IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
L’arcivescovo di Milano Mario Delpini in una intervista sostiene, con toni da crociata, la condanna dei ricchi e dei profitti, rivendicando un egualitarismo sociale che fa di lui l’esponente non tanto di un Cristianesimo sociale, ma di una visione comunistica fuori dalla realtà.
L’Italia sta uscendo lentamente dalla pandemia, anche se continuano ad esserci dei legittimi dubbi sul nostro futuro. Ma la situazione economica che le chiusure forzate hanno provocato, e’ gravissima. Gli imprenditori di tanti settori sono sull’orlo del baratro. E già i sindacati riattaccano con le loro rivendicazioni, senza neppure considerare la situazione in cui ci dibattiamo. E la ricetta di certi politici il cui partito è al governo, riprendono con la parola magica e demagogica di nuove tasse. Per non parlare di una nuova ,indiscriminata accoglienza dei migranti ,quasi l’Italia fosse in grado di farsi carico ulteriormente di questi problemi
L’ arcivescovo di Milano non faccia il politico e non si improvvisi economista. Non ne hai i titoli. Per ridistribuire il reddito, bisogna prima produrlo ed oggi è questo il problema che abbiamo di fronte .
Le diseguaglianze non sono di per se‘ un fatto negativo da condannare perché quelle fondate sul lavoro, sulla capacità di rischiare in proprio, sul merito individuale sono sacrosante e sono il motore dell’economia. Il profitto è l’etica dell’imprenditore perché, se non produce profitti, chiude e licenzia.
Il monsignore milanese dovrebbe leggere un po’ di Einaudi, un cattolico convinto e praticante che ritenne che solo il liberismo economico possa creare ricchezza. La via egualitaria fondata sulle tasse asfissanti garantisce la morte certa dell’economia.
Bisogna lasciare liberi tutti coloro che ne abbiano la voglia e le capacità, di intraprendere nel modo più libero. Sono dei benemeriti che cercano di non far affondare la barca Italia .Il grillismo in coma del reddito di cittadinanza è una palla al piede intollerabile che premia i fannulloni e non crea lavoro, togliendo risorse agli investimenti. Dall’Arcivesvovo di Milano mi attendevo una capacità di riflettere in concreto e una capacità di analisi diversa . Ricordo il Cardinal Montini, futuro papa, capace di discorsi mai demagogici e sempre meditati. Montini non era certo un reazionario, ma un uomo colto che sapeva usare la penna al posto della clava. Mi scuso per la durezza, ma alcune frasi del monsignore mi hanno indignato. Sto lavorando freneticamente ad un nuovo libro che uscirà prossimamente e non ho un minuto da dedicare ad altro, ma l’intervista di chi siede oggi sulla cattedra di San Carlo Borromeo, mi ha costretto ad interrompere il lavoro per esprimere il più fermo dissenso. Con quelle idee che spero Draghi respinga, l’Italia è destinata al sicuro fallimento.
Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
L’ “Apeirogon” è un poligono con un numero infinitamente numerabile di lati: così come quest’opera
L’incapacità di essere buone madri è qualcosa che si eredita? Una sorta di maledizione insita in un Dna che non lascia scampo? E’ quello che si chiede il libro di esordio della scrittrice Ashley Audrain, nata a Newmarket nel 1982, che vive a Toronto ed ha lasciato il lavoro di capo ufficio stampa di Penguin Books Canada per seguire il figlio più piccolo affetto da una grave malattia.
La scrittrice inglese con questo volume conclude la parabola della vita di Tomas Cromwell e l’ambiziosa trilogia iniziata con “Wolf hall”, proseguita con “Anna Bolena, una questione di famiglia”.
Sottotitolo di questo volume è «vivere nella città che non dorme mai» alla scoperta della quale ci guida Careri: sceneggiatore, scrittore e vlogger, grande appassionato degli Stati Uniti, New York l’ha vissuta a fondo.
Il maschilismo sta tornando proprio in un contesto in cui alcune donne occupano posti di grande responsabilità e la proposta di legge Zan divide, non senza ragioni, il fronte femminista storico. Si sta dimenticando che le donne sono la maggioranza del Paese e devono avere il riconoscimento sancito dall’articolo 3 della Costituzione. La decrescita anagrafica e la denatalità che condannano l’Italia ad una marginalità destinata ad aumentare, dovrebbero imporre all’attenziome il ruolo femminile che è l’unica prospettiva di futuro per un Paese in declino. Almeno questa constatazione elementare dovrebbe essere compresa da tutti, anche i più grossolani.
Significa ricordare una schiena diritta che non si piegò al sopruso di alcuni magistrati e affrontò a viso aperto un grave errore giudiziario di cui fu vittima e che divenne una bandiera di battaglia per tutti coloro che hanno a cuore la Giustizia giusta in Italia. Quando leggo che la Corte di Strasburgo solleva 10 dubbi non di poco conto sulla condanna di Berlusconi per evasione fiscale inflitta dalla Cassazione, non posso non avere qualche legittimo dubbio in proposito che spero venga chiarito al più presto. A pochi giorni dalla sentenza durante una cena in onore di Vittorio Chiusano, sentii il mio vicino di tavola che era il più illustre difensore di Berlusconi, dire che la sentenza era ormai scritta e che alla difesa restava ben poco da fare. Parole che mi rimasero impresse. Quando leggo delle vicende del CSM, l’organo di autogoverno dei magistrati, non posso non provare sfiducia e disagio. Il sacrificio sacrificale di Tortora portò ad un referendum che stabili a larghissima maggioranza popolare una responsabilità civile dei giudici che non trovò mai una seria seria applicazione. I magistrati che condannarono ingiustamente Tortora fecero, anzi, carriera. A 33 anni dalla sua morte bisogna riprendere in mano la bandiera di Enzo per chiedere una radicale riforma della Giustizia penale e civile. Bonafede, il “Ministro forcaiolo”, ci stava portando verso il giacobinismo giudiziario più intollerante e intollerabile. Speriamo che la nuova ministra Cartabia abbia la forza per invertire la rotta. E’ difficile farlo perché in parlamento ci sono troppi giustizialisti assatanati come il presidente dell’Antimafia. Riprendiamo la battaglia di Tortora e speriamo che da lassù Enzo protegga l’Italia e la sua libertà. In suo nome Francesca Scopelliti ha sempre continuato le sue battaglie liberali. Noi dobbiamo essere al suo fianco più che mai oggi .Malgrado gli studiati silenzi dei giorni scorsi, anzi proprio per questi oblii. L’avvocatura ha sostenuto le cause giuste a difesa degli imputati e contro le derive autoritarie a garanzia dei diritti costituzionali, pensiamo alla presunzione di innocenza. L’avvocato Vittorio Chiusano a cui è intitolata la Camera Penale di Torino e sua figlia Anna che ne è stata la prima presidente, sono esempi fulgidi di come indossare la toga non sia un mestiere, ma una missione carica di una sacralità laica , non meno importante di quella religiosa. Anna Chiusano è sempre stata schierata a fianco di Francesca Scopelliti nel corso degli anni. Ed insieme ad Enzo va ricordato Marco Pannella, il libertario autenticamente liberale che del caso Tortora fece con coraggio un caso politico a livello europeo. Ho visto su Fb ieri che anche Emma Bonino si è ricordata di Enzo. Meglio tardi che mai.
Viaggi, oggi, in gran parte improbabili. Fors’anche “proibiti”. Viaggi-sogno resi tali dall’incombere dell’emergenza pandemica. Ventidue vie “in sapiente equilibrio fra narrativa e descrizione” raccontate con stile e interpretazione di assoluta libertà ed eterogeneità in diciannove racconti, a firma di altrettanti scrittori ed assemblati per i tipi di “Neos Edizioni” e per la collana “Pagine in Viaggio” (quarta edizione) dal torinese Giorgio Enrico Bena, scrittore, ma anche illustratore e fotografo, divorato da un’ indomita passione per i viaggi. Questo é “Sulle vie del mondo”, 192 pagine che narrano di vie, rotte, piste, cammini e sentieri. Dalle rotte marine ai più impensabili tracciati ferroviari, dalle piste assolate ai sentieri dispersi nella foresta o su e giù per monti e colline, sulle grandi vie lungo le quali si sono mossi ieri e si muovono oggi i popoli e la storia. E a raccontare di emozioni, nostalgie e curiosità è una schiera disparata di personaggi che si muove per ogni dove. Tasta, annusa, assapora, vive e convive trascinandoci in luoghi di storie famigliari, dalla Sicilia all’Emilia, dalle valli del Reno a quelle del Cuneese. Fino a virate ardimentose che ci fanno volare d’incanto nel cuore rosso dell’Australia o lungo la sua costa frastagliata sull’Oceano Indiano. E poi eccoci a fare i conti con la Colombia, il Sahara, la via della Seta, l’Uzbekistan, la Transiberiana, la Highway 66, il postale dei fiordi, la pista namibiana dei diamanti, l’Amazzonia delle piante maestre, il Sinai dell’esodo biblico, la via Francigena, la via sacra che da Atene portava ad Eleusi. Si viaggia sul filo incontrollabile delle parole attraverso paesaggi e continenti, civiltà e natura incontrastate. E ad arricchire ancor di più il viaggio quattro suggestivi “portfolio” fotografici che ci portano – pensate un po’ – dalla Terra alla Luna. Diciannove, si diceva, i racconti. A firma di: Donatella Actis, Gea Aricò, Paolo Calvino, Paolo Camera, Federica Capozzi, Giorgio Enrico Bena, Giuliano Faccani, Delfina Grosso, Giorgio Macor, Ferruccio Nano, Costanza Ossola, Tania Re, Daniele Regge, Laura Remondino, Franca Rizzi Martini, Roberto Taberna, Raffaele Tomasulo, Teodora Trevisan, Riccardo Zerbetto.
La storia narrate nel libro, in gran parte storicamente accertate e scritte con un ritmo narrativo da romanzo, si svolgono tra il 1943 e il 1945 nell’alto Monferrato alessandrino, precisamente nell’antico santuario della Rocchetta a Lerma, fra Gavi e Ovada, e successivamente nella zona attorno al monte Tobbio, la montagna posta al centro del Parco naturale delle Capanne di Marcarolo. Le famiglie ebree, dopo l’armistizio dell’8 settembre e l’occupazione militare tedesca della penisola, non erano al sicuro e iniziarono le deportazioni e le uccisioni,a partire dalla strage del Lago Maggiore, la prima in assoluto e la più grave dopo quella delle Fosse Ardeatine. I coniugi Enrico Levi e Lisa Vita Finzi, lui zio di Primo Levi e lei zia di Emanuele Luzzati, e i fratelli Gastone e Valentina Soria cercarono rifugio a Lerma nel santuario di Nostra Signora delle Grazie, posto su uno sperone di roccia sul torrente Piota, primo Appennino ligure, nell’Ovadese.