluzzo – Paesana”, una rassegna curata da Cinzia Tesio e resa possibile grazie all’impegno dell’Associazione giovanile “AttivaMente” con l’aiuto, oltreché della civica amministrazione, di numerosi sponsor pubblici e privati (Orari: sab. 15,30/19, dom. 9,30/12,30 e 15/19)

“La scultura – annotano gli organizzatori – dona un’anima ai materiali”. Ecco il perché del titolo “La leggerezza della scultura contemporanea”, laddove per “leggerezza” s’intende quel concetto di “poetica fascinazione” capace di trasformare la “solidità” delle opere realizzate (con materiale vario, dal legno al ferro all’acciaio alle carte e alle argille) in trasparente “involucro” di sensazioni e liriche emozioni in grado di farci riflettere, senza troppo imbrigliarci in terrene banali “verità”, sui “temi di attualità del quotidiano sociale e dei loro intrecci con il mondo nella sua complessità”.

Gli scultori presenti in mostra “formano – spiega Cinzia Tesio – un gruppo eterogeneo per i personalissimi linguaggi espressivi, ma uniti dalla loro passione per l’arte e la materia che li ha portati ad una produzione di forme uniche e affascinanti. Uno spettacolo da vivere con passione. Quella “passione” che ci trasmette, per primo, Carlo D’Oria (Torino, 1970), attraverso opere, prevalentemente realizzate in ferro e in acciaio concentrate sul tema per lui nodale dell’“uomo” e di quel peccato di “egolatria” così imperante ed imperversante ai giorni nostri da fargli scegliere di “abrogare il soggetto – com’ è stato scritto –  di ‘svuotarlo’ e di renderlo appena una sagoma”. Informe nel suo commisurarsi con altre “creature vive, stanche, gobbe, simili nel loro anonimato e paradossalmente uniche”.

Decisamente più rilassanti gli universi plastici del giapponese Toshiro Yamaguchi (Okayama, 1956), che a Costigliole espone una scenografica e originalissima installazione dal titolo “Infinite Butterfly”. La sua produzione, fatta di lavori essenziali e “minimal”, vogliono evocare l’idea del giardino, l’immagine rasserenante di un mondo naturale cromaticamente interpretato attraverso la contaminazione delle antiche monocromatiche “tradizioni zen”, a lui tramandate dagli antichi maestri del Sol Levante, con “mosaici di pietra” dai vividi colori mediterranei maturati nel corso degli ultimi anni, dopo il suo trasferimento in Spagna, a Madrid. Il risultato è un amalgama perfetto di segni e colori di immediata comprensione e di una regolarità compositiva che qualcuno , forse un po’ troppo avventatamente, ha inteso accostare al “neoplasticismo” (“De Stijl”) mondriano.

Allievo alla torinese “Accademia Albertina di Belle Arti” di Torino del grande Sandro Cherchi e lui stesso docente di “Discipline Plastiche” al “Liceo Artistico Statale” della città, Enzo Bersezio (Lesegno – Cuneo, 1943) si muove ancora oggi in una landa operativa non del tutto sgravata dalle lezioni di quell’ “Arte Povera” al cui interno ebbe a muovere i primi passi e che il critico Germano Celant (storico “guru” del movimento) dichiarava manifestarsi essenzialmente “nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni per ridurli ai loro archetipi”. E proprio su questa strada si muovono tuttora, pur seguendo linee compositive del tutto personali, le “installazioni” prevalentemente lignee di Bersezio (che bello quell’“Occhio dei Ciclopi” del 2010!), incentrate anch’esse su diafani giochi di forme arcaiche ed essenziali, “corpi plastici mistilinei … leggeri, aerei e snelli nel loro disporsi nello spazio che li circonda”.

La mostra sarà accompagnata da  una serie di eventi collaterali (musica, incontri, teatro) tesi a promuovere il territorio e le sue eccellenze. Comprese quelle, non poche e di assoluto pregio, di carattere enogastronomico.

Gianni Milani

Per info: Palazzo “Sarriod de La Tour”, via Vittorio Emanuele 103, Costigliole Saluzzo (Cuneo); tel. 0175/230121, info attivamente12024@gmail.com

Nelle foto: “Palazzo Sarriod de La Tour”; Carlo D’Oria “Interferenze misurabili”, acciaio; Toshiro Yamaguchi “Infinite Butterfly”, carte; Enzo Bersezio “L’occhio dei Ciclopi”, legno trattato, 2010

Fondazione Sandretto, le mostre a Guarene

Nel comune piemontese di Guarene, in provincia di Cuneo, che ospita la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, quella del 21 settembre è stata una giornata all’insegna dell’arte, con l’inaugurazione di due mostre, entrambe aperte fino al 10 novembre, e il disvelamento di una nuova opera per il Parco d’arte “Sulla collina di San Licerio”. Alle ore 17 del 21 settembre si è tenuto un laboratorio per famiglie al palazzo Re Rebaudengo curato dal dipartimento educativo della Fondazione e seguito dalla mostra collettiva “Truly rural”, curata da Bernardo Follini, che interroga gli immaginari connessi al mondo rurale da una prospettiva storica e contemporanea. Concepita a partire dalle ambientazioni di palazzo Re Rebaudengo, sulle colline del Roero, la mostra propone un dialogo tra opere della collezione Sandretto Re Rebaudengo e alcuni contributi di artisti e artiste di differenti generazioni. I protagonisti dell’esposizione sono Noor Abed, Massimo Bartolini, Sarah Ciraci, Mario Giacomelli, Helena Hladilová, Mauro Ledru, Marko Lehanka, Jumana Manna, Carol Rama, Athi-Pathra Ruga, Eoghan Ryan e Wilhelm von Gloeden.

Sono loro gli artisti selezionati da Bernardo Follini, che prende le mosse dall’idea romantica di paesaggio e dal concetto di autenticità per riflettere sull’idea di rurale nel senso comune e sulle sue origini. Il titolo della mostra nasce dalla videoinstallazione del 2019 ‘Truly rural” dell’artista irlandese Eoghan Ryan (1987). Posta all’inizio del percorso espositivo, è costituita da sedute in fieno e da un video che descrive la tradizione trasgressiva del carnevale in una località rurale tedesca. Esplorando i diversi fattori che costituiscono l’ecosistema agricolo (agricoltura, allevamento, vita comunitaria e turismo) , le opere si propongono di far luce sulle infrastrutture visibili e invisibili, sulle attività sociali e sui sistemi di produzione realizzati su determinati valori e economie. Attraverso i lavori esposti, la mostra offre un’analisi dei fenomeni sociopolitici che influenzano la campagna e il comportamento collettivo degli abitanti, indagando la relazione tra comunità, discendenza e appartenenza, e facendo anche emergere delle inquietudini private. Sempre a palazzo Re Rebaudengo è presente un secondo percorso espositivo, la personale di Tin Ayala (1998) dal titolo “There is no conquist without celebration”, a cura di Follini. Questa mostra segna il dodicesimo anno di collaborazione della Fondazione con Ensba Lion, l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts della città francese. Tin Ayala é artista originario delle ande equatoriane, ha partecipato all’edizione nel 2023 del programma “Post diplôme”, aperto ogni anno a cinque artisti. Ayala prende come punto di partenza del suo lavoro l’identità Cholo, termine di origine indigena che designava, nel periodo della colonizzazione andina, i discendenti degli indigeni spagnoli. Per l’artista questa identità postcoloniale è in grado di ridefinire le nozioni di razza attraverso un potenziale generativo transculturale. Il suo lavoro è concepito come un collage scenografico che integra immagini precoloniali, rappresentazioni contemporanee, simboli indigeni e personaggi della cultura pop. Ayala, contemporaneamente, realizza azioni dirette in collaborazionorigini collettivi locali delle Ande intorno all’identità Cholo.

La mostra a Guarene rappresenta un’ulteriore tappa del progetto di ricerca Cholonizacion, con cui da due anni l’artista vuole definire il potenziale delle produzioni Cholo-Andine, creando uno spazio ibrido in cui possono coesistere elementi di una cultura egemonica internazionale e sopravvivere dinamiche culturali locali legate a gruppi sociali storicamente oppressi. Il Parco d’Arte della Fondazione Re Rebaudengo è stato il secondo scenario della giornata di inaugurazioni, con un attraversamento della città dal palazzo della Fondazione, insieme a un concerto itinerante di Bandakadraba. È stato presentato nel Parco d’Arte il mosaico rurale dell’artista statunitense Tauba Auerbach, che si aggiungerà alle sculture presenti sul luogo. Si tratta di un mosaico che nasce da una serie di dipinti con lo stesso titolo e si basa su fotografie microscopiche della schiuma, rappresentate da migliaia di puntini dipinti a mano. La schiuma, ingrandita nei punti d’incontro con le bolle, si rivela una rete, un intreccio che emerge da un campo di particelle. Collaborando con un team di artigiani con sede in Italia e un programmatore per creare software, Auerbach ha adattato la serie dipinta a un mosaico murale all’aperto in un’opera lunga undici metri, dal titolo “Foam”.

 

Mara Martellotta

A La Morra la mostra “Mia unica collina“nel ricordo di Claudia Ferraresi

Nel decennale della sua scomparsa, l’omaggio ad un’importante artista, Donna di cultura e del vino della terra di Langa

Sono ormai trascorsi dieci anni dalla scomparsa di Claudia Ferraresi, giornalista e critico d’arte, pittrice, scrittrice, Donna di cultura e Donna del vino. Eclettica imprenditrice, infaticabile e creativa, dal cuore grande e generoso, realizzatrice di tanti progetti finalizzati alla valorizzazione della sua amata terra di Langa, dal 2014 patrimonio dell’Unesco.

Si è sempre impegnata a farla conoscere e a proteggerla con cura proprio come quelle rose profumate e belle che si incontrano all’inizio dei filari delle viti e che, con la loro costante presenza, sono amiche e sentinelle attente alla salute e al benessere dei preziosi vitigni. Ha saputo precorrere i tempi con il suo intuito creativo ed imprenditoriale quando il marchio Langhe e Roero era ancora di là da venire, con un’attenzione crescente al territorio nei suoi molteplici valori. In lei, testimonial e ambasciatrice per oltre quarant’anni, un grande sogno dal profumo che sa di terra, tutto da realizzare stava giorno per giorno prendendo forma e partendo dalle grandi potenzialità che aveva già intravisto in tempi di tanta speranza, di progetti, di scommesse e di realizzazioni a lungo immaginate.

 

Questa è stata Claudia Ferraresi che in questi giorni il Comune di La Morra con la sua famiglia Locatelli e le  Cantine Rocche Costamagna, l’Associazione Agorà e La Morra Eventi e Turismo oltre al Club Unesco e alla Biblioteca Civica Don Rubino hanno voluto commemorare con un convegno dedicato alla sua figura di imprenditrice e di artista e con una mostra aperta sino al 29 Settembre dal titolo “ Mia unica collina “ con alcuni suoi dipinti che raccontano le sue terre dai contorni sfumati e intimi. Ci parlano di lei, figlia d’arte, alcuni suoi acquerelli delicati ed al tempo stesso forti , accanto a tele della madre pittrice, musicista e cantante lirica Valeria Costamagna, nella piccola chiesa sconsacrata di S. Sebastiano, gioiello del barocco langarolo, molto amato dalla Ferraresi che ne fece un luogo elettivo per i tanti eventi da lei realizzati in questo suo angolo di terra, una cresta di Langa da cui mai avrebbe potuto allontanarsi, scrigno dei suoi sentimenti più privati e profondi. “ Le mie colline delle Langhe – sono sue parole – sono diventate la mia unica collina, dentro la quale cercare amore e pace.

Tentare di interpretarle per vivere è stata la mia salvezza umana “. Nata a Santena da un’antica famiglia piemontese, privata giovanissima dei genitori a causa di un grave incidente, ciò che causò in lei una ferita difficile da rimarginare, si trasferì da Torino a La Morra nel 1972 nella casa di famiglia dove scelse di vivere pienamente quelle colline con i loro vigneti, i loro sapori e tradizioni, le loro nebbie e le loro albe e quel loro tempo scandito dalla stagionalità della vita, dai rintocchi delle campane nella valle e degli antichi Morbier, le pendole di casa. La nota azienda vitivinicola lamorrese Rocche Costamagna da lei ereditata come prezioso bene di famiglia ed oggi gestita dal figlio, l’imprenditore Alessandro Locatelli, entrato in azienda negli anni Ottanta al suo fianco, cui ha passato il testimone, ha visto la nascita di molte sue attività.

Un fiore all’occhiello è stata in quei suoi primi anni la valorizzazione della coltivazione e della raccolta delle uve del Barolo, re dei re dei vini, oggi conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo e da loro prodotto a partire dal 1841. Nel 1976 creò “ La cà dj’ amis “, un’Associazione culturale con cui ha inteso offrire i suoi spazi e le sue conoscenze territoriali per parlare di cultura locale e tradizioni, di colture agricole e di enogastronomia. Erano tanti in quegli anni i personaggi che invitava nella sua casa – museo accanto alle famose cantine, da Piero Angela a Luigi Firpo, Primo Levi, Ottavio Missoni, Giovanni Arpino e tanti altri che omaggiava della simbolica chiave con cui entrare virtualmente nel cuore delle Langhe in incontri che culminavano in un evento annuale, un premio sempre molto atteso che battezzò “ la ciau d’la cà”. Era un’occasione unica che sfociava in sempre nuovi progetti per la valorizzazione e lo sviluppo di una lettura del Piemonte cosciente e lungimirante che puntasse al recupero delle eccellenze culturali ed enogastronomiche da salvaguardare e tramandare, premiando quanti tra i personaggi della cultura, dell’arte e delle scienze avevano collaborato con fattivi contributi culturali a puntare l’attenzione su queste terre langarole. Dagli anni Ottanta dette vita a “ Le tavole della cultura “ con vari eventi ed iniziative a tema che facevano da sfondo a “ Libri da gustare”, altra sua creazione con un’ importante raccolta di testi enogastronomici, una rassegna letteraria con premiazione degli autori eccellenti che culminava all’annuale Salone del Libro di Torino.

Infine nel 1990 è la volta di un’altra sua realizzazione, “ I Ristoranti della tavolozza ”, con la presenza di ristoratori d’eccellenza con un occhio attento alla cultura enogastronomica e all’educazione al cibo. E’ giusto e doveroso che tutto del mondo di Claudia Ferraresi riviva in chi l’ha conosciuta ed oltre, nei suoi luoghi ed oltre perché nulla di lei, della sua vita, del suo operato, della sua ricca eredità culturale e spirituale, nessuno dei tanti semi da lei piantati e fioriti, vada perso.

                                                                                             Patrizia Foresto

Mostra “ Mia unica collina”

Chiesa di S. Sebastiano

Via Umberto 22/30

La Morra ( Cn)

 ore 10/ 13 e 15/18