teatro colosseo- Pagina 5

167 Risultati trovati.

Torino e i suoi teatri. Dal Rinascimento ai giorni nostri

/

Torino e i suoi teatri

1 Storia del Teatro: il mondo antico
2 Storia del Teatro: il Medioevo e i teatri itineranti
3 Storia del Teatro: dal Rinascimento ai giorni nostri
4 I teatri torinesi: Teatro Gobetti
5 I teatri torinesi :Teatro Carignano
6 I teatri torinesi :Teatro Colosseo
7 I teatri torinesi :Teatro Alfieri
8 I teatri torinesi :Teatro Macario
9 Il fascino dell’Opera lirica
10 Il Teatro Regio.

Storia del Teatro: dal Rinascimento ai giorni nostri

Cari lettori, eccoci arrivati alla conclusione di questa brevissima storia del teatro. Quello che tenterò di fare, con la medesima disposizione d’animo che ho mantenuto fino ad ora, è di raccontare nel pezzo di oggi ciò che avviene dall’epoca rinascimentale al Novecento; nello scritto che – spero -vi apprestate a leggere sfiorerò il teatro erudito, accennerò al teatro elisabettiano, poi al melodramma, fino ad arrivare a D’Annunzio per poi concludere con autori decisamente recenti come Ronconi. Mi auguro di guidarvi il più chiaramente possibile in questo dedalo di informazioni, nomi, titolazioni ed avvenimenti, affinché sia possibile arrivare con una certa prontezza alle prossime letture, specifiche della storia dei teatri torinesi.

Ora, come si suol dire, “bando alle ciance!”, il discorso è lungo e complesso, sarà meglio iniziare. L’età d’oro per il teatro moderno è senza dubbio il Rinascimento, termine con cui si intende un “rinascere” dell’uomo, del suo impegno sociale e culturale, nozione riferibile a tutta la civiltà italiana dei secoli XV e XVI. Nel più generale contesto della “rinascita del mondo antico”, il teatro viene riscoperto nella sua globalità, e ne vengono presi in considerazione l’aspetto letterario, architettonico, scenografico e scenico.
Per quel che riguarda l’ambito letterario, i dotti si interessano alla riscoperta, alla pubblicazione e all’imitazione delle opere degli antichi: a tal proposito ricordiamo gli studi di Lovato Lovati (1241-1309) e Nicolò di Trevert ( 1259-1329) su Seneca tragico e l’impegno di Nicolò da Cusa che nel 1425 porta alla luce nove commedie di Plauto (il grande autore latino del II secolo a.C., di cui ci sono giunte ventuno commedie). Analogamente si assiste alla ricostruzione dell’antico edificio teatrale, sulla base dell’esame archeologico dei resti monumentali. In questo contesto è doveroso ricordare Leon Battista Alberti, impegnato non solo nell’empirica ricerca archeologica, ma anche nell’analisi serrata del trattato latino “De architectura”, scritto nel 15 a.C. da Marco Vitruvio Pollione, il cui quarto libro è quasi interamente dedicato all’edificazione dei teatri. Alberti propone uno schema teatrale assai preciso nel suo “De re aedificatoria”, (“Sull’edilizia”), ove sostiene che la struttura teatrale necessita di una gradinata (cavea), conclusa da una loggia aperta interiormente e chiusa dietro, di un palcoscenico e di un’area mediana (orchestra), attorno alla quale si organizzano gli altri elementi. Nel XVI secolo si va delineando una trattatistica dedicata all’analisi degli scritti di Aristotele, in particolar modo della “Poetica”, testo in cui viene esaminata la struttura della tragedia. Proprio grazie a questi studi viene normata, in Italia e in Francia, una produzione drammaturgica basata sull’uso delle tre unità aristoteliche di tempo, luogo, azione. I personaggi sono tutti coinvolti in un unico problema e agiscono all’interno di un solo ambiente per un periodo di tempo fittizio che non supera le ventiquattro ore. In seguito, però, la struttura e i personaggi mutano, come accade ne “La mandragola” di Niccolò Machiavelli, considerata il capolavoro del Cinquecento. Siamo ormai di fronte alla “commedia erudita” o “regolare”, come per esempio “La Cassaria”, scritta nel 1508 da Ludovico Ariosto. Proprio in coincidenza della rappresentazione di tale commedia si hanno le prime notizie dell’innovativa forma di allestimento tipica del Rinascimento, ossia la scenografia prospettica.

Il Seicento è invece il secolo del melodramma, forma scenica particolarmente apprezzata negli ambienti aristocratici e di corte, che dall’Italia si diffonde in tutt’Europa. In questo periodo attori, cantanti, scenografi e autori sono la componente fondamentale delle feste, soprattutto in Austria e in Germania. Da elemento complementare e secondario, gli intermezzi diventano il vero momento centrale dello spettacolo, l’azione scenica non è più subordinata alle parole, al contrario tutto è giocato sulla visione di un movimento sempre più grandioso e complesso. Il melodramma moderno nasce dalla volontà di un gruppo di dotti fiorentini raccolti nella Camera dei Bardi, desiderosi di recuperare nella loro integrità le forme della tragedia greca, il cui testo si riteneva venisse interamente cantato. Tipici elementi del melodramma cortigiano sono il frequente cambio di scena, che può addirittura diventare frenetico sul finale della rappresentazione, e l’impiego di meccanismi con lo scopo di suscitare meraviglia e ammirazione nel pubblico, per i trucchi che vengono eseguiti sul palco. Sarà tuttavia nel secolo seguente che la scenografia a tema architettonico toccherà il suo culmine, in particolare grazie all’opera della famiglia Galli Bibiena. Rimaniamo ancora al Seicento, di cui tipiche sono le “masques”, spettacoli diffusi principalmente in Inghilterra, incentrati sul personaggio del monarca che trionfa, si tratta di allegorie in cui il Bene, il Bello ed il Buono, sconfiggono il Male. Dato l’ambito anglofono, menzioniamo l’insuperabile Shakespeare (1564-1616), uno degli autori più noti a livello mondiale e principale esponente del teatro elisabettiano; la sua opera poetica e drammaturgica costituisce una parte fondamentale della letteratura occidentale ed è oggi ancora studiata e rappresentata come insuperabile punto di riferimento. Con l’espressione “teatro elisabettiano” si indica in realtà un periodo storico, che va dal 1558 al 1625, e segna la fase di massimo splendore del teatro britannico. Alcuni studiosi tendono a distinguere la produzione postuma al 1603, parlando di teatro dell’età giacobina, che in effetti presenta caratteristiche differenti. È opportuno ricordare e sottolineare che sotto la regina Elisabetta I esistevano anche spettacoli economici, il dramma era considerato un’espressione unitaria rivolto a tutte le classi sociali, di conseguenza la corte assisteva – in luoghi e in tempi diversi – alle medesime rappresentazioni a cui il popolo presenziava nei teatri pubblici. Dopo la morte della sovrana illuminata i teatri privati tornano ad avere il monopolio della cultura e le rappresentazioni si orientano verso i gusti di un pubblico di ceto alto.


Certamente Shakespeare sovrasta per fama e bravura praticamente tutti gli altri nomi che fanno parte della storia del teatro, ma trovo ingiusto non rammentarne almeno altri due: Christopher Marlowe (1564-1593) e Thomas Kyd (1558-1594). In Francia i massimi esponenti sono Molière (1622-1673) per la commedia e Jean Racine (1639-1699) per la tragedia.
Molière (pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin) è un acuto osservatore dei meccanismi sociali e psicologici che definiscono la società; il suo spirito critico e anticonformista, influenzato da Rabelais e Michel de Montaigne ma anche dal pensiero libertino, lo porta a realizzare opere uniche, brillanti e pungenti. Per Molière, artista di franca e serena risata, il compito della commedia è quello “di correggere gli uomini divertendoli, presentando i vizi e i difetti in modo anche esagerato”. Anche Racine porta avanti una fredda critica al mondo e alle condizioni dell’uomo, la sua visione si concretizza in personaggi che sono antieroi a tutti gli effetti: governati da passioni primitive, incapaci di volontà e travolti dai propri dissidi interiori. Racine si è formato nell’ambito giansenistico dominato dalla drammatica e severa coscienza della finitezza e inadeguatezza dell’uomo, della sua impossibilità di realizzarsi moralmente senza l’intervento imperscrutabile della grazia divina. In Spagna troviamo invece Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) con le sue vette poetiche immerse nella realtà, nel sogno e nella finzione.
Non si può né concludere il paragrafo sul Seicento, né proporre una seppur breve storia del teatro, senza soffermarsi almeno per un poco sulla commedia dell’arte. I fenomeni che vanno sotto tale dicitura nascono nella seconda metà del Cinquecento, in piena epoca rinascimentale. Base essenziale della commedia dell’arte è l’abilità tecnica, la capacità di movimento degli attori, l’uso di un ricco e costante repertorio di situazioni comiche; lo schematismo delle figure e dei tipi viene portato all’estremo, si creano personaggi fissi, e tale fissità è resa più colorita dalla trasformazione di queste figure in vere e proprie “maschere”. La commedia dell’arte è quella commedia affidata ad attori professionisti che offrono i loro spettacoli a un pubblico vario, vivendo del proprio mestiere; la prima compagnia di comici di mestiere si forma a Padova nel 1545, e ad essa ne seguono moltissime. In questi spettacoli gli attori non imparano a memoria la loro parte ma la improvvisavano. Si tratta comunque di una tecnica recitativa, “l’improvvisazione non si improvvisa”, al contrario prevede che il teatrante si prepari non “la” parte ma “per” la parte.
Prima di essere definita tale, le rappresentazioni della commedia dell’arte venivano indicate come “Commedia degli Zanni” o “Commedia all’Italiana”. Il termine “Zanni” deriva dal nome di figure di servi nelle prime commedie cinquecentesche, “Zan”, forma veneta per “Giovanni”, da cui “Zanni”. Le caratteristiche di questa tipologia di teatro sono due: l’improvvisazione e l’utilizzo di maschere.

Tali maschere finiscono poi per identificarsi con dei personaggi specifici, veri e propri “tipi fissi”, figure comiche che si ritrovano sempre uguali da una commedia all’altra, con lo stesso formulario di gesti e di linguaggio. I personaggi che si vengono via via creando sono assai numerosi, ma vanno tuttavia inscritti in strutture drammaturgiche rigide e che rispondono a canoni ben definiti, succede dunque che esse vengano raggruppate in poche categorie funzionali: due vecchi e due servi, poi confluiti rispettivamente nelle figure di Pantalone, del Dottore bolognese, Arlecchino e Brighella. Questi ultimi derivano in realtà da un unico personaggio, Zanni, il facchino bergamasco che compare fin dalle prime commedie.
Per circa due secoli tale tipologia di spettacolo rappresenta il Teatro “tout court” in tutta Europa, la sua influenza è chiara, soprattutto se si hanno presenti alcuni personaggi non italiani, come ad esempio Punch, versione inglese di Pulcinella, o Pierrot, Pedrolino o Petruška, tutti derivanti da Arlecchino. Nel Settecento si assiste ad alcuni importanti cambiamenti: lo sviluppo teorico della recitazione e della funzione dell’arte teatrale per la società. Il maggiore studioso dell’epoca è Diderot, filosofo illuminista autore di testi teatrali che si inseriscono nel nuovo filone del dramma borghese; egli pone i fondamenti dottrinali della “tragédie domestique” anche detta “genre serieux”. In Francia si sviluppa infatti una nuova tipologia di opera, definita “dramma”. Il “dramma” tuttavia trova la sua massima definizione sul piano teorico in Germania, grazie all’opera di Gotthold Ephraim Lessing (1728-1781). Sempre in Germania nasce in questo periodo l’innovativa figura del “Dramaturg”, ossia una persona che svolge l’importante ruolo di proporre il repertorio, di allestire i testi per la scena, di rielaborarli o di produrli egli stesso.
In Italia i grandi nomi sono Pietro Metastasio (1698-1782) per il melodramma, per la commedia Carlo Goldoni (1707-1793). Metastasio esalta l’importanza del libretto, a discapito della musica e del canto, semplifica il linguaggio poetico e migliora la caratterizzazione dei personaggi. Da grande uomo di teatro, Metastasio affida al proprio testo poetico una fortissima carica scenico-musicale, senza preoccuparsi dell’organicità di tutti gli aspetti dello spettacolo. Goldoni è uno dei drammaturghi più prolifici, la sua intera opera offre una più che diversificata serie di situazioni che si svolgono attraverso un “quotidiano parlare” e si basano su un’attenta rappresentazione del reale. Goldoni critica gli schemi della commedia dell’arte, la banalità delle sue convenzioni, la comicità volgare e plebea. La “riforma” del teatro goldoniano afferma la preminenza del testo scritto sulla caoticità dell’improvvisazione; il suo elemento determinante è il richiamo alla “natura”, che impone un continuo confronto con la realtà quotidiana. I libri su cui l’artista si è formato sono il “mondo” e il “teatro”, il primo di questi gli ha mostrato i “caratteri naturali” degli uomini, il secondo gli ha insegnato la tecnica della scena e del comico, e i modi per tradurla in comunicazione pubblica.
Dopo Goldoni e il suo “teatro” che attinge dal “mondo”, dopo il fascino e la ricchezza dell’opera del più grande commediografo del nostro Settecento illuminista, eccoci arrivati all’Ottocento.
Discorrendo per sommi capi, possiamo dividere il secolo a metà: nella prima metà si diffonde il dramma romantico, collegato agli ideali dello “Sturm und Drang”, tipicamente esaltati in Germania, da autori come Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich Schiller; nella seconda metà invece predomina il dramma borghese, vicino agli ideali veristi e del naturalismo, che trovano in Verga e in Hugo i massimi esponenti.
Agli ideali romantici si rifanno anche autori come Manzoni, con l’ “Adelchi” e Silvio Pellico con la sua “Francesca di Rimini”.
L’Ottocento è però anche il secolo degli artisti anticonformisti, ben esemplificati dalla figura di Oscar Wilde, che nel suo “society drama” porta in scena i sentimenti di chi non vuole sentirsi parte della società.

In linea di massima, durante il XIX secolo, tutto è incentrato sul nuovo gusto di rappresentare Shakespeare, dilatando tutte quelle parti che si prestano ad azioni di massa.
In Inghilterra il teatro ottocentesco è caratterizzato da un’estrema povertà di testi drammatici, le opere di questo periodo sono in realtà semplici occasioni per fare spettacolo, si tratta di testi classificati in base al genere d’appartenenza, non importano più gli autori o il contenuto. Così accanto al “gotich drama”, incentrato su storie di fantasmi, troviamo addirittura il “dog drama” dove i protagonisti altri non sono che cani ammaestrati. Lo spettacolo non è più il momento comunicativo del testo, ma il testo diventa mera funzione dello spettacolo, fino ad arrivare allo “spoken dramas”, una sceneggiatura in pura e semplice prosa. È opportuno ricordare che una comune serata teatrale inglese durava in realtà circa cinque ore; tuttavia, dopo la prima parte della recita, il costo dell’ingresso veniva dimezzato e ciò comportava che lo spettacolo stesso si modificasse per trasformarsi in una serie di pantomime, balletti o altre tipologie di intrattenimento.
Diversa è la situazione a Parigi, dove nei primi anni dell’Ottocento si assiste ad un enorme sviluppo dell’apparato spettacolare dei melodrammi, soprattutto da un punto di vista specialistico. Molti tecnici infatti criticano l’impianto scenografico all’italiana e propongono una struttura scenica più complessa, con elementi tridimensionali praticabili e l’apertura di spazi utili alla sperimentazione scenografica e illuminotecnica. Importantissime in tal senso sono le innovazioni di Louis Jacques Daguerre, il quale, attraverso il sapiente uso di macchinari specifici, propone stupefacenti scene paesistiche in movimento, con fenomeni naturali, o scenari cittadini in cui è esaltato il fervore della vita animata. Daguerre chiama questa tipologia di spettacolarizzazione “diorama”, studi che saranno alla base delle ormai prossime scoperte fotografiche. A partire dalla metà del secolo i gusti cambiano e iniziano a diffondersi spettacoli le cui tematiche spesso rappresentano inquietanti realtà, vicende opprimenti, ambientate in una Parigi tenebrosa e formicolante di quella stessa umanità di cui il pubblico è parte integrante.
Il Realismo si impone sul Romanticismo, sul palco le scene ricalcano ambientazioni quotidiane, ma filtrate attraverso una lente che ne accentua le tinte, rendendole lontane e quasi surreali. Il nuovo repertorio si basa sulla rivisitazione del dramma borghese, che assume come luogo privilegiato il salotto, dove si svolge la vita sociale.
La contro-risposta al teatro verista di fine Ottocento è data dalle forme spettacolari che si diffondono a partire dagli inizi del Novecento, fenomeni che possono rientrare nella denominazione “teatro contemporaneo”. Con tale definizione si intendono le rappresentazioni teatrali che si sviluppano nel corso del XX secolo, segnate da una comune ricerca di superamento della semplice figurazione della realtà; in seguito, con l’avvento del cinema e della televisione, si giunge a un’ulteriore linea di demarcazione tra il quotidiano e la verità teatrale, resa possibile dagli strumenti propri del teatro, quali la suggestione, l’affabulazione e il gioco immaginifico che si instaura tra attore e pubblico. Si parla anche di “teatro di narrazione”, quando gli spettacoli si fanno particolarmente vicini agli antichi modelli dei cantastorie e nel contempo prendono notevolmente le distanze dal teatro verista ottocentesco.

La più grande rivoluzione del Novecento – dal punto di vista della storia del teatro – è la centralità dell’interprete. Da teatro della parola si passa al teatro dell’azione, del gesto, della “performance” interpretativa dell’attore, come sostiene il celebre teorico Konstantin Sergeevič Stanislavskij. Tale approccio metodologico porta, nel 1931, alla nascita del Group Theatre, che rimarrà attivo per circa una decina d’anni; il gruppo fondatore finisce per sciogliersi, ma la ricerca prosegue e personalità come Stella Adler, Lee Strasberg e Sanford Meisner continuano a portare avanti gli ideali dei primordi. Strasberg dirigerà poi dagli anni Cinquanta agli Ottanta l’ Actor’s Studio, forse la migliore fra le scuole di recitazione di tutti i tempi, in cui si sono formati anche Marlon Brando, Al Pacino, Robert De Niro. L’affermarsi delle avanguardie storiche apre la via alla sperimentazione di nuove forme di teatro, come il “teatro della crudeltà” di Antonin Artaud, la drammaturgia “epica” di Bertolt Brecht, e, successivamente, il teatro dell’assurdo di Samuel Beckett e Eugène Ionesco.
Da non dimenticare anche il dramma psicologico di Pirandello, che domina le scene del teatro italiano e non solo. I caratteri dei suoi personaggi si scompongono in uno scontro tra le forme paradossali e distorte che ciascuno di essi è costretto ad assumere: la rappresentazione teatrale rivela come ogni essere umano sia insidiato dalla duplicità, dalle maschere, da ciò che lo sguardo degli altri proietta su di lui. I personaggi scavano nelle pieghe dei loro rapporti con un cerebralismo incontenibile.
Altro nome da annoverare è Gabriele D’Annunzio, uno dei massimi esponenti del Decadentismo, il quale utilizza nelle sue tragedie, dal mondano gusto liberty, un linguaggio aulico e forbito, invaso dall’onda della parola preziosissima. Una importante considerazione va rivolta ad Achille Camapanile, geniale anticipatore del teatro dell’assurdo.
In Germania spiccano nomi come Vladimir Majakovskij e Erwin Piscator direttore del Teatro Proletario di Berlino e Ernst Toller il principale esponente teatrale dell’espressionismo tedesco.
Due parole sono dovute al rapporto tra il regime dittatoriale e il teatro. Gli studiosi concordano nel ritenere che non esista un “teatro fascista”, ma di fatto il fascismo “intuì subito l’importanza (o la pericolosità) del palcoscenico” (Biondi), soprattutto per ottenere il consenso dell’opinione pubblica borghese, quello stesso ceto medio a cui piaceva assistere alla commedia di costume, chiamata poi “delle rose scarlatte”. Altra tipologia di spettacolo che in quel periodo riscuote notevole successo è quello di Aldo De Benedetti, detto teatro “dei telefoni bianchi”, poiché in scena vi era sempre un telefono bianco, simbolo di adesione alla modernità; si tratta di rappresentazioni stereotipate, dalle trame abbastanza banali, tutte giocate sul classico triangolo amoroso, il cui fine è solamente quello di intrattenere e far divertire – “panem et circenses” direbbe qualcuno.

Quello che non è riuscito ad ottenere il fascismo, ossia un teatro di massa, riesce a raggiungerlo il teatro di varietà che, con le scene pompose, le musiche irruenti, le ballerine ammiccanti e le irriverenti battute dei comici, ottiene la partecipazione del grande pubblico. Caratteristica del varietà è la sua nota estemporanea, il copione si adatta all’attualità e agli avvenimenti politici, rendendo impossibile un controllo censorio sull’agire degli attori; non solo, il varietà comporta il trionfo dell’uso del dialetto, come ben esemplificano le farse di De Filippo.
Nel secondo dopoguerra arrivano nuovi stimoli a pungolare l’evoluzione del teatro. Gli anni Sessanta e Settanta sono le decadi della filosofia hippie, dell’avvicinamento a certe discipline del mondo orientale per far riemerge la natura istintiva dell’uomo, intrappolata e resa dormiente dalla moltitudine di regole che disciplinano la vita in società. Il nuovo sentire si riflette nel teatro, l’esibizione davanti al pubblico non è più solo un semplice spettacolo teatrale ma un’occasione di crescita personale. Il nuovo approccio si fa evidente in diverse realtà, basti pensare all’Odin Teatret di Eugenio Barba, al teatro povero di Jerzy Grotowski, al teatro fisico del Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina. Le avanguardie italiane non sono altro che una sfilza di grandi nomi, ciascuno meritevole di un inchino nel mentre che li si legge: Eduardo De Filippo e Dario Fo, Carmelo Bene (uno dei principali esponenti del teatro sperimentale), Leo De Berardinis, o ancora Luchino Visconti, (più noto forse in ambito prettamente cinematografico). Ovviamente anche il resto del mondo ha i suoi nomi da giocare, in Germania troviamo ad esempio Rainer Werner Fassbinder, in Francia Jean Genet e in Svizzera Friedrich Dürrenmatt (1921-1990). Degno di nota è ancora il polacco Tadeusz Kantor (1915-1990) pittore, scenografo e regista teatrale tra i maggiori teorici del teatro del Novecento. Il suo spettacolo “La classe morta” (1977) è tra le opere fondamentali della storia del teatro.
Molte altre figure meriterebbero di essere annoverate, così come numerosissime altre correnti, avanguardie e sperimentazioni, ma dato che sto scrivendo un articolo e non un saggio, mi trovo costretta, seppur con cuore pesante, a fare una selezione. Eccoci dunque arrivati al termine della nostra riassuntiva storia del teatro e con l’usuale speranza di avervi allietato e incuriosito mi accingo a salutarvi. Prima però mi tolgo un piccolo sfizio personale, perché desidero ricordare due personaggi tra i miei preferiti del Novecento in ambito teatrale. Il primo è Luca Ronconi, un grande innovatore, il suo modo di fare teatro e regia non ha termini di paragone. È un attore che è anche regista e ciò comporta un’attenzione tutta nuova sulla messa in scena. Per Ronconi il teatro implica la definizione di spazio, ma uno spazio completamente nuovo, che assume le forme degli stati d’animo dei personaggi delle storie rappresentate. Molto spesso si tratta di spazi tormentati, pregni di elementi simbolici che gli spettatori colti dovrebbero intendere – soprattutto dopo aver letto un esaustivo commento dal carattere didascalico di quello che si è andati a vedere – Altra peculiarità del teatro ronconiano è il tempo: ciò che avviene sul palcoscenico non ha ordine cronologico, le azioni si sovrappongono e si succedono come in una straniante dimensione onirica in cui lo spazio-tempo non esiste. Il regista pare lanciare un’ancora di salvezza agli spettatori utilizzando molto spesso delle didascalie, ma noi -pubblico attento – sappiamo che non ci si deve mai fidare troppo degli artisti contemporanei. Tali didascalie, infatti, altro non sono che parole chiave per aiutarci a capire la messa in scena, ma, diciamo la verità, per comprendere appieno uno spettacolo di Ronconi serve qualcosa di più che qualche termine sparso qua e là.

Il secondo personaggio che vorrei indicarvi è il visionario regista lituano Eimuntas Nekrošius, i cui spettacoli sono tanto affascinanti quanto intellettualmente complessi. Spiegare la poetica di Nekrošius è davvero complicato, la difficoltà è la medesima di cui parla Kafka ne “Un digiunatore”: “Si provi a spiegare a qualcuno l’arte del digiuno! Chi non la conosce, non può neanche averne l’idea”. Il regista lituano dimostra come sia possibile attingere dalla tradizione e al contempo rileggerla alla luce di nuove prospettive critiche ed estetiche. La messinscena è un organismo vivente che racconta storie, muove i personaggi come fossero burattini e determina l’avvio di meccanismi passionali che sfuggono al naturalismo psicologico e non è mai intaccato “dal morbo dell’autoriflessività che si è impadronito totalmente del teatro occidentale” (Valentini). Le opere di Nekrošius sono un’estrema sintesi di opposti, astratto e concreto, tragico e comico, descrizione e narrazione, uniti dalla fusione dialettica dei contrari in una caratterizzazione dinamica che richiama alla memoria l’idea del “montaggio delle attrazioni” teorizzata da Ejzenštein.
Se non avete mai visto uno spettacolo di Nekrošius, probabilmente non avrete capito granché di ciò che ho appena detto, ma l’ho fatto apposta, per invitarvi ad andare su youtube, digitare il suo nome e lasciarvi perdere nel suo mondo onirico e allucinato, così tanto lontano dalla nostra visione spocchiosamente eurocentrica. Un ultimo consiglio, se non sapete da dove iniziare cercate una registrazione del suo “Makbetas”, che marcia inesorabile verso la morte mentre il mantello gli diviene pesante, e nel contempo basculano sul palco delle enormi travi di legno, simbologie di metronomi che scandiscono l’azione che precipita e il destino che si compie. Con quest’ultimo consiglio enigmatico vi saluto davvero, cari lettori, e vi invito a trascorrere un po’ del vostro tempo libero in compagnia di personaggi bislacchi, al limite dell’umana comprensione, che, come i matti, sproloquiano la verità, mentre il resto del mondo finge di non udirli.

Alessia Cagnotto

Al via la dodicesima edizione del Torino Jazz Festival

 

 

Dal 20 al 30 aprile si tiene la dodicesima edizione del Torino Jazz Festival, con undici giorni di programmazione, 104 appuntamenti di cui 57 concerti e 280 musicisti e 73 luoghi coinvolti

Il Torino Jazz festival 2024 reca la firma di Stefano Zenni quale direttore artistico ed è un progetto realizzato dalla Fondazione per la Cultura di Torino, con il sostegno del Ministero della cultura e di Fondazione CRT, Main partner Intesa San Paolo e Iren, con il contributo di ANcos e Confartigianato Imprese Torino, in collaborazione con Turismo Torino e Provincia.

Il festival si presenta come uno dei più ricchi di sempre, una carrellata di eventi in cui si susseguono grandi concerti sui palchi e nei club, conferenze, presentazioni di libri, proiezioni cinematografiche.

“Il Torino Jazz Festival, giunto alla sua dodicesima edizione- spiega il sindaco di Torino Stefano Lo Russo – ha registrato un crescente successo confermandosi una delle realtà culturali più riuscite della nostra città, grazie alla sua capacità di diffondersi sul territorio, coinvolgendo tutta la comunità e conquistando il calore e l’affetto del pubblico. Anche quest’anno l’offerta di eventi in cartellone è ricchissima e di elevata qualità artistica, con un’attenzione particolare per i più giovani, con eventi speciali e biglietti al prezzo simbolico di 1 euro per invitarli a scoprire la musica dal vivo, e un grande concerto per celebrare la festa della Liberazione. Siamo pronti a dare il via a questa nuova edizione e ringraziamo tutti gli artisti, lo staff del festival e la direzione artistica per il grande lavoro che la rende possibile”.

Il programma non avrà un’unica sede, ma sarà diffuso sul territorio, dal teatro Regio al Piccolo Regio, dal teatro Vittoria all’Hiroshima Mon Amour, il Teatro Alfieri, il Monterosa, il teatro Colosseo, la casa Teatro Ragazzi e giovani, il bunker, l’Auditorium Giovanni Agnelli e la Sala 500 del lingotto, il CAP10100.

Il Torino Jazz festival 2024 celebra Duke Ellington, a cinquanta anni dalla scomparsa, e il ritorno in città di John Zorn dopo molti anni di assenza. TJF 2024 si aprirà alle tante forme del jazz, accogliendo i grandi musicisti che celebrano la tradizione più alta e vitale, lasciando spazio alle ibridazioni con i generi più disparati, dal rapper all’elettronica, dal soul al folk, dalla classica al rock, che da sempre ravvivano la parola jazz in senso autenticamente contemporaneo, invitando alla scoperta di artisti ancora poco conosciuti e promuovendo la creazione di musica che si rivolge a un nuovo pubblico, festeggiando la gioia di ritrovare i vecchi maestri.

“Un festival oltre le categorie, come direbbe Ellington – sottolinea il direttore artistico Stefano Zenni – ma anche oltre i confini ( non solo geografici) dove le persone si ritrovano nel nome di una musica, il jazz, nata per celebrare una comunità libera.

Nuove produzioni ed esclusive dai musicisti alla grandi figure della scena mondiale, tra i quali Dave Holland, Christian McBride, Gonzalo Rubalcaba, John Zorn e Roscoe Mitchell, Paolo Fresia, Fatoumata Diawara, Mats Gustafsson, Steve Lehman, Marta Warelis, SaKira Abdou, Alexander Hawkins, Matthew Wright, Roberto Gatto, Francesco Bearzatti e tanti altri.

Le giornate del 20 e 21aprile, rispettivamente sabato e domenica, saranno dedicate ad anteprime del Jazz Festival con vari appuntamenti, quali la JST Jazz Paride, accompagnata dall’animazione Lindy Hop a cura de “La bicicleta”, che si esibirà nei quartieri per far rivivere la tradizione delle band itineranti. Partenza dal mercato di Porta Palazzo con tappa in piazza Palazzo di Città per l’inaugurazione della mostra Suspended Groove, a cura del Collettivo fotografi jazz torino e dedicata alle passate edizioni del Torino jazz festival. Al termine tappa alle Gallerie d’Italia, in piazza San Carlo.

Sabato 20 aprile inaugura una mostra fotografica dei maestri Patrizio Gianquintieri e Massimo Novo dal titolo “Teranga…. Mon amour. Souvenir du Sénégal”,sintesi di un viaggio a Saint Louis, città alla foce del fiume Senegal, per assistere al Torino Jazz Festival.

Domenica si rinnova la collaborazione con il castello di Rivoli, museo di arte contemporanea, con un concerto di Valeria Sturba con il suo set onirico e colorato, dove pizzica corde, spinge pulsanti, gira manopole, aggiunge o moltiplica suoni, creando piccoli mondi paralleli in cui voci soavi si confondono con canzoni dolci e theremin, sprofondando in abissi di noise.

Particolarmente evidente anche la collaborazione tra il Museo del Cinema e il Torino Jazz Festival, capace di riannodare i fili che legano il cinema e la musica jazz. Verranno proiettati tre documentari realizzati dal 2010 al 2022 da Mathieu Amalric su John Zorn, intraprendendo con lui un viaggio musicale senza fine. La collaborazione tra il museo del cinema e il TJF si inserisce ancora più nel vasto programma di concerti, partecipando all’omaggio a Duke Ellington con la proiezione di tre film la cui colonna sonora è curata dal maestro, tra i quali Blues Paris di Martin Ritt. Il terzo appuntamento è dedicato all’incontro straordinario tra Franco Maresco e Steve Lacy, che suonerà brani del Duca. In occasione della nascita di Duke Ellington, Franco Maresco commissionò a Steve Lacy l’esecuzione di dieci brani del Duca, che vennero registrati e filmati a Palermo. Oggi a vent’anni dalla morte di Lacy e a cinquanta da quella di Duke, quel materiale inedito riemerge dall’archivio del grande regista siciliano.

Ad aprire i concerti del main lunedì 22 aprile al teatro Alfieri Dave Holland con Kevin Eubarks e Eric Harland.

Il jazz sapientemente dosato nel concerto da questo power trio ci riporta al Dave Holland degli esordi, quello che veniva chiamato da Miles Davis a suonare in capolavori assoluti del jazz rock come “In a silent way” e “Bitches Brew”, prima di avviare una brillante carriera da solista in qualità di contrabbasso, compositore e didatta.

Martedì 23 aprile al teatro Colosseo Christian Mc Bride si esibirà. Otto volte vincitore di Grammy, contrabbassista, compositore e Bandeader, Mc Bride è il direttore artistico dello storico Newport Jazz festival. Mercoledì 24 aprile sarà la volta del Gonzalo Rubalcaba trio, al teatro Colosseo alle 21. Rubalcaba è oggi uno dei pianisti jazz più celebrati al mondo. Suonerà a Torino con due storici collaboratori, il bassista Matt Brewer e il batterista cubano Ernesto Simpson.

Giovedì 25 aprile, in mattinata, alle 11.30, la pianista Marta Warelis suonerà, dimostrandosi debitrice degli insegnamenti di maestri come Cecil Taylor, ma anche capace di esprimersi in maniera personale, ora con foga, ora con delicatezza, preparando il pianoforte con sonorità inconsuete e suggestive.

Alle 18 suonerà all’Hiroshima Mon Amour Sélébéyone, un gruppo in cui spicca la figura di Steve Lehman. Combinando insieme jazz sperimentale e liriche rap, sia in inglese sia in wolfgang, idioma parlato tra Senegal, Gambia e Mauritania, Sélébéyone non si limita ad un superficiale lavoro di unione tra linguaggi, ma trova nuove strade per le diverse qualità armoniche ritmiche e melodiche dei generi, fondendo l’improvvisazione del jazz contemporaneo con la immediatezza contagiosa dell’hip hop. Il risultato è un discorso che esplora nel profondo misticismo e spiritualità attraverso la lente della musica sperimentale.

Alle 21, al teatro Regio, nell’ambito delle celebrazioni istituzionali per l’anno 2024, promosse dalla città di Torino, dal comitato Resistenza e costituzione della Regione Piemonte, con Fondazione Polo del ‘900 e fondazione per la cultura Torino, il festival si unirà alle celebrazioni con il concerto della cantante Fatoumata Diawara, in uno spettacolo idealmente dedicato alla gioventù resistente e in particolare a Dante Di Nanni, a ottant’anni dalla morte.

La presenza di Fatoumara Diawara vuole ricordare la centralità della musica di oggi nell’esaltazione dei valori storici e attuali della Resistenza.

La grande cantate del Mali, paladina dei diritti delle donne, maestra nella fusione di stili e suggestioni senza confini, chiuderà la giornata di appuntamenti per l’anniversario della liberazione in un clima di festa, danza e comunione sociale, aperto a tutta la cittadinanza.

L’artista porterà in tour un concerto basato largamente sul suo ultimo disco London ko, con il quale reinventa la musica africana tradizionale, unendo le proprie radici mandinka a suggestioni afrofuturistiche e influenze afrobeat, jazz e pop.

Il concerto è a ingresso gratuito, con prenotazione obbligatoria dal 17 aprile, alle ore 10, sul sito www.torinojazzfestival.it

Mara Martellotta

Lo Zecchino d’oro show approda a Torino

 

Dopo il grande successo dello scorso anno prosegue nel 2024 lo Zecchino d’oro show, un evento teatrale che racconta il mondo dello Zecchino d’oro, facendo ballare e cantare adulti e piccini sulle note di alcune delle canzoni più famose della storia canora.

Dopo l’appuntamento al teatro Regio di Parma, lo spettacolo farà tappa a Torino il 27 aprile al teatro Colosseo e a Bologna al Teatro delle Celebrazioni il 28 aprile.

Lo Zecchino d’oro Show, nato dalla collaborazione tra Antoniano, Stefano Francioni produzioni e Friends TV, porta in scena il piccolo coro dell’Antoniano diretto da Sabrina Simoni e la musica che ha accompagnato generazioni di bambini e di bambine, trasformandola in uno spettacolo interattivo durante il quale gli spettatori vengono trascinati in un’avventurosa caccia al tesoro.

Sul palco insieme ai bambini e alle bambine di età compresa tra i 4 e i 12 anni del piccolo coro, saliranno anche i due fratellini attori Gregorio e Sabina e la mascotte Nunù, l’asinello più famoso d’Italia, che metteranno in scena i brani più indimenticabili della manifestazione canora, dai 34 gatti, passando per io Katalicammello e il Panda con le Ali. Uno show per i bambini di oggi ma anche per quelli di ieri.

“Lo Zecchino d’oro è un’esperienza immersiva fatta di suggestioni sonore ed effetti speciali che danno vita a un mondo di musica e canzoni radicato nell’immaginario collettivo, creando un momento spensierato per le famiglie – spiega la direttrice del Piccolo Coro dell’Antoniano Sabrina Simoni”. Passione e entusiasmo sono energie che ogni giorno accompagnano il coro e che, in queste occasioni, vogliamo condividere e portare sul palcoscenico attraverso la musica e le storie più amate dal grande pubblico”.

“Da sempre il piccolo coro si fa portavoce dei valori dell’Antoniano quali accoglienza, solidarietà, uguaglianza, cura delle persone e dei più fragili. Un impegno costante trasmesso al grande pubblico attraversi i linguaggi universali della musica, dell’arte e della cultura – spiega Giampaolo Cavalli, direttore dell’Antoniano.

Mara Martellotta

Serate torinesi di cultura, dal Museo di Scienze naturali alla Pinacoteca Agnelli (con vista sulla città)

Scopri – To

Alla scoperta di Torino

Torino apre le porte dei suoi musei anche di sera per degli spettacoli culturali molto accattivanti per qualunque tipo di pubblico. Tra le serate più famose vi è senz’altro “Una notte al museo delle Scienze Naturali”, la serata, organizzata dal club Silencio, prevede la visita al museo con musica dal vivo, luci soffuse e drink. Questo per permettere a qualunque fascia di età di poter accedere ad una visione nuova della cultura, più vicina alle esigenze giovanili e interessante anche per i più grandi. Il contesto permette la socializzazione perché la musica ha un volume moderato e per chi preferisce c’è anche la possibilità di fare delle visite guidate. Il Museo è suddiviso in tre aree; una prima parte con animali imbalsamati provenienti da tutto il mondo come leoni, giraffe, stambecchi, orsi e tantissimi altri. L’imbalsamazione animale, detta anche tassidermia, prevede di utilizzare solo la pelle dell’animale e riporla su un manichino che ne conserva le dimensioni originali.


Nella seconda sala, al centro, troneggia lo scheletro di una balena e nelle vetrine laterali un tributo ai viaggi nel corso del tempo con animali, fotografie storiche e numerosi reperti.
Nella terza sala, detta “la sala delle Meraviglie” troviamo dei reperti di dinosauri e delle pietre come il Topazio con Quarzo affumicato del Pakistan o la Rodocrosite, una pietra rosata proveniente dall’America. In questa sala troviamo anche una sezione dedicata alle nuove specie animali, come il particolare camaleonte del Madagascar o la rana dalle labbra bianche.

 


Questo museo è spesso visitato da numerosi turisti e classi scolastiche ma da quando si organizzano gli eventi serali l’affluenza aumenta giorno dopo giorno con un pubblico molto più vasto ed eterogeneo.

LA CULTURA SI DIFFONDE ANCHE PER ALTRE REALTA’

Il museo di Scienze Naturali non è l’unico a cimentarsi in questo tipo di serate, anche il Museo Egizio organizza spesso, soprattutto nei periodi primaverili e estivi, eventi di questo genere aprendo dalle 19.00 alle 24.00 dove spesso anche chi conosce già bene il museo ha il piacere di tornare per vedere i nuovi e continui allestimenti che vengono proposti.
Torino ha anche altre realtà culturali aperte la sera come le Gallerie D’Italia in piazza San Carlo all’interno di Palazzo Turinetti dove si trova una vasta esposizione di opere fotografiche, circa 7 milioni, legate ai temi della sostenibilità realizzate dagli anni Trenta agli anni Novanta. Il museo è aperto fino alle 22.30 e ha anche al suo interno una libreria, un caffè letterario e un ristorante.

Anche la Pinacoteca Agnelli all’ultimo piano del Lingotto offre numerosi capolavori artistici come i dipinti di Manet, Matisse, Modigliani e molti altri.
Numerossisimi i turisti che sfruttano le ore serali per andare a visitare la Reggia di Venaria aperta fino alle 22.30 il venerdì, il sabato e la domenica.
Per chi invece vuole inebriarsi di cultura ogni sera, sono tantissimi gli eventi proposti dai maggiori teatri sabaudi come Il teatro Regio che offre spesso spettacoli di opera lirica. Il teatro Colosseo con numerosi personaggi di successo come Vincenzo Schiettini che nel suo spettacolo di intrattenimento insegna fisica in modo semplice. Anche il teatro Gobetti, il teatro Gioiello e il teatro Erba ogni sera stupiscono la platea con sempre nuove rappresentazioni.
I torinesi amano la cultura e quando si riesce a riviverla in veste nuova rende l’esperienza ancora più accattivante e dal fascino unico per ogni tipologia di pubblico dai neofiti ai più esigenti.

 

NOEMI GARIANO

Rock Jazz e dintorni a Torino: Subsonica e Annalisa

/

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’Hiroshima Mon Amour suonano gli Ozric Tentacles. All’Inalpi Arena canta Annalisa.

Martedì. Al Museo d’Arte Orientale si esibiscono i Mohan Brothers. Al Concordia di Venaria è di scena Fulminacci. Allo Ziggy suona il percussionista Ryosuke Kiyasu.

Mercoledì. All’Off Topic per il festival transfemminista “Mind The Gap”, si esibisce la cantante Chiara Civello. Al teatro Colosseo arriva Samuele Bersani con orchestra. Al Folk Club suona il quartetto di Mark Stockhausen e Lino “Capra” Vaccina.

Giovedì. Al Circolo della Musica di Rivoli è di scena Arisa. All’ Hiroshima 2 concerti consecutivi “sold out” per i Marlene Kuntz, per celebrare il disco d’esordio “Catartica”. All’Off Topic canta Gaia Morelli. Al Colosseo la cover band Break Free interpreta le canzoni dei Queen.  Al Blah Blah si esibisce l’australiano Hugo Race.

Venerdì.  Al Blah Blah si esibiscono  gli Scat.  Al Massimo il chitarrista Teve Gunn sonorizza il lungometraggio “Vision in Meditation” del regista Stan Brakhage. Allo Spazio 21  suona il duo Circus Punk. All’Imbarchino si esibisce  il quintetto Sioxie &The Skunks. Al Folk Club è di scena il cantautore Pippo Pollina.

Sabato. Allo Spazio 211 suonano Bobby Joe Long’s Friendship Party . All’Inalpi Arena arrivano i Subsonica. Al Blah Blah sono di scena gli Estetica Noir. All’Off Topic si esibiscono Anna Castiglia mentre Giulia B è di scena al Magazzino sul Po. Al Barrio suonano Vision Divine  e Deathless Legacy. A El Paso si esibiscono i Cani Sciorri.

Domenica. All’Imbarchino suonano gli australiani Drunk Mums.

Pier Luigi Fuggetta

Nel giorno in cui nacque la creatrice Germana Erba il Liceo si fa ancora più bello

Con la realizzazione dell’insegna dipinta nei caratteri ‘G.E.T.’ sulla facciata

Nella data di nascita di Germana Erba, il 12 marzo, il Liceo Germana Erba, che porta il suo nome per volontà (e autonoma raccolta firme!) degli studenti si fa ancora più bello nella nuova sede in corso Moncalieri 203 a Torino dove occupa un edificio anni ’50 di architettura razionale con grandi e luminose finestrature affacciate da un lato sul corso e dall’altro sul verde della collina.

Infatti, onorati tutti i passaggi e i tempi burocratici che caratterizzano il mondo delle insegne (soprattutto in contesto contiguo alla collina!), È IL MOMENTO DELLA REALIZZAZIONE della scritta-logo dipinta sulla facciata.

Il compito è affidato alla Gerograf I.R.A, storicissima ditta specializzata in insegne addirittura dal 1919 e, in particolare a Enrico Guidetti e Leonardo Maiorano.

La data non è casuale e ha contribuito a determinarla anche il meteo degli scorsi dieci giorni…

E‘ il secondo anno scolastico di vita della nuova sede per questa Scuola di eccellenza, il primo Liceo italiano per danzatori, attori, cantanti e performer di musical, una realtà formativa stimata a livello nazionale, vitalissima „Saranno famosi“ con 30 anni di attività.
Già dal settembre del 2022 residenti, negozianti e passanti restavano colpiti dai giovani studenti-artisti che popolano il corso rendendolo speciale con chignon da danzatrice, note di musica classica o emozioni da musical, così come una scena shakespeariana o goldoniana accennata uscendo da scuola … adesso il sogno si realizza e il nome del LICEO GERMANA ERBA campeggerà in facciata con i caratteri del fortunato brand „Germana Erba’s Talents“ a indicare dove si trova la fucina di talenti delle arti performative, quel progetto in cui l’architetto-docente-ricercatrice Germana Erba seppe credere e per cui si batté sempre fino a dare pari dignità alle materie dello spettacolo, sempre saldamente unite a una solida formazione culturale.

Il Liceo Paritario Germana Erba per attori-danzatori-cantanti, gestito dall’ETS Fondazione Germana Erba, si caratterizza infatti per la formazione culturale e professionale di giovani con attitudini per la danza, il teatro, il musical, l’arte, la scenografia e lo spettacolo in tutte le sue forme. Insieme a una regolare istruzione di II grado, il corso di studi fornisce una specifica preparazione nelle discipline artistiche prescelte, creando figure professionali dotate di buone basi per un inserimento diretto nel mondo del lavoro in qualità di danzatori, attori, cantanti, conduttori, registi, coreografi e addetti alla comunicazione e per l’accesso a qualsiasi Facoltà Universitaria, agli Istituti AFAM (Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica) e alle Accademie di Belle Arti. Il Liceo Germana Erba, che nel 1995 ha ottenuto dal MIUR il riconoscimento della prima sperimentazione coreutica e nel 1998 di quella teatrale, e dal 2000 è Scuola Paritaria, offre l’Indirizzo Coreutico, primo e “pioniere” in Italia, che si avvale della metodologia della Scuola Nazionale di Cuba, ed è convenzionato con l’Accademia Nazionale di Danza e l’Indirizzo Teatrale, unico in Italia, che collabora con il Teatro Stabile Privato “Torino Spettacoli”. I diplomati sono 800 e lavorano in tutto il mondo.

Per incontrare i G.E.T. in teatro: Galà di arti performative al Teatro Colosseo (Torino, via Madama Cristina 71) sabato 25 maggio ore 21. Informazioni e prevendite:  Teatro Colosseo Torino

Doppio appuntamento con Giovedì Scienza

IL 7 MARZO DOPPIO APPUNTAMENTO CON GIOVEDÌSCIENZA

 

ORE 10 – SPECIALE SCUOLE: IL TALENTO DI ESSERE TE STESSƏ

ROSSELLA BRESCIA E GIULIO SCARPATI DIALOGANO CON OLTRE 1200 STUDENTI DI INCLUSIVITÀ E UNICITÀ

Teatro Colosseo, Torino
Incontro dedicato alle classi IV e V della scuola primaria e prima classe della scuola secondaria di primo grado. In collaborazione con Massimo Romeo Piparo e Teatro Colosseo

 

ORE 17,45 – UN VIAGGIO TRA GENI, MITOCONDRI E IL PIANETA TERRA PER CONOSCERE LE TEORIE DI UNA “BIOLOGA ERETICA”

Polo del ‘900 – Piazzetta F. Antonicelli – Via del Carmine, 14 Torino

 

 

Il 7 marzo l’appuntamento con GiovedìScienza è doppio.

Alle ore 10 al Teatro Colosseo, è in programma un incontro per parlare con oltre 1200 studenti delle scuole elementari e medie di passione, discriminazione, pregiudizi e sfide alla ricerca della realizzazione personale. Un viaggio tra paure, verità e vittorie quotidiane per imparare a vivere con gioia il disagio di crescere, di sentirsi un po’ diversi, di cambiare e vedersi cambiati.

Lo Speciale Scuole di GiovedìScienza in programma il 7 marzo al Teatro Colosseo vedrà due ospiti speciali dialogare con il pubblico di giovanissimi: l’attrice e conduttrice radio Rossella Brescia e l’attore Giulio Scarpati, protagonisti del musical Billy Elliot.  A moderare l’incontro Andrea De Beni, co-fondatore dell’associazione no-profit Bionic People e ideatore del podcast La tocco piano.

Partendo dalla vera storia del ballerino Philip Mosley, ben raccontata nel film e musical “Billy Eliot”, si partirà per un viaggio tra paure, verità e vittorie quotidiane; un percorso sulle “orme” di Billy Elliot che ci racconta come la danza, e l’attività fisica in genere, possa essere anche un supporto psicologico.

L’incontro è rivolto ai ragazzi dalla quarta elementare alla prima media – età di fondamentale importanza nello sviluppo della personalità e nella presa di coscienza delle proprie attitudini, capacità ed unicità – per capire l’importanza del mettersi in gioco giorno per giorno per valorizzare i propri talenti e vincere l’unico talent che conta: quello con sé stessƏ.

 

Alle 17,45 al Polo del ‘900 di Torino la scienza al femminile torna protagonista di GiovedìScienza, con l’ultimo appuntamento della rassegna dedicato alle donne di scienza. Si torna a parlare di biologia attraverso la storia di Lynn Margulis, la “biologa eretica” del ventesimo secolo. Un’eretica al microscopio. Lynn Margulis, una hippie tra geni, mitocondri e il pianeta Terra è il titolo della conferenza condotta da Paola Bonfante, professoressa emerita di biologia vegetale, Adriana Giannini, giornalista scientifica e Antonello Provenzale, Direttore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR a Pisa.

Tutti sappiamo che il nostro corpo ospita miliardi di batteri, il cosiddetto microbiota che tanto ne influenza il funzionamento. Quasi sconosciuta ai più è invece la teoria sostenuta da Lynn Margulis fin dagli anni sessanta del secolo scorso, che le è costata la nomea di “biologa eretica”: i discendenti di batteri che popolavano la Terra un miliardo e mezzo di anni fa sono presenti all’interno delle cellule eucariotiche (alghe, funghi, animali, piante) sotto forma di mitocondri e plastidi, organelli fondamentali per il funzionamento cellulare.

Inizialmente avversata, questa teoria, detta Teoria Simbiontica, è oggi riconosciuta come uno dei capisaldi dell’evoluzione. E passando dal micromondo della cellula all’intero pianeta, Lynn Margulis è stata una pioniera, insieme a James Lovelock, della Teoria di Gaia. Il suo fulcro è che la biosfera sia in grado di influenzare e addirittura regolare il clima della Terra, per mantenerlo in condizioni che permettono la presenza della vita.

 

L’ingresso alla conferenza delle 17.45 è libero fino ad esaurimento posti e l’incontro sarà tramesso anche in diretta streaming su www.giovediscienza.it. Modera Gianluca Dotti, giornalista e divulgatore scientifico.Per maggiori informazioni Tel. 0118394913 – WhatsApp 375 6266090 – gs@centroscienza.it

 

www.giovediscienza.it

Rock Jazz e dintorni a Torino. Jethro Tull e Paola Turci

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’Hiroshima Mon Amour serata in ricordo di Roberto “Freak” Antoni.

Mercoledì. Al Peocio di Trofarello si esibisce il batterista Aquiles Priester. Al Museo d’Arte Orientale suona il trio Sirom. Allo Ziggy si esibiscono le Asagraum. Al Blah Blah sono di scena i Constant Smiles con il duo Clementine Valentine. Al Circolo Mossetto si esibisce Federico Sirianni e il duo Merakee.

Giovedì. Al Cafè Des Arts suona il trio del chitarrista Christian Coccia. Al teatro Colosseo arrivano i “mitici” Jethro Tull di Jan Anderson. Al Blah Blah si esibiscono i Fvzz Popvli mentre al Magazzino sul Po è di scena il cantautore Lepre. Al Cap 10100 suonano i Tropea.

Venerdì. Al Circolo della Musica di Rivoli si esibiscono Enzo Avitabile e Peppe Servillo. All’Hiroshima è di scena Dente. Al Magazzino di Gilgamesh per la rassegna blues si esibisce il cantante LeBron  Johnson. Al Folk Club suona il leggendario sassofonista dei Blues Brothers Lou Marini. All’Off Topic si esibisce Ibisco mentre all’Imbarchino suonano i Big Cream. Al Blah Blah sono di scena i Fratelli Lambretta  Ska Jazz. Allo Spazio 211 si esibiscono i Vintage Violence.

Sabato. Al Concordia di Venaria canta Paola Turci. Al Cap 10100 hip hop con Sa-Roc. Alla Suoneria di Settimo si esibisce Lucio Corsi. Allo Spazio 211 è di scena Any Other. Allo Ziggy suona il duo Selofan.

Domenica. Al Blah Blah Punk rock con gli Hi Fi Spitfires.

Pier Luigi Fuggetta

Rock Jazz e dintorni a Torino: Massimo Ranieri e Paolo Benvegnù

/

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Cafè Des Arts suonano i 4 Strings Family. Recital di Massimo Ranieri per 2 sere consecutive al teatro Alfieri.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana si esibisce il quartetto del sassofonista Andrea Abbadia. Al Blah Blah suona il trombettista Ramon Moro. Al Jazz Club blues con Fast Frank mentre al Capolinea 8 si esibisce RednakS. Al Lambic sono di scena gli Umami.

Giovedì. Al teatro Colosseo doppia data per lo show “Human Nature” dedicato a Michael Jackson. Paolo Benvegnu è di scena all’Hiroshima Mon Amour. Al Jazz Club suona il quartetto della vocalist Mirella Gallo. Al Blah Blah sono di scena Swanz, Onyricon e Fabio Bosco.  Al Dash suonano i BlueSuitcase. Al Capolinea 8 è di scena Marco Nieloud. Al Magazzino sul Po si esibisce il cantautore Massimo Silverio.

Venerdì. All’Hiroshima si esibisce il Trio Marciano di Vito Miccolis e Mao. Al Teatro Alfieri “Queen At Opera” per tre giorni consecutivi. Allo Spazio 211 suona il duo Cyberpunkers. Al Magazzino di Gilgamesh blues con l’armonicista Nico Wayne Toussaint. All’Imbarchino suonano i Manticora e Unviable. Al Blah Blah si esibiscono Le Carogne.

Sabato. All’audiodrome di Moncalieri è di scena Nina Kraviz. Al Folk Club suona il quintetto As Madalenas. Al Bunker si esibisce Pearson Sound. Al Magazzino sul Po è di scena Marcobello. Al Blah Blah suonano i Dobermann.

Pier Luigi Fuggetta

Rock Jazz e dintorni a Torino: Claudio Baglioni e Mario Venuti

/

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Cafè Des Arts suona il trio Liquid Jazz. Al Lambic si esibisce Mario Venuti.

Martedì. Al Blah Blah è di scena Daniele Guerini.

Mercoledì. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Alex Wise. Al teatro Colosseo tributo a Ennio Morricone proposto dall’Ensemble  Symphony Orchestra. All’Osteria Rabezzana è di scena Oscar  Gianmarinaro degli Statuto. Al Blah Blah suona il quartetto Phat Dat.

Giovedì. Al Cafè Neruda si esibisce il quartetto di Alfredo Ponissi. All’Inalpi Arena (ex Pala Olimpico), primo di 3 concerti consecutivi per Claudio Baglioni. Al Blah Blah suonano Andrea Manges & The Veterans con i The Odorants. Al Capolinea 8 suona il trio di Flavio Bonifacio.Al teatro Colosseo doppia data con lo spettacolo dantesco “Paradiso XXXIII” per Elio Germano e Teho Teardo. All’Hiroshima è di scena Umberto Maria Giardini. Al Museo d’Arte Orientale si esibisce il duo Ya Tosiba. Al Jazz Club tributo ai Beatles con Vince Tempera.

Venerdì. All’Imbarchino è di scena il duo AB Uno. All’ Hotel Hilton si esibisce il quartetto della vocalist Denise King. Allo Spazio 211 suonano I Bachi di Pietra. Al Magazzino sul Po sono di scena i Mundial. Allo Ziggy suona Sylvaine con Die Sunde. Al Blah Blah si esibiscono i DSA Commando. Al Circolo Sud sono di scena I Principi. All’Off Topic si esibisce la cantante Flo.

Sabato. Al Blah Blah suonano gli Skarabazoo. All’Auditorium del Lingotto canta Luca Barbarossa per il Giorno della Memoria. Al teatro dei Bottoni di Candiolo sono di scena gli Animaux Formidables. Michele Gazich e Federico Sirianni rendono omaggio a Michele Straniero al Folk Club. Allo Ziggy suonano gli Aneurysm. Al Magazzino sul Po si esibiscono i Dub Pigeon. Allo Spazio 211 è di scena Marta Tenaglia.

Domenica. Sempre al Magazzino sul Po suona il Jazz RapSody Collective.

Pier Luigi Fuggetta

(Foto: una pagina de La Stampa)