La Città di Torino è costantemente impegnata nella cura e nella salvaguardia del proprio patrimonio arboreo. In questi giorni una serie di analisi approfondite hanno interessato alcuni alberi campione in corso Re Umberto.
Si tratta di approfondimenti che hanno lo scopo di raccogliere informazioni aggiuntive sullo stato di salute degli alberi che con i controlli standard risultano stabili, ma che potrebbero nascondere altri problemi. Con i dati raccolti sarà possibile prevenire situazioni di pericolo quali lo schianto improvviso di piante apparentemente sane, come quello avvenuto l’anno scorso proprio su corso Re Umberto, dove cadde un grosso ippocastano.
Nello specifico, vengono eseguite prove di trazione, per simulare la tenuta dell’albero e dell’apparato radicale con l’azione del vento superiore ai 100 km/h. Attraverso un leggero scavo manuale, poi, si indagano le condizioni delle porzioni di fusto che nei decenni sono state interrate nelle varie trasformazioni del viale e che potrebbero aver danneggiato l’apparato radicale. Inoltre si prelevano dei campioni che saranno oggetto di analisi molecolari, svolte con la collaborazione di DISAFA – Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, con lo scopo di valutare la presenza precoce di funghi agenti di marciumi, anche di assenza di manifestazioni esterne e visibili nella pianta.
Questi approfondimenti rientrano nei controlli di stabilità sugli alberi previsti nell’appalto operativo dall’autunno del 2021, che finora ha portato al controllo di oltre 35 mila alberi.
Un altro esempio di questi controlli straordinari è l’intervento di cura realizzato nei mesi scorsi su una grossa quercia del parco Rignon. L’albero presentava gravi problemi di stabilità, con cavità a livello di fusto e di branche, e i tecnici della Città, in accordo con i professionisti incaricati dei controlli, per salvarlo hanno deciso un intervento di potatura associato al consolidamento con cavi, per ridurre i rischi e delimitare l’area di potenziale caduta delle branche.
Tra le strategie di gestione della “foresta urbana” torinese (costituita da oltre 150 mila alberi a cui si aggiungono 220 mila alberi presenti nei boschi collinari di proprietà comunale) queste verifiche rappresentano un tassello fondamentale ed indispensabile nella cura del verde cittadino, che consente di avere una fotografia aggiornata e precisa delle condizioni di salute e stabilità degli alberi, una risorsa ambientale unica da salvaguardare e incrementare.
Gli alberi svolgono infatti un ruolo sempre più importante di contrasto ai cambiamenti climatici, ma proprio in ambito urbano vengono sottoposti ai maggiori stress e a importanti sollecitazioni.
Uno degli effetti più evidenti dei cambiamenti climatici è l’aumento degli eventi meteo estremi, come le piogge intense e i venti forti, che si verificano con sempre più frequenza e che possono portare ad allagamenti, a cadute di alberi o di loro porzioni. Sono fenomeni sempre più violenti, che possono accentuare le fragilità dei patrimoni arborei pubblici e privati caratterizzati da piante adulte, cresciute in un ambiente urbano non sempre favorevole.
Anche la siccità dell’anno scorso ha causato inoltre danni significativi, a Torino come in molte altre città italiane ed europee. Si stima che nella nostra città siano ad oggi circa 1400 gli alberi adulti che sono stati abbattuti. Sono piante inevitabilmente compromesse e sulle quali gli stress sono difficilmente gestibili e a poco servono le irrigazioni di soccorso. In questi casi l’unica strada possibile è l’abbattimento, in quanto le piante secche possono costituire un grave pericolo per l’incolumità di persone e cose.
Gli effetti della siccità che ha interessato Torino nel 2022 potrebbero purtroppo durare ancora a lungo, ed entro fine anno il calcolo degli alberi da abbattere potrebbe arrivare a circa 2mila e 800/ 3mila unità. Tra gli ultimi interventi realizzati, segnaliamo quello sui 30 carpini secchi di corso Galileo Galilei mentre, da questa settimana, altri 70 in corso Tazzoli dovranno purtroppo subire la stessa sorte. Proprio i carpini, insieme ai faggi, sono le specie arboree che più hanno risentito della siccità.
Per compensare queste perdite, a partire dall’autunno la Città avvierà un importante intervento di riforestazione urbana, con 3mila nuovi alberi da verde urbano (altezza 2-2,5 metri e circonferenza fusto 16-20 cm) che verranno messi a dimora nei punti maggiormente interessati dagli abbattimenti.
In autunno la Città avvierà inoltre una collaborazione con il Disafa, per capire come tutelare gli alberi adulti dagli effetti dei cambiamenti climatici e dalle patologie che possono insorgere, perché in situazione di stress funghi e batteri possono creare maggiori danni alle piante.
L’assessore al Verde pubblico Francesco Tresso ha commentato: “Per compensare le perdite causate dal caldo anomalo e dalla straordinaria siccità che nel 2022 ha colpito anche Torino, come Città ci siamo impegnati a realizzare un importante programma di piantumazione, andando a rimpiazzare gli esemplari abbattuti, perché morti o deperiti, con 3mila nuovi alberi. Continuiamo quindi con convinzione nel nostro programma di valorizzazione della foresta urbana torinese – continua l’assessore -, una risorsa fondamentale per rendere la città più sostenibile e capace di adattarsi ai cambiamenti climatici, attenta a valorizzare i benefici prodotti del verde per una migliore qualità della vita dei suoi cittadini”.
Obiettivo puntato sul “Re delle Alpi” o “Tetto d’Europa”. Dopo il Monte Rosa, il Cervino e il Gran Paradiso, é il Monte Bianco – la montagna più alta d’Europa e fra le “Sette Vette del Pianeta” con i suoi 4.807 metri – il primattore della quarta e ultima tappa del Progetto “L’Adieu des glaciers: ricerca fotografica e scientifica” prodotto dal “Forte di Bard” (grazie al supporto di numerosi enti e istituzioni), che dal 2020 propone un viaggio iconografico e scientifico tra i “ghiacciai” dei principali Quattromila della Valle d’Aosta. La mostra, allestita fino al 7 gennaio del 2024, è indubbiamente un “focus” di grande attualità in anni di allarmanti cambiamenti climatici che di certo portano ad ipotizzare nel prossimo futuro scenari evolutivi assai preoccupanti per i grandi “ghiacciai” e per quelli italiani in particolare. E, dunque, qual é lo stato di salute del Bianco? A darcene maggior contezza può indubbiamente essere illuminante, nelle sue varie sezioni, proprio l’attuale mostra allestita nelle Sale delle “Cannoniere” al “Forte di Bard”. Straordinaria la ricchezza dei contenuti: 142 autori, 29 schede di ricerca, 73 fotografie e una serie di foto-confronti che raccontano il “Monte Bianco” quale straordinario luogo in grado di ospitare indagini scientifiche in campi che vanno dalla “glaciologia” alla “geomorfologia”, dalla “pedologia” (studio della composizione e modificazione del suolo) e “nivologia” alla “climatologia”. Il percorso espositivo è articolato in otto sezioni tematiche, curate da Enrico Peyrot, fotografo e storico della fotografia e da Michele Freppaz, docente del Dipartimento di “Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari” dell’Università di Torino, che si è occupato della parte scientifica. “Grazie alla collaborazione con la ‘Cabina di regia dei ghiacciai valdostani’ e il ‘Comitato Glaciologico Italiano’, si sono raccolte – affermano i due curatori – le descrizioni di numerose attività di ricerca condotte nell’area del ‘Bianco’ su temi specifici, quali lo studio dei fattori che controllano la formazione e lo sviluppo della copertura detritica sopraglaciale e dei suoi effetti sui tassi di fusione, la determinazione del bilancio di massa attraverso immagini satellitari stereo ad alta risoluzione, lo studio di laghi di contatto glaciale, e il censimento dei fenomeni franosi”. Di particolare interesse, sotto l’aspetto ambientale, sono i dati sulle precipitazioni medie annue sul “Bianco”, pari a 940 mm, con in media circa 6 metri di neve fresca all’anno registrati dalla stazione meteorologica automatica del “Mont de la Saxe” (2110 m.), così come i dati relativi all’arretramento dei ghiacciai causato dall’attuale crisi climatica: un dato su tutti i 234 metri persi in 27 anni dal “Ghiacciaio Orientale di Gruetta”.
