IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Il 9 dicembre, giorno successivo alla festività dell’ Immacolata, i sindacati hanno annunciato uno sciopero del pubblico impiego.
Ci sono sicuramente delle valide motivazioni perché il pubblico impiego sia in agitazione perché esso è stato costantemente sacrificato dai diversi governi e gli stipendi sono fermi da troppi anni. Ma il momento che vive oggi l’Italia fa sì che si possa definire l’impiegato pubblico un privilegiato che è passato indenne dalla grande crisi economica provocata dal Covid Molti pubblici dipendenti godono anche del privilegio di lavorare da casa senza che il lavoro possa subire adeguati controlli perché l’informatizzazione in molti settori pubblici è ancora in alto mare. Questo lavoro da casa inoltre danneggia il cittadino nei suoi rapporti quotidiani con la pubblica amministrazione.
Noi non siamo tra quelli che disprezzano in modo qualunquistico i pubblici dipendenti perché la gente che lavora seriamente nella pubblica amministrazione, c’è da sempre. E non siamo neppure tra quelli che condannano la burocrazia come un inciampo da eliminare perché le regole e il rispetto delle medesime sono alla base della pubblica amministrazione e del buon governo.
Siamo invece fortemente critici verso i politici e gli amministratori che abbiamo e che hanno accumulato molte colpe, sicuramente anche nei confronti dei pubblici impiegati.
Il Travet di cui scriveva Bersezio e che Soldati portò nel cinema, esistono anche oggi.
Ma c’è una differenza abissale che si è determinata con il Covid e che ha costretto intere categorie a chiudere. C’è gente che è già fallita o che rischia di fallire entro il 31 dicembre a causa di un governo menzoniero che non ha mantenuto le promesse. Ci sono interi settori come quello del turismo e della ristorazione che sono alle corde.
In questo contesto drammatico e del tutto inedito chi ha avuto finora lo stipendio versato per intero, ha almeno dei doveri morali verso la comunità. Scioperare il 9 dicembre , magari sperando anche di fare un ponte, non fa onore ai sindacati. E’ un atto che offende e rivela forte irresponsabilità sociale.
Il diritto di sciopero è un diritto costituzionale, ma non possiamo dimenticare come altri diritti costituzionali siano stati sospesi dal Governo in questi mesi senza neppure passare attraverso il Parlamento.
Quando c’è un’emergenza i distinguo non valgono. Occorre disciplina e senso di responsabilità.
I Docenti che si sottopongo al massacro di una scuola allo sbando, stanno dando, ad esempio, un segnale di civismo che va citato.
La parola sciopero per una categoria oggettivamente finora protetta suona in modo maldestro.
Ci fa pensere agli scioperanti del 1917 quando l’Italia era in guerra. Anche oggi siamo in guerra, anche se i nostri odierni vertici “militari” si rivelano confusionari e controproducenti.
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Ma è anche la storia della loro terra, la Georgia, che ha l’handicap di essere collocata troppo vicina alla Russia, e ha dato i natali a 2 carnefici che ne segneranno il destino; nelle pagine aleggiano infatti potenti e distruttivi il “Generalissimo“ e il “Piccolo Grande uomo”, ovvero Stalin e il capo dei servizi segreti Beria, che però non vengono mai citati per nome.
E’ il primo romanzo dell’americana Claire Lombardo e ispirerà una serie tv prodotta dalle attrici Laura Dern e Amy Adams – che trasformano in successo tutto quello che toccano- per HBO.
Il nome di Louisa May Alcott è indissolubilmente legato all’immortale “Piccole donne”con cui siamo cresciute un po’ tutte, ma detto così è un po’ riduttivo. Infatti 4 anni prima aveva scritto questo romanzo per adulti, un esordio che oggi l’editore Elliot ci ripropone.
La Deneuve interpreta magistralmente la protagonista Faith Bass Darling che, dopo anni di assenza, torna nella sua incantevole casa (nel libro è in Texas, mentre nel film è nella campagna francese). Un affascinantissimo scrigno che racchiude i ricordi di una vita, di più vite, anche di quelli che non ci sono più. La dimora più bella di tutto il paese, perché la famiglia era la più facoltosa del luogo, fondatrice di una banca e proprietaria di altre ricchezze.



Rubrica a cura di
La XII edizione del PREMIO GAMMADONNA si è tenuta in live streaming. Quali sono stati i temi?
Donna per lei significa?
e inoltre vi sono tutta una serie di normative che, pur essendo di diversa natura, toccano comunque il mondo della scuola. Come divincolarsi dunque in una materia così articolata ed arzigogolata? Proviamo a partire, come si suol dire, dall’inizio. La prima importante riforma che è bene ricordare è la Legge Casati, promulgata dal Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati nel 1859, considerata come il vero e proprio atto di nascita della nostra scuola italiana. Tale norma pone a carico dello Stato la responsabilità dell’educazione del popolo e sancisce per la prima volta l’obbligatorietà e la gratuità della scuola elementare. Il primo ciclo scolastico, secondo tale normativa, era articolato su due bienni, (di cui solo il primo obbligatorio), a cui seguiva una duplice scelta: il ginnasio (a pagamento) o le scuole tecniche. Dopo questi anni di studio e formazione vi era l’università a cui però accedevano solo gli studenti che avevano frequentato il ginnasio, spesso figli di famiglie agiate e che potevano permettersi di supportare i giovani nello studio. Con la legge Casati, inoltre, si cerca di affrontare per la prima volta la grave problematica dell’analfabetismo dilagante in tutta la penisola: la situazione non viene risolta e tale aspetto si va a sommare con gli altri difetti della normativa, a noi evidenti.
La riforma Gentile è complessa e articolata, è possibile comunque evidenziarne alcuni punti chiave, come l’estensione dell’obbligo scolastico fino ai 14 anni, l’ istituzione di scuole speciali per allievi in condizione di disabilità sensoriali della vista e dell’udito, l’ istituzione di rigidi controlli per l’inadempienza dell’obbligo scolastico e la creazione di appositi istituti magistrali per la preparazione dei maestri elementari. I programmi delle scuole elementari ripristinano l’insegnamento della religione cattolica, salvo richiesta di esonero, e valorizzano il canto, il disegno e le tradizioni. La struttura del sistema scolastico italiano resta sostanzialmente improntata a tale modello anche dopo la fine del fascismo, ed i programmi della scuola elementare non subiscono variazioni significative per oltre quarant’anni. Nel 1939 il Ministro Giuseppe Bottai propone una nuova riforma volta a sottolineare la necessità di una scuola di massa, distinta e gerarchizzata al suo interno, che risponda alle esigenze economiche del paese e del governo. Tale riforma rimane però sulla carta, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fa sì che venga approvata solo la Legge del 1940 riguardante la scuola media, che diventa così un unico triennio uguale per tutti i corsi inferiori ai licei e agli istituti tecnici e magistrali; rimane inalterato il sistema dell’avviamento professionale. Essenziale, per il nostro discorso sulle riforme scolastiche, è la Costituzione della Repubblica italiana, promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1948. Il documento dedica alcuni articoli all’istruzione, che viene considerata essenziale per procurare un maggior benessere alla collettività e per migliorare ed elevare le condizioni di vita dei cittadini. Si sottolinea la necessità di avere una scuola democratica, che sia d’aiuto alla formazione della persona e che prepari i singoli individui a vivere nella società, intesa come luogo di integrazione e di esplicazione della propria personalità.
Nelle parole del Presidente, in versione aggiornata, ho risentito lo stesso pathos di Vittorio Emanuele III dopo la sconfitta di Caporetto. Era mesi che molti attendevano una parola forte che facesse sentire la voce della Nazione rispetto a quella delle fazioni e della mediocrità propria di una politica responsabile di gravissimi errori. Prima del Presidente della Repubblica solo la Presidente del Senato Casellati si era espressa con coraggio nei confronti di una situazione insostenibile.
L’insistere costantemente sulla morte in agguato certo non aiuta chi è già ossessionato dalla pandemia. E’ un modo sbagliato di affrontare il tema. Dalla Chiesa ci si attende altro, una comprensione umana sulla fragilità della vita che, in momenti tragici come questi, cerchi di dare un po’ di fiducia e di serenità. Non si chiede del facile ottimismo,che sarebbe impossibile oltre che falso, ma almeno qualche parola in più sarebbe doverosa. Mi capitò anni fa di partecipare a due funerali lo stesso giorno in uno stesso ospedale e ascoltai la medesima omelia con la sola sostituzione del nome del defunto. Una routine da impiegato di banca, non da sacerdote che celebra in un momento importante della vita di altri uomini. Ho avuto modo di ascoltare di recente il