PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione
Oggi Paolo Genovese sembra tirare le somme di tutto e di tutti, con una perfidia senza mezzi termini e uno spiattellamento che se all’inizio spingono lo spettatore al sorriso e alla risata man mano lo indirizzano verso il soffocamento visivo, con tanto di presa di coscienza da parte di qualcuno, quasi la serata fosse una teca blindata da cui è impossibile uscire
Metti una sera a cena, avrebbe detto il napoletano Patroni Griffi sul finire degli anni Sessanta, di decennio in decennio Scola prima, tra una terrazza e una cena, Virzì poi a fustigare destra e sinistra vacanziere al mare in Ferie d’agosto sino all’ultima recentissima infornata, con I nostri ragazzi di Ivano De Matteo, Il nome del figlio di Francesca Archibugi e Dobbiamo parlare di Sergio Rubini, per non dire degli ultimi anni fulminati dal Carnage di Polanski . Un excursus che forse dimentica qualcuno ma che si fa forte delle tante occasioni di una semplice cena improvvisata o stabilita, comunque messa lì a far da perfido imbuto pronto a raccogliere le confessioni, l’acidità delle battute, l’esplosione delle parole troppo a lungo tenute nel fondo della gola, gli sfoghi, le menzogne, i giochetti, i sotterfugi multipli, le incomprensioni, le schifezze, le esistenze politicamente corrette. Con Perfetti sconosciuti, oggi, Paolo Genovese sembra tirare le somme di tutto e di tutti, con una perfidia senza mezzi termini e uno spiattellamento che se all’inizio spingono lo spettatore al sorriso e alla risata man mano lo indirizzano verso il soffocamento visivo, con tanto di presa di coscienza da parte di qualcuno, quasi la serata fosse una teca blindata da cui è impossibile uscire. E le boccate d’aria non sono le uscite in terrazza a guardare l’eclisse di luna, anche quelle possono riservare delle sorprese amare.
Insomma, immaginate tre coppie. Ci sono i padroni di casa, Marco Giallini e Kasia Smutniak, lui chirurgo estetico di umili origini (“mamma fruttarola”), psicanalista lei ben piazzata per parte di padre, con una figlia non ancora diciottenne, pulitina ma bisognosa di quattrini e di consigli paterni soprattutto, c’è Valerio Mastandrea che conduce una vita a due con Anna Foglietta sempre più agli sgoccioli, c’è Edoardo Leo, tassista sporcato dal ghiribizzo degli affari, fresco sposo dell’amorevole Alba Rohrwacher. Arriva anche Giuseppe Battiston, due bottiglie in mano ma senza fidanzata, è un po’ influenzata, stasera non verrà, combiniamo per la prossima volta. In questo gruppo compatto, tutto d’un pezzo, specie i maschi che stanno insieme da una vita, calcetto e avventure, le donne sono un’appendice arrivata dopo, immaginate anche che Kasia butti lì il desiderio di fare un gioco, tanto non abbiamo nulla da perdere, non è vero?, mettiamo sul tavolo i nostri cellulari e in viva voce rispondiamo a chiamate, messaggi, whatsapp e quant’altro. La parte minore sarà quella innocua, la maggior parte dei trilli non arriverà mai senza affanni e spiegazioni. Forse sul finire il film allinea innesti oltre il dovuto e l’immaginabile, per la serie ma quanti scheletri hanno ‘sti tipi negli armadi, però Perfetti sconosciuti resta un piccolo capolavoro di scrittura – la sceneggiatura è firmata da Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini, Rolando Ravello e dallo stesso Genovese – e di meticolosa regia al microscopio come una delle commedie italiane (all’italiana?) più perfette di questi ultimi anni, con un gruppo d’attori che certo smettono di recitare e danno brandelli di vita faticosi e autentici (Leo, Mastandrea e Giallini in testa), senza dubbio mille gradini al di sopra di certa sottoproduzione (non soltanto i cinepanettoni di desichiana memoria) che circola in qualsiasi mese della stagione cinematografica, dandoci la certezza che anche i film italiani belli possono davvero esistere. Tutto è vero, tutto è crudele, mai scontato, quella scatola nera inghiotte tutto e tutto scarnifica. Diceva Gabriel Garcia Marquez che in ognuno di noi esiste una vita pubblica, una privata e una segreta: Genovese ci fa pensare quanto di quest’ultima abbia invaso le nostre esistenze. L’escamotage finale che non anticipiamo e che potrebbe riavvolgere la pellicola per lasciare Battiston sotto le luci di una notte a fare quegli esercizi fisici che lo rimetteranno in forma, non cancella certo tutta la possibilità della serata. Una sorta di “sliding doors” che non riporta i sorrisi e le risate. L’ipocrisia sta al fondo delle scale di casa e la vita continua.