Bizzarro e geniale definisce oggi Giovanni Gaidano il suo antenato, lasciando per breve durata l’ambiente del suo “Olfattorio” di piazza Bodoni e, girato l’angolo, immergendosi tra le sale della Galleria Fogliato (sino al 24 settembre) per rendere omaggio a quel Paolo e ai suoi affreschi – fu in vita omaggiato come “il signore degli affreschi” -, alle sue tele pronte a catturare interni e momenti di vita, bozzetti di campagna, paesaggi ariosi e solari, angoli del suo studio, come ai ritratti – forse la punta maggiore di un’arte severa e sanguigna, capace di cogliere con estrema esattezza i sentimenti, gli umori sotterranei, i ricordi che stanno al di là degli sguardi profondi. Sguardi familiari, il padre la nonna la sorella, le ragazze di quella campagna che s’allarga tra Poirino, suo paese natale (vi era nato nel 1861, morì a Torino nel 1916) e Carignano e Carmagnola, come gli sguardi della cerchia degli amici, uno per tutti lo scultore Antonio Stuardi, o dei benefattori – l’industriale Giovanni Melano, cui Emanuele Appendini, impegnato negli affreschi della chiesa di Santa Croce a Poirino, segnala quel ragazzino appena tredicenne che ogni giorno lo guarda lavorare e tenta di imitarlo, si offrirà di farlo studiare a sue spese iscrivendolo all’Accademia Albertina di Torino, dovrà avrà come insegnanti Gamba e Gastaldi e per compagni di corso tra gli altri Grosso e Tavernier – o dei rappresentanti della nobiltà che lo reclamano, sino ad arrivare a Casa Savoia (il ritratto non terminato del 1902 a Vittorio Emanuele III, che lo volle ai piedi del letto negli ultimi momenti di vita, come racconta la principessa Maria Gabriella, che ha prestato il quadro per la mostra). Ma a quell’ultima tappa, lui scontroso e chiuso nel lavoro e nella ricerca, caparbiamente schivo, arriva malvolentieri, vede nell’ambiente non tanto le occasioni più che positive che potrebbero nascere quanto piuttosto la fatica ad un adattamento, un linguaggio troppo lontano dal suo, la rinuncia a valori più immediati.
Curata da Franco Pavesio che da anni insegue l’artista con i suoi studi e i suoi approfondimenti e accompagnata da un elegante catalogo, la mostra allinea le immagini degli affreschi, dalla volta del Duomo di Carignano, di recente restaurati, dove campeggia “La caduta degli angeli ribelli”, capolavoro di un diciottenne fresco d’Accademia, a quelli eseguiti per la sede antica del San Paolo o per la chiesa del Cottolengo a Torino sino ad arrivare al “Calvario” di Bussana del 1911 (3,30 metri di altezza per 14 di lunghezza), in cui raccoglie una quarantina di personaggi, in un susseguirsi di scene il cui fulcro è rappresentato dalla Croce ed i sentimenti che i presenti provano nei confronti di essa (bellissima la centralità del dubbio del centurione romano avvolto in un improbabile mantello blu).
Oltre venti poi le tele dove predominato gli ampi spazi che abbracciano la tragedia di Manon Lescaut o l’elegante interno borghese, quadri tappeti specchi raffinati, di “Estasi” (del 1888) con il canto e il suono di una chitarra di un giovane di fronte al divertimento di due ragazze, l’una più giovane e vero interesse dell’uomo, deciso alla corte pur sotto l’occhio vigile e ingombrante dell’altra donna, deciso e sfrontato se si pensa a quel mozzicone di sigaretta che Gaidano ha posto lì, nel bel mezzo del pavimento in primissimo piano. O “I delusi”, presentato all’Esposizione Generale Italiana di Torino nel 1884, la rappresentazione drammatica e realissima di due giovani amanti, abbracciati, morti per le esalazioni di un braciere, un fatto di cronaca che avrebbe colpito l’autore o un amore contrastato, simbolico e autobiografico allo stesso tempo, vissuto da un ragazzo all’epoca ventitreenne; o l’”Angelus” dell’87 dove l’aspetto religioso, costruito con i visi e gli atteggiamenti della gente della sua terra, viene per un attimo disturbato dalla risata che il ragazzino davanti a noi cerca di soffocare.
E poi il capitolo dei ritratti, di se stesso innanzitutto, tre diversi esempi che lo vedono in altrettante diverse età. Basterebbero gli occhi ormai assenti della vecchia nonna o l’importanza tutta manageriale data al cav. Mellano, certi schizzi maschili come la “Ragazza seduta in giardino”, colta in un attimo di affaticata se non dolorosa riflessione, la grandezza e il rispetto propri del “Ritratto di uomo con barba” e soprattutto la spensieratezza di un giorno di festa della “Ragazza con bustino” – l’eleganza semplice, il sorriso, il vezzo del piccolo mazzo di fiori, la leggera smorfia e il sorriso tra ombra e luce – per sottolineare ancora una volta la grandezza di Gaidano nell’avvicinarsi ai suoi personaggi, nel coglierne gli aspetti meno in superficie, nell’approfondire attraverso un puntuale particolare psicologie, sentimenti, infelicità o gioie di un momento.
Elio Rabbione