"Gli occhi dell'inferno"

TATOLIBRO2TATOLIBROE’ dalla penna di Fabio Santoro, avvocato, classe 1984 napoletano  di nascita, e londinese d’adozione, che prendono vita le avventure di Paolo Mori. Fabio Santoro, gia’ autore della “Bara Vuota” , ha scelto cosi’ di far proseguire le vicende del suo protagonista ne ” Gli occhi dell’inferno” edito da golem Edizioni, e di dedicare un sito internet  www.paolomori.com, a questo personaggio, un modo per dargli letteralmente vita

Londra, ore 4:17 del mattino: l’ispettore Crowe viene svegliato da una telefonata. E’ il detective Julie Pitt, bella, bionda, ma sopratutto una delle detective piu’ promettenti di tutta Scotland Yard. ” Sua Maesta’ ” e’ tornato a colpire. Cosi e’ stato ribattezzato il  killer che da anni oramai, non da pace agli esperti di investigazione, per via della corona di sangue che disegna sul muro piu’ vicino alla sua vittima. La numero 22, Isabelle Mc Shane. Suo padre, Sir Ian Mc Shane, siede alla camera dei Lord.  Questa scia di sangue, dopo anni di indagini, non ha ancora nessun punto da cui partire, fino a che l’Ispettore Capo Ben Crowe, si imbatte in un conoscenza di vecchia data: Paolo Mori. L’avvocato partenopeo, approdato nella capitale inglese per una conferenza universitaria, destando il malcontento della storica fidanzata Rosa, si trovera’ inevitabilmente coinvolto in un’ indagine mortale e impossibile. Dopo gli eventi della ” Bara vuota” infatti, Mori ha cercato di ricostruirsi una vita tranquilla , lontano da situazioni pericolose. Ma ” spesso cio’ che e’ avulso dal quotidiano e’ vicino alla propria natura” consapevole del bene, ma affascinata dal male quella di Mori, lo portera’ in prima fila nelle indagini per catturare un mostro pronto a colpire di nuovo. E forse proprio Rosa potrebbe essere la nuova vittima.

TATOLIBRO 4E’ dalla penna di Fabio Santoro, avvocato, classe 1984 napoletano  di nascita, e londinese d’adozione, che prendono vita le avventure di Paolo Mori. Fabio Santoro, gia’ autore della “Bara Vuota” , ha scelto cosi’ di far proseguire le vicende del suo protagonista ne ” Gli occhi dell’inferno” edito da golem Edizioni, e di dedicare un sito internet ,www.paolomori.com, a questo personaggio, un modo per dargli letteralmente vita, svelando tratti di una  personalita’ intrigante, per coinvolgere ed appassionare sempre di più il lettore alle indagini. Il Torinese ha intervistato l’autore per farsi svelare alcune curiosita’ che si celano dietro ai racconti e alle ambientazioni.

Fabio, quanto c’e di autobiografico del personaggio di Paolo Mori, oltre alle origini e alla formazione professionale e qual e’ l’aspetto caratteriale che piu’ ti affascina di questo protagonista? 

Ovviamente quando ho pensato a Paolo Mori, quando l’ho immaginato agire all’interno delle storie che gli ho creato intorno, non ho potuto fare a meno di fare un parallelo con me stesso. In fondo veniamo entrambi dallo stesso passato professionale e abbiamo molti lati caratteriali in comune. Per quanto riguarda gli eventi nei quali si trova coinvolto è tutt’altra storia. La mia vita fortunatamente non ha mai avuto frangenti così rischiosi come i suoi e mi auguro che non li avrà mai. Credo che scrivere o leggere alcuni tipi di storie sia assai più facile che viverle in prima persona. Quello che mi piace del mio personaggio è la sua capacità di distaccarsi da ciò che lo circonda ma sempre e solo con spirito razionale. Riuscire a capire le emozioni rivestendole di logica. Vedere ed accettare il mondo per quello che è ma viverlo comunque con leggerezza e buonumore.  Ma è solo la mia opinione.

 Gli occhi dell’inferno è la tua seconda fatica letteraria e, così come il primo, è un thriller. Perchè, tra tanti generi, proprio questo?

 

Credo che ogni scrittore si lasci guidare da quello che ama di più come lettore. Sono convinto che se fossi stato un amante del fantasy avrei scritto prevalentemente di quel genere. Io ho amo il thriller, il giallo e il noir praticamente da sempre. Tuttavia ogni opera letteraria, almeno per quanto mi riguarda, parte da una storia che si ha in mente e che si desidera raccontare. Che rientri in un genere o in un altro è da rimandare solo alla storia stessa. Dubito che un qualsiasi autore faccia una scelta mirata del genere letterario dell’opera. 

Credi pero’, come autore ,che ci sia una difficolta’ maggiore nello scrivere un thriller  rispetto ad altri generi? 

Tutti i romanzi hanno una loro difficoltà intrinseca. Il thriller può risultare arduo se non si riesce a dare una giusta e concreta spiegazione a tutto quello che avviene nel romanzo. Ogni avvenimento deve essere ben collegato e strutturato all’interno di una trama unitaria. Almeno questo è quello che credo io.

       

Perchè hai ambientato questo secondo romanzo a Londra? In un periodo storico in cui così tanti giovani come te si recano all’estero in cerca di lavoro lo hai usato come espediente per unire ad un romanzo ricco di suspense anche uno spaccato di una  realtà che hai vissuto in prima persona?

 

Sostanzialmente si. Io vivevo a Napoli quando ho scritto il primo romanzo e ho scritto Gli occhi dell’inferno quando mi sono trasferito a Londra. A differenza di molti altri io non ho lasciato l’Italia esclusivamente per ragioni lavorative. Ho sempre amato l’Inghilterra e desideravo viverci, anche solo per un periodo. Ciò detto Londra è una città meravigliosa e carica di quel fascino che la rende adatta ad essere teatro di un thriller come Gli occhi dell’inferno.

 

Fabio Santoro Gli occhi dell’inferno Golem Edizioni

      

Marta dei battelli

lago baveno 3“Ecco, senti la sirena? E’ il Camoscio. Se stai attento t’accorgi che il suono è più cupo, più profondo di quello dell’Alpino. Da non confondersi con la sirena della  Helvetia , un po’ meno cupa e un tantino singhiozzante”. Il bello è che aveva quasi sempre ragione

lago stresaI battelli, Marta, li “sentiva”.Specialmente d’inverno, quando la nebbia lattiginosa impediva di vedere ad un palmo del naso e bisognava segnalare con le sirene ed il lampeggiante l’attracco dell’imbarcadero, lei era in grado di indovinare quale battello stesse per ormeggiare. “Ecco, senti la sirena? E’ il Camoscio. Se stai attento t’accorgi che il suono è più cupo, più profondo di quello dell’Alpino. Da non confondersi con la sirena della  Helvetia , un po’ meno cupa e un tantino singhiozzante“. Il bello è che aveva quasi sempre ragione. L’errore era un eventualità piuttosto rara e, quando capitava, era del tutto venale. “Sentiva” i battelli soprattutto nelle prime ore del mattino, quando gli scafi iniziavano le loro corse di linea sulle rotte del lago, tra imbarcaderi ed attracchi sulle isole. “Zitto un attimo… Lo senti anche tu? E’ il vento che va a cavallo dell’onda. Sibila piano, a pelo dell’acqua. Guarda bene il filo della lenza del Peppo: l’aria la tende,  dritta come un fuso  e poi lascia che si rilassi, molle. E’ quello che mio padre chiamava al “veent cunt’el pàss balòss,  quell che vöri mia tiram via da dòss”. Il vento un po’ bricconcello, dal passo svelto, che non si vuol togliere di dosso. Lui, mettendosi controvento qui sul molo, allargava le braccia. Lo annusava, lo abbracciava e diceva che gli prendeva i sospiri e gli portava indietro i sorrisi, dopo aver baciato le montagne d’inverno, quando queste avevano i capelli bianchi per le prime nevicate. Si riempiva i polmoni di quest’aria di lago. Un aria  che pulisce la faccia, caccia via le ombre lago baveno 2e lascia sulla pelle una carezza prima di soffiar via su un’altra sponda“. L’udito l’aveva ereditato da suo padre, il Ruggero “Cavedano”, grande pescatore a canna fissa e frequentatore fisso del bar dell’Imbarcadero. Il vento, quando soffiava, dava una mano a ”sentire” i battelli. Era un amico, il vento, per Marta. A parte le bufere che, ululando, alzavano onde terribili e coprivano ogni rumore, tutti gli altri venti l’aiutavano a decifrare le imbarcazioni. Se uno specchio riflette la luce, l’aria del lago amplificava i suoni, i cigolii, il ronfare dei motori, lo sfregamento delle fiancate sui lunghi pali di legno degli attracchi. “Mio padre mi raccontava che, da giovane, sentiva il Torino quando si staccava dal molo dell’isola Pescatori. La motonave, quando i motori riprendevano fiato, aveva come un sussulto e lui – dal lungolago – lo percepiva anche se le ombra della sera inchiostravano il lago. Lo stesso difetto l’ho riconosciuto in altri due battelli: il Delfino e il Milano. Nel primo era uno strappo più secco, inconfondibile; nel secondo si doveva proprio avere un bell’orecchio perché era appena percepibile. Comunque, non mi sono mai sbagliata. Era tropo facile, invece, riconoscere il Roma. Era un bestione che poteva portare fino a 840 passeggeri ma, nonostante la sua mole, la sensazione che dava era di lago stresa 2agilità e di potenza. Lo sentivo quando si staccava da Pallanza perché aveva un  motore che cantava come un tenore”. Rammenta bene il suono emetteva il Piemonte, l’ultimo grande piroscafo – costruito nel 1904 e varato inizialmente con il nome di “Regina Madre” –  mentre solcava le onde di questo piccolo mare d’acqua dolce. I suoi viaggi, per un secolo, erano allietati dalle luci delle sue lampadine accese sul ponte principale, mentre suonava l’orchestrina a poppa e la mezza luna di levante  rifletteva , vanitosa, la sua luce sul lago. Marta, appoggiata alla ringhiera vicino al molo, mi fa notare che anche stasera la scia  di luce che la luna lascia sul pelo d’acqua non turba l’immobile calma del Maggiore. Persino le onde sonnecchiano e lo sciabordio è appena percepibile nel silenzio. Un silenzio che, accompagnato al buio, esalta i sensi, li estende a dismisura. Sul lago, le distanze tra le sponde si riducono, e terra, acqua e cielo sembrano parti di un’unica cosa. Solo l’aria, da una  stagione all’altra, cambia. Tiepida, come una carezza vellutata in tarda primavera e d’estate; ghiacciata e carica di un infinità di piccoli aghi di neve nelle tempeste d’inverno, sfregando sulla pelle come carta vetrata. Questa sera di fine estate l’aria è particolarmente fresca ed offre, senza possibilità di scelta, un anticipo d’autunno. Marta mi ha dato appuntamento a quest’ora perché al largo  passano i catamarani. Quale dei natanti lascerà scorgere il suo profilo? Il “Foscolo”, il “Pascoli” o lo “Stendhal”? Lei scommette che lo indovinerà prima ancora che sia visibile. Impresa tutt’altro che facile, ma lei è sicura. Si sente, mettendoci tutta l’attenzione del caso, un lievissimo ronzio in lontananza. Sul lago c’è una nebbiolina fine che non consente di vedere al largo. Lei mi guarda e sorridendo, dice: “E’ lo Stendhal. Ne sono certa”. E sorride. Io, perplesso, attendo che s’avvicini fino al punto di poterlo avvistare e, con stupore, vedo sulla fiancata che il nome corrisponde. “Ma come fai?”, dico a Marta. E lei, candida come un giglio, mi confessa una piccolaLAGO M 4 bugia: “Sai,Marco.. Finché si tratta di battelli e traghetti li sento bene ma i catamarani francamente non saprei riconoscerli. E poi lo Stendhal fa servizio tra Arona ed Angera. Questa sera è passato di qui perché è stato “dirottato” dalla navigazione a supplire un servizio nella parte svizzera, alle isole di Brissago. Per questo non avevo dubbi, vedi: lo sapevo in anticipo”. Rideva, rideva come una matta. Ed io feci finta di essere seccato ma la sua allegria era contagiosa e non potei resistere alla tentazione di sorridere anch’io. Bevemmo un tè al bar dell’Imbarcadero e ad un certo punto, alzando improvvisamente il capo, mi disse: “Aspetta un po’. Questo lo sento bene. E’ il Venezia. I motori sembrano avere l’asma. Cos’è successo?”. Meno di dieci minuti dopo, il Venezia attraccava, per uno scalo d’emergenza. Il livello del lago era piuttosto basso ed avevano lesionato l’elica principale su di uno scoglio affiorante poco distante dall’attracco dell’isola Madre. Nulla di grave ma, pur avendo perso delle ore per cercare di riparare il guasto, non potendo rientrare al cantiere di Arona, il comandante aveva deciso di trascorrere la notte a Baveno, assicurando l’imbarcazione a quest’ormeggio. Marta, a parte lo scherzo di prima, i battelli li “sentiva” davvero.

Marco Travaglini

Ogni cosa alla sua stagione

Sono i luoghi e tempi che, nell’esperienza diretta di Bianchi,  attraversano gli anni, segnano il ritmo delle gioie e degli incontri per diventare – riassunti nell’insieme – una vita intera.  Scusate se è poco

BIANCHI2

Ci sono quattro grandi “stagioni” della vita”  e il priore della Comunità monastica di Bose, Enzo bianchi, nel suo “Ogni cosa alla sua stagione “ le ha riassunte in altrettanti capitoli del suo libro: i giorni degli aromi e quelli del focolare, i giorni del presepe e quelli della memoria. Un libro agile ma denso, per lo stile con il quale è stato scritto e per la profondità degli argomenti. «Ogni cosa alla sua stagione», dice un vecchio proverbio, e qui le stagioni raccontate sono quelle dell’uomo. Sono i luoghi e tempi che, nell’esperienza diretta di Bianchi,  attraversano gli anni, segnano il ritmo delle gioie e degli incontri per diventare – riassunti nell’insieme – una vita intera.  Scusate se è poco. Un uomo che ha scelto la vita monastica guarda il mondo dalla sua cella, un luogo dove s’abitua ad “abitare con se stesso” (“abitare secum”) , dal quale la riflessione spazia, oltrepassa i muri e viaggia con la memoria. “Ora che avverto quotidianamente l’incedere della vecchiaia – scrive Bianchi – la memoria mi riporta sovente ai luoghi in cui ho vissuto o dove sono passato nei miei numerosi viaggi e che hanno suscitato affetti e sentimenti diversi: il Bric’d Zavèri, quella collina del mio paese in Monferrato dove nella bella stagione salivo quasi ogni giorno per trovare solitudine e pace, oppure via Po a Torino, con i suoi caffè dove trascorrevo qualche pausa dopo il pranzo o la cena nei mieiBIANCHI anni universitari, o ancora l’impareggiabile luce del Mediterraneo contemplata a Santorini. Ma se c’è un luogo cui ancora oggi ricorro per trovare rifugio e possibilità di quiete per pensare a me stesso e alla comunione con gli altri, questo è la mia cella”. Ed ecco i racconti dei falò nelle notti di vigilia  del 24 giugno ( San Giovanni) o di ferragosto (l’Assunta), la lode al vino come gratuità, gioia, piacere anche se “richiede misura, esige responsabilità, il raccogliersi attorno alla tavola dove il cibo è un dono. L’autunno, con la vendemmia, la torchiatura e l’odore del mosto che sconfina nella stagione dei morti, nei lunghi inverni e nella notte dell’attesa. E l’epifania che “tutte le feste porta via” ma che accende anche la speranza e ne fa una festa larga, generosa. Scrive Bianchi: “Non ci sorprende,allora, se perfino i fautori della laicissima rivoluzione francese ripresero le tradizionali galettes des Rois che addolcivano l’Epifania e disposero – con decreto del 4 Nevoso dell’anno III (il 24 dicembre 1792) – che i cittadini condividessero le galettes de l’égalité , semplici biscotti capaci di far assaporare il gusto dell’umanità che ci accomuna allo straniero, che ci fa sentire tutti uguali:quel sapore di cui resta impregnata la festa dell’Epifania”. La madre (“debole di cuore”) persa quand’era ancora bambino , Cotto ed Etta le “maestre” e poi Pinèn, il padre Giuseppe, socialista e burbero, polemico,  ma generoso come sanno esserlo le persone che conoscono la fame. Bianchi ricorda come amasse ripetere, con rispetto e mai con cinismo “a ciascuno il suo mestiere. Quello che devi fare, fallo bene. Poco importa quello che uno fa:l’essenziale è che, se ne è convinto,lo faccia bene. Questo è il suo dovere!”. Ogni cosa alla sua stagione” è una lettura controcorrente, un caldo invito a ricercare un’esistenza densa e preziosa , in un mondo assordante come quello in cui viviamo oggi, in cui il silenzio costituisce una creatura in via d’estinzione. Tutti dicono di volere il silenzio anche se poi, una volta faticosamente raggiunto, questo incute paura, desta angoscia come se fosse vuoto, assenza. Enzo Bianchi lo propone come la quiete delle ore del ricordo e della meditazione, dove il suo tempo presente ( quello della vecchiaia ) insegna a gustare ogni giorno. E, in fondo, a gustare la vita.

Marco Travaglini

Dove sono il genio, l’amore e la libertà? Parla Piero Angela

VIAGGIO NELLA MENTE: presso l’Università di Torino, Via Verdi 9, giovedì 17 marzo alle ore 17,45

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Il cervello è una macchina meravigliosa e conoscerla ci può aiutare a usarlo bene nelle sue potenzialità, dall’infanzia all’età più avanzata. Da questo spettacolare groviglio fatto di miliardi di cellule nervose e delle loro diramazioni nasce tutto: la capacità di vedere e immaginare, di soffrire e gioire, di ricordare e creare, di odiare e innamorarsi. Ma come avviene tutto ciò? Come si formano le immagini che vediamo nel nostro “teatrino mentale”? Come scegliamo? Da dove nasce l’amore? Come si spiegano i déjà-vu? Le risposte a questi affascinanti quesiti sono gli ingredienti del “Viaggio nella mente” che vedrà al timone Piero Angela, alla scoperta di dove si nascondono il genio, l’amore e la libertà. Il 17 marzo, per l’ultimo appuntamento della trentesima edizione, GiovedìScienza invita il suo pubblico all’Aula Magna della Cavallerizza Reale dell’Università di Torino, in via Verdi 9, sempre alle 17,45.

 

Il celebre giornalista e scrittore torinese, che tutti conoscono per i successi di Quark e Superquark, racconterà quello che si è capito del cervello e le frontiere di ciò che ancora resta da conoscere. Ma come tenere il cervello attivo e brillante per tutta la vita? Che ruolo giocano l’allattamento, l’esercizio fisico, l’alimentazione, l’allenamento mentale, il sesso? Che dicono gli studi sul cervello dei centenari o sull’Alzheimer? Molte ricerche dimostrerebbero che è possibile tenere in buona forma i nostri neuroni e prevenire parte di quelli che paiono essere inevitabili danni del tempo e dell’età.

 

È possibile seguire la conferenza in diretta streaming su www.giovediscienza.it

e dal Molecular Biotechnology Center MBC, Sala Aristotele in Via Nizza 52, Torino

Ecco la nuova legge regionale per i diritti e contro (tutte) le forme di discriminazione

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E i costi? Vengono stanziati 150.000 euro l’anno consiglio lascarisper le iniziative di sensibilizzazione, formazione del personale, prevenzione dei casi di discriminazione e viene creato il Fondo regionale per le vittime di discriminazione con un primo stanziamento di 100.000 euro annui. Il Piemonte diventa così la prima Regione Italiana a istituire, dopo quello del Governo, il Fondo regionale per le vittime di discriminazione

E’ stata approvata dal Consiglio regionale la nuova legge a favore dei diritti e contro ogni forma di discriminazione, inclusa quella sull’orientamento sessuale. Il testo approvato è stato voluto in particolare dall’assessora ai Diritti, Monica Cerutti: ” Non ci saranno discriminazioni di serie A o di serie B, – ha commentato – ma un’azione contro tutte le discriminazioni possibili. La Regione ci provò già dieci anni fa, quando nel 2006 un testo contro le discriminazioni venne licenziato in Giunta ma non divenne mai legge; dieci anni dopo ce l’abbiamo fatta. Il lavoro per giungere all’approvazione di questa legge è stato lungo e partecipato perché frutto di confronto e concertazione sia in Commissione, sia con associazioni e con cittadini/e che hanno risposto alla consultazione online”.

Nel provvedimento è contenuta anche una base giuridica  per l’attivazione della Rete regionale contro le discriminazioni, che servirà ad accogliere e orientare le vittime grazie ad un Nodo in ciascuna Provincia ed alle reti territoriali. Ci sarà la possibilità di attivare interventi di autorità specifiche come nel caso del Difensore civico, che vede estese le proprie competenze a tutela per esempio di cittadini/e diversamente abili che devono avere garantito l’accesso a farmacie pubbliche, studi medici o mezzi di trasporto. “o come nel caso delle donne straniere che portano il velo – dice Cerutti –  e che possono essere discriminate al momento della registrazione di un documento come la carta d’identità oppure nel caso di bandi pubblici per soli/e cittadini/e italiani/e. In questo caso ad attivarsi è la Rete regionale contro le discriminazioni; nel caso di pubblicità lesive delle dignità dell’immagine della donna sarà il Corecom”.

CERUTTILe principali innovazioni: rispetto della parità di trattamento da parte dei fornitori che stipuleranno contratti con la Regione; richiamo del principio di parità di trattamento nelle elezioni in attesa della nuova legge elettorale che stabilirà la forma di questa parità; interventi di informazione, formazione e sensibilizzazione nei confronti di tutte le categorie di operatori pubblici, estensione delle competenze del Garante dei detenuti anche ai casi di ex detenuti in via di reinserimento; promozione di iniziative di responsabilità sociale di impresa connesse all’attuazione del principio di non discriminazione; consultazioni periodiche con associazionismo coinvolto e competente per materia; obbligo per la Regione e gli enti strumentali di pubblicare ogni anno una relazione sullo stato di attuazione della legge sul diritto al lavoro dei disabili.

Ora ci saranno a disposizione 180 giorni per elaborare un Piano regionale che preveda azioni specifiche contro le discriminazioni secondo le materie di competenza regionale: salute, prestazioni sanitarie e politiche sociali, diritto alla casa, formazione professionale e istruzione, politiche del lavoro, promozione dell’imprenditorialità e responsabilità sociale delle imprese, attività culturali, turistiche, sportive, ricreative e commerciali, formazione e organizzazione del personale regionale, comunicazione, trasporti e mobilità.

E i costi? Vengono stanziati 150.000 euro l’anno per le iniziative di sensibilizzazione, formazione del personale, prevenzione dei casi di discriminazione e viene creato il Fondo regionale per le vittime di discriminazione con un primo stanziamento di 100.000 euro annui. Il Piemonte diventa così la prima Regione Italiana a istituire, dopo quello del Governo, il Fondo regionale per le vittime di discriminazione.

Incontro con Alessandro Puato autore del libro "Napoleone a Torino"

Giovedì 17 marzo, ore 18 al Centro Studi Piemontesi, via Ottavio Revel 15 

Le visite del 1797,1800, 1805 e 1807 Mediares Edizioni

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L’opera è frutto di oltre quindici anni di lavoro, ricerche e consultazione di documenti d’archivio.

Sono raccontate le visite che Napoleone fece a Torino e dintorni nel 1797, 1800, 1805 e 1807.Vengono ricostruiti i soggiorni, descritti i luoghi che visitò, le persone che incontrò, le decisioni che prese. In numerosi passaggi il testo è arricchito e completato dalla pubblicazione di documenti d’archivio per fornire al lettore una visione in presa diretta degli avvenimenti narrati. Completa il tutto la presenza di un ricco apparato iconografico di personaggi e luoghi interessati da queste visite. Alessandro Puato, torinese, laureato in storia delle istituzioni militari, ha lavorato come addetto museale presso varie realtà torinesi. Da sempre appassionato di storia napoleonica, è membro del Centro nazionale di studi napoleonici e del Souvenir napoléonien

 
 
Info: tel. 011/537486; info@studipiemontesi.it; www.studipiemontesi.it

COME AVVIARE LA PROPRIA ATTIVITÀ IN ALBANIA

tiranese23IL TIRANESE, IL LINK DEL TORINESE SUI BALCANI
 
Ecco l’iter da seguire per avviare un’attività economica nel Paese delle Aquile
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Con la legge 9901 del 14.4.2008, la legislazione albanese per i commercianti e le imprese riconosce alcune tipologie di società commerciali, aventi personalità giuridica, regolarmente registrate presso il CNR “Centro Nazionale di Registrazione (Q.K.R.)” e iscritte nel registro delle imprese.Le indicazioni obbligatorie per legge da fornire al momento del deposito della domanda di registrazione

sono:

ragione sociale, forma costitutiva ,data di iscrizione,dati dei soci,sede legale,oggetto dell’attività Per tutte le tipologie societarie le aliquote applicabili – imposta valore aggiunto (T.V.SH.), IRPEF e IRES – sono nella misura del 10% del reddito FLAT CORPORATED TAX.La documentazione richiesta dal Registro Nazionale delle Imprese (QKR-CNR):

albania. L’Atto costitutivo e lo statuto autenticati davanti al notaio. Con indicato il nome della società, la sede legale, lo scopo sociale, il capitale iniziale, la durata della società (in Albania può essere illimitato) ed il nome/i del socio/i degli amministratori oppure i direttori2. Il modulo compilato (CNR – QKR) è depositato dal rappresentante legale della società (o da persona autorizzata con procura) In caso di registrazione di una filiale (branch)o di un ufficio di rappresentanza, il Centro Nazionale della Registrazione (CNR-QKR), oltre alla documentazione richiede:

 . modulo compilato e depositato dal rappresentante della filiale/rappresentante dell’ufficio o della società madre o dalla persona autorizzata con procura

. atto costitutivo e statuto della società madre (ed eventuali modifiche)3. attestato rilasciato, non più di 90 giorni prima, dalla Camera di Commercio competente nel Paese d’origine ove la società madre sia registrata

Quest’ultimo documento deve indicare che:

(a) la società madre è registrata regolarmente al RegistroCommerciale(b) la società madre non è soggetta a procedure di scioglimento o fallimento(c) la composizione degli organi di amministrazione e gestione della società madre

. copia dell’ atto decisionale del consiglio di amministrazione della società madre in merito alla costituzione dellabranch o dell’ufficio di rappresentanza in Albania, e che nomini un rappresentante legale della filiale o dell’ufficio5. bilancio annuale e relative dichiarazioni finanziarie dell’ultimo anno della società madre

La casa d’artista diventa museo

LABAR2LABAR3LABAR1L’esaltante esperienza di Gutenberg, Schongauer, Durer, il clima umanistico delle botteghe di Colmar e Norimberga presso Wolgemut e Koberger vengono rievocati anche attraverso utensili e materiali di lavoro tramandati da secoli, apparentemente solo funzionali, in realtà pregni di vita perché recuperati dopo avventurose e appassionate ricerche in mercati antiquari
 

A metà del cammino che collega l’antico marchesato del Monferrato alla capitale Sabauda, sulle alture di Villadeati, sorge la secentesca dimora che Labar, pittore, scultore, incisore, ha trasformato in prestigioso museo di antichi torchi da stampa distribuiti in tre distinte sale tematiche per le tecniche di calcografia, litografia, xilografia cui va riconosciuto un piano paritetico e non sostitutivo delle altre discipline artistiche.

E’ visitabile, su richiesta, la collezione di esemplari datati tra il 1700 e il 1800 tra cui il torchio litografico Nebiolo di Torino, il tipografico Amos Dell’Orto di Milano, il calcografico Karl Krause di Lipsia immersi in una fascinosa atmosfera alchemica che recupera gli antichi strumenti riannodando le fila spezzate tra passato e presente. L’esaltante esperienza di Gutenberg, Schongauer, Durer, il clima umanistico delle botteghe di Colmar e Norimberga presso Wolgemut e Koberger vengono rievocati anche attraverso utensili e materiali di lavoro tramandati da secoli, apparentemente solo funzionali, in realtà pregni di vita perché recuperati dopo avventurose e appassionate ricerche in mercati antiquari.

Rulli inchiostratori, rotelle, sgorbie, bulini, berceaux che potrebbero essere stati tra le mani di famosi incisori; rari esempi di artigianato, a volte piccole opere d’arte dall’originale fattura, si allineano ordinatamente su lunghi banconi di legno segnati dal tempo e dalla fatica.Sui ripiani vasi di gomma arabica, boccette di acido nitrico, colori naturali pestati in antichi mortai, caratteri mobili fusi nel piombo, matrici biffate, lastre di rame a segni minuti, alcune a tratteggio incrociato in omaggio a Durer, matrici in legno di testa per dare risultati affini alle incisioni su rame come nel 1700 insegnò Bewich.

Particolare importanza viene data alla carta, su cui sarà stampato tutto l’immaginario dell’artista, scelta tra le migliori che siano capaci di reggere l’impressione a stampa, infatti l’aspetto definitivo sarà determinato dal tipo di carta usato che influirà sullo stato di conservazione che dovrà essere nitido e fresco. L’ambiente è a tal scopo protetto dalla troppa luce, dall’umidità e dalla polvere che danneggerebbero le opere rendendole fragili e grigiastre.

Arte, scienza, tecnica si intrecciano in un unico sapere rinchiuso nelle severe stanze museali di Labar che, durante le visite, si mette generosamente all’opera dando esempi concreti di lavoro sugli antichi torchi non solo facenti parte di una collezione ma perfettamente funzionanti e curati come creature viventi nelle mani di un incisore che produce autonomamente le proprie opere.

Giuliana Romano Bussola

 

Andar di frodo, oltre il confine, in barba alla frontiera

Un “sfrusadur” è colui che praticava il mestiere dell’andar di frodo  (“ da sfroos”, nel nostro dialetto sui laghi ), grazie al contrabbando. Rinaldo è stato una specie di “teorico” della materia. Ricordo ancora quella volta che mi tenne una specie di “lezione”. La parola già ti dice tutto. Cosa significa,  “contrabbando” se non contravvenire al “bando”, cioè alla legge che esige un tributo minacciando una pena?

contrabbando lago svizzera

“E’ l’esistenza stessa di un confine e dei  vincoli  per attraversarlo che è sempre suonata, nella mia testa, come un invito a  fregarmene, a farli fessi, insomma a  frodarli. Vedi…quando  chi esercita un potere, qualunque esso sia, decide che per andare  da una parte all’altra di un territorio, è necessario pagare un prezzo, io sto con quelli che s’ingegnano ad  escogitare  il sistema di passare senza pagare un bel niente. E’ una questione di principio e di libertà”. Ribelle e poco incline alle regole, Rinaldo è stato anche uno dei tanti “sfrusit”. Un “sfrusadur” è colui che praticava il mestiere dell’andar di frodo  (“ da sfroos”, nel nostro dialetto sui laghi ), grazie al contrabbando. Rinaldo è stato una specie di “teorico” della materia. Ricordo ancora quella volta che mi tenne una specie di “lezione”. “La parola già ti dice tutto. Cosa significa,  “contrabbando” se non contravvenire al “bando”, cioè alla legge che esige un tributo minacciando una pena? E allora, noi contrabbandieri realizzavamo un guadagno  violando la legge. Ad una condizione, ovviamente. Che il ricavo fosse tale al punto che il costo del passaggio del confine della merce fosse inferiore al prezzo che si pagava praticando le vie legali. Alla faccia del dazio e delle gabelle, capisci? “. Se obiettavo che era, dopo tutto, qualcosa di illegale e che lui ed i suoi amici erano, nei fatti, dei fuorilegge, si metteva a ridere.“Ma va là. Non dire stupidagini. Noi, ilago svizzera contrabbandieri fuorilegge?  Guarda che il contrabbando è una forma di   ribellione alle imposizioni. Eravamo un po’ come dei Robin Hood ed i canarini della Finanza sembravano  gli sgherri del sceriffo di Nottingham”. Quando parlava del “confine”, s’illuminava. Era stato il teatro naturale delle sue gesta da contrabbandiere e si capiva che , in fondo, l’aveva fatto più per l’avventura che per il guadagno. Quando capitava di trovarci, soprattutto nelle serate d’inverno, al caldo  dell’Osteria dei Gabbiani, davanti ad una bottiglia di vino, mi raccontava, le “regole” del mondo degli “sfrosit” .“ Devi sapere che spesso capitava che contrabbandieri e guardie di confine si trovassero nella stessa osteria prima di “andare al lavoro”, e  devi sapere anche che le guardie non avevano “le fette di salame sugli occhi” ma, consapevoli che i loro paesani erano costretti per fame a fare un viaggio pericoloso sui sentieri di montagna o sulle barche,  chiudevano spesso un occhio e, a volte,  anche tutti e due. In quel caso lasciavano che noi spalloni attraversassimo il confine, limitandosi a sequestrarci una parte della merce, segnalando sul rapporto che era stata confiscata ad ignoti.  A volte eravamo noi stessi a consegnare alla Finanza una piccola parte del carico, ma solo per salvare il resto”. Mi racconta di come ilbisogno aguzzasse l’ingegno. Addirittura, sul lago di Lugano,  avevano sperimentato un piccolo, rudimentale sommergibile a pedali che viaggiava giornali svizzerasott’acqua :il “sigaro del Ceresio”. Era il 1948 e veniva usato per trasportare merce di contrabbando attraverso il lago. Tre mesi di “servizio”, tre viaggi al giorno per quasi tre quintali di merce a viaggio. Poi, nel novembre di quell’anno, a Porlezza, sulla sponda comasca, il “sigaro” –che andava avanti indietro – portando roba di qua dal confine ed “esportando” in Svizzera riso, carne ed alcolici, l’hanno beccato, sequestrandolo. Risalendo la nostra “quota parte” di catena alpina , tra la Valle Anzasca ed il passo di Gries, per poi scendere fino alle rive del lago Maggiore, attraversando le valli Vigezzo e Cannobina, erano ben 36 i colli e canaloni di confine frequentati,più o meno  assiduamente, dai contrabbandieri. E non erano certamente incustoditi. Lo stesso valeva per le sponde dei laghi “confinari”, come il Maggiore e il Lario, quello di Como. Per farsi un’idea basterebbe leggere il rapporto di un ufficiale al comando del IV° Circondario Svizzero, dove risulta che nel 1935 ,tra il lago Maggiore e il passo di Nufenen -il passo della Novena-,  sul versante italiano del confine, erano schierate ben 579 tra guardie di finanza e militi confinari e su quello svizzero 159 guardie doganali. Ma la fonte principale era sempre Rinaldo che, davanti ad un bicchier di vino,aveva la lingua sciolta e s’appassionava nel raccontare.“Nel contrabbando, oltre a quello del sale che ci porta indietro nella notte dei tempi, si possono distinguere tre periodi che prendono il nome dalle merci che andavano per la maggiore:  dalla seconda metà dell’ottocento fino al primo dopoguerra troviamo il periodo del caffè , poi c’è stato quello del riso che copriva gli anni della seconda guerra mondiale ed un terzo , quello delle sigarette e del tabacco,  che è durato dagli anni ’50 fino a poco dopo gli anni ’60. A dire il vero c’é stato anche il periodo della Resistenza e dell’opposizione al fascismo quando, insieme alle bricolle da trenta e piùlago svizzera contrabbando chili portate in spalla, molti dei nostri “sfrosit” diventarono anche dei “passatori”, aiutando ebrei,antifascisti e militari alleati a superare quella frontiera Elvetica che equivaleva alla salvezza”. Le “fasi del contrabbando” , com’era facilmente intuibile,prendevano il nome dal tipo di merce che “passava” la frontiera: caffè, riso, sigarette ma anche saccarina, dadi, cioccolata, zucchero, orologi, tabacco sfuso,  cartine per sigarette, accendini , scarpe, liquori,  stoffe, calze di nylon e tutto quello che veniva richiesto sul mercato di entrambe le nazioni. Con tutti i rischi del caso. Si correvano i pericoli sui sentieri percorsi di notte, quando le nubi  si mangiavano le stelle: bastava mettere un piede in fallo e si finiva giù, negli strapiombi. Dal tardo autunno a inizio primavera, in quei lunghi inverni, capitavano delle bufere di neve con tremende slavine che hanno seppellito molta gente. Sul lago, invece, si remava nelle notti senza luna, meglio ancora se c’era un tempo da lupi, a volte dentro a tempeste che strappavano preghiere e maledizioni. C’erano anche le sparatorie e  si contavano in quel caso feriti ed anche caduti sotto il piombo della guardia confinaria. Ma il rischio più frequente era il sequestro delle merci con annessi sei giorni di galera  ed una salatissima multa che poteva variare dal doppio fino a dieci volte il valore della merce sequestrata, nonché –  durante i periodi bellici – l’arruolamento forzato. Chi non aveva i soldi per lago svizzerapagare la multa scontava un  ulteriore giorno di carcere ogni 10 lire di ammenda. Se erano in due potevano rischiare sei mesi di prigionia per espatrio clandestino,  che salivano a cinque anni nei casi di recidiva e quando  venovano “pizzicate” più di tre persone insieme. Ma la vita su questo pugno di terra e acqua tra Italia e Svizzera era così e l’aria, il vento, il lago e i contrabbandieri non badavano alle pietre che segnavano il confine. “Ora, dai. Allungami un po’ di foglia di Brissago”. Rinaldo si è sempre di
vertito un mondo  nel rivolgermi parola usando il linguaggio degli sfrosadori. Condividendo un’attività che richiedeva complicità e segretezza, lui ed i suoi “soci”  parlavano in “codice”.Quando  “commerciavano” in  “ossa di morto” si riferivano allo zucchero. Il “coniglio bianco” era la  saccarina e le “bionde” le sigarette, mentre per “foglie di Brissago” s’intendeva il tabacco. Dalla manifattura tabacchi del paesino ticinese, appena oltre confine, dove lavoravano centinaia di donne, uscivano dei sigari straordinari ed un tabacco dall’aroma inconfondibile che – nei giorni di vento – passava allegramente il confine senza per questo pagar dazio. Con le “bricolle” in spalla e le pedule ai piedi, organizzati in “combriccole” guidate da un caposvizzera lago al servizio di un “impresario”, i contrabbandieri cercavano di fregare le pattuglie dei  “canarini” della Finanza (dal colore giallo del simbolo dell’arma). “Erano bei tempi, caro mio. Tempi di fame e di fatica ma avevamo una gran voglia di vivere. Oggi, invece, sono diventati tutti tristi, un po’ matti, nervosi. Corrono,non sorridono quasi mai, sono sempre ingrugniti, insoddisfatti. Quasi fanno fatica a salutarsi e quando lo fanno, non sembrano nemmeno sinceri. A volte mi viene voglia di mettere ancora in acqua la barca, come ai bei tempi e remare finché non sono al largo per poi stendermi sul fondo e stare lì, tra l’acqua e il cielo, a farmi cullare dalle onde”.

Marco Travaglini

 

“Risparmio energetico nel condominio” , il convegno

case popolariOrganizzato da Ape Confedilizia di Torino

Lunedì 14 marzo a partire dalle 9,30 nella Sala Convegni ATC di corso Dante 14 si terrà il Convegno dal 
titolo “Risparmio energetico nel condominio” Obblighi di termoregolazione – Contabilizzazione del calore”,  organizzato da Ape Confedilizia di Torino in collaborazione con ATC, Collegio Geometri Torino, ANCE e AGIAI.

Il Convegno vedrà la partecipazione e il confronto tra la proprietà, i professionisti e gli operatori del settore, che cercheranno di fornire indicazioni alla luce della nuova normativa.