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Un aiuto per il rifugio “Sauvons nos Animaux”

QUA LA ZAMPA  Il Rifugio “Sauvons nos Animaux” della Repubblica Democratica del Congo è in pericolo a causa di una frana

SOS Gaia si fa portavoce del disperato appello di Paterne Huston Bushunju, responsabile del rifugio per cani e gatti abbandonati “Sauvons nos Animaux” di Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo.  Il Rifugio, già in difficoltà per i problemi dovuti al reperimento dei fondi necessari per nutrire le centinaia di cani e gatti che ospita, nonché le cure che necessitano agli animali assistiti, ora a causa di una alluvione e di una conseguente frana è andato parzialmente distrutto, con la sparizione di 8 gatti e la distruzione di 32 ripari.
Il rifugio è seguito dall’incessante lavoro di Paterne Bushunju e dei suoi volontari, alcuni molto giovani e in età scolare, ai quali viene dato il materiale utile mettendoli in grado di frequentare la scuola, aiutando quelli in difficoltà e procurando loro le forniture scolastiche: uniformi, libri, cancelleria.
Attualmente sono centinaia i cani e i gatti ospiti del Rifugio, tutte creature salvate da situazioni difficili e in condizioni di salute molto precarie. Paterne e i volontari dedicano il loro tempo a curarli, sfamarli e offrire loro una situazione dignitosa. L’associazione è nata per iniziativa di Giancarlo Barbadoro, presidente onorario di SOS Gaia scomparso nel 2019. SOS Gaia sostiene il rifugio con raccolte periodiche. Lo slogan “Pour la Protection Animale et la Paix dans le monde, sans discrimination” è significativo ed esprime lo spirito con cui è nato questo rifugio.
Ora SOS Gaia si fa promotrice di un appello per salvare gli animali ospitati nel rifugio, già in difficoltà abituale per via delle condizioni difficili a causa della pandemia che ha provocato molti abbandoni degli animali, e ora parzialmente distrutto a causa della frana. SOS Gaia lancia un appello accorato: “Aiutiamo questi nostri fratelli a quattro zampe africani in questo momento di grave difficoltà! E ringraziamo Paterne e i suoi volontari per il grande impegno che ogni giorno dedicano agli animali”.  Per aiutare il rifugio “Sauvons nos Animaux” trovate le coordinate sulla pagina Facebook: Association Sauvons nos animaux/RDC.

Rosalba Nattero
Presidente SOS Gaia

Conte il trasformista e i senatori a vita

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Al Senato della Repubblica,  la presenza di Senatori non elettivi, e nominati a vita, è una concessione simbolica al vecchio Senato del Regno che in base a 21 categorie di appartenenza prevedeva la nomina regia dei Senatori secondo precisi criteri che consentivano alle intelligenze più alte e ai cittadini più meritevoli di accedere a Palazzo Madama, anche durante il fascismo.
Il fascino del Senato del Regno deve aver lasciato un buon ricordo  se è vero che ne esiste ancora oggi una imitazione da operetta che si richiama ai fastigi sabaudi senza averne titolo alcuno e senza che nessuno commini sanzioni penali per abusi fin troppo evidenti.
La sinistra  coerentemente alla Costituente avrebbe voluto un Senato elettivo come era nello spirito della Repubblica, mentre la destra avrebbe voluto una parte di senatori nominati. Si giunse al compromesso della nomina da parte del Presidente della Repubblica di 5 cittadini per altissimi meriti verso la Patria ai sensi dell’articolo 59 della Costituzione. Essi avrebbero dovuto illustrare, come diceva Einaudi, la Nazione nei diversi campi, anche se in passato alcuni senatori     vennero attinti dalla politica e neppure della migliore: Taviani e Colombo sono gli esempi peggiori. Poi ci furono anche Valletta e Montale, Agnelli e Pininfarina, Levi Montalcini, Bobbio e Valiani, Spadolini e il poeta Trilussa. Montanelli rifiutò il laticlavio, come fece anche Toscanini.
Oggi c’è l’ormai decrepito Carlo Rubbia che non ha mai dato un apporto concreto  ai lavori del Senato, la prof. Cattaneo, anch’essa assai poco attiva politicamente,  la signora Levi celebratissima per i suoi insistenti appelli, le sue commissioni  e per le cittadinanze onorarie davvero sterminate, che non ha nulla a che vedere con il grande Primo Levi che subì il campo di sterminio, ma fu anche un grande uomo e un grande scrittore, famoso e tradotto in tutto il mondo che nessun Presidente nominò Senatore a vita. Infine c’è Renzo Piano,
l’archistar  del ponte di Genova che cede il suo vitalizio di Senatore per borse di studio. Questa ultima infornata di senatori,  insieme alla nomina di Mario Monti, servì al presidente Napolitano per cacciare Berlusconi dal Governo nel 2011   e blindare il suo successore,  nominato Senatore prima ancora di aver  conseguito gli altissimi meriti richiesti dalla Costituzione: un caso incredibile ,se non fosse tristemente vero.
I Senatori a vita non sono gran che considerati, se si eccettua in questi ultimi anni la signora Segre, onnipresente a  tutte le cerimonie, in tutte le circostanze possibili.
Furono anche  fondamentali per sostenere Prodi anche se Mastella riuscì a batterli.
La Senatrice Levi  Montalcini – da quanto so – si pentì amaramente per questo ruolo non in linea con la grande dignità del suo passato.
Ma quando un Governo non ha i voti dei Senatori eletti per sopravvivere per qualche tempo, ricorre a quelli vitalizi che si prestano a volte al gioco.
Anche il prof. “Giuseppi” Conte ambirebbe a quei voti che non merita e che sollecita con spavalda sfrontatezza.
Uno dei senatori  vitalizi  di diritto come ex Presidente della Repubblica, Napolitano, per ragioni di salute non può più accorrere in soccorso. Restano Monti, sempre disponibile a questi inviti, malgrado il suo fallimento politico, le due signore, Rubbia e Piano. Sarebbe dignitoso per il Senato che i Senatori a vita si sottraessero  a queste sollecitazioni che non sono dignitose per  chi le fa  e per chi eventualmente le accetta.
I Governi democratici si votano con i parlamentari eletti, senza ricorrere a ripieghi.
Se poi pensiamo ai Cinque Stelle e alla scatola di sardine che dicevano di voler aprire ,comprendiamo la situazione assurda e comica che si creerebbe.
In ogni caso, sarebbe tempo di pensare ad abolire i Senatori a vita che non hanno una reale utilità ed hanno costi ragguardevoli con uffici  e segreterie davvero sfarzosi a palazzo Zuccheri,vicino a palazzo Madama. Andrebbe anche messa in discussione l’assurda nomina a vita, che nel nuovo millennio appare del tutto ingiustificata. Nessuno in democrazia può ambire a posti vitalizi che invece tanto bene si attagliano alle dittature del terzo mondo. Neppure più il Papa si ritiene di per se’ a vita.

Rivolgiamoci alla Consula’

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

La pandemia continua a mietere morti e a me sembra putroppo che la Chiesa torinese non sia così presente, come ci si aspetterebbe, nel dramma che ci coinvolge, credenti e non credenti.

Di fronte alla morte e all’idea di dover morire ci vuole sensibilità ed umanità. Le solite preghiere stereotipate o le solite litanie – non voglio offendere nessuno, sia chiaro perché sono credente – non bastano. Ci vuole altro. Perché la chiesa torinese ha di fatto ignorato la Consolata (la Consula’ , cantata di Nino Costa) o Superga di Vittorio Amedeo II,  per  non parlare di Maria Ausiliatrice? Sono la storia di Torino insieme al Cottolengo e al Cafasso. Andrebbe ancor prima ricordato il popolano beato Sebastiano Valfre ‘ che fu protagonista spirituale  e materiale della resistenza dei torinesi all’assedio di Torino da parte dei francesi. Nei momenti difficili della mia vita sono andato alla Consolata dall’amico Mons. Franco Peradotto che prima era un grande uomo e poi era anche un grande sacerdote . Il cardinal Pellegrino sarà’ anche stato un grande grecista , ma umanamente era algido e trovava prioritario dialogare con il futuro sindaco comunista a cui spiano’ la strada. Che differenza tra il Cardinale Fossati o Mons. Pinardi! Altri arcivescovi non hanno di fatto lasciato traccia storica di se’:  ottime persone, ma senza carisma. Il cardinale Ballestrero riuscì persino a “laicizzare “ la Sindone. Mi resta invece indelebile il ricordo dell’ incontro con papa Wojtyla nel cortile dell’ Università,  uomo elettrizzante, carismatico. Dai laicisti venni attaccato per quell’incontro su invito dal rettore. Ricordo Papa Ratzinger per la sua ricchezza intellettuale e profondità umana che l’amico laico Marcello Pera mi ha aiutato a conoscere in modo più approfondito . Quattro righe del Papa tedesco valgono più di dieci prediche. Solo i faziosi dell’ Università di Roma non vollero accoglierlo in nome di un settarismo indecente. Ricordo con affetto e nostalgia Mons. Chiavazza, don Gnocchi, mons. Ruffino, mons. Bosso e mons Arcozzi Masino che condivisero la sorte dei loro soldati in Russia . Padre Ruggiero alle “Nuove“ conforto’ i condannati a morte. Ricordo il matematico e salesiano Piero Ottaviano uomo di grande disponibilità umana e civile, come il filosofo don Luigi Lo Sacco. Oggi don Ciotti e Olivero, incredibilmente taciturni , sono i due modelli di moda , ma anche molto lontani da una certa cristianita’ . Sono espressione di una chiesa un po’ troppo vip , celebrata dai politici che a me non piace. Sentii un certo disagio a ricevere insieme a Ciotti e Olivero un’alta onorificenza dal presidente Scalfaro che mi stupi’. La mia storia non aveva nulla con la loro. Ci saranno anche oggi dei sacerdoti degni di alcuni grandi esempi del passato. Voglio sperarlo . Sono loro che oggi ci occorrono , non i preti operai e i loro continuatori attuali. E’ quella Chiesa che deve dare la scossa e farci capire che non siamo abbandonati a noi stessi . Io ho la fortuna di avere un’assistenza spirituale in Liguria che mi da’ forza anche solo con una telefonata . La Chiesa altrimenti si atrofizza e perde la sua funzione più preziosa, quella di mettere in contatto le donne e gli uomini afflitti con Dio: janua coeli. Altrimenti le porte si aprono all’ateismo contemporaneo, da Nietzsche al povero Vattimo, allo squallido nichilismo privo di valori anche umani.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Almudena  Grandes  “La figlia ideale”  -Guanda-   euro 20,00

Il romanzo è ispirato a una storia di cronaca vera, ambientata nella Spagna franchista, e racconta un altro tipo di repressione, quella subdola di un manicomio in cui erano internate donne scomode, trascurate, senza futuro e non sempre artigliate dalla malattia mentale.

La vicenda è quella di Aurora Rodríguez Carballeira (nata nel 1879 e morta nel 1956) che nel 1933 uccise l’unica figlia Hildegart, di 18 anni, sparandole alla testa mente dormiva.

L’assassina era una donna ricca, colta, intelligente fautrice dell’eugenetica; teoria bastarda secondo la quale era lecito decidere chi doveva vivere o morire, chi poteva avere o non avere figli. Aurora era convinta di dover salvare il mondo e contribuire a rifondare la società; una sorta di missione per la quale la figlia –bambina prodigio che a 8 anni parlava 6 lingue, laureata in legge poco più che adolescente-  era  il principale strumento.

Leggendo scoprirete perché la uccise e quali furono le diagnosi, ma soprattutto vi avventurerete in un romanzo fluviale  in cui fatti storici e invenzione si fondono meravigliosamente.

La Grandes racconta il clima di paura e silenzi di una nazione oppressa, lo fa attraverso la malattia mentale, la vita negli ospedali psichiatrici e mette in campo 3 voci narranti.

Uno è il medico progressista Germán Velázquez che prende in cura Aurora nel manicomio femminile di Ciempozuelos, dal quale lei non uscirà più. E non c’è solo il resoconto del caso clinico della madre-assassina, affetta da paranoia; ma anche la vicenda personale e tragica di un uomo brillante e sensibile, fuggito in  Svizzera durante la guerra civile (figlio di un luminare vittima della dittatura), tornato in Spagna nel 1954, a 33 anni, per sperimentare un nuovo farmaco nel manicomio a una trentina di chilometri da Madrid.

Altra figura centrale è la giovane infermiera ausiliaria María Castejón, nipote dell’ex giardiniere del manicomio, nata e cresciuta tra quelle mura che sono la sua casa; è lei  l’unica che è riuscita a fare  breccia nello straniamento e isolamento di Aurora.

Mentre quella dell’intricata donna Aurora è la terza voce di questo libro; il quinto degli “Episodi di una guerra interminabile”, serie di 6 romanzi indipendenti che Almudena Grandes ambienta nella Spagna dal 1936 al 1975.

 

 

Costanza  DiQuattro   “Donnafugata”     -Baldini+Castoldi-   eur0  16,00

Per chi si appassiona alle saghe familiari ed ha amato “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, il libro da leggere è questo: seconda opera narrativa della talentuosa 34enne ragusana Costanza DiQuattro, direttrice artistica del teatro di famiglia Donnafugata, che già ci aveva dilettati con “La mia casa di Montalbano” nel 2019.

Ora ci ammalia con una saga ottocentesca siciliana che è anche romanzo storico, ma in primis è il  racconto della vita straordinaria del settimo barone di Donnafugata, Corrado Arezzo De Spucches.

Signore d’altri tempi, esponente di un’aristocrazia di provincia e di un casato tra i più antichi di Ibla, fiero e austero di fronte alle tragedie della vita, capace di sentimenti profondissimi.

Il libro inizia e si chiude volutamente nello stesso anno, il 1895, ma in mezzo vi scorre l’intera esistenza del barone, in un avanti e indietro continui nel tempo.

A partire dal giorno della sua nascita nel 1824 quando viene subito affidato alle amorevoli cure della balia Annetta, con la quale avrà un rapporto strettissimo e di grande complicità. Poi ci sono gli studi a Palermo, il suo amore per l’arte e il bello, il mecenatismo, il clima risorgimentale, la sua carriera come deputato al parlamento siciliano e poi del Regno d’Italia, il prestigioso compito di rappresentare il suo paese all’Internazionale di Dublino nel 1865 e infine la delusione per l’abbaglio sabaudo.

Fin qui la sua figura pubblica che ha lasciato il segno nella storia della Sicilia e in particolare di  Ragusa.

Ma le pagine più belle sono quelle dedicate all’amore incommensurabile per le donne della sua vita. La madre baronessa morta troppo presto; la moglie Concetta, scelta per lui dalla famiglia, quasi una sconosciuta all’inizio con la quale fu subito intesa e poi un’attrazione che divenne immenso amore. Un sodalizio che resistette all’impossibilità di mettere al mondo l’ottavo barone di Donnafugata, e al dolore per l’infelice destino della loro unica sfortunata figlia Vincenzina. E ancora il ruolo potente di nonno innamorato delle due nipoti che gli sopravvivranno.

Pagine stupende per raccontare un vita unica ed eccezionale…

 

Jung Chang  “Le signore di Shanghai”    -Longanesi-   euro  22,00

Jung Chang che abbiamo conosciuto attraverso l’autobiografico “Cigni selvatici” (nel 1991), ha ripetuto la magia con questa storia di donne, intrighi, amori e passioni nella Cina del 900.

L’autrice, nata nella provincia del Sichuan nel 1952, ha poi lasciato la Cina –dove i suoi libri sono proibiti-  nel 1978, si è trasferita in Gran Bretagna dove è stata la prima studentessa della Repubblica Popolare Cinese a conseguire un dottorato. Oggi vive a Londra e quando torna in patria è sempre sotto stretto controllo delle autorità.

In “Le signore di Shanghai” racconta le vite delle 3 sorelle Soong, poco conosciute  in Occidente, ma importanti per la storia cinese di metà 900, nel passaggio del paese da impero a repubblica, al governo nazionalista e al comunismo di Mao.

Figlie di Charlie Soong -ex predicatore metodista di Shanghai, diventato ricco uomo d’affari, di ampie vedute che le mandò a studiare in America- sono Ei-ling nata nel 1889, Ching-ling nel 1893 e May-ling nel1898.

«…Bassine e con la mascella quadrata, secondo gli standard tradizionali non erano grandi bellezze…..ma avevano visto il mondo: erano intelligenti, di mentalità indipendente e sicure di sé. Avevano “classe”».

3 caratteri diversi: una amava i soldi, una il potere, l’altra il suo paese. Ebbero vite incredibili e furono i loro matrimoni a tracciare le strade dei loro destini sullo sfondo di un paese tanto vasto e complesso.

Ei-ling, “Sorella maggiore”, convola a nozze con H.H. Kung,”l’uomo più ricco e corrotto dell’intera Cina” che costruirà un impero economico, più per la sua famiglia che per il progresso del paese.

La seconda, Ching, “Sorella Rossa”,  a 22 anni sposa Sun Yat-sen, ricordato come il padre della Cina moderna: giovane ribelle cantonese che sconfisse la dinastia regnante Manciù, trasformando la Cina in Repubblica. Alla sua morte nel 1925, Ching  si avvicina ai comunisti e nel 1949 diventa vicepresidente di Mao.

May, “Sorella minore”, nel 1927 sposa il generalissimo Chang Kai-shek (che subentrerà a Sun portando in Cina il governo nazionalista) e diventa a tutti gli effetti una First lady, protagonista del jet set internazionale.

3 donne straordinarie e imperfette, consigliere dei mariti, che furono al centro del potere, tra guerre, rivoluzioni e trasformazioni, affrontarono periodi difficili e di grande sofferenza, sfiorate più volte dalla morte.

 

Jung Chang    “L’imperatrice  Cixi”   -TEA-    euro   13,30

Se siete affascinati dalla complicata e avvincente storia della Cina, vale la pena leggere anche il precedente libro dell’autrice, pubblicato nel 2015, che ritrae una delle donne più forti e potenti del paese asiatico.

Cixi entrò a palazzo nel 1852 come concubina, non bella ma tanto fortunata da mettere al mondo un figlio maschio 4 anni dopo e fare un balzo in avanti quando l’imperatore Xianfeng la eleva a un rango superiore.

Diventa la consorte numero 2, seconda solo all’imperatrice Zhen e tra le due non ci fu mai rivalità. Intelligenti entrambe, una volta rimaste vedove, collaborarono e fecero fronte unito in attesa della maggiore età del piccolo imperatore Tongzhi. Entrambe gli fecero da madre e a un certo punto Zhen lasciò le redini a Cixi che, dal 1961 al 1908, per quasi 50 anni governò la Cina.

Non in prima persona (cosa impensabile), ma come reggente del figlio e poi del nipote. Sempre protesa nella lotta per condurre il suo paese fuori dall’arretratezza e traghettarlo nel progresso, nella modernità e in grado di stare al passo con le nazioni occidentali.

Questa corposa biografia storica rende a tutto tondo lo spessore dell’Imperatrice vedova che si trovò a fronteggiare nemici più forti e meglio armati, contrattare linee di confine, mediare la presenza di stranieri e missioni con usanze e credenze diverse…

Commise pure degli errori, per esempio affrontando male la ribellione dei boxer e macchiandosi anche di crudeltà; ma resta  il ritratto di una donna curiosa, aperta, lungimirante, alla quale la Cina deve molto. Fu lei a introdurre novità come la luce elettrica, la ferrovia, lo studio delle lingue e dell’economia straniere…

 

Dog sitter, un albo per regolamentare la professione

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Torino – Siamo abituati a ricondurre questo ruolo allo studente che porta a passeggio il cane di altri. In realtà la figura del dog sitter è molto diversa, ha più competenze maturate attraverso corsi di formazione che gli conferiscono conoscenze sull’etologia di base, sulla conduzione, sul trasporto, sulla gestione della passeggiata e sulla capacità di ospitare un animale.

Per questo sta diventando sempre più una professione qualificata che, secondo il consigliere regionale  di Forza Italia Paolo Ruzzola, necessita dell’istituzione di un vero e proprio elenco regionale professionale. Per questo il capogruppo di Fi ha presentato la Pdl 115, che è stata illustrata a Palazzo Lascaris  in Terza commissione, presieduta da Claudio Leone.

“Lo scopo dell’elenco regionale è quello di offrire ai proprietari di animali da compagnia i nominativi dei soggetti professionalmente e debitamente formati, che in Italia si stima siano circa 54mila” ha spiegato Ruzzola.

Il nostro Paese è al secondo posto in Europa per il possesso di animali da compagnia; secondo un rapporto del Censis del 2019, in Italia gli animali domestici sono circa 32 milioni, di cui 7 milioni sono cani e 7,5 milioni gatti. Un altro dato interessante è quanto rilevato dall’Anmvi (Associazione nazionale medici veterinari italiani), che ha evidenziato come i proprietari di animali over 65 siano saliti dal 21% a quasi il 24% del totale negli ultimi sette anni, facendo emergere anche l’importante ruolo sociale degli animali da affezione, che hanno una funzione tesa a compensare la solitudine. Esiste poi il comparto economico dedicato, che viene stimato in 5 miliardi di euro, con un tasso di crescita del 12% negli ultimi tre anni. Si tratta di numeri importanti, all’interno dei quali troviamo innanzitutto le spese per il veterinario ed il settore del pet food.

Ci sarà tempo sino al prossimo 4 febbraio per le consultazioni online di tutti i soggetti interessati, relatore di Maggioranza del provvedimento è stato nominato lo stesso presentatore Ruzzola, mentre quello di Minoranza, come richiesto dalla consigliera Monica Canalis (Pd), verrà indicato prima dell’inizio della discussione generale.

 

Orgoglio ispanico

Caleidoscopio rock Usa ?? Anni ‘60

Nella storia del rock americano degli anni Sessanta compaiono svariati e considerevoli contributi dalla componente ispanica (in primis in sud California, in Texas e naturalmente in New Mexico);

si può notare come non fosse raro trovare bands incentrate su almeno 2 o 3 fratelli ispanici che costituivano la spina dorsale dei gruppi, soprattutto nelle sezioni ritmiche. Come corollario ne derivava che ci fosse dunque un più ampio contesto ispanico nell’ambito dei managers musicali, dei talent scouts, degli intermediari e delle stesse etichette discografiche. Qui ci soffermiamo sul catalogo di un’etichetta musicale dell’area di San Antonio davvero “ispanica nell’anima”, la Pa-Go-Go; dalla vita breve (un anno e mezzo circa) ma intensa, seppe includere esperienze musicali davvero interessanti per il periodo, sia sul versante latin che su quello rock.

Il nome stesso dell’etichetta indicava le iniziali dei soci, ossia Joe “Pato” Gonzales e altri due Gonzales (probabilmente non imparentati col primo): Manuel e Rudy “Tee” Gonzales (quest’ultimo leader della band “Rudy & the Reno Bops”). Ma l’asso nella manica era la moglie di “Pato”, Lillian Gonzales, che dall’area di origine di Saginaw (Michigan) teneva vivi i rapporti con svariate bands del Midwest tramite la compagnia di management Gonzales & Gonzales. Ecco spiegato il “mistero” per cui parte dei gruppi dell’etichetta texana Pa-Go-Go fosse del Michigan e dintorni.

Ecco quindi il catalogo Pa-Go-Go, non del tutto completo ma già con molteplici integrazioni emerse nel corso degli anni, grazie a ritrovamenti di numeri di catalogo che parevano ormai irrecuperabili:

101 – Danny & the Tejanos – “Mi otra movida” (polka) / “Con esta copa” (ranchera)
102 – Question Mark & the Mysterians – “96 Tears” / “Midnight Hour” (apr. 1966)
103 – Sir David & His Knights – “Shotgun” / “All My Love” (D. Camarillo, Ed. Arguello Pub.)
104 – Fernando Y Juan – “Se te llego tu dia” / “Vuela vuela Palomita”
105 – Chavez & the Chevelles – “Buscando Una Estrella” / “El Trenesito”
106 – Danny & The Tejanos – “Confecion” / “Mundo raro”
107 – Little Henry & His Band – “No soy tu arroz con pollo” (I. Lopez) / “Amor sin medida” (J.  Jimenez)
108 – Sonny Ace – “Ya volvio la Palomita” (L. Guerrero) / “Sandra” (M. Linan)
109 – Vince Cantu & the Nu-Dominoes – “Hermosisimo Lucero” / “Negra Jornada”
110 – Al Pinckney & the Exclusives – “Coasting” / “La-Hai”
111 – Chavez & the Chevelles – “Pido” / “Angelitos Negros”
112 – Danny & the Tejanos – “Listen, Sweet Thing” / “What’s the Word” (D. Martinez)
113 – Conjunto Los Galantes de Manuel Gutierrez – “Contestaction a ‘Me Voy Lejos’” / “Ellas”
115 – Freddie Fender & His All Stars – “Cool Mary Lou” / “You Are My Sunshine”  (1966)
116 – Fernando Y Juan – “Amor Necio” / “Devolucion”
117 – Little Henry & His Pa-Go-Go Band – “Hello Young Lovers” / “The Masquerade Is Over”
118 – The Staffs – “Another Love” / “I Just Can’t Go to Sleep”  (1966)
120 – Rocky Gil & The Bishops – “Gritenme Piedras Del Campo” / “Amor Por Corello”
121 – Count and the Colony – “Can’t You See” (D. Brown, B. Burden) / “That’s the Way” (L. Wheatley, B. Burden)   (1966)
201 – Count and the Colony – “Say What You Think” / “Symptoms of Love” (ott. 1967)

Gian Marchisio

I diversi volti del trasformismo

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

L’ Italia è il Paese del trasformismo. Aveva ragione Gramsci a leggere la storia italiana in questa chiave, partendo da Cavour e Rattazzi per giungere a De Pretis e a Giolitti.

Molte maggioranze di governo si fondavano sul passaggio da uno schieramento all’altro di parlamentari, spesso per motivi inconfessabili, ma non sempre. Il connubio Cavour – Rattazzi, ad esempio, consenti al gran Conte di governare e di fare l’Italia, De Pretis si sostituì alla Destra Storica con metodi poco limpidi e i suoi governi non fecero un buon lavoro. Quel periodo sfociò nel governo Crispi,  reazionario nella politica interna e velleitario in quella coloniale. De Pretis segno’ quello che Spadolini definì l’autunno del Risorgimento. E con De Pretis cominciò‘ in modo preoccupante il malaffare e la corruttela meridionale trasferita in parlamento e al governo.
Gramsci accusò Giovanni Giolitti che concluse cent’anni fa il suo ultimo governo, il quinto, di “trasformismo molecolare“ perché andò a cercare a volte il voto del singolo parlamentare. Ma Giolitti, al di là di certi modi discutibili che lo fecero definire da Salvemini il “ministro della mala vita” seppe usare il consenso per grandi riforme e grandi progetti, come prima di lui fece Cavour. Giolitti fu un vero statista. Poi, con la fine del maggioritario e dell’uninominale dopo la prima guerra mondiale,  il trasformismo fu reso più difficile dalla nascita dei partiti di massa in parlamento.Dopo la parentesi fascista i trasformismi cambiarono. Ad esempio, il voto dell’articolo 7 della Costituzione da parte di Togliatti e del Pci fu un gesto trasformistico che fece inserire i Patti Lateranensi di Mussolini nella Costituzione. Ma quello di Togliatti era un progetto cinico, ma di alto profilo politico perché mirava ai rapporti con i cattolici.
Nella storia della repubblica si conoscono altri episodi miserevoli come l’acquisto di deputati monarchici da parte di Lauro per dividere il PNM di Covelli a vantaggio della Dc. Anche la scissione missina che creò‘ Democrazia nazionale nel 1976 fu orchestrata dalla Dc per indebolire Almirante dopo il grande successo del 1972. Non così si può dire delle due scissioni socialiste del 1947 e del 1969 che avevano motivazioni ideologiche precise al di là del clientelismo socialdemocratico che generarono e che tolse smalto a quelle scelte. Ci furono anche nella prima e seconda repubblica casi di deputati e senatori passati da un partito all’altro, soprattutto nella seconda repubblica. L’on. Luigi Compagna nella stessa legislatura passò in quasi dieci gruppi parlamentari. Anche i deputati eletti all’estero furono facile preda di acquisti a buon mercato.
Bisogna arrivare ai responsabili a sostegno di Berlusconi dopo il volta faccia di Fini per trovare altri trasformisti molecolari o quasi, come Scilipoti che arrivava dalle file di Di Pietro. Il bipartitismo della II repubblica favori il cambio di casacca. Pensiamo  a Quagliariello, Costa, Alfano ed altri.
Prima ci fu anche Mastella che con la sua Udeur scrisse un’altra pagina di trasformismo bieco, un caso da manuale. Anche chi segui Cossiga nel sostegno al governo D’Alema fu un trasformista ,anche se il disegno di Cossiga non si può accusare di trasformismo. Adesso è giunto il turno – sembra – della moglie di Mastella e di qualche altro “costruttore“, anzi patriota, pronto a sostenere Conte. La parola costruttore fu coniata da Mattarella a Capodanno.
Senza dare valutazioni etiche che in politica sono sempre molto discutibili ed incerte, oggi c’e’ da domandarsi una cosa sola: Conte merita un terzo incarico? E’ simile a Cavour e Giolitti o appartiene alla peggiore o, almeno alla più scialba e inefficiente politica della storia repubblicana? Se è uno statista, merita sicuramente il voto di chi si appresta a sostituire Renzi che, dando vita al Conte bis, fece, a sua volta, una scelta trasformista. Se non è un nuovo Cavour o un Giolitti redivivo, merita invece di tornare a casa. Cent’anni fa socialisti e cattolici dopo una guerra vinta, impedirono a Giolitti di governare.
Ma nell’ Italietta travolta dal Covid e dalla crisi economica questi confronti sono impraticabili anche perché, di fatto, per molti la democrazia va sospesa, lasciando il potere al Governo, scavalcando persino il Parlamento. Forse sarà il caso di ricordare cosa accadde nel 1922, tenendo presente che le forme di dittatura del nuovo secolo non necessariamente sono tinte di nero.ma possono avere forme subdole, ma non meno letali per la libertà.

Inviato da iPad

Occorre una svolta

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni Le vicende che ruotano su una possibile crisi di governo e che hanno in Matteo Renzi il suo protagonista, possono suscitare giudizi differenti:

le elezioni anticipate in queste condizioni sono indubbiamente un azzardo da non prendere alla leggera,  anche se Renzi ha il merito di aver sollevato nel governo Conte questioni molto serie rispetto ai grandi pasticci e ai gravi errori di Conte e dei suoi ministri. Non so quale esito avrà nelle prossime ore lo sbocco della crisi di fiducia nei confronti di Conte che si è indiscutibilmente ed assolutamente rivelato inadeguato. Non riesco più neppure a immaginare in che modo riusciremo a superare la crisi pandemica e la crisi economica in cui siamo impantanati, perché  siamo sempre più riducendoci al lumicino. Non abbiamo neppure i vaccini necessari. Questa è la verità incontrovertibile. Ma resta all’ordine del giorno il problema di non lasciare il paese in mano a questo miscuglio di forze politiche irresponsabili e di politicanti mediocri Siamo di fronte al peggiore governo della storia repubblicana. Non è un giudizio ideologico, è un dato di fatto. La politica non può’ rimanere senza prospettive di cambiamento democratico.  E’ necessario incominciare a pensare ad un’alternativa seria che trovi il suo asse portante nelle forze moderate, le uniche che abbiano saputo governare l’Italia. I moderati hanno sempre avuto un ruolo determinante nella democrazia italiana. Occorre una grande coalizione che vada oltre le sigle e i simboli attuali e superi anche un’opposizione che si è rivelata inetta nel suo Trumpismo goliardico e velleitario che involontariamente fa il gioco di Conte. Occorre una grande mobilitazione antipopulista e democratica che faccia ritrovare il valore del Parlamento e la sua centralità. Cattolici e laici , liberali e socialisti devono tornare ad essere la forza trainante. Al di là di Renzi e della inopportunità di elezioni politiche a breve, occorre una svolta rispetto a politici che hanno gravissime responsabilità sia sotto il profilo politico sia sotto quello sanitario. Se l’Italia è destinata ad essere soggetta al governo Conte e ai partiti che lo sostengono fino al 2023, siamo fritti. Molta gente non tollera più la situazione ed è pronta a scatenare la protesta di piazza di cui parlava questa estate. Bisogna dirlo con chiarezza. Ogni prospettiva di speranza oggi è finita. Non dimentichiamolo mai. C’è anche una brutta aria di conformismo che può preludere ad un regime, una prospettiva da non escludere a priori specie in contesti drammatici come gli attuali.

 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Ken Follett  “Fu sera e fu mattina”  -Mondadori-  euro 27,00

Anche se gli storici storcono il naso di fronte ad alcune ricostruzioni, resta il fatto insindacabile che Ken Follett è sinonimo di successo assicurato. Con questo romanzo – 30 anni dopo “I pilastri della terra”- lo scrittore britannico torna nell’immaginaria cittadina di Kingsbridge, all’alba dell’anno mille, con un portentoso prequel di 800 pagine.

Siamo nel 997 dopo Cristo, all’origine delle fitte tenebre di epoche fatte di miseria, fango, assalti di vichinghi, schiavitù, corruzione e sete di potere.

Edgar è un giovane maestro d’ascia, povero ma ingegnoso, che vive con la famiglia a Combe, sulla costa; sfortunato in amore perché mentre sta per scappare con la sua bella, un’incursione del popolo dei fiordi la uccide e rade al suolo il piccolo villaggio. Edgar sopravvive con la madre e  i fratelli ma è costretto a scappare e rifarsi una vita come coltivatore di avena, a Dreng’s Ferry, la futura Kingsbridge.

Sul paese ha piena giurisdizione il vescovo Wynstan: uomo corrotto, spietato, frequentatore assiduo di bordelli, stupratore e ricattatore nato, che non si fa scrupoli ad usare ogni nefandezza pur di accrescere potere e ricchezza, e mira all’arcivescovado di Canterbury.

Sono tempi bui in cui però c’è anche l’altra faccia della Chiesa: quella buona e positiva dei monaci mossi da nobili sentimenti, come Alfred che gira da un’abbazia all’altra e sogna di erigere al Signore un tempio di preghiera, fede, umanità e cultura.

Poi ci sono in ordine sparso un re debole, Etelredo II, incapace di proteggere il suo regno dalla brutalità dei nemici e dall’avidità degli amici; personaggi vari al di qua e al di là della Manica, e come tradizione vuole anche storie d’amore.

Spicca per bellezza e intraprendenza la contessina normanna Ragna; colta, piena di passione, decisamente impulsiva. Edgar stravede per lei che è andata sposa a un nobile inglese che la tradisce allegramente. A unire Edgar e Ragna è il far fronte alla minaccia vichinga e, come accade in un buon romanzo epico, anche qui si intrecciano giochi politici e d’amore.

 

 

Khaled  Khalifa  “Morire è un mestiere difficile”    -Bompiani-  euro 17,00

E’ duro e sconvolgente questo romanzo dello scrittore siriano Khaled Khalifa, nato ad Aleppo nel 1964, tra i fondatori della rivista letteraria “Alif”, autore di numerose sceneggiature di film e serie tv. Oggi vive a Damasco, ha vinto svariati premi ed è abilissimo nel raccontare la tragedia del suo popolo.

Come recita il titolo “Morire è un mestiere difficile” in un paese martoriato da 8 anni di conflitto, con 11 milioni di profughi e oltre 400mila morti (per alcuni sono molti di più), dove ci sono più checkpoint che presidi ospedalieri, dove il regime ha usato armi chimiche contro la popolazione, mentre a Raqqa l’Isis aveva stabilito la sua capitale.

Lì morire di morte naturale nel proprio letto è un evento raro e sospetto, perché le opzioni più diffuse sono altre: sotto i bombardamenti, torturati nei luoghi di detenzione, colpiti da cecchini,

nel corso di combattimenti e sequestri. Ma morire semplicemente di tristezza o vecchiaia, senza suscitare rabbia, è inusuale.

Eppure, a Damasco, controllata dalle forze governative di Assad, Bulbul (il suo vero nome è Nabil) raccoglie le ultime volontà del padre moribondo: essere sepolto nel suo paese natio, Annabiyya, accanto alla sorella Layla che si era uccisa da giovane in modo orribile e spettacolare per non sposare l’uomo –e la vita- che la famiglia (come da tradizione) avevano scelto per lei.

Solo 400 chilometri separano Damasco dalla destinazione; un paesino del nord vicino al confine turco, governato dalle forze ribelli, pericolosamente vicino ad Aleppo e ai territori annessi allo spietato Stato islamico.

In una terra che non rispetta la vita e tantomeno la morte, ecco che anche la sepoltura diventa un privilegio da conquistare rischiando la vita.

Bulbul, il fratello Husseyn e la sorella Fatima -che non si parlavano da anni- caricano il cadavere del genitore -avvolto in un lenzuolo- su un minibus e attraversano l’inferno per dargli la sepoltura che ha chiesto.

Il romanzo segue la Via Crucis dei 3 fratelli che per giorni si imbattono in continui checkpoint: incolonnati in eterne code di mezzi che vengono fermati e controllati, in balia per ore di uomini spietati. Le ore di viaggio si dilatano e il pulmino procede a rilento tra le macerie della guerra civile che ha raso al suolo interi villaggi, tra cadaveri smembrati e lasciati a marcire.

E mentre i 3 fratelli combattono con l’inesorabile disfacimento del cadavere paterno, ripensano alle loro vite, all’infanzia e alle vicende della famiglia.

Un romanzo che è soprattutto una lucida narrazione che ci aiuta a capire il dramma del popolo Siriano, ben più a fondo delle cronache giornalistiche.

 

 

Rachel Abbott  “Il tuo ultimo gioco”  -Piemme-   euro 19,90

E’ il terzo romanzo della scrittrice britannica ed ha al centro della vicenda le indagini della detective della omicidi Stephanie King e del suo compagno Angus Brody.

L’ambientazione è da sogno, in Cornovaglia, in una magnifica villa affacciata sul mare, dove sta per essere celebrato il matrimonio del padrone di casa – il carismatico e ricchissimo mecenate Lucas- che  per l’occasione ha invitato alcuni  suoi  amici di vecchia data e rispettive compagne.

Tra loro ci sono anche Jemma e Matt, felici sposi novelli, la cui vita sta per andare in frantumi.

Poi irrompono la tragedia e un mistero che affonda le radici nel passato.

Il giorno delle nozze il mare restituisce il cadavere sfigurato di Alex. E’ la sorella minore di Lucas (che col fratello aveva un legame strettissimo) ragazza tormentata e inquietante perché dietro i suoi silenzi si nasconde un evento traumatico che risale alla sua adolescenza.

Scatta così un delicato e sofisticato meccanismo in cui si affastellano ipotesi di suicidio, disgrazia o assassinio, condite da bugie, versioni contraddittorie, segreti innominabili e violenza gratuita. Cosa nascondeva l’anima inquieta di Alex che ogni sera nuotava in solitaria nelle acque gelide?

E perché esattamente un anno dopo Lucas riunisce gli  stessi amici nella dimora fiabesca e inscena un gioco pericoloso, una sorta di cena con delitto che ripercorra le ultime ore e la notte in cui Alex ha perso la vita? Tutti sembrano avere un segreto da nascondere…..

 

 

Hermann Broch  “I. 1888. Pasenow  o il romanticismo”  -Adelphi-  euro  20,00

Ecco un autore da riscoprire: Hermann Broch –nato a Vienna nel 1886 e morto a New Haven nel 1951- scrittore e drammaturgo austriaco naturalizzato statunitense. Figlio di un industriale tessile, dapprima condusse l’impresa di famiglia poi, alla morte del padre nel 1927, la vendette e virò sugli  studi di filosofia, psicologia e letteratura.

La sua prima opera, pubblicata a Zurigo nel 1931-32 fu la trilogia narrativa “I sonnambuli”; composta da 3 romanzi distinti – senza continuità di trama, vicende o personaggi- ognuno legato a una data e a uno stato d’animo.

Le storie si svolgono a distanza di 15 anni l’una dall’altra, ognuna ha un protagonista diverso, ispirato da un valore guida fissato nel titolo.

A “1888 Pasenow o il romanticismo” seguiranno “1903 Esch o l’anarchia” e “1918 Huguenau o il realismo”: coprono 50 anni  di storia tedesca mettendo a nudo la disgregazione dei valori, anticamera del nazismo, del quale Broch fu vittima, dapprima incarcerato e poi esule in America.

Pasenow  è il primo dei sonnambuli, ovvero coloro che continuano ad avere una fiducia cieca nei valori che hanno guidato le loro esistenze. Ma quando principi -come fedeltà, famiglia, patria, disciplina, onore, ecc.- si sgretolano, i sonnambuli continuano ad agire come se la realtà fosse un’altra.

L’autore ambienta la trama nell’impero germanico in età Guglielmina, esplora la crisi dei valori dell’epoca e lo fa attraverso Joachim von Pasenow. Junker prussiano incerto sul suo presente, incapace di deviare dal suo destino, che si sente a suo agio solo quando indossa l’ uniforme, perché fuori da essa perde consistenza e precipita nei dubbi.

Joachim si lascia trascinare dagli eventi, è combattuto tra l’amore per Ruzena, seducente giovane entraîneuse boema, e d’altro canto è titubante nel seguire l’onore e la tradizione sposando l’affascinante e virginale aristocratica Elisabeth, figlia di un proprietario terriero.

Ma a renderlo incerto è anche la scelta tra due opzioni che neanche lo convincono più di tanto:

continuare la carriera militare che non lo appassiona o ritornare svogliatamente alla tenuta di famiglia e prenderne le redini al posto del fratello maggiore  morto.