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Lo Zabaione? Ecco la ricetta del “tiramisù” alla torinese

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Lo Zabaione, deliziosa crema all’uovo, è torinese Doc! Ecco la prodigiosa ricetta “1-2-2-1”

Ebbene sì, la ricetta dello zabaione non è lombarda, veneziana, e nemmeno emiliana, come si legge qua e là.

La ricetta della nota specialità fa parte della ricca cucina subalpina, e la si deve al frate spagnolo Pasquale de Baylón. Intorno a metà Cinquecento, il giovane frate francescano approdò a Torino per il suo apostolato, presso la Parrocchia di San Tommaso, all’angolo tra via Pietro Micca e via San Tommaso.

Fra Pasquale, addetto cuoco presso il convento, non riuscendo a montare uova e zucchero, provò quindi ad aggiungere vino dolce al composto. Fu così che, per caso, nacque la crema calda oggi conosciuta col nome di Zabaglione, o semplicemente zabaione.

Secondo certe cronache del tempo, il frate divenne ben presto un fidato consigliere per le giovani dame penitenti. Trascurate dai mariti, le pie donne si rivolgevano a lui in cerca di aiuto, per stimolare l’eros ed il vigore fisico dei congiunti.

Così facendo, la cura a base di zabaione divenne ben presto un’efficace panacea rinvigorente, oltre che una gustosissima ricetta.

La Ricetta originale di Fra Pasquale (1-2-2-1)

Alle signore che si dolevano della scarso appetito dei consorti, il frate suggeriva una semplice preparazione a base di tuorli d’uovo, zucchero e marsala, sapientemente combinati.

Ecco la ricetta miracolosa del San Pasquale de Baylón (da cui proviene il piemontese ‘L Sanbajon, divenuto zabaione o zabaglione in italiano):

  • 1 Tuorlo d’uovo
  • 2 cucchiaini di zucchero (da sbattere finchè il tuorlo diventa quasi bianco), a cui aggiungere:
  • 2 gusci d’uovo abbondanti di marsala
  • 1 guscio d’acqua

La crema andava scaldata a bagnomaria, da mescolare al primo bollore.

L’eredità di Fra Pasquale

Santificato nel 1680 da Papa Alessandro VIII, San Pasquale de Baylon è, dal 1722, il Santo Protettore di tutti i Cuochi del mondo; la sua festa cade il 17 maggio ed è venerato in Torino nella chiesa di San Tommaso.

Un suo ritratto è collocato nel coro della Chiesa del Monte dei Cappuccini a Torino.

Per correttezza, va comunque menzionata la teoria secondo cui, per la prima volta, la ricetta dello zabaione fu descritta da Bartolomeo Stefani, cuoco di corte della famiglia Gonzaga di Mantova nel testo L’arte di ben cucinare et instruire i men periti in quella lodeuole professione, Mantova, 1685.

Nel testo si legge:

Per far un zambalione: Si pigliarà ova fresche sei, zuccaro fino in polvere libra una e meza, vino bianco oncie sei, il tutto si sbatterà insieme, e poi si pigliarà un tegame di pietra vitriato a portione della detta composizione, si mettarà due once di butiro a disfar nel tegame, quando sarà disfato si butterà la composizione dandogli fuoco sotto e sopra.

Se si vorrà mettere nella composizione cannella pista se ne mettarà un quarto, se si vorrà ammuschiar conforme il gusto, avertendo però alla cottura che non si intostisca troppo.

Puoi fare ancora il zambalione in questa maniera: pigliarai oncie due di pistacchi mondi, pellati e poi pistati nel mortaio e stemprali con il vino, che va fatto il zambalione, e questo zambalione serve assai per i cacciatori, perché alla mattina, avanti vadino alla caccia, pigliano questo; se per sorte perdessero il bagaglio possano star così sino alla sera; se può fare con il latte di pignoli, come di sopra, e per convalescenti, che non possono pigliar forza, si fa col seme di melone.

Sapore di mare: gratin di pesce in conchiglia

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Una preparazione dedicata ad un momento di festa che soddisfera’ anche i palati piu’ raffinati

Eccovi una proposta deliziosa a  base di pesce per  un antipasto originale e d’effetto. Una ricetta delicata, un’armonia di sapori resi ancora piu’ invitanti dalla presentazione in conchiglie di capesante, una preparazione dedicata ad un momento di festa che soddisfera’ anche i palati piu’ raffinati.

 

Ingredienti per 8 persone:

300gr. di filetto di nasello

300gr. di salmone fresco

10 code di gaberoni

250gr. di besciamella

100gr. di parmigiano grattugiato

100gr. di emmenthal

Sale, pepe, prezzemolo q.b.

Cuocere a vapore il nasello, il salmone e le code di gambero, lasciar raffreddare. In una ciotola sminuzzare il pesce, salare, pepare, aggiungere tre cucchiai di parmigiano, l’emmental tagliato a cubetti, il prezzemolo tritato e la besciamella. Mescolare con cura, riempire con il composto ottenuto i gusci delle capesante, cospargere di parmigiano e infornare a 200 gradi per 10 minuti poi lasciar gratinare sotto il grill sino a completa doratura. Servire la conchiglia calda su un letto di insalatina.

 

Paperita Patty

Sapore d’Oriente nel piatto: straccetti speciali di pollo

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Il piatto non necessita di lunghe cotture ma di una profumata marinatura

 

Un ottimo secondo piatto leggero, fresco e veloce, non necessita di lunghe cotture ma di una profumata marinatura che esaltera’ il delicato gusto del pollo abbinato alla croccantezza delle verdure.

Semplice, dal successo garantito.

 

 Ingredienti:

1/2 petto di pollo intero

2 carote

2 zucchine

1 limone

1 spicchio di aglio

1 cucchiaino di zenzero in polvere

1 cucchiaino di semi di cumino

1 cucchiaino di semi di sesamo

olio evo q.b.

sale, pepe q.b.

Lavare le verdure e tagliarle a bastoncini nel senso della lunghezza.Tagliare il petto di pollo a striscioline, metterlo in una terrina, cospargerlo con le verdure, le spezie, l’aglio a fettine, bagnare il tutto con il limone, l’olio, il sale,e il pepe. Mescolare bene e lasciar marinare in frigorifero per almeno due ore. In una piastra in ghisa rovente, cuocere gli straccetti di pollo con le verdure scolate per circa dieci minuti, mescolare con una paletta e bagnare con la marinatura, lasciar sfumare. A cottura ultimata, servire subito.

Paperita Patty

In viaggio con il gabbiano

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Liberato l’ormeggio il battello si preparava a far rotta verso l’isola Pescatori. L’Helvetia si muoveva al rallentatore, restia a prendere il largo

Pareva non voler lasciare l’attracco, confidando nell’accoglienza dell’imbarcadero per prendere fiato e riposare il suo scafo provato da decenni di onorato servizio sulle acque del Verbano.

Ma le due eliche, mosse dalla potenza dei quattrocento cavalli a motore, fecero ribollire l’acqua e pur con un certo rimpianto e di malavoglia, partì. Con me era salita a bordo solo una coppia di stranieri. E più di tre quarti dei posti a sedere erano vuoti. Non c’era da stupirsi. La bella stagione era agli inizi e, per di più eravamo a metà settimana. Il lago era calmo e l’aria appena mossa da una leggera e piacevole brezza. Attraverso il tondo dell’oblò della porta d’accesso al ponte di coperta verso prua, dov’erano stivati i grossi e rigidi salvagenti, vidi un gabbiamo che si era posato vicino ai sugheri. Pur essendo uccelli di mare, diverse colonie di gabbiani vivono sui grandi laghi del nord, dal Maggiore al Garda. E quello lì,con una certa insistenza, mi guardava fisso con i suoi occhietti mobili. Ritto sulle zampette, se ne stava con fare allegro appollaiato sul parapetto, le lunghe ali raccolte, muovendo il becco   adunco e robusto. Sembrava mi parlasse, intendesse comunicare, desideroso di dispensare un saluto. Lo guardavo anch’io con curiosità. Forse troppa perché, qualche minuto dopo, prese il volo e si diresse verso il largo, lanciando le sue grida un po’ rauche. Il battello, dopo la breve navigazione stava per giungere all’attracco sull’isola quando un gabbiano planò sul ponte e mi fissò a lungo. Pareva in tutto e per tutto lo stesso di qualche istante prima che forse, con gesto garbato e cortese,non voleva far mancare un saluto prima dello sbarco.

Marco Travaglini

I retroscena della chirurgia estetica con la dottoressa Cacciatore

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SCOPRI -TO Alla scoperta di Torino 

Oggi siamo in compagnia della Dott.ssa Carola Cacciatore, nota specialista torinese che si occupa di medicina estetica, il cui motto è “equilibrio, armonia e naturalezza”. Proprio per questo approfondiremo insieme numerose problematiche che i trattamenti estetici possono portare se non fatti correttamente.

D) Buongiorno Dott.ssa Cacciatore, spesso non è chiara la differenza fra chirurgo plastico ed estetico, può spiegarcela?

R) Certo, molto volentieri; il chirurgo plastico è ricostruttivo come dice il termine, è quindi un chirurgo che ha una formazione specialistica, si occupa di correggere difetti, lesioni, traumi, disturbi dovuti a malattie come, per sempio, le problematiche oncologiche. Il medico estetico invece si occupa di migliorare l’aspetto della persona in generale e può venire da diverse specializzazioni prendendo un master in medicina estetica dopo aver conseguito la laurea in Medicina.

D) Molte persone quando iniziano un percorso di medicina estetica provano così tanta soddisfazione per il risultato da non riuscire più a farne a meno. Questo è dovuto ad un aumento di dopamina, quando siamo particolarmente soddisfatti di un acquisto o di qualcosa che abbiamo addosso l’ormone che ci fa provare soddisfazione cresce e spesso ne vogliamo ancora. Ecco che alcune persone così eccedono nei trattamenti. Come si fa quindi a non esagerare con la chirurgia estetica?

R) I pazienti si fidano di me, quindi io sono sempre molto sincera se un trattamento diventa esagerato non lo consiglio e mi è capitato diverse volte. Le persone devono star bene dentro e fuori, la medicina estetica è bella quando è naturale. Amo rispettare le linee naturali del volto del paziente e spesso arrivano clienti disperati con lavori fatti molto male e soprattutto mi capita di avere tante persone con eccessi di filler, quest’ultimo va fatto ogni tot mesi ma non tutti i medici lo dicono.

D) Si rischia anche poi di cadere nei disturbi della dismorfofobia, ovvero il non vedere bene una parte di noi che invece è normale agli occhi degli altri?

R) Assolutamente sì, ho pazienti che ne soffrono, infatti faccio sempre una consulenza preventiva per comprendere che le necessità siano reali ed effettive, diversamente consiglio professionisti che si occupano di seguire la parte psicologica.

D) Come mai molte donne hanno quell’effetto “labbra a canotto”, è normale?

R) No, non è normale, può avvenire per situazioni diverse, ad esempio se è stato fatto uno stravaso di filler, ovvero eccessivo acido ialuronico, che ha sformato i tessuti delle labbra, oppure, si presenta se si utilizzano tecniche non corrette, bisogna intervenire sul primo tessuto sottocutaneo per dare definizione in modo corretto e non tutti lo fanno, questo causa quel famoso difetto estetico chiamato anche “labbra a papera”.

D) Bisogna quindi, affidarsi a mani esperte. So che ha seguito anche numerosi pazienti che hanno subito delle operazioni oncologiche e questi casi, sono per lei un grande stimolo a voler perfezionare sempre di più la tua bravura con l’obiettivo di rendere le persone serene e lucenti, ce lo può spiegare?

R) Certamente, ho molti pazienti oncologici anche perché vengo dalla chirurgia toracica, dove trattavo i tumori al polmone. Bisogna avere tanta delicatezza con i pazienti, dargli fiducia, tranquillità e spensieratezza, amo ridonare a questi pazienti luce sia dall’aspetto estetico sia a livello mentale. Per esempio ho seguito una ragazza con un tumore al seno, dopo le tante cure lei non si vedeva più bene con se stessa, la sua pelle del viso era cambiata, era tirata e si vedeva invecchiata, per questo motivo non usciva più, se non per andare al lavoro, si vergognava della sua immagine, odiava le foto e gli incontri con amici e parenti, con un mio percorso estetico e uno mentale che ha gestito con dei professionisti si è risentita finalmente bellissima, fiera del suo percorso e nuovamente sicura di sé stessa.

D) Qual è il percorso che attua nello specifico con questi pazienti?

R) La pelle con la radioterapia e la chemioterapia subisce delle trasformazioni importanti, i pazienti si vedono più stanchi, più lassi e con la medicina estetica vado ad operare in queste zone del viso con vitamine, filler, in base alla necessità, così da far ritrovare al paziente la morbidezza e la bellezza che aveva prima delle cure. Il mio lavoro è quindi utile a tantissime persone per far si che si sentano la loro miglior versione, sempre rimanendo loro stessi, perché ciò che ci rende belli è la nostra unicità.

Grazie Dott.ssa, è stata una bella esperienza conoscerla, Le auguro di implementare questa splendida carriera ricca di grandi risultati sempre col motto “equilibrio, armonia e naturalezza”.

NOEMI GARIANO

 

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

Beetlejuice Beetlejuice – Commedia. Regia di Tim Burton, con Michael Keatom, Winona Ryder, Willem Defoe, Jenna Ortega Catherine O’Hara e Monica Bellucci. Alla morte improvvisa del padre, Lydia Deetz torna a Winter River per un ultimo saluto in compagnia della figlia Astrid., giovane e ribelle, e della matrigna Delia, proprio quando a distanza di ben trentacinque anni hanno nuovamente luogo le apparizioni di Beetlejuice, presenza di cui in verità sperava di essersi liberata per sempre.

Ma i guai non colpiscono soltanto Lydia, anche lo “spiritello porcello” dovrà fare i conti con la sua ex consorte, ben felice di essere riuscita a rimettere in sesto il proprio cadavere, ricomponendolo grazie a una sparapunti, e aspirando a una vendetta che possa far sbalordire il mondo intero. Astrid nel frattempo incontra un ragazzo del luogo: e forse quell’incontro può essere l’inizio di altri guai. Film d’apertura – e di grande successo – alla 81a mostra di Venezia. Durata 104 minuti. (Centrale anche V.O., Fratelli Marx sala Groucho, Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Eliseo Grande, Ideal V.O., Lux sala 1, Reposi sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto anche V.O., The Space Beinasco)

Campo di battaglia – Storico, drammatico. Regia di Gianni Amelio, con Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini. Verso la fine della Prima Grande guerra, due ufficiali medici, amici da sempre, vivono e operano nello stesso ospedale, là dove arrivano ogni giorno uomini gravemente feriti. Molti quelle ferite se le sono procurati da soli, per non dover tornare al fronte.

Da un lato, Stefano, rampollo dell’alta borghesia per il quale il padre sogna un futuro in politica, vede con occhio feroce questi autolesionisti e non vede altro che rimandarli a combattere in montagna. Giulio, più comprensivo, cerca di comprenderne le ragioni, è contrario a quei plotoni d’esecuzione che sempre più spesso sono lì a condannare in maniera definitiva. Tra di loro Anna, amica sin dai tempi universitari, forte davanti al duro lavoro che l’aspetta e pronta ad affrontare quella sua attività che la vede posta in secondo piano in quanto donna. Qualcosa capita tra i soldati, molti s’aggravano in maniera misteriosa, forse andrebbe ricercato l’intervento di qualcuno che espressamente provoca delle complicazioni alle loro ferite. Altresì una malattia, la cosiddetta spagnola, viene a decimare i feriti e la popolazione delle valli vicine. Durata 104 minuti. (Eliseo, Nazionale sala 1, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Il caso Goldman – Drammatico. Regia di Cédric Kahn, con Arieh Worthalter e Arturo Harari. La storia vera del secondo progetto a cui fu soggetto Pierre Goldman, militante della sinistra estrema francese nel 1975. Accusato di reali multipli, Goldman ammette tutti i capi d’accusa con la veemente eccezione di quelli per omicidio (durante una rapina all’interno di una farmacia erano state uccise due persone), per i quali non soltanto si proclama innocente ma si scaglia polemicamente contro tutto e tutti nell’aula di tribunale, rifiutando qualunque caratterizzazione moralistica della sua difficile vita. Durata 115 minuti. (Greenwich Village sala 1)

Cattiverie a domicilio – Commedia. Regia di Thea Sharrock, con Olivia Colman, Jessie Buckley e Timothy Spall. 1922. Una cittadina affacciata sulla costa meridionale dell’Inghilterra è teatro di un farsesco e a tratti sinistro scandalo. Basato su una bizzarra storia realmente accaduta, il film segue le vicende di due vicine di casa: Edith, originaria del posto e profondamente conservatrice, e Rose, turbolenta immigrata irlandese. Quando Edith e altri suoi concittadini iniziano a ricevere lettere oscene piene di scabrosità, i sospetti ricadono immediatamente su Rose. Le lettere anonime scatenano una protesta a livello nazionale che scaturisce in un processo. Saranno le donne – guidate dalla poliziotta Gladys – a indagare sul crimine, sospettando che le cose potrebbero non essere come sembrano. Durata 90 minuti. (Centrale anche V.O.)

Coppia aperta quasi spalancata – Commedia drammatica. Regia di Federica Di Giacomo, con Chiara Francini e Alessandro Federico. Tratto dall’omonimo spettacolo di Dario Fo e Franca Rame. La storia di Antonia, dell’evoluzione del suo personaggio, una donna degli anni Settanta a cui il marito propone di spalancare la coppia, proponendole un nuovi “ritmo” di vita e prospettandole nuovi “adattamenti”. La donna accetta, ne andrebbe della separazione dal suo uomo. Ma non si tratta di guardare esclusivamente all’interno della coppia e della casa, si tratta anche di portare in giro per i teatri il testo e la storia stessa, si tratta di dividersi tra un compagno della vita e un compagno della scena: si tratta di scoprire un nuovo universo che è il panorama amoroso di quegli anni, tutto libertà e liberazione, tutto rifiuto al concetto di monogamia, tutto intrecciato con gli agguerriti gruppi di femministe. Durata 120 minuti. (Fratelli Marx sala Harpo)

Divano di famiglia – Commedia drammatica. Regia di Niclas Larsson, con Ellen Burstyn, Ewan McGregor e Rhys Ifans. Tre fratelli adulti, che da tempo ormai non hanno più rapporti tra loro, sono costretti a ritrovarsi quando sono avvisati che la madre si rifiuta di spostarsi dal divano in esposizione in un negozio di mobili su cui si è accomodata. Durata 96 minuti. (Romano sala 1)

L’innocenza – Drammatico. Regia di Hirokazu Kore Eda. Minato, che ha 11 anni e vive con la madre vedova, inizia a comportarsi in modo strano e torna da scuola sempre più avvilito. Tutto lascia pensare che il responsabile sia un insegnante, così la madre si precipita a scuola per scoprire cosa sta succedendo. Ma la verità si rivelerà essere tutt’altra e i fatti sveleranno una toccante e profonda storia di amicizia. Durata 126 minuti. (Nazionale sala 3)

Limonov – Drammatico,. regia di Kirill Serebrennikov, con Ben Whishaw e Tomas Arana. La vita avventurosa e complessa, da dissidente, di Eduard Lomonov, intellettuale e scrittore, ricavata dal libro di Emmanuel Carrère. Il suo abbandono dell’Unione Sovietica, l’arrivo a New York per vivere in un primo tempo da homeless e poi in qualità di maggiordomo in casa di un ricco signore. Grandi amori e grandi pubblicazioni di successo, la fondazione di un partito che si definisce bolscevico e nazionalista. Durata 138 minuti. (Eliseo, Massimo sala Cabiria anche V.O., Nazionale sala 2 anche V.O., The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

MaXXXine – Horror. Regia di Ti West, con Mia Goth, Bobbi Cannavale e Kevin Bacon. 1985. Maxine è a Hollywood con l’intenzione fermissima di dare una svolta decisiva alla sua vita. Fa l’attrice nel cinema porno, ma si rende conto che è necessario mirare più in alto, passare al cinema “normale”. A questo scopo partecipa a un’audizione per una parte nel seguito di un horror di serie B diretto da un’ambiziosa regista. Nonostante la sua provenienza dal porno possa essere un handicap, Maxine non si dà per vinta e ottiene il ruolo. Sembra l’inizio della sua realizzazione artistica, ma in città opera un feroce serial killer che ammazza in continuazione anche pornostar colleghe di Maxine. Inoltre, un detective privato si fa vivo con toni insinuanti e minacciosi: la cerca dietro incarico di un uomo potente, una figura misteriosa che emerge da un passato con cui Maxine dovrà fare i conti, mentre lotta per sopravvivere e diventare una star. Durata 103 minuti. (Ideal, Nazionale sala 4)

Miller’s girl – Commedia drammatica. Regia di Jade Halley Bartlett, con Martin Freeman e Jenna Ortega. Cairo, una giovane studentessa con uno spiccato talento per la scrittura, viene notata dal suo insegnante che le assegna un progetto che coinvolgerà entrambi in un intreccio sempre più complesso. Mentre i confini si confondono e le loro vite si intrecciano, il professore e la sua protetta devono fare i conti con i loro lati più oscuri, cercando di proteggere se stessi e tutto quello che hanno di più caro. Durata 93 minuti. (Romano)

La sindrome degli amori passati – Commedia. regia di Raphaël Balboni e Ann Sirot, con Lucie Debay e Lazare Gousseau. Sandra e Rémy sono una coppia affiatata ma sterile. Quando un preteso specialista li indirizza verso una benedetta soluzione secondo la quale il problema sarà prontamente superato andando a letto con i rispettivi amori passati, ecco che lui e lei iniziano la terapia, lei con parecchie sedute, lui con un numero esiguo che non arriva a riempire le dita di una mano. E se quella soluzione non fosse delle migliori? se andasse a scavare in perfetti equilibri e magari a demolirli? Durata 90 minuti. (Fratelli Marx sala Chico e Harpo)

La vita accanto – Drammatico. Regia di Marco Tullio Giordana, con Sonia Bergamasco, Paolo Pierobon, Beatrice Barison e Valentina Bellè.

Ambientato tra gli anni Ottanta e i Duemila,  il film racconta di una influente famiglia vicentina composta da Maria, dal marito Osvaldo e dalla gemella di quest’ultimo, Erminia, affermata pianista. La loro vita viene sconvolta da un evento imprevedibile. Maria mette al mondo Rebecca. La neonata, per il resto normalissima e di grande bellezza, presenta una vistosa macchia purpurea che le segna metà del viso. Quella macchia che niente può cancellare e rende i genitori impotenti e infelici, diventa per Maria un’ossessione tale dal precipitarla nel rifiuto delle sue responsabilità di madre. L’intera adolescenza di Rebecca sarà segnata dalla vergogna e dal desiderio di nascondersi agli altri. Ma Rebecca fin da piccola rivela straordinarie capacità musicali. La zia Erminia riconosce il suo talento: Rebecca diventa sua allieva e il bisogno di cancellare la “macchia” la spingerà ad affermarsi attraverso la musica. Durata 100 minuti. (Nazionale sala 4)

Che buono il pane proteico! La ricetta de La Cuoca Insolita

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Rubrica a cura de La Cuoca Insolita

Introduzione Al pane noi italiani non possiamo proprio rinunciare. Questa ricetta si può usare per un pane da tagliare a fette anche sottilissime, perché non si sbriciola. Adatto sia a tavola che per colazione o per uno spuntino, è morbido, profumatissimo e si conserva anche per 3 settimane in frigorifero! Il lievito madre lo rende ancora più digeribile. Da provare subito!

Tempi: Preparazione (15 min); Lievitazione (3 h); Cottura (30 minuti)
Attrezzatura necessaria: 1 ciotola grande, 1 teglia per plumcake, forno, 1 coltellino a lama liscia
Difficoltà (da 1 a 3): 1
Costo totale: 3,50 €/kg

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • Il bello del pane proteico è che ha meno carboidrati rispetto al pane tradizionale, fatto di farina di grano, acqua e poco altro. Confrontato con il classico pancarré parliamo del 20% di carboidrati in meno e sei volte di più di fibre.
  • Risultato? Il suo indice glicemico (IG) è più basso e la glicemia si alzerà molto meno velocemente.
  • Perché questa è una bella notizia? Perché glicemia che si alza in fretta = maggiore possibilità di prendere peso e problemi di fame dopo 2 ore. Ancora: per chi soffre o è a rischio di diabete gli sbalzi glicemia vanno tenuti a bada il più possibile.
  • È preparato con il lievito madre = lievitazione naturale, sapore più intenso e meno gonfiore di pancia. Clicca qui per sapere come fare il lievito madre in casa.

È adatto anche per fare dei panini o toast, perché si possono tagliare delle fette anche sottilissime, che non si rompono. Ottimo sia per panini dolci che salati.

Ingredienti per il pane proteico

  • Farina di farro integrale – 140 g
  • Farina Manitoba – 160 g
  • Farina di lenticchie rosse – 45 g
  • Farina di semi di canapa – 30 g
  • Farina di semi di lino – 30 g
  • Lievito madre appena rinfrescato – 250 g
  • Acqua tiepida – 200 ml
  • Olio extra vergine di oliva – 3 cucchiai
  • Sale – 7 g (1 cucchiaino raso)
  • Semi di zucca interi – 35 g

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link.

In caso di allergie…

Allergeni presenti: cereali contenenti glutine

Come preparare il pane proteico

Fase 1: MESCOLA E IMPASTA

Aggiungete tutte le farine nella ciotola insieme all’acqua tiepida.  Amalgamate bene con le mani e, quando l’impasto sarà meno appiccicosa, unite il lievito madre, quindi l’olio e il sale. Aggiungere i semi di zucca e amalgamateli bene nella palla di pasta cruda.

Fase 2: LA LIEVITAZIONE

Formate un salame e praticate dei tagli con il coltello sulla superficie. Disponete nella teglia da plumcake unta di olio e cosparsa di farina e mettete in forno spento a lievitare, con un pentolino di acqua bollente. Lasciate lievitare per 3 ore o comunque fino a quando il volume sarà raddoppiato.

FASE 2: LA COTTURA

Accendete il forno a 180 gradi ventilato e cuocete per 30 minuti circa. Se a fine tempo la superficie del pane è troppo dura, inumidite subito la superficie del pane con acqua, usando uno spruzzino. Lasciate raffreddare, possibilmente su una griglia, prima di tagliare il pane a fette.

Potete anche provare a fare dei piccoli da 50 g, cuocendoli a 180° C per 15 minuti. Verranno morbidi e buonissimi. Mettete sempre un pentolino di acqua nel forno durante la cottura e spruzzate a fine cottura la superficie del pane con lo spruzzino.

CONSERVAZIONE

In frigorifero: 3 settimane
Nel congelatore: tagliate a fette e mettete nel congelatore, in una busta gelo. Si conserverà perfettamente per mesi.

Giacomo e la briscola chiamata

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Quando il cielo lacrimava e sul lago soffiava quell’arietta fresca che intirizziva, la passeggiata sul lungolago verso la Villa Branca finiva immancabilmente davanti alla porta dell’amico Giacomo dove ci attendevano le sfida a briscola e tresette

 

Giacomo Verdi, detto “balengo” perché amava spingere la sua barca a remi tra le onde del lago in tempesta, infischiandosene dei rischi, da un bel po’ di tempo era costretto a stare in casa. Un brutta sciatalgia e i reumatismi rimediati  nel far la spola tra le due sponde del lago e le isole, gli impedivano di stare troppo in piedi. E allora, con la scusa di andarlo a trovare, ingaggiavamo delle tremende sfide all’ultima mano. “ Ah, amici miei, sapeste che rottura di balle dover star qui recluso. Per uno come me che non trovava mai terraferma e che fin da piccolo stava con la faccia contro vento, star qui costretto tra seggiola e divano, tra poltrona e letto, è proprio una gran brutta cosa. Quelle volte che non sento il cambio del tempo e riesco a metter il naso fuori dall’uscio, è una tal festa che non mi potete credere. Guardate, è come se fosse un Natale o una Pasqua fuori stagione. Ah, è talmente bello che mi sento un re”. Ogni volta, prima di tirar fuori il mazzo delle carte dal cassetto, Giacomo –  quasi stesse sgranando un rosario – ci faceva partecipi delle sue lamentele. Ma bastavano due o tre smazzate per sparigliare tutto e come d’incanto si dimenticava di acciacchi e malanni. Faceva smorfie, imprecava, sbatteva le carte sul tavolo. Non nascondeva l’ira o la gioia, a seconda di come gli “giravano” le carte, ma era un’altra persona. Amava quei giochi, vantandosi di essere un grande esperto. A volte ci teneva delle vere e proprie lezioni. “ Vedete, il mazzo con cui stiamo giocando è composto da 40 carte di 4 diversi semi. Ma c’è una grande varietà stilistica nel disegno. In alcune regioni sono diffuse le carte di stile italiano o spagnolo, con i semi di bastoni, coppe, denari e spade e con le figure del fante, del cavallo e del re. In altre si usano le carte con i semi francesi .Sono cuori, quadri, fiori e picche, con le figure del fante, della donna e del re.Ecco, sono proprio queste che stiamo usando per la nostra partita”. Parlava come un libro stampato, in un italiano corretto e persino raffinato. “Fate attenzione a queste.Sono carte bergamasche, tipicamente nordiche.Hanno caratteristiche in comune con le figure dei tarocchi lombardi. L’asso di coppe si ispira alle insegne della famiglia Sforza”. Era capace di andar avanti così per un bel po’ se non cambiavamo discorso. E allora ci raccontava delle sue avventure, partendo sempre da quella volta che aveva portato sull’isolino una contessa ( omettendo di dire chi fosse, precisando “sapete,io sono una persona discreta e non mi piace far nomi” ) che per tutto il tragitto continuò a fargli l’occhiolino. Immaginando una qualche complicità e una sorta d’invito, appena toccato terra, tentò di abbracciarla e baciarla, guadagnandosi una sberla tremenda. “Madonna, che botta mi ha dato! Cinque dita cinque, in faccia, secche come un chiodo. Ero diventato rosso come un tumatis, un pomodoro, restando lì a bocca aperta, come un baccalà”. “ Ah, cari miei, se beccavo quel maledetto Luigino dell’Osteria dei Quattro Cantoni lo facevo nero come il carbone”. Quella storia l’aveva raccontata un infinità di volte ma, per non contraddirlo, ci fingevamo interessati e lo incalzavamo con le solite domande (“Come mai,Giacomo? Cosa c’entrava Luigino?”). E lui s’infervorava. “Cosa c’entrava, quella carogna? Cosa c’entrava? C’entrava che se l’avevo tra le mani gli davo un bel ripassoLo pettinavo per bene quel mascalzone. Mi aveva assicurato che la contessa era una che ci stava, che gli piacevano i barcaioli. Mi disse che se gli fossi piaciuto mi avrebbe fatto l’occhiolino. E me l’aveva fatto, porco boia; altro che se me l’aveva fatto. Ma era per via di un tic nervoso. Altro che starci. Sembrava una iena. E quel saltafossi lo sapeva, capite? Lo sapeva e mi ha tirato uno scherzo”. Sbollita la rabbia per quella brutta figura che ormai faceva parte dei ricordi, ricominciava a giocare, picchiando le carte sul tavolo come se quello fosse la testa pelata di Luigino. Giacomo abitava in una casa che dava su via Domo. Dalla parrocchiale , dove c’è Largo Locatelli, si scendeva verso l’abitazione per una viuzza stretta, tortuosa, lastricata a boccette che finiva nella piazzetta. Lì, al numero 12, in una casa piuttosto bassa, coperta da un tetto di piode, stava il Verdi. Quasi in faccia alla cappelletta che ,si diceva, fosse stata eretta come ex-voto per la liberazione dalla peste. Sotto l’arco s’intravedevano ancora gli affreschi raffiguranti la Madonna con il Bambino e ben due coppie di santi : Giuseppe e Defendente, da una parte;Gervaso e Protaso, dall’altra. Era lì che la povera Marietta posava il cero nei giorni in cui suo marito, quel matto di Giacomo, metteva la barca in acqua incurante del “maggiore” che spazzava le onde, gonfiando minacciosamente il lago. Ora che Marietta era  passata a miglior vita era Giacomo – ormai prigioniero a terra per via dei malanni – a dare qualche soldo a Cecilio, il sacrestano, perché non si perdesse quell’abitudine che – diceva, sospirando – “ in fondo, mi ha sempre portato bene”. Ecco, le giornate più uggiose le passavamo in casa di Giacomo, in uno dei rioni più antichi di Baveno.Lì c’è ,ancora adesso, la “Casa Morandi”, un edificio settecentesco di quattro piani, con scale esterne e ballatoi. È forse l’angolo più apprezzato dai pittori e dai fotografi di tutta la cittadina. Sono in tanti, in Italia e all’estero, a tenere sulle pareti del salotto un acquerello, una china o più semplicemente una foto incorniciata della casa Morandi. Segno inequivocabile che da lì è passata un sacco di gente ,portando con sé la storia, quella vera, quella che si legge sui libri. E magari incrociando le carte con Giacomo.

Marco Travaglini